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Autore: Tiferet    23/06/2009    1 recensioni
Anno 2030. In Cielo sono pronti all'epocale battaglia contro i demoni.
Una ragazza, moglie di Azrael, l'Angelo della Morte, si innamora di un Arcangelo.
Quella loro relazione, però, non porterà a nulla di buono.
Genere: Romantico, Drammatico, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo secondo
 
 
 
Se si crede in Dio, non sempre sembra che si è ricambiati.
Era successo ai Nephilim, bastardi nati tra Angeli e Mortali. Non erano molto diffusi, in verità, benché non pochi angeli fossero stati dannati e cacciati dal paradiso per essere giaciuti con degli umani. Solo un angelo aveva dato il seme ed era ancora uno dei preferiti del Signore: Raffaele.
L’Arcangelo, dalle grandi doti curative, aveva aiutato a dare alla luce una splendida fanciulla, una bambina così graziosa che pareva splendente, ma allo stesso tempo così pura che il padre aveva espressamente chiesto di essere egli stessi il suo Angelo Custode.
Il prezzo per quella richiesta fu caro.
Raffaele era un angelo senza ali, consapevole di vivere come un immortale sulla Terra, ma in Paradiso mai più sarebbe potuto tornare. Quei dodici fuochi iridescenti che prima gli spuntavano maestosi dalle scapole erano adagiati in una teca di cristallo al centro di una stanza tra le dimore degli angeli, dove alloggiava prima che fosse cacciato via.
La bambina, Isfrail, ignara di tutto, persino del significato del suo vero nome, e della sua maledetta e insieme benedetta sorte, cresceva sola con il padre. Aveva avuto un’infanzia travagliata, perdendo la fede quando la madre le si allontanò per sempre a causa di un incidente d’auto. Attorno a sé percepiva solo confusione, fino a che non riuscì a sentire la voce di Raffaele ripeterle di non perdere la fede, e di essere più forte della tentazione di cadere nell’oblio.
Si riprese, ma non del tutto.
Raffaele era preoccupato soprattutto per la sua piccola bambina. Non poteva far altro che contemplarla come un pellegrino. Aveva preso le labbra e il mento dalla madre, e tutto il resto da lui. Era stata da sempre oggetto di invidia per quella chioma lucente di un colore a metà tra il biondo scuro e in castano chiaro, che talvolta assumeva strane sfumature rosa pallido. Aveva un carattere molto insicuro, nonostante si ponesse alla gente cercando di dare l’impressione di una persona dura, forte e vivace.
Raffaele confidava ciecamente nel suo sesto senso, che si attivava quando i “pericoli” erano vicini.
L’Arcangelo aveva dimenticato come si volava, ma anche se non poteva tornare in Paradiso, non sarebbe comunque volato via pur restando accanto a sua figlia, pronto ad aiutarla per mostrarle la strada giusta per arrivare al Paradiso. Faceva tutto ciò perché sapeva che i Naphilim potevano raggiungere la protezione divina.
Infatti, ogni Nephilim di cui si ricordava, aveva perduto la fede, e, di conseguenza, la via, ed era stato condannato a patire il dolore tra le fiamme del regno di Satan. Essere un Nephilim non era una cosa facile, perché si rischiava di cadere più facilmente in tentazioni.
Quel giorno Raffaele era davvero preoccupato, sebbene nulla avesse a che fare direttamente con la retta via, ma lo era ancor più perchè non avrebbe potuto agire in alcun modo.
Si era limitato a guardare la figlia che si vestiva in modo appariscente, mentre cercava disperatamente di apparire una persona sicura di sé, capace di prendere il mondo tra le sue mani e decidere il destino di ogni persona che le stava accanto. Quei vestiti marcavano troppo la differenza tra i sessi, che in Paradiso non esisteva. Raffaele pensava che ognuno doveva essere completamento per l’altro, fonte di sostegno. Ma più viveva sulla terra, più capiva che le cose andavano diversamente, perché erano i più forti a sopravvivere. Chissà se in realtà quello non fosse un piano divino per ripristinare un qualche equilibrio, quello che ricordava a malapena c’era stato prima della creazione dei Materiali.
Ad ogni modo, non vedeva come rientrasse in quel piano il fatto che la figlia dovesse uscire con un ragazzo. Si rese conto che, se non avesse voluto far covare alla figlia sentimenti di odio nei suoi confronti, era ora che le permettesse di uscire di casa. Fu molto più sereno quando capì che ci sarebbero andati anche altri amici. Nonostante tutto, però, aveva voluto controllare personalmente che non ci fosse odore di zolfo nei posti dove dovevano andare, e che il ragazzo stesso che avrebbe dovuto accompagnarla non fosse in realtà un demone.
Sicuro, la lasciò andare, senza prima donarle un amuleto con un ciondolo a forma di pesce.
- Tienilo sempre con te-, si raccomandò lui, sulla porta di casa, prima che andasse definitivamente a quella serata.
Sentì una strana sensazione crescere in lui. Era l’unica figlia che aveva mai avuto, era egli stesso il suo angelo custode, e, in più, sapeva bene che una Nephilim che odorava così di azoto e purezza era carne davvero prelibata per i demoni. Aveva deciso di donarle il proprio amuleto, che avrebbe funzionato contro chiunque degli Inferi avesse brutte intenzioni con la sua bambina.
La guardò negli occhi, che le ricordavano così tanto la Mortale che un tempo aveva amato, e che amava ancora tantissimo, e le sorrise incoraggiante.
- Non fare tardi- si raccomandò.
Isfrail, contenta che il padre le avesse permesso di uscire con un ragazzo, gli baciò una guancia senza dire niente e si infilò nella macchina di Giuseppe, che l’avrebbe dovuta accompagnare nel pub più esclusivo di quella città.
Aveva il cuore che le batteva forte. Era il suo primo vero appuntamento, e aveva già sedici anni. Alla sua età certe tipe che andavano a scuola con lei non avevano più appuntamenti, perché dovevano badare ai loro figli. Non che lei morisse dalla voglia di diventare madre! Cattolica com’era, non pensava neanche lontanamente di fare quelle cose, né poteva pensare che i ragazzi che le chiedevano di uscire ci pensassero.
Sentiva, però, che il padre le stesse nascondendo qualcosa. Credeva in lui, e aveva deciso che, nonostante il suo sesto senso, voleva dargli la fiducia che si meritava.
Quando entrò al fianco del suo accompagnatore nel Buvier, in locale più in di quella cittadina di provincia, sentì l’odore di fumo che impregnava la stanza. Sorrise tra sé, benedicendo la sua salute di ferro.
Ed ora la nuova Isfrail doveva darsi da fare. La strafottente e sensuale Isfrail doveva fumare e bere, e scatenarsi non appena l’ambiente si fosse riscaldato un po’.
Era solo questione di tempo, dopodichè avrebbe potuto dare libero sfogo alla creatura che aveva creato per fronteggiare la vita con meno timidezza e più impetuosità.
 
 
Un completo silenzio avvolgeva Tafriel. Era uno di quelli che quando ti circondano, ti inquietano. Non c’era alcuna allodola o alcun usignolo o pettirosso a tenerle compagnia. Solo in lontananza riusciva a sentire il suono del fiume divino che scorreva lento e cadenzato.
Era, però, un rumore così distante che a stento riusciva a sentirlo.
Così era il Paradiso: come un ripetitivo incontro con se stessi; e proprio per questo era il luogo adatto ad anime oneste e pure come quelle degli Angeli probi. Chi non si sentiva in pace con se stesso, faceva di tutto per scappare.
Tafriel si avvicinava più velocemente possibile, pensando alle anime nei cimiteri. In quei luoghi di ritrovo spirituale, lo sguardo di Dio era più attento e vigile. Lei, per ora, Non aveva bisogno si una consulenza con l’Altissimo.
Sospirò sollevata quando, finalmente, intravide le dimore divine, distanti le une dalle altre, per assicurare ad ognuno di loro privacy. Era difficile trovare qualcuno tra gli Angeli che amasse la solitudine, ma c’era a chi piaceva.
Entrò in una delle belle casupole senza bussare.
Vide il suo Michael addormentato, steso con la sigaretta che gli penzolava tra le mani, ormai quasi finita. Gli si avvicinò con cautela e gliela sfilò lentamente, facendo attenzione a non svegliarlo.
Una mano l’afferrò al volo, e due occhi castani la guardavano furenti. Trattenne il fiato rumorosamente.
Michael si rilassò, lasciando cadere la sigaretta per terra, che Tafriel tempestivamente calpestò prima di essere presa di peso e fatta sedere sulle gambe del ragazzo-angelo.
Si sorrisero, mentre le mani di lei accarezzarono gentilmente il suo viso, massaggiandogli la nuca.
- Ciao Tafriel- disse lui.
Chiunque l’avesse sentito parlare, avrebbe pensato che qualcuno si fosse impossessato del corpo dell’Arcangelo, talmente era profonda e roca la voce. Tafriel sapeva che non era così.
- Michael-, sussurrò lei, felice.
Quante notti lontana da lui aveva passato a sognare di incontrarlo, e di amarlo fino alla dannazione.
Sentiva anche in quel momento l’influsso di Raziel che frenava i loro istinti. Eppure loro si amavano non perché così avevano deciso i due Arcangeli più capricciosi della storia del Paradiso (forse gli unici), ma perché i loro sentimenti erano autentici. Non era stato un colpo di fulmine, piuttosto era giusto parlare di un certo feeling tra loro sin dalla rinascita di Tafriel.
- Hai battuto la fiacca stavolta, eh?!- lo prese in giro.
Il Fedele inarcò le sopracciglia.
- Come scusa?- chiese, colto nel vivo.
Lei ridacchiò sincera.
- Mi hai portato solo dieci demoni …-
Michael sbuffò innervosito.
- Si stanno organizzando. E’ sempre più difficile redimere le loro anime-.
Stavolta fu lei a inarcare le sopracciglia.
- Redimere? Lo sai che..-
- Sì, lo so- la interruppe. – Non è compito mio-, continuò, con voce stanca. Si gettò di nuovo sul letto, con le braccia spalancate. – Eppure dovrebbe esserlo. Sono io che li sconfiggo…- si lamentò.
- Stai per caso rinnegando il tuo essere un Arcangelo?-
- Mai!- replicò con forza lui, alzando la testa, scandalizzato.
Tafriel sorrise piano, e si stese accanto a lui, sfiorandogli il corpo con il suo.
Sapeva bene quanto poteva essere frustrante essere limitati. Se poi lo si aggiunge ad un carattere focoso come il suo, allora ritenne che doveva essere grande il sacrificio di fermarsi e portare le anime al cimitero.
Chissà il Signore per lei cosa aveva in serbo.
- Michael-, lo chiamò.
Aspettò che lui grugnisse in risposta e sorrise quando fu così.
- Chi ero prima di reincarnarmi?- chiese lei.
L’Arcangelo accanto a lei fermò il respiro, pensieroso. Lei si alzò per osservarlo meglio.
- Ho paura che sia stata un demone, o un angelo caduto. Non lo so, Michael. Io devo sapere!-
Ad ogni parola le sue paure aumentavano, e con esse aumentava la determinazione di affrontarle.
L’Angelo l’afferrò per le braccia e l’avvicinò a sé.
- Non lo so, Tafriel-.
Risposta prevedibile. Era quella di cui aveva più paura.
E se fosse stata un bugia in verità?
- Non pensare, però, che ti stia mentendo-, aggiunse lui.
Sorrise, perché sapeva che lo stava pensando.
- A me non è dato sapere in cosa vengano reincarnate le anime, ma se tu sei stata scelta, il Signore Celeste avrò per te un compito preciso-, la rassicurò, accarezzandole la schiena.
Tafriel sospirò e alzò lo sguardo verso il ragazzo.
- Pensi che Lui sappia che ora sono qui?-
Silenzio.
- Probabile-, fu la sua risposta.
La spostò per guardarla meglio negli occhi. – E pure se fosse? Se ti ha lasciata venir qui è perché così vuole-.
Tafriel sorrise e avvicinò le loro labbra, facendole sfiorare in un bacio casto, non come quelli che si scambiavano di solito.
- Spero che non mi farà mai smettere di tornare qui-, ammise.
Sentì la mano del ragazzo sfiorarla lungo il fianco, mentre un sorriso malizioso gli si dipingeva in volto.
Lei sospirò, spostandosi su di lui, e ricambiando lo sguardo.
- Che questo attimi non abbiano mai fine se l’Altissimo è d’accordo-, disse lui, avvicinando le sue labbra sul collo della ragazza.
Tafriel sentì una leggera scossa percorrerle il corpo.
Le ali si spalancarono ad entrambi.
- Amen-, sussurrò prima di iniziare a rotolare con Michael nel letto in un atto che faceva incontrare corpo e mente, il perfetto connubio delle arti di Haniel e quelle di Raziel.
 
 
Sulla Terra, nel Sud Italia, in un paesino dalla collocazione imprecisata, il Buvier aveva riscaldato la pista. Nelle gabbie, ragazze poco vestite si scatenavano a ritmo di una danza sregolata e note spaccatimpani.
Ben lontani da quel caos, quattro amici stavano parlottando tra loro, cercando di sovrastare il rumore che fuoriusciva dalle casse.
- Isfrael, dov’è il ragazzo con cui sei venuta?- chiese una delle ragazze, anche lei poco vestita.
Isfeal si guardò attorno e si strinse nelle spalle.
- Giuseppe? Non ne ho idea!- ammise, bevendo dal suo bicchiere, il terzo. Non che le piacesse molto, ma era da copione farlo.
- Che razza di nome è Giuseppe?- chiese un ragazzo, disgustato.
Isfrael rise divertita.
- Che razza di nome è Marco?- lo prese in giro la biondina. – E’ un nome come un altro!- difese lei. – Solo perché ha avuto il coraggio di invitarmi a uscire, col padre che mi ritrovo. E’ degno di rispetto, anche se il nome non è di tuo gradimento-.
Marco, alto quasi il doppio di lei, si fece piccolo piccolo.
Isfrael l’abbracciò allegra.
- Suvvia, non fare così. In fondo non ho detto nulla di male-.
Sentì le mani grandi del ragazzo sulla sua schiena. Perché non capiva che le piaceva? Sospirò così piano che in quel fracasso non si sentì affatto.
Si allontanarono l’uno dall’altra, guardandosi per un attimo. Fecero giusto in tempo per veder tornare Giuseppe, con l’alito che puzzava d’alcol.
- Oh, eccoti qua dolcezza. Vieni con me?- chiese, barcollando.
Isfrael rise e lo prese per un braccio.
- Vedo che già vai a tempo-, disse sarcastica.
Non voleva rovinarsi la serata né per le frecciatine idiote di Marco, né per l’alito maleodorante e la scoordinazione del suo accompagnatore (che non stava per nulla facendo una bella figura), né per lo stupido ciondolo che le aveva dato il padre e rovinava il risultato delle ore che aveva speso a cercare l’abbinamento perfetto tra vestiti e gioielli, né voleva pensare a quello stupido sesto senso che aveva e le diceva di stare attenta a Giuseppe in quel preciso istante.
Iniziò a muoversi sensuale sulla pista da ballo, facendo entrare in sé il ritmo della canzone. Sentiva già gli occhi dei più vicini guardarla interessati.
Stava andando alla grande. Le ragazze nelle gabbie avrebbero di sicuro invidiato le sue mosse libere e i suoi spettatori.
Eppure, il sesto senso, nonostante i tre bicchieri di bevanda alcolica allo stato quasi puro, anzicchè diminuire pareva aumentare sempre di più.
Iniziava a sentire davvero caldo, e il respiro le mancava. Vide Giuseppe avvicinarla, afferrarla con quelle mani sudaticce e allontanarla dalla pista.
- Mi stavo divertendo!- si lamentò, cercando di fermarlo. Aveva un rumore fastidiosissimo nella testa.
Cercò con lo sguardo Marco, che era girato dall’altro lato. Aveva un’ampia schiena, con delle spalle grandi. Era così attraente anche da dietro.
Le mani del suo accompagnatore sui suoi fianchi e le sue spalle contro il muro la fecero rinsavire. Il rumore nella testa era così forte che la stordiva.
Le labbra di lui si posarono sulle sue, bagnandole senza sosta, mentre infilava quelle mani raccapriccianti nei suoi pantaloni stretti.
Voleva urlare, ma appena aprì la bocca, Giuseppe le infilò dritto in gola la lingua, impedendole di fare qualsiasi cosa.
Chiuse gli occhi, iniziando a pregare Dio di preservarle ancora la verginità. Stava per scoppiare in lacrime quando si sentì liberata dal peso del ragazzo. Aprì gli occhi e lo vide collassare sotto un pugno di Marco, che la prese per mano e si allontanò velocemente, mentre uno dei buttafuori si aggirava da quelle parti.
Corsero insieme verso l’uscita, e ancora fino alla macchina del ragazzo. La aprì e fece entrare con la forza Isfrael, sbattendo la portiera.
Aveva il cuore che le batteva così forte, che se lo sentiva in gola. Sul petto della ragazza, il pesciolino pesava e bruciava, mentre ancora il rumore non le faceva capire bene quel che succedeva. I suoi sensi non erano mai stati così sviluppati tanto da stordirla.
La ragazza giardò l’amico salire in macchina. Che era successo?
Tutto era per lei così confuso, e il suo sguardo cercava certezze. In realtà, cercava solo la certezza che nessuno l’avesse violata.
Rimase immobile, sperando che fosse lui a parlare per primo.
Quello battè entrambe le mani sul volante e inspirò a fondo. Mise in moto, ingranando la prima, e partì sgommando, desiderando allontanarsi di lì il più in fretta possibile.
   
 
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