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Autore: QueenOfEvil    03/12/2017    2 recensioni
(Dal capitolo sette):
"Sì, aveva aspettato quel giorno per anni, nella polvere, nell’ombra di qualcun altro, di Ahadi, di Mufasa e adesso che correva il rischio di venire oscurato anche da Simba, da quello scricciolo che altro non era che un prolungamento del fratello tanto odiato, gli era stata finalmente data l’opportunità di scuotersi di dosso tutti: sarebbe diventato ciò che era stato predestinato ad essere fin dall’infanzia, fin dalla nascita. Il sovrano che nessuno mai aveva visto in lui."
La storia di un re considerato tale solo da se stesso. E, chissà, forse, in fondo, neanche quello.
Genere: Dark, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Scar
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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16. Scar. Our wills and fates do so contrary run

“Mufasa! No… sei morto!” 

Morto e sepolto da anni, o almeno così aveva sempre creduto. Un terrore cieco travolse Scar per qualche secondo, facendolo arretrare di un paio di passi, non riuscendo a distogliere lo sguardo dalla scena e al contempo non spiegandosi quello che stava vedendo: i fantasmi non esistevano, gli Antenati non esistevano, nulla di tutte le insulsaggini che gli avevano raccontato da cucciolo esisteva… e allora perché aveva davanti a sé quello che sembrava proprio lo spirito del fratello? La figura intanto era scesa verso Sarabi che, ancora distesa, non accennava a reagire né a rialzarsi: se fino a qualche secondo prima quella reazione così remissiva gli avrebbe dato molta soddisfazione, in quel momento, con la prospettiva del primogenito nuovamente fra di loro, non poteva che augurarsi che la sua condizione non fosse così critica come appariva. Per il suo stesso bene.

Emise quindi un impercettibile sospiro di sollievo, impercettibile anche per se stesso, quando vide la leonessa alzare lievemente la testa, ricambiando il gesto di tenerezza che le veniva rivolto dal compagno. Sempre che compagno fosse: ora che poteva scorgerlo meglio, seppur con la mente ancora ottenebrata dalla paura, il sovrano non poté non notare quanto la sua silhouette fosse più snella, meno imponente, rispetto a quella del fratello. Ma davvero non riusciva a capire chi potesse assomigliargli a tal punto.

“Mufasa?” sussurrò la passata regina, gli occhi socchiusi e lo stupore sul muso, solo per essere contraddetta dal suo interlocutore.

“No” rispose infatti quello, scuotendo la testa e con un sorriso tenero a distendere la sua espressione “Sono Simba” Ed ecco che i pezzi infine sembravano mettersi al loro posto: quella rivelazione, Scar dovette ammetterlo, lo colse completamente impreparato, avendo scartato da anni la possibilità di un suo ritorno, soprattutto dopo che le iene avevano giurato e spergiurato di essersene occupate. D’altronde, le occhiate nervose e quasi colpevoli che gli avevano rivolto una volta tornate dal loro incarico avrebbero dovuto metterlo in guardia: non ci aveva fatto caso, tutto preso com’era ad esultare per il completamento del suo capolavoro, ed in quel momento ne stava pagando le conseguenze. Decise in ogni caso, con il senso dell’opportunismo che da sempre aveva coltivato e che non gli era mai stato ben chiaro da dove avesse ereditato, erano tutti talmente ingenui e stomachevolmente onesti nella sua famiglia, di fare buon viso a cattivo gioco: possedeva ancora qualche risorsa non troppo difficile da sfruttare a suo vantaggio ed era conscio che “sfruttare” era una delle sue specialità.

Iniziò lui stesso la conversazione con il nipote perciò, una volta che egli si fu riconciliato con la madre in modo sufficiente. Sempre che si potesse considerare sufficiente una manciata di secondi in confronto a quasi tre anni di lontananza.

“Simba?” esclamò dunque, gli occhi dilatati da uno stupore per una volta genuino, che subito dopo vennero però incorniciati dalle palpebre, con un sorriso falsamente felice a completare la sua mimica “Simba! Sono un po’ sorpreso di vederti… ancora vivo” Lanciò un’occhiata di sbieco verso la sommità della Rupe, in tempo per vedere quei tre idioti, quei tre imbecilli, inutili galoppini che si nascondevano nell’ombra, temendo l’arrivo di una punizione. E sarebbe arrivata, potevano starne certi, avrebbe fatto in modo che la pagassero molto cara dopo essersi liberato del figliol prodigo.

Figliol prodigo che stava avanzando verso di lui con un’aria tutt’altro che rassicurante.

“Dammi solo una buona ragione per cui non dovrei farti a pezzi” Non sembrava scherzare, anzi, la sua espressione omicida avrebbe potuto intimidire anche il più impavido e senza macchia degli animali: il leone dal manto scuro si ritrovò dunque ad arretrare, sul muso un’espressione che come minimo si sarebbe potuta definire “inquieta” fino a ritrovarsi con le spalle al muro e l’obbligo di pensare a qualcosa, e in fretta, per ribaltare la situazione in suo favore.

“Oh, Simba, tu devi comprendere! La preoccupazione di un regno da governare…”

“È una questione che non ti riguarda. Fatti da parte Scar” E invece ovviamente avrebbe dovuto riguardare lui, il piccolo figlio di Mufasa, scappato anni prima? Cosa ne poteva sapere lui di come si reggeva un dominio, cosa ne poteva sapere del modo in cui l’ordine doveva essere stabilito e mantenuto, lui che per anni era vissuto chissà dove a fare chissà cosa, senza la minima regola? Non aveva intenzione di retrocedere di un millimetro.

“Oh beh, certo, lo farei con piacere!” Sì, con lo stesso piacere con cui aveva assistito a tutti i trionfi del fratello per i primi quattro anni abbondanti della sua vita “Ma, sai, c’è solo un piccolo problema” Alzò una zampa verso l’alto, accompagnandola con lo sguardo e mettendo in evidenza la schiera di iene appollaiate come avvoltoi sopra le loro teste “Vedi lassù? Loro pensano che io sia il re” Lo disse con un sorriso imbarazzato, quasi volesse scusarsi per una questione che, evidentemente, lo stava mettendo a disagio, quando in realtà sentiva che gradualmente stava tornando in una situazione di vantaggio rispetto al suo avversario: il suo cervello, momentaneamente destabilizzato dalla sorpresa, e, perché no?, paura di avere davanti una vecchia conoscenza così inaspettata, aveva nuovamente iniziato a lavorare a pieno regime, reggendo una recita che l’avrebbe ingannato ancora una volta. Stava giusto per aggiungere altro, quando una voce indesiderata lo fece voltare verso il branco di leonesse.

“Ma noi no” Aveva sperato di non dover avere più a che fare con Nala per il resto della sua esistenza, ma a quanto pare quella sconsiderata era tornata, giusto in tempo per peggiorare la situazione. Avrebbe chiarito i conti anche con lei dopo essersi sbarazzato del nipote “Simba è il legittimo sovrano” Incoraggiato da quella presa di posizione, lo stesso giovane si rivolse di nuovo verso di lui, il volto fisso sempre nello stesso atteggiamento che, se ad una prima vista poteva effettivamente risultare intimidatorio, più lo guardava più gli pareva patetico.

“A te la scelta, Scar: o ti fai da parte o dovrai affrontarmi” Evidentemente il suo interlocutore aveva preso dalla famiglia lo stesso carattere impetuoso e stolidamente coraggioso tipico dei suoi Antenati e che invece sembrava aver ignorato totalmente lo zio nella catena genetica: ogni secondo passato ad osservarlo, pareva più simile a Mufasa, ma un Mufasa giovane, privo di autorevolezza e sicurezza, sicuramente meno temibile della sua versione adulta. D’altronde, tale padre tale figlio, giusto?

E, a proposito di padri, forse era meglio ricordare al piccolo come fossero andate le cose quel giorno di due anni prima, nel canyon. O meglio, come lui aveva sempre creduto fossero andate.

“Oh, bisogna risolvere tutto con la violenza” esclamò quindi, con tono sconsolato, affiancando e poi superando il nipote, sentendosi ogni istante più sicuro di quello che stava facendo e di come si sarebbe evoluta la situazione di lì a poco “Mi risulterebbe insopportabile l’idea di dover uccidere un membro della famiglia, non sei d’accordo, Simba?” Era da anni che non mentiva così spudoratamente e dovette ammettere, mentre rivolgeva un’occhiata annoiata al suo interlocutore, quasi senza considerarlo affatto, per poi concentrare l’attenzione sul branco davanti a sé, che era una boccata d’aria fresca poter manipolare qualcuno in maniera tanto bieca e pura. Ironicamente, era più soddisfacente questo di molti dei momenti passati come sovrano.

“Non funzionerà, Scar. Quella storia l’ho dimenticata” Il tono era sicuro e l’espressione ferma, ma era sicuro che mentisse: un trauma come quello di vedere il proprio padre morire sotto i tuoi occhi, di rannicchiarsi sotto le sue zampe fredde tentando di farlo rialzare dalla sua posizione abbandonata, di sentirsi dire di essere il suo uccisore, non poteva essere superato tanto facilmente. E poi, se anche fosse stato apparentemente così, era sicuro che sarebbe bastato smuovere un po’ le acque per riportare tutto in superficie: il modo migliore per riuscirci, dunque, era affidarsi all’inconsapevole aiuto di coloro il quale giudizio era certo avesse la maggiore importanza per l’aspirante re.

“E che cosa ne pensano i tuoi fedeli sudditi? Anche loro l’hanno dimenticata?” Sorrise loro mellifluo e con un’aria di sfida malcelata, che si tramutò in una confermata soddisfazione vedendo le loro espressioni confuse: era tanto semplice da sembrare scontato e forse quasi deludente come il dubbio si insinuasse nelle loro belle testoline.

“Simba… di cosa sta parlando?” 

Si sentiva sempre meglio, ogni momento che passava, ed iniziava a provare dentro di sé un tipo di trionfo misto a pura esaltazione simile a quello che gli aveva riempito il cuore il giorno in cui il fratello era precipitato giù dal canyon: affiancò dunque il suo avversario, con dei movimenti suadenti e sinuosi, serpentini, accerchiandolo e gustando ogni sillaba che gli stava uscendo di bocca quasi senza sforzo.

“Ah! Allora non gli hai ancora svelato il tuo piccolo segreto! Bene Simba, ora hai l’opportunità di dirglielo! Di’ loro chi è il responsabile per la morte di Mufasa!” Pur nel suo fervore e nella facilità scontata con cui stava abbindolando tutti ancora una volta, dovette ammettere a se stesso che poteva anche capitare che l’assemblea lì davanti, composta da quelle lacchè travestite da predatrici, avesse un briciolo di cervello: se era stato facile addossare tutta la colpa su un cucciolo quando solo loro due erano presenti sulla scena e l’influenza che egli aveva su quest'ultimo era ancora enorme, la scusa avrebbe potuto non reggere davanti ad una intera schiera di animali pensanti. Insomma, chi avrebbe mai veramente dato la colpa ad un piccolo di sei mesi per la dipartita di un leone adulto? 

Il silenzio era calato e, proprio quando iniziava a considerare che forse aveva fatto una scelta un tantino azzardata, il nipote, facendo un passo avanti e con un’espressione colpevole sul muso, sussurrò, con voce mesta: “Sono io”. 

E quello che successe dopo fu considerato da Scar assolutamente magnifico, nella sua paradossalità e stupidità, proprio perché testimoniava quello che aveva sempre pensato, ma che era arrivato a confermare da pochi mesi: era circondato da un branco di idioti.

Le spettatrici trasalirono, tutte, nessuna esclusa, e sui loro musi, prima così volitivi e determinati, in quel momento compariva solo sconcerto, sconforto e… dubbio. Una sola conversazione aveva davvero il potere di ribaltare tutto ciò che avevano predicato e considerato fino ad allora su di lui e sui suoi parenti? Fu grato ancora una volta di possedere il dono della retorica, invece che della forza bruta.

“No, non è vero!” Sarabi si era avvicinata a Simba, le orecchie abbassate e lo sguardo pieno di orrore, insomma, esattamente come una madre si dovrebbe rivolgere al proprio figlio in una situazione simile, e lo stava pregando di ritirare le sue parole “Dimmi che non è vero”. Ma certo che non era vero! Il leone dal manto scuro era sempre più favorevolmente sorpreso dalla loro reazione, ma soprattutto da quella della regina, da lui ritenuta da sempre così super partes da non potersi davvero bere una stupidaggine simile, ma che invece si stava rivelando in quel momento esattamente come tutte le altre: l’aveva piegata, infine, in un modo o nell’altro aveva piegato anche lei. La ciliegina sulla torta, e l’occasione per tornare nuovamente al centro dell’attenzione, fu gentilmente servita dalla sua vittima in persona, in modo assolutamente spontaneo, che, abbassando lo sguardo e con un atteggiamento che nulla aveva della prestanza e sicurezza dimostrata fino a pochi secondi prima, sussurrò un mesto: “È vero”. Era il segnale per Scar, il segnale atteso per affermare nuovamente la sua supremazia e si sorprese, cogliendo l’occasione al volo, di non essersi neanche dovuto impegnare troppo per rivoltare la situazione a suo favore: era bello, davvero bello, quasi troppo bello per essere reale.

“Avete sentito?” proclamò quindi, con voce dura e sguardo cattivo, accusatore, ponendosi davanti al suo “nipote preferito” e facendo sfoggio per una volta di tutta la sua malvagità “Lo ha dovuto ammettere! Assassino!” E forse provò quasi troppo piacere nel dire quelle parole a qualcun altro, nel riflettere la sua azione, la sua colpa, negli occhi e sul muso di un innocente, specialmente quando la reazione dell’altro fu tanto perfetta, tanto in linea con quella che avrebbe desiderato vedere.

“No! È stato un incidente” Lo dicono tutti, Simba. Lo dicono tutti. Specialmente chi sa di essersi macchiato di un delitto orribile. E questo lo zio lo sapeva fin troppo bene per non approfittarne. Riprese dunque a girargli attorno, ma più deciso questa volta, con impeto, dirigendo la sua arringa dalla posizione che più gli piaceva: quella di comando, quella di potere.

“Se non fosse per te Mufasa sarebbe ancora vivo!” Ed era probabile che quella non fosse una bugia, non nel senso più stretto del termine “È solo colpa tua se è morto!” Quello era un punto di vista leggermente più discutibile “Lo vuoi negare?”

“No” Per gli Antenati, così era davvero troppo facile!

“Allora sei colpevole!” Conclusione logica per un ancor più logico discorso, effettivamente.

“No! Non sono un assassino!” L’orrore sul muso del giovane si rifletteva benissimo in tutto il resto delle sue compagne, amica e madre comprese.

“E allora cosa sei, Simba?” pensò Scar, mentre, con un cenno impercettibile del capo ordinava alle iene di schierarsi dietro di lui e di aiutarlo a spingere l’altro all’indietro, esattamente come prima lui era stato costretto a retrocedere “Ti reputi colpevole eppure non un assassino, non hai mai voluto assumerti le tue responsabilità eppure ora vorresti pretendere la corona, somigli tanto a tuo padre ma non ne hai né la sua forza né la sua fiducia in se stesso… cosa sei, Simba, se non un pallido fantasma di un passato che mi ha trascinato verso l’oblio per troppo tempo? Cosa sei, Simba, se non l’ultimo di una lunga catena di ostacoli di cui mi sono liberato per arrivare al posto che mi spetta?” Pensò questo e altre mille cose confuse in quei secondi, ma le parole che trovarono spazio sulla sua lingua, mentre assaporava istante per istante il degno epilogo di quella storia, furono ben diverse.

“Oh, Simba, sei di nuovo nei guai!” E le immagini del cucciolo, sospeso su un albero, in procinto di cadere, con la mandria di gnu che sfilava sotto di lui gli apparvero dolci e chiare nella mente “Ma questa volta non c’è il tuo paparino a salvarti” Oh, certo che non c’era, come non c’era mia stato in tutti quegli anni. L’atto finale di una recita durata troppo a lungo si stava concludendo infine: mancavano solo pochi passi.

“E ora” Uno.

“Tutti quanti” Due.

“Sanno” Tre.

“Perché!” La chiusura di una frase. Lo schianto di un fulmine. Sterpaglie che prendevano fuoco. E, sommo gaudio, somma gioia!, il piccolo, adorabile, tanto amato Simba che scivolava dalla Rupe, rimanendo aggrappato solo per le zampe anteriori sopra una fornace incandescente. Scar sentì un grido in lontananza, forse era Nala, forse si era resa conto troppo tardi del pericolo a cui egli stava andando incontro, forse ancora una volta faceva quello che tutte loro avevano sempre saputo fare meglio in tutta la loro vita, aspettare e guardare, senza prendere una posizione, tentennando davanti ad accuse ridicole e bugie talmente vecchie da apparire scontate, ma in quel momento non gli importava: tutto quello che riusciva a vedere era una scena che si ripresentava, invariata nella sua orrida bellezza, a distanza di anni, portando con sé un senso di familiare deja-vù e trionfante sicurezza. Ecco, in quella posizione riusciva finalmente a vedere le somiglianze fra il figlio ed il padre.

Tutti e due belli, tutti e due valorosi, tutti e due buoni, tutti e due ingenui. E, molto presto, tutti e due morti. Tutti e due per mano sua. La scarica di adrenalina che stava avvertendo in quel momento era quasi da far girare la testa. 

Sarebbe stato come uccidere Mufasa una seconda volta e in modo definitivo per di più: niente altre possibilità di errore, niente altre rivendicazioni, vendette, niente altri tradimenti, solo l’onore. Onore perché finalmente la savana intera avrebbe visto di cosa era capace e l’avrebbe riconosciuto per la sua grandezza. Oppure paura. Paura giustificata dalle azioni viste compiere, una paura paralizzante, totale, completa, e ormai Scar avrebbe goduto anche di quella: “Che mi odino pure, purché mi temano!”* avrebbe detto qualcuno ed in quel momento non sarebbe potuto essere più d’accordo. Ed ecco nuovamente quella sensazione assoluta, distruttiva, quella a cui aveva dato il nome di felicità che tornava finalmente dopo anni interi e che, sapeva, sarebbe sbocciata e divenuta totale solo alla fine della commedia, quando il sipario fosse calato, in questo caso per sempre: desiderava goderne fino all’ultimo istante, fino all’ultima goccia. Desiderava che il cielo assistesse a quella che sarebbe diventata la sua vittoria totale nel modo più spettacolare possibile.

E, da bravo attore quale era, decise di recitare il suo ruolo fino in fondo.

“Ma guarda, questo mi ricorda qualcosa” disse, sguardo fintamente perplesso e artiglio vicino al muso, non dando segno di preoccupazione, semmai piuttosto evidente piacere sadico, per la situazione precaria di Simba, le cui unghie stavano scalfendo la roccia nell’inutile tentativo di trovare un appiglio “Mmh… dov’è che ho già visto questa scena?” Ed era divertente, davvero divertente, questa evidentemente finta ignoranza, il palcoscenico che si era creato e nel quale lui ancora una volta era al centro, protagonista indiscusso, eroe perfino: desiderava, voleva, che tutto si ripetesse invariato come in precedenza. Voleva dare il benservito al nipote allo stesso modo in cui si era liberato del fratello, far vedere a lui, a Mufasa, ad Ahadi, a tutta quella genealogia che mai l’aveva considerato degno di diventare come loro, chi alla fine li avrebbe sepolti, chi era riuscito ad eclissarli.

Che le trombe squillassero, si intonasse una marcia solenne: il re stava per reclamare eternamente il suo trono!

“Oh sì adesso me lo ricordo!” Sorrise mentre lo diceva, un sorriso talmente genuino e al contempo venefico da risultare inquietante “Tuo padre aveva la stessa espressione quand’è morto!” E anche Simba presto l’avrebbe raggiunto, nella stessa esatta scena che uno aveva sognato ad occhi aperti per anni e che invece probabilmente aveva occupato gli incubi del piccolo per altrettanto tempo. Con uno slancio, esattamente come allora, affondò gli artigli nella pelliccia dorata della sua vittima, esattamente come allora, e si protese verso di lui, esattamente come allora, per sussurrargli poche parole e, esattamente come allora, vedere la luce spegnersi da quegli occhi e lui precipitare giù nel dirupo, morto ancora prima di toccare terra, ucciso da una rivelazione troppo grande, un tradimento estremo.

Ma le parole in questo caso cambiarono, dettate da un desiderio di vanagloria, non più pesate e riflettute, non più ragionate da una mente fredda, quanto dalla pazzia di chi, sull’orlo del baratro, tenta di gettare gli altri sotto di sé per rimanere a galla.

“E adesso ti dirò il mio piccolo segreto” esalò con un sussurro, nulla di più, all’orecchio di Simba “Ho ucciso io Mufasa” Un errore. L’unico. Forse il primo di una breve serie, o forse l’ultimo di una troppo lunga.

In meno di un attimo, prima che Scar avesse anche solo il tempo di comprendere cosa stesse avvenendo, le posizioni si erano ribaltate: con un grido, un grido di dolore, rabbia e tradimento, tradimento, sì, perché quella rivelazione era giunta inaspettata anche dopo tutto quello che lo zio aveva già dato mostra di poter fare, il nipote era riuscito a tirarsi in piedi dalla sua precedente posizione, gettandolo a terra e puntandogli gli artigli alla gola. Non era stata distruttiva la frase che aveva sentito, il suo effetto era stato l’opposto di ciò che aveva invece suscitato in Mufasa: da una parte rimpianto, arrendevolezza, paura ed annichilamento di qualcuno già stanco ed ormai condannato, pugnalato alle spalle da una delle persone di cui si fidava di più, dall’altro desiderio di rivalsa, vendetta, verità di un giovane che finalmente aveva capito che le colpe che gli erano state addossate anni addietro erano davvero troppo grandi per un cucciolo qual era all’epoca.

Il leone dal manto scuro forse intuì tutto questo, seppur confusamente, mentre, sorpreso e scioccato da quell’improvviso indirizzo che la situazione aveva preso, un trionfo desiderato che aveva invece tutto il sapore della disfatta, si ritrovava ad implorare per la sua vita.

“Simba, Simba ti prego!”

“Di’ a tutti la verità!” Non si faceva illusioni, sapeva cosa sarebbe successo qualora avesse seguito quell’ordine: ogni autorevolezza che possedeva nel branco sarebbe morta, ogni speranza che aveva di essere considerato il legittimo re si sarebbe dissolta. Tentò dunque di sviare il discorso, in un modo che lui stesso trovò alquanto blando.

“La verità? Ma la verità è sempre relativa!” Rideva nervosamente mentre lo diceva, tentando di raccapezzarsi, di capire dove avesse sbagliato, ma la sua frase venne troncata da una zampata particolarmente vicina alla giugulare, che lo costrinse ad obbedire e acconsentire seppur di malavoglia alle richieste di chi era sopra di lui in quel momento.

“Va bene! Va bene!” disse, con voce strozzata “Sono stato io…” Una frase appena percettibile all’orecchio che sperò potesse bastare, ma venne puntualmente disatteso dall’ordine perentorio del nipote.

“Così non possono sentirti” D’accordo. Voleva la guerra? Ebbene l’avrebbe avuta. Ma forse non aveva fatto i conti con un paio di cosette, prime fra tutte le diverse centinaia di iene che aveva ancora ai suoi comandi: la battaglia non sarebbe stata indolore, questo poteva prometterglielo. E, forse, ma solo forse, nel pronunciare quell’affermazione, seppur strappata di malavoglia, godette anche un poco, rivendicando un’azione che era stata causa di dolore e sofferenza per tutti.

“Io ho ucciso Mufasa!” 

Se alcuni dei presenti pensavano di avere visto l’Inferno prima di allora, ebbene si dovettero ricredere.

In poco più che un secondo, quanto bastò alle leonesse per iniziare lo scontro con le iene e alle iene per saltare addosso a Simba, Scar fu completamente libero, libero di andarsene, libero di sottrarsi al combattimento che aveva sempre detestato, libero di fuggire e trovare un buon punto di osservazione per decifrare le sorti della battaglia: non si fermò a guardare la scena, a vedere il nipote che veniva aggredito dai suoi tirapiedi e poi liberato dall’azione combinata di un babbuino, un facocero e un suricato, ad osservare come Nala e Sarabi, fianco a fianco, respingevano gli attacchi mano a mano che si presentavano e causavano grandi perdite fra le file delle iene, ad ammirare come anche Sarafina, dolce, calma Sarafina, avesse finalmente deciso di prendere posizione e di unirsi alle altre per un ritorno della libertà. Non si accorse di nulla di tutto questo, preso com’era a salvarsi la vita, né probabilmente gli sarebbe importato anche se non avesse avuto di meglio da fare: fintanto che lui fosse stato al sicuro, gli altri sarebbero potuti benissimo soccombere, indipendentemente dalle parti che avessero preso. Le vie erano quasi tutte bloccate, in uno scenario ardente che per un attimo gli fece venire in mente un ricordo angosciante e sfuggente, subito ricacciato nelle profondità della sua mente, e faticò davvero per trovare un sentiero abbastanza percorribile, solo per vedere dietro di sé, come un fantasma vendicatore, l’immagine di Simba, che lo spinse ad una corsa forsennata per la salvezza, arrestatasi solo davanti ad un precipizio, le sterpaglie che bruciavano impietose pochi metri più in giù. Gli occhi gli lacrimavano per il fumo e le braci, ma ciò non gli impedì di vedere saltare in mezzo alla barriera di fuoco e dunque davanti a lui, suo nipote, le palpebre ad incorniciare gli occhi e sulla bocca una sola parola: “Assassino”. Il sogno che l’aveva tormentato per mesi e che si era volatilizzato così convenientemente dopo la scelta del suo erede si ripresentò di nuovo nella sua mente in modo prepotente e, fugacemente, si dannò per non avergli dato più credito. Ma in quel momento aveva altri problemi più grandi.

“Simba, ti prego, abbi pietà! Ti scongiuro!” Stava implorando e, malgrado gli riuscisse piuttosto bene, c’era una parte che rigettava quello che stava dicendo con tutto il cuore: aveva giurato che mai più si sarebbe piegato davanti a Mufasa o ad un suo simile, cosa diamine sativa facendo?

“Tu non meriti di vivere” D’accordo, la situazione si stava mettendo piuttosto male e se magari il suo cervello, paralizzato dalla paura, si fosse deciso a rimettersi in funzione e dargli uno straccio di idea su come uscire da quella situazione piuttosto scomoda, per usare un eufemismo, sarebbe senza dubbio stato meglio per tutti. 

“Simba, io faccio parte… della tua famiglia!” Gli venne da ridere nervosamente: quella era una scusa patetica, perfino per il contesto disperato in cui si trovava, e la prima cosa che gli venne in mente, il primo segno che forse dopotutto la sua mente non si era atrofizzata totalmente, fu quella di scaricare la colpa su una terza parte, qualcuno che non gli era utile, anzi, in quel momento più che mai di impiccio, e che aveva più di una volta provato di essere stato per lui più dannoso che salvifico “Sono state le iene!” affermò quindi, quasi con disperazione, le iridi ridotte a non più di un puntino in mezzo agli occhi “Sono loro il vero nemico! La colpa è loro, loro hanno avuto l’idea!”

“Perché dovrei crederti? Fino ad ora non mi hai raccontato altro che bugie” Era un’affermazione detta con odio, astio e a stento trattenuta violenza, ma che in qualche modo riuscì a tranquillizzarlo e a fargli ricordare che, dopotutto, quello che aveva davanti non era qualcuno di cui dovesse chiedere la pietà, perché, in fondo, era certo che l’avrebbe ottenuta: era il figlio di Mufasa, d’altronde, e Mufasa mai avrebbe fatto qualcosa contro il suo tanto caro Cerchio della Vita. Doveva solo ricordarglielo indirettamente.

“Cosa hai intenzione di fare?” gli chiese dunque, abbassandosi e squadrandolo con un’aria supplichevole che nascondeva invece una provocazione piuttosto evidente “Non vorrai mica uccidere il tuo vecchio zio?” Ci fu un momento di silenzio in cui i due leoni si guardarono, in cui le iridi verdi del primo squadrarono, ricambiate, quelle castane del secondo, in cui si riflettevano anche le fiamme che giravano attorno a loro e, per un attimo, Scar pensò davvero che la sua ora fosse arrivata e che, dopotutto, padre e figlio non fossero poi così simili. Ma, come già è stato detto, fu appunto questione di un attimo.

“No, Scar” rispose il nipote, con un tono che tradiva tutto il disprezzo che stava provando nei suoi confronti “Io non sono come te” Ed eccola, nuovamente, la differenza che tanto era stata declamata per anni, sbattutagli in faccia da sempre, la differenza fra il ramo buono della famiglia e lui, la zebra senza strisce, la mela marcia, di cui anche l’aspirante re si stava inconsapevolmente appropriando: se fino ad allora lo aveva odiato solo per una questione di principio, perché era uguale al padre e al nonno e probabilmente anche al bisnonno che mai aveva conosciuto e perché lui invece era diverso, quella frase bastò per infiammare il suo animo con una rabbia tutta nuova. Avrebbe accettato la sua carità solo per sputargliela in faccia alla prima occasione. In contrasto con quei pensieri, il tono divenne ancora più untuoso.

“Oh, Simba, grazie!” Grazie per esserti dimostrato ancora una volta un debole e uno sciocco “Che nobile gesto!” Si mise sulle quattro zampe, guardandolo e assumendo un tono di assoluta obbedienza che gli fece serrare lo stomaco in una morsa di doloroso disgusto “Mi farò perdonare, te lo prometto: come posso sdebitarmi, con te? Dimmi: farò tutto ciò che vuoi!” Le parole che si sentì rivolgere subito dopo, nonostante tutto, lo sconvolsero e sorpresero profondamente.

“Vattene. Vattene, Scar, e non tornare mai più” Chi si aspettava che quelle parole, pronunciate quasi tre anni prima, sarebbero tornate a perseguitarlo in modo così improvviso? Chi si aspettava soprattutto che il cucciolo le avesse conservate così vicine al suo cuore e alla sua memoria per anni? La prospettiva dell’esilio era spaventosa quanto dolorosa, perché quella era la sua casa, quelle erano le sue terre, quello era il suo regno e nulla avrebbe potuto o dovuto portarglielo via, perciò, se anche qualche sottile remora e dubbio era rimasto, dovuto a quello che lui chiamava istinto di conservazione particolarmente radicato ed altri semplicemente codardia, cadde completamente al sentire quella frase. Non era neanche più desiderio di vittoria ciò che lo spingeva, o almeno, forse lui l’avrebbe ancora identificato in quel modo, ma sarebbe stato inesatto: era pura furia, istinto omicida, decisione inconscia che se lui fosse andato a fondo avrebbe trascinato chiunque con sé ed in particolare Simba, Simba e Mufasa, le cui immagini erano oramai talmente sovrapposte nella sua mente da non lasciargli chiaramente contraddistinguere chi fosse l’uno e chi fosse l’altro. Anche se, tutto sommato, il significato che quelle due racchiudevano era lo stesso. Neanche l’attacco diretto lo spaventava più, qualsiasi cosa poteva andare bene, pur di ferire, pur di annientare: non voleva nulla che non fosse la loro distruzione e, se anche nella sua mente balenavano ancora sogni di un glorioso futuro, una parte di sé sapeva che tutto ciò che non era riuscito a realizzare fino a quel momento non avrebbe trovato una concretizzazione nei giorni a venire.

“Sì” disse perciò, la voce che si incrinava e l’espressione del muso tutto meno che convinta “Sarà fatto” Si guardò intorno, perché sì si sentiva pronto ad attaccare, ma non era così stupido da poter pensare di avere la meglio su un leone più forte e giovane di lui senza un piccolo aiuto esterno e trovò quello che cercava in un mucchio di ceneri incandescenti, adagiate lì vicino come se stessero aspettando lui.

“Hai barato!”

“Non lo definirei barare, fratellone, quanto piuttosto sfruttare la situazione: è una cosa che dovresti imparare anche tu, se non vuoi farti prendere di sorpresa in futuro”

Non aveva imparato, alla fine, Mufasa. Non aveva imparato e gli era costato molto caro.

Un ricordo che lo sorprese quasi a tradimento, infastidendolo per la potenza con cui si era presentato dopo anni in cui, credeva, forse sperava, avesse perso qualsiasi significato affettivo e per meno di un secondo un sorriso quasi amaro gli attraversò il muso, venendo rapidamente soppresso dalla macchina calcolatrice e fredda della sua mente, quella che aveva sempre prevalso su questioni insulse quanto i sentimenti. Non fu difficile perciò trasformare un flashback in una nuova risorsa e, lanciata un’occhiata alla sua arma improvvisata e a Simba, pronunciare velenoso le stesse parole che tanto tempo addietro aveva rivolto a suo padre in una situazione totalmente diversa.

“Come desiderate… Vostra Maestà!” Con uno scatto fulmineo buttò la cenere negli occhi del nipote che, ringhiando di dolore, non si poté accorgere della sua mole che lo travolgeva, sbattendolo a terra e tentando di azzannarlo alla giugulare. Il combattimento fu veloce, frenetico, quasi troppo confuso perché Scar potesse avere davvero idea di cosa stesse succedendo: i suoi denti che penetravano a fondo nella carne di Simba, i denti di Simba che trovavano presa nella sua collottola, un colpo andato a segno per il più giovane e poi uno, due che mirati da lui centravano il bersaglio. Non sapeva neanche più cosa stesse facendo, tutta la sua forza ed energie residue erano mirate verso il niente, rimanere in quella posizione, nessuna speranza, nessun obiettivo ed era certo, se ne rese conto per un attimo appena prima di attraversare il muro di fuoco al di là del quale aveva scaraventato il suo avversario ed essere a sua volta sbalzato fuori dalla Rupe, rotolando poi lungo il fianco della roccia, che qualsiasi fosse stato l’esito di quella giornata per lui sarebbe stata la fine.

La caduta non fu neanche così dolorosa, certamente si sarebbe aspettato di peggio dopo una lotta come quella, mai avvenuta in tutta la sua vita, e fu sollevato dal notare, dopo qualche secondo passato disteso sul terreno, che poteva alzarsi con facilità, senza nulla di rotto o storto: forse, dopotutto, la fortuna gli arrideva ancora! In questa ventata di ottimismo, che aveva presto cancellato i pensieri foschi, e, chissà, premonitori?, che gli avevano attraversato la mente durante lo scontro, aguzzando la vista, riuscì ad intravedere tre sagome che non crede sarebbe mai stato così contento di vedere com’era in quel momento: Shenzi, Banzai ed Ed lo stavano fissando, ancora una volta fedeli alla zampa che li aveva nutriti per anni.

“Oh, amici miei” disse dunque, untuoso, ricercando il loro appoggio ed aiuto per uscire di lì e, forse, ma solo forse, riorganizzarsi in attesa di una prossima occasione, di una prossima rivalsa: progetti gloriosi stavano già iniziando a delinearsi nella sua mente, progetti in cui uccideva Simba, Nala, Sarabi, tutti quanti, in cui lui, solo lui, ancora una volta e per sempre sarebbe stato il sovrano, solo per essere stroncati da una frase, pronunciata dalla sorella maggiore, che gli fece gelare il sangue nelle vene.

“Amici? Ahahah, io credevo ci avesse chiamati nemici” No! Non potevano essere davvero stati presenti a quel colloquio, non poteva davvero essere stato così cieco da non vederli! La sua espressione mutò radicalmente, sentendo un panico totale, agghiacciante, paralizzante, impadronirsi di lui, accresciuto e reso permanente dalla conferma da parte di Banzai e di una risata cattiva, terrificante, da parte di Ed. La stessa che aveva sempre sentito nei suoi sogni e grazie alla quale sempre si era svegliato.

Solo che quello non era un incubo.

Retrocedette, disperato, le iene che lo circondavano da ogni parte, la tensione che sentiva salire e i ghigni malefici di quelli che una volta erano stati i suoi servi, ora completamente rivolti verso di lui: pregò, pregò per la prima volta nella sua vita, pregò gli Antenati, pregò che lo salvassero, pregò il padre, pregò il fratello di non abbandonarlo alla loro mercé, mentre balbettava scuse impotenti e men che meno convincenti ai suoi assalitori, nei cui occhi si scorgeva solo una fame troppo tempo trattenuta, ed il suo ultimo pensiero, prima che il primo animale si lanciasse su di lui per farlo a pezzi, fu che era possibile, solo possibile, dopotutto, che il Cerchio della Vita esistesse davvero.

Non appena il non più sovrano della savana esalò l’ultimo respiro, sulle Pride Lands iniziò a piovere.









Ehi...
E così siamo giunti alla fine. Il Cerchio della Vita ha fatto il suo corso, Taka Scar è morto e il film è giunto a conlcusione, esattamente come questa storia. Manca solo più l'epilogo (che posterò, come al solito, fra due settimane) e poi potrò cliccare sulla scritta «completa». Se devo essere sincera, un po' mi fa effetto pensare di averla davvero finita, ma solo contenta di averla portata a termine.
Ora, non so se qualcuno stia continuando a leggerla con lo stesso interesse dell'inizio (so che il fandom è piuttosto abbandonato, quindi non mi stupirei del contrario), ma mi piacerebbe davvero tanto che quel qualcuno (se esistente) esprimesse il suo giudizio sulla storia nel complesso. Vorrei sapere se il passato che ho creato per Scar è credibile o meno, se ho gestito in modo effettivo le scene del film... non pretendo che sia positivo, mi farebbe immensamente piacere anche ricevere una critica: ho messo davvero tanto in queste pagine e mi hanno aiutato a superare un blocco dello scrittore che durava ormai da quasi un anno e mezzo. Devo la storia (originale, completamente inventata da me) che sto scrivendo attualmente (e che però probabilmente non pubblicherò mai su EFP) solo a questa fanfiction, perciò posso dire di esserle molto affezionata.
Ringrazio comunque anche solo quelli che sono arrivati fino a qui (e lo farò ancora meglio fra due settimane nell'epilogo) e spero che anche questo capitolo sia stato di vostro gradimento.
A presto!
L_A_B_SH
 

 
   
 
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