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Autore: Tessie_chan    04/12/2017    4 recensioni
Amor tussique non celatur.
Questa sentenza fa sorridere e riflettere allo stesso tempo. L’amore non si può nascondere. Si può fingere in ogni modo di non provarlo, si possono trovare scuse, ma se si ama una persona sarà evidente in ogni gesto, in ogni sguardo. Al contrario, laddove amore non c'è, non lo si può fingere, la finzione non può andare oltre qualche bella parola, qualche fatua promessa. Amore non si può nascondere, e chi è amato lo capisce. Così è vero il contrario. Non si può tossire e negare di aver tossito, non si può amare e negarlo.
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- Vorresti insinuare che non mi trovi abbastanza attraente, ragazzina?
- Non è questo il punto, Trafalgar. Non potrei neanche volendo, visto che oggettivamente sei davvero molto attraente.
- Oh ti ringrazio, dolcezza!
- Non ringraziarmi. Il mio non era un complimento, ma una semplice constatazione empirica, che in ogni caso non cambia il risultato. E dolcezza sarà tua madre!
***
- Non posso tollerare di vederti con lui!
- Piantala Ace, non c’è niente tra me e Law.
- Ah, davvero? E quegli sguardi complici che vi lanciate in continuazione me li sono immaginati?
- Cosa dovrebbe essere questa, una scenata di gelosia?
- Sì, dannazione!
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ciurma di Barbabianca, Nuovo personaggio, Pirati Heart, Portuguese D. Ace, Trafalgar Law
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Triangolo
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Amor tussique non celatur





Capitolo 7
 
 






La possessività è il culmine
di una pulsione onnipervasiva.
È come un virus folgorante,
 e prolifera come il germe della follia.

- Malek Chebel

 


- Ho commesso un errore. – dichiarò furioso Law per l’ennesima volta – Non avrei dovuto accettare l’offerta di ospitalità di Barbabianca.
Dall’altro capo della stanza Bepo non gli rispose, ma senza farsi notare alzò gli occhi al cielo. Avrebbe voluto sbuffare esasperato nel sentirsi ripetere quelle parole dal proprio capitano per l’ennesima volta, ma non osava farlo nel timore di scatenare una reazione violenta che avrebbe potuto portare a gesti altrettanto violenti come lo smembramento, o peggio. Era infatti molto raro che Law perdesse il controllo di sé in quel modo, ma quando capitava era sempre una catastrofe, e non si poteva mai sapere come l’uomo avrebbe potuto reagire se provocato quand’era in quello stato.
Ormai era da un bel pezzo che il chirurgo andava avanti così, e Bepo non aveva idea di quanto ci avrebbe messo a sfuriare questa volta. Era ormai da tre anni che Law e Kate litigavano per i motivi più assurdi causando ogni volta il finimondo, eppure l’orso ancora non riusciva a ficcarsi in testa che mettersi tra loro era dannoso non solo per l'equilibrio mentale, ma anche per la salute. Sarebbe mai riuscito a tenersi fuori dalle tempeste che quei due causavano ogni volta che si accapigliavano? Bepo ormai non ci sperava nemmeno più, si limitava ad accettare stoicamente il proprio destino, come un riccio che si chiude su sé stesso quando un camion sta per investirlo.
Eppure l’orso sentiva che quella volta c’era qualcosa di diverso. Non sembrava essere affatto la solita lite causata dallo scontrarsi di due caratteri spaventosamente simili nella loro forza e nella loro durezza… questa volta c’era sotto qualcosa di molto più grave e profondo, e Bepo tremava al solo immaginare la serie devastante di disastri che un litigio del genere avrebbe potuto scatenare.
Era passata quasi un’ora da quando Bepo aveva visto il proprio capitano camminare sulla spiaggia impettito e con un’espressione vacua in volto, le spalle rigide per l’ira, e per l’orso in quel momento era stato quasi automatico decidere di andargli dietro mentre tornava al sottomarino, poiché troppo preoccupato per far finta di niente e non tentare di capire per quale motivo il capitano fosse così arrabbiato. Lo aveva seguito fin sul ponte, e una volta arrivati lì si era fatto avanti – anche se di certo Law doveva averlo notato sin dall’inizio – e senza troppi giri di parole gli aveva chiesto cosa ci fosse che non andava.
Quanto se n’era pentito! Era passata più di un’ora da quando gliel’aveva chiesto, e ancora non era riuscito a capire cosa fosse accaduto esattamente. Law infatti non gli aveva ancora risposto chiaramente, si era limitato a camminare avanti e dietro per il ponte come un animale in gabbia per tutto il tempo, borbottando tra sé sempre le solite parole alternate ad alquanto colorite imprecazioni. Bepo ormai era sull’orlo di una crisi isterica, e non credeva di poter sopportare quella atmosfera angosciante ancora per molto.
- Tu lo sapevi?
Bepo si rianimò, rendendosi conto con un secondo di ritardo che Law aveva interrotto di punto in bianco il proprio soliloquio da esaurito e si stava rivolgendo a lui – Scusa, cosa?
- Sapevi che c’era un altro? – ripeté arrabbiato Law, avvicinandosi minaccioso a lui.
Bepo lo guardò senza capire – Un altro?
- Parlo del tizio che è appena arrivato sulla nave del vecchio! Sapevi che Katherine aveva avuto una storia con lui, sì o no?!
- Ah, vuoi dire Ace! – si ricordò Bepo – No, non ne sapevo nulla. Perché avrei dovuto?
- Non riesco ancora a credere che me l’abbia tenuto nascosto per tutto questo tempo. – ricominciò a parlare da solo Law ignorando la domanda dell’orso – Non riesco a credere che mi abbia ingannato…
- Scusa, ma perché dici che ti ha ingannato? – chiese perplesso Bepo senza pensarci – Non sei mica il suo ragazzo, non era di certo obbligata a dirtelo!
Errore madornale. Law si voltò lentamente a guardarlo, e i suoi occhi erano così foschi e minacciosi che Bepo sentì chiaramente il proprio stomaco sprofondargli sotto le scarpe, mentre gocce di sudore gelido gli scorrevano lungo la schiena.
- Cioè, voglio dire… - balbettò Bepo – Mi sembra strano che una persona ragionevole come te stia facendo una scenata solo per questo…
Quelle parole sembrarono calmare il chirurgo, almeno in parte – Non è solo per questo, infatti. Il problema è che sto perdendo il controllo su di lei. Non mi ubbidisce più, mi tiene nascoste le cose, mi manca di rispetto…
- Oh, ma dai, Law! Kate non è mica un animale domestico, è una ragazza, ed è tua amica! Non puoi pretendere di controllarla…
- Invece lo pretendo eccome! È una mia sottoposta, e in più mi deve la vita…
- Ed è tua amica. – ribadì Bepo con il suo tono più ragionevole – E lo è perché tu hai voluto così. Le hai insegnato a combattere, l’hai resa tua vice… come puoi pretendere che dopo tutto questo lei sia silenziosa e remissiva con te quando la tensione aumenta? E poi è Kate! Credi davvero che esista qualcuno su questa Terra capace di controllarla?
Bepo sapeva benissimo che quella domanda non aveva ragion di esistere, in fondo. Per quanto riguardava Law, Kate avrebbe potuto essere benissimo anche Dio in persona, per lui non avrebbe fatto alcuna differenza: avrebbe sentito comunque il bisogno di mantenere il controllo e dominarla, sempre. Il paradosso però era che Law non si comportava così per cattiveria, ma solo per paura: anche se nessuno dei due l’avrebbe mai ammesso – al diavolo il loro dannato orgoglio – i due pirati erano profondamente legati l’uno all’altra, e Law aveva già sofferto in passato per aver perso le persone con cui aveva quel tipo di legame. C’è un limite al numero di pugnalate al cuore che una persona può sopportare nell’arco di una vita, e Law al suo limite ci era arrivato ancora prima di entrare nella pubertà; non poteva rischiare di perdere anche Kate, e visto che era da sempre un maniaco del controllo, sceglieva di prevenire piuttosto che curare. Se solo si fosse reso conto del fatto che comportandosi così non faceva altro che peggiorare le cose…
Kate voleva bene a Law, questo era evidente; ma era anche indocile, troppo per accettare la possessività di Law senza lamentarsi, nemmeno con la consapevolezza che l’uomo nonostante tutto non voleva farle del male, ma che cercava soltanto di proteggere sé stesso. Il loro era un dannato circolo vizioso, e Bepo iniziava a temere che avrebbero finito per distruggersi a vicenda.
- Devo trovare un modo per ristabilire l’equilibrio. – stava dicendo intanto Law – Se non farò nulla e continuerò a permetterle di comportarsi così perderò anche il rispetto del resto dell’equipaggio, e …
- Oh, andiamo, perché non vuoi ammettere che tutto questo non ha niente a che fare con la sua insubordinazione degli ultimi giorni? – chiese Bepo, stanco di girare intorno al problema – Il problema non è la sua disobbedienza, il problema è la tua gelosia. Sei geloso di questo ragazzo e di ciò che ha evidentemente significato per Kate, e vuoi a tutti i costi “riprendere il controllo” su di lei per assicurarti che lui non si metta tra voi, e che non la convinca a tornare con loro.
Eccola lì, la grande verità. Ecco perché la faccenda era tanto seria. Bepo non credeva che Law fosse innamorato di Kate – se non altro perché non credeva possibile che il suo capitano, gelido e distaccato per natura, potesse interessarsi romanticamente parlando a chicchessia -, ma in compenso la possessività poteva dare problemi anche peggiori, specie se subentravano terzi incomodi come in quel caso. Non c’era da stupirsi che Law fosse incavolato, considerando gli eventi degli ultimi giorni e anche il carattere di Katherine, che poteva avere tante doti dalla sua parte, ma la condiscendenza non era tra queste. E il fatto che di questo Law fosse consapevole più di chiunque altro.
Bepo tremò. Se, come lui temeva, Law avesse davvero tentato di imporle con la forza la propria autorità sperando – ovviamente inutilmente – di scongiurare un eventuale ripensamento della ragazza, e lei gli avesse di conseguenza tenuto spavaldamente testa… sarebbe finita. Di certo tra i due si sarebbe innescato un braccio di ferro dalle proporzioni catastrofiche, con assicurato un esito ancora peggiore. I due medici erano infatti entrambi troppo inflessibili per prendere anche solo in considerazione l’idea di cedere terreno all’altro, perciò avrebbero continuato di sicuro a sfidarsi e ad attaccarsi a vicenda finché il loro rapporto non sarebbe stato irrimediabilmente rovinato. Non sarebbero stati mai più capaci di andare d’accordo, avrebbero finito per detestarsi a vicenda, e alla fine Kate avrebbe preso baracca e burattini e se ne sarebbe andata, arrivando alla conclusione che non valeva proprio la pena di seguire per mari un sociopatico con manie di controllo come Trafalgar Law, visto il trattamento che il suddetto le aveva riservato. In poche parole, prendendo quella che riteneva fosse la strada per evitare una cosa del genere, Law avrebbe finito paradossalmente per andarle incontro.
Il chirurgo lo fissò esterrefatto per un attimo, colpito dalle sue parole, ma ci mise poco a tornare indifferente – No. Non è vero. Non importa nulla di quello che c’è, o c’è stato tra quel tizio e Kate.

Ma se mi hai chiesto cosa sapessi del loro rapporto meno di dieci minuti fa!

Senti… secondo me non hai nessun motivo di preoccuparti. – dichiarò Bepo, ignorando le parole del chirurgo e la voce nella propria testa che lo stava recriminando - Qualunque tipo di relazione abbia avuto Kate con quel ragazzo, l’ha chiaramente troncata tre anni fa quando ha lasciato quella nave. Non c’è motivo di pensare che lui possa rappresentare un problema, sono certo che tra loro è tutto finito molto tempo fa.
- Lui l’ha baciata. – sibilò Law, incupendosi improvvisamente.
- Ma probabilmente non significava nulla… - ragionò Bepo, nascondendo a malapena il proprio nervosismo – Se sono rimasti in buoni rapporti, può essere che si siano lasciati semplicemente prendere dalla foga del momento… lei non voleva nemmeno trattenersi qui, l’hai dimenticato?
Law non sembrava ancora convinto, ma almeno l’aura nefasta intorno a lui si era attenuata.
- Per quanto riguarda l’insubordinazione di Kate negli ultimi giorni, invece… sono certo che si è trattato solo di un episodio. Le circostanze erano alquanto complicate, la vita di suo fratello era in pericolo, credo che fosse alquanto prevedibile che potesse comportarsi così. Ora però è tutto a posto, e vedrai che le cose torneranno presto come prima.
- Lo pensi davvero? – chiese Law dopo un istante.
- Ma certo! Anzi, perché non fai una cosa intelligente e non ti fai rassicurare direttamente da lei? – chiese Bepo con un sorriso – Siete sempre stati onesti l’una con l’altro, no?
Law alzò un sopracciglio.
- Ok sì, forse qualche segreto tra voi c’è stato… – si corresse rammaricato Bepo - Ma non vi siete mai raccontati bugie a vicenda, se non sbaglio…per cui se le chiedi direttamente se tra lei ed Ace è tutto finito e se ha intenzione di seppellire l’ascia di guerra, sono sicuro che sarà sincera. Dammi retta, è meglio se le parli, non ha senso scatenare il finimondo se la cosa si può risolvere con calma.
Law sembrò rifletterci su, e Bepo ne approfittò per iniziare a pregare tutti i kami del mondo affinché tutto si sistemasse senza incidenti o omicidi di ogni sorta. In fondo non era poi così assurdo sperare di scampare il disastro, no? Dopotutto si stava pur sempre parlando di persone adulte e ragionevoli, mettere da parte i contrasti non poteva essere poi così difficile, per loro.
- Forse hai ragione…  - disse infine Law – Forse sto esagerando io…
- Ma certo che sì! – annuì convinto Bepo – Dai, vai da lei e chiarite questa faccenda una volta per tutte. Falle anche una ramanzina se credi, ma non esagerare, sennò la farai arrabbiare di nuovo…
- Devo ricordarti che dovrei essere io quello arrabbiato? – chiese Law con una certa stizza. Bepo preferì non ribattere, aveva preso le parti di Kate anche troppo per quel giorno. Certo, era vero che il Chirurgo della Morte aveva un carattere davvero difficile da gestire, ma in fondo nemmeno O’Rourke D. Katherine era da meno. L’orso aprì la bocca per scusarsi con l’uomo…
- Oh, ma davvero? E per cosa dovresti essere arrabbiato? – chiese provocatoria una voce femminile – Questa voglio proprio sentirla!
Bepo rimase interdetto per un secondo, mentre il suo cuore perdeva un battito. Non osò voltarsi, non voleva vedere ciò che il suo cervello purtroppo aveva già registrato, come se il non vedere potesse permettergli davvero di cullarsi nell’illusione che le proprie previsioni non fossero sul punto di avverarsi proprio lì e proprio in quel momento.
Quando diavolo era tornata sul sottomarino Katherine?! E da quanto tempo stava ascoltando?!
- Dolcezza! Proprio di te stavamo parlando. – esclamò Law con un ghigno, riacquistando all’istante tutta la propria spavalderia. I suoi occhi però erano ancora foschi – Non pensi che io e te dovremmo fare un discorsetto?
- Io e te? No, non penso proprio. – replicò indifferente Kate – Sono tornata sul sottomarino solo per prendere una cosa, e francamente speravo davvero di non dovermi ritrovare davanti la tua faccia da schiaffi. Ahimè, non è il mio giorno fortunato.
- Ricominci a provocarmi, dolcezza? – chiese Law, una vena sulla fronte aveva già cominciato a pulsagli – Quando imparerai che ogni parola che dici comporta sempre delle conseguenze?
- Non saprei…tu quando imparerai che questi scambi verbali, per quanto appassionanti, sono solo un vacuo esercizio di ironia senza utilità alcuna, che la superbia e la spudoratezza non ti rendono affascinante ma solo ridicolo, e soprattutto che non hai il permesso di chiamarmi dolcezza?

Oddioooo…. Pensò Bepo terrorizzato, incassando la testa nelle spalle.

- Ora, se volete scusarmi… - continuò Kate dirigendosi verso la passerella – Devo vedere una persona, e non voglio farla aspettare.
- Una persona? E chi sarebbe, il tuo amico Portgas-ya? – chiese velenoso Law – Credevo che su quella nave vigesse la ridicola regola che i membri dell’equipaggio sono tutti fratelli tra loro. Oppure nel vostro vasto repertorio è compreso anche l’incesto?
- Innanzitutto non c’è alcuna regola, il nostro è solo un modo di vedere. – replicò irritata Kate, per poi ghignare con aria cattiva – E poi… davvero Law, sei perfino più ingenuo di quanto pensassi, se credi che io ed Ace siamo semplici amici. Lo spettacolo di prima ha forse lasciato adito a dubbi? Allora forse la mia teoria sul tuo stato di impotenza e la tua repressione non era così campata in aria… se non riesci nemmeno a distinguere un bacio da un saluto tra beduini allora devi essere messo proprio male… sia là sotto che lì sopra.
Law sgranò gli occhi, le narici dilatate e le guance rosse per la rabbia. Bepo ormai sudava freddo e si era già messo in posizione, pronto a darsela a gambe se i due pirati fossero arrivati alle mani.
Adulti e ragionevoli, eh? Risolvere le cose con calma, eh?!
Avrebbe dovuto immaginare che era un’utopia, dannazione. Certo che non erano in grado di sistemare le cose come due persone mature! Erano bambini dell’asilo, mica adulti!
- Se vuoi insinuare che io… - iniziò Law, ma Kate lo interruppe.
- Lo sai Law, per quanto io possa trovare spassoso prendermi gioco di te e della tua sociopatia senza speranza, ho cose più importanti da fare. Ti saluto, mio capitano...
- Un momento! – tuonò Law – Non ho ancora finito con te! Ti proibisco di andare da quel tizio, ho detto che dobbiamo parlare…
- Be’, dovrai aspettare. Non vedo Ace da troppo tempo, e in questo momento con te non parlerei nemmeno delle condizioni meteorologiche. Perché nel frattempo non vai nel tuo laboratorio a vivisezionare qualche povero cadavere? Sospetto che un morto potrebbe essere il partner ideale per te… anche loro se ne fregano dei sentimenti altrui, e in più nemmeno ti rispondono se li offendi o manchi loro di rispetto.
Era troppo. Bepo indietreggiò in fretta e furia per evitare di ritrovarsi per sbaglio nel mezzo dell’imminente rissa, e senza nemmeno osare prendere in considerazione l’idea di intervenire per evitare spargimenti di sangue chiuse gli occhi, sperando che finisse tutto in fretta.
Ma non accadde nulla. Law non saltò alla gola di Katherine, anzi nemmeno si mosse, rimase semplicemente lì a fissarla, troppo esterrefatto per dire anche solo una parola. Nel vedere che gli aveva tappato la bocca, Katherine sghignazzò e si allontanò trasudando compiacimento da tutti i pori, ogni suo muscolo facciale che gridava: Prendi e porta a casa, Trafalgar Law.
Law non provò a fermarla. Bepo non l’aveva mai visto così, sembrava che le parole della ragazza lo avessero del tutto paralizzato. L’orso era consapevole del fatto che avrebbe dovuto essere contento della scampata tragedia, e invece si sentiva ancora più preoccupato di prima. Perché Kate non era mai stata così meschina, né con lui né con nessun’altro.
Un atroce sospetto attraversò la mente del navigatore – Capitano, non è che le hai detto qualcosa di sgradevole stamattina quando è venuta a cercarti sulla Moby Dick?
Law non gli rispose. Sembrava essersi riscosso dal proprio stato di catalessi, e ora sembrava così fuori di sé che al confronto un’ora prima avrebbero potuto scambiarlo per il fratello gentile di Gandhi.
- Le cose stanno così, dunque? Preferisci andare da lui? – ringhiò il chirurgo tra i denti – Molto bene, dolcezza… vedremo se non ti ricorderai a chi appartieni!
E se ne andò. Bepo non provò nemmeno a fermarlo, si sentiva improvvisamente troppo stanco per fare alcunché.
Non perse nemmeno tempo a pregare: tanto ormai l’Apocalisse era già annunciata, e probabilmente a quel punto nemmeno tutti i kami del mondo sarebbero riusciti a scongiurarla.


- Katie, va tutto bene? – chiese Ace alla ragazza, tirandole con delicatezza una ciocca di capelli per attirare la sua attenzione – Sembri lontana milioni di chilometri.
Kate trasalì e alzò la testa verso il ragazzo, posando il mento sulla sua spalla. Erano in camera di lui, distesi sul suo letto abbracciati l’uno all’altra. No, non pensate male, non era successo niente di sconveniente, non si erano più neanche baciati…e Kate non riusciva a stabilire se era sollevata dalla cosa oppure no. Sì, perché da una parte sarebbe stato molto meglio per entrambi se fossero riusciti a mantenere una certa distanza, poiché se si fossero riavvicinati troppo poi avrebbero di nuovo sofferto entrambi come cani quando per Katherine sarebbe arrivato il momento di andarsene… ma dall’altra Katherine avrebbe fatto qualunque cosa in quel momento pur di scacciare i cattivi pensieri che la stavano torturando, anche a farsi del male da sola come fanno le persone depresse con le lamette. Perché a dispetto della propria felicità nel rivedere Ace, a dispetto del sollievo che le aveva dato scoprire che, malgrado il modo in cui si era comportata, i suoi familiari la amavano ancora, a dispetto del fatto che negli ultimi tre anni aveva ottenuto quello che aveva desiderato per tutta la vita, Kate non aveva cambiato idea. Non voleva tornare indietro.
Una parte di lei era rimasta sgomenta quando era arrivata a quella conclusione: come poteva fare una simile scelta, considerando quello che era accaduto negli ultimi giorni, e soprattutto nelle ultime ore? Thatch che era stato ad un passo dalla morte, la ciurma che non aveva più un medico su cui fare affidamento, Ace che a quanto pareva non l’aveva dimenticata, i fratelli che l’avevano perdonata e che non avevano nulla da ridire sul suo cambiamento… come poteva voltare le spalle a tutto questo e andarsene? E per che cosa, poi… per seguire un chirurgo insensibile e egoista che aveva apertamente dichiarato di non avere alcuna considerazione di lei, o della loro amicizia?
Quando era tornata al sottomarino, e aveva sentito Bepo e Law discutere, era stato automatico per lei restare in disparte ad origliare; era sbagliato e lo sapeva, ma non aveva potuto comunque farne a meno. E quando l’aveva sentito parlare di lei in quei termini, come se fosse stata non un’amica, ma una marionetta da controllare… qualcosa in lei si era spezzato, e un torrente di rabbia e umiliazione le si era riversato nel petto, incattivendola e spingendola ad uscire allo scoperto. Lo aveva provocato, lo aveva insultato, e solo per tentare di arginare quel risentimento che l’aveva travolta. Una sorta di vacua rivincita, che non era servita a nulla, se non ad inquietarla ancora di più.... perché lei in realtà non era andata al sottomarino per recuperare qualcosa, ma ci era andata per tentare di chiarire. Di riappacificarsi con Law, per dimenticare le loro divergenze degli ultimi giorni e ricominciare da capo. Per questo quando gli aveva sentito dire quelle cose su di lei ci era rimasta così male.
Avrebbe dovuto semplicemente farsi una ragione di quella storia e basta, rifletté infastidita Kate, prendere atto del fatto che Law era fatto così e basta, e magari anche mandare a quel paese quel medicastro di seconda categoria e andare avanti per la propria strada da sola, eppure non ci riusciva. Sebbene quello che aveva sentito dire da Law fosse inaccettabile, nel profondo c’era qualcosa in lei che si ribellava a quella realtà, che non riusciva semplicemente ad accettare la considerazione che Law aveva di lei e ad andarsene con la coda fra le gambe; un impulso irresistibile che la spingeva a desiderare di cambiare le cose, a dimostrargli che lei valeva molto più di così, e che lui non poteva controllarla. Scappare sarebbe stato troppo semplice, lei desiderava combattere, dimostrare il proprio valore, e guadagnarsi il suo rispetto.
Sì, era un’idiota. Un’idiota che voleva rinunciare ad una famiglia affettuosa e ad un uomo che l’amava per seguirne un altro con cui era costantemente in conflitto, che non la considerava e probabilmente neanche la stimava, ma che la reputava semplicemente un membro del proprio equipaggio, né più e né meno di tutti gli altri. Anzi, nemmeno quello, la considerava una specie di oggetto, qualcosa da possedere… come poteva Law vederla in quel modo, ma soprattutto come poteva lei sentirsi nonostante tutto ancora legata a lui e non volersene comunque andare?!
Kate guardò Ace negli occhi, che ricambiò confuso e preoccupato il suo sguardo, e si sentì piccola e meschina paragonata a lui. Era stato soprattutto lui a parlare da quando l’aveva raggiunto in cabina, lei lo aveva semplicemente ascoltato, sinceramente interessata ai suoi racconti nonostante il turbinio di pensieri che si agitava nella sua testa. Il ragazzo le aveva raccontato tutto ciò che si era persa negli ultimi tre anni, aneddoti divertenti, imprese incredibili, momenti in famiglia… ma non aveva accennato nemmeno una volta alla loro relazione, e nemmeno aveva più cercato di baciarla, o di fare qualunque cosa che potesse turbarla ulteriormente. Doveva di certo aver capito che c’era qualcosa che la preoccupava, e che in quel momento sarebbe stato inopportuno affrontare l’argomento… Kate era rimasta sconvolta dalla sensibilità che aveva manifestato, e dalla discrezione che aveva dimostrato. Doveva essere maturato molto negli ultimi anni… eppure nel profondo la dottoressa non poteva fare a meno di sentirsi quasi irritata da tutta quella delicatezza, come se Ace non la ritenesse capace di sopportare certi pesi.
Era pazzesco quanto riuscisse a diventare stupida, a volte. Finalmente, dopo tre anni di separazione, Ace era lì accanto a lei, amorevole e comprensivo come era sempre stato, pronto ad accettarla di nuovo e a darle tutto sé stesso se solo l’avesse chiesto, e lei non riusciva a fare altro che pensare ad un chirurgo dal cuore di pietra con strane manie di possesso. Presto lei sarebbe andata via, e probabilmente non avrebbe rivisto mai più l’uomo che le stava accanto adesso… un uomo che aveva certo commesso degli errori, ma che l’amava, che l’ammirava, e che mai e poi mai si sarebbe sognato anche solo di pensare a lei come a qualcuno “da tenere sotto controllo”. Come poteva far fatica a dedicargli i propri pensieri e a trovare invece facile dedicarli piuttosto ad uno che non li meritava affatto?
- Perdonami, Ace. – mormorò Kate sfiorandogli con delicatezza una guancia – Sono stati giorni difficili… mi sento travolta da tutto quanto.
- Ci credo. Dopo quello che è successo a Thatch… - sospirò Ace – Mi sembra ancora impossibile che tu sia riuscita ad arrivare fino a qui per salvarlo.
- È mio fratello. Il fallimento non era un’opzione. – dichiarò ferma Kate.
- Marco mi ha raccontato che sei anche riuscita a sconfiggere senza problemi un uomo di Kaido… - continuò Ace – Quando me l’ha detto quasi non ci credevo. Sei diventata molto forte, eh?
Kate distolse lo sguardo – Sì, abbastanza. Ma ci sono ancora molte cose che devo imparare.
Ace annuì, sembrava stordito quanto lei – Non riesco ancora a credere che tu sia qui… credevo che non ti avrei rivisto mai più…
- Lo pensavo anch’io, a dir la verità… - replicò Kate accennando un sorriso – Ma a quanto pare il passato non tollera di essere ignorato troppo facilmente.
Ace sorrise raggiante e le accarezzò dolcemente i capelli, sfiorandole le labbra con il pollice. Kate vedeva chiaramente la speranza e il desiderio che c’erano nei suoi occhi, e avrebbe tanto voluto rassicurarlo, promettergli che avrebbero avuto un futuro, che sarebbe rimasta con lui… ma era come se ci fosse un tarlo dentro di lei, che la divorava un po’ alla volta e le ricordava di come quel sentimento tre anni fa, per quanto l’avesse resa felice, non le era comunque bastato.

Quanto vorrei poterti amare come riuscivo a fare una volta... Pensò disperata Kate. Una volta non mi serviva altro che sapere che tu amavi… ma poi l’ambizione mi ha corrotta, proprio come tanto tempo fa ha corrotto Norma Jean. Perché non riesco a farmi bastare tutto questo, che è molto più di quanto io meriti?

Kate prese un profondo respiro; poi ne prese un altro, e con tutta la delicatezza di cui era capace si districò dall’abbraccio di Ace e si alzò dal letto, mettendosi in piedi davanti a lui. Il ragazzo alzò lo sguardo verso di lei e la fissò, confuso da quell’allontanamento improvviso.
- Ace, non c’è un modo semplice per dirlo, perciò… devo dirtelo e basta. – cominciò Kate, raddrizzando le spalle nel tentativo di farsi coraggio – Sono venuta qui perché Thacht stava male, e aveva bisogno del mio aiuto... e non puoi immaginare quanto io sia stata felice di rivedervi tutti quanti, ma soprattutto di aver potuto riabbracciare te. Ma non sono tornata per restare… ripartirò tra una settimana, insieme ai miei nuovi compagni.
Ace scattò su a sedere di scatto – Cosa?
- Non posso restare… - ripeté sussurrando Kate, mentre Ace si alzava in piedi – Ormai io ho una vita lontano da questa nave… non me la sento di abbandonare tutto.
Ace era impallidito – Tu… non vuoi rimanere?
- Non posso. Questo non è più il mio posto… ammesso che lo sia mai stato.
Ace barcollò e mise la mano su una colonna del letto per mantenersi in equilibrio. Sembrava qualcuno a cui avessero assestato all'improvviso e con violenza un calcio nello stomaco. – E dov’è il tuo posto, allora?
Kate spostò il peso da una gamba all’altra, a disagio. Non era sicura nemmeno lei di quale fosse la risposta giusta, ma disse comunque – Con i miei nuovi compagni… con i pirati Heart.
Ace la guardò frastornato. Sembrava quasi che gli avessero chiesto di credere a qualcosa di impossibile... alla neve in estate, o ad un mare senza onde.
- Ma… ma qui c’è la tua famiglia. Ci sono io! – esclamò Ace, la voce incrinata – Vuoi lasciarmi ancora?! Io ti amo, Kate, e so che anche tu mi hai amato…
- Ma certo che ti ho amato! – urlò Kate, gli occhi che le bruciavano di lacrime – Ti ho amato così tanto… ma non fa alcuna differenza.
Sembrò che Ace avesse ricevuto uno schiaffo – Come puoi dirlo?! Come puoi dire che non fa differenza?!
- In me c’è qualcosa che non funziona, Ace. – mormorò Kate – Ti ho amato, in parte ti amo ancora… ma non è abbastanza. Non posso rassegnarmi, non posso farmelo bastare. Sento che mi mancherebbe qualcosa… così come lo sentivo tre anni fa.
- Stai dicendo che non sono abbastanza, per te? – chiese Ace con un filo di voce.
- No, certo che no! – gridò Katherine, afferrandogli con foga le mani – Non pensarlo neanche per un istante! Tu sei così buono, così dolce, così meraviglioso… sei troppo per me, non ti merito.
- Lascia che questo sia io a deciderlo. – replicò Ace, prendendole il volto tra le mani – Hai avuto quello che volevi, no? Volevi diventare più forte, essere in grado di badare a te stessa…e ci sei riuscita, e io sono molto fiero di te. Ora puoi tornare a casa, puoi tornare insieme a noi! Tutti su questa nave hanno visto di cosa sei capace… nessuno si sognerebbe più di lasciarti indietro. – Ace annullò la distanza tra di loro e avvicinò il proprio volto al suo – Ritorna a casa, Kate… ritorna con le persone che ti amano.
Kate si morse le labbra, incapace di distogliere lo sguardo da quello infuocato del ragazzo. Quanto sarebbe stato semplice dirgli di sì e farlo felice! Sarebbe stata la cosa migliore da fare, la più logica, Kate lo sapeva. Ace aveva detto tutte cose giuste, e il suo ragionamento era inattaccabile… perché non sarebbe dovuta rimanere? Cosa la tratteneva?
- No. – si sentì dire – No, non posso. Cerca di capire, per favore.
Fu come se l’avesse spinto via. Ace si allontanò di scatto da lei, e la guardò come se non la riconoscesse – Non ci posso credere…
Kate si morse ancora le labbra, e fece un passo verso di lui – Ace…
- Cosa c’è che non va, in te?! – le urlò contro Ace – Ti ho detto che ti amo! Ti ho aspettato per tre anni, mentre tu eri chissà dove a fare chissà cosa! Davvero non sai dirmi nient’altro che no?!
Kate sentì una lacrima bagnarle una guancia – Mi dispiace…
- Non dispiacerti. È ancora presto per farlo. – la interruppe Ace, il tono duro di determinazione – Perché non ho intenzione di mollare. Ti farò cambiare idea, vedrai.
- Ace… - cominciò Kate, ma lui la interruppe ancora scuotendo la testa – No. Questo non me lo puoi impedire.
- Ace. – ripeté Kate, il tono denso di rimprovero. – Per favore, lascia perdere…
- No.
- Complicherai solo le cose!
- C’è di peggio.
- Non cambierò idea, sappilo.
- Lo vedremo.
- Ace! – lo rimproverò ancora Kate.
- È inutile che ti arrabbi, Katie. Tu hai le tue convinzioni, io le mie. Non hai l’esclusiva della testardaggine, sai?
- Ti farai male. – mormorò Kate – E lo farai a me.
Stavolta Ace non rispose subito. Sembrò rifletterci su, e per un solo istante Kate osò sperare che avesse capito. Ma durò poco, perché Ace dopo qualche secondo disse – Mi dispiace Katie, ma tu non sei l’unica che ha un obbiettivo da raggiungere. L’altra volta ti ho lasciato andare senza combattere… stavolta non andrà così. Non lascerò nulla di intentato.
-  Bene, allora! – esclamò Kate, arrabbiandosi per non piangere - Fa’ come credi! Ma non dimenticare che io ti ho avvisato!
E scappò. Non poteva più restare lì dentro. Corse via, corse così veloce che l’aria le fece resistenza, come a trattenerla lì dov’era, insieme ad una flebile voce in fondo alla sua testa che sussurrava: Aspetta…
- Katherine? – la chiamò una voce perplessa, facendola riemergere dal vortice – Kate, va tutto bene?
Kate piantò i piedi nel pavimento e si fermò, totalmente presa alla sprovvista. Si voltò, confusa…
E vide suo padre che la guardava. No, non Barbabianca... Memphis. Il vecchio dottore non sembrò confuso o preoccupato quando vide la sua espressione sconvolta e il viso macchiato di lacrime… sembrava solo consapevole e rassegnato, come se si fosse aspettato di vederla in quel modo.
Katherine se ne accorse a malapena, troppo meravigliata per badarci – Memphis! Ti sei svegliato!
- Così pare, bambina.
Kate lanciò un gridolino felice e corse da lui, dimenticando le proprie tribolazioni, i propri dubbi e tutto il resto, tranne la gioia di rivederlo in piedi e sveglio. Memphis si sorprese vedendosela piombare addosso in quel modo, poi sorrise, spalancò le braccia e se la strinse forte al petto, proprio come aveva fatto la prima volta che si erano incontrati. Sapeva di sangue, di flanella e di disinfettante, il classico odore che hanno di solito i dottori.
Dopo qualche istante Memphis la lasciò con una piccola smorfia di dolore - Piano. - le disse - Mi sono ripreso quasi completamente, ma mi fa ancora male tutto... anche se questo potrebbe essere semplicemente colpa della vecchiaia.
- Sciocchezze… sei ancora nel fiore degli anni! – rise nervosamente Kate, stringendo con le dita la sua camicia – E Thatch? Si è svegliato anche lui?
- No, lui è ancora incosciente. Ma non preoccuparti… – si affrettò a rassicurarla Memphis, adocchiando all’istante la sua preoccupazione – Prima di uscire dall’infermeria gli ho dato un’occhiata, sta molto meglio. Vedrai che si sveglierà presto.
Kate annuì, per poi sistemarsi il suo braccio sulle spalle per sorreggerlo – Vieni, cerchiamo un posto tranquillo dove farti sedere. Non ti saresti dovuto alzare dal letto, sei uno zuccone.
Alla fine decise di accompagnarlo nel suo angolino privato, quello a poppa della nave. Lo fece distendere con cautela sulla sdraio, lo coprì con una coperta che si era fatta portare da un’infermiera, e iniziò scrupolosamente a visitarlo, ignorando deliberatamente per tutto il tragitto le sue proteste e i suoi tentativi di tranquillizzarla.
- Guarda che sono un medico anch’io, Kate. So capire quando sono in buona salute!
- Sta’ zitto. – lo rimbrottò severa Kate – Hai perso il diritto di controllare da solo le tue condizioni nel momento in cui ti sei avvelenato da solo con la colchicina. Sul serio, mi dici come diavolo hai fatto a ferirti con quel bisturi?
- Semplice: ci sono caduto sopra. – rispose candidamente Memphis, guadagnandosi un’occhiataccia da parte della figlia.
- Sul serio, se non avessi avuto ragione del fatto che sei un luminare della medicina, ti avrei segnalato io stessa all’Ordine come pericolo pubblico, e ti avrei fatto anche radiare dall’albo.
- E come l’avresti giustificato? Essere goffi o idioti non è contro la legge. – scherzò Memphis.
- Buon per te, allora. – borbottò Kate. Il tono era ancora severo, ma i suoi occhi brillavano divertiti mentre si posizionava dietro di lui e appoggiava la campana dello stetoscopio su una scapola – Ora fa’ un respiro profondo.
Memphis obbedì, e Kate rilassò leggermente le spalle, sollevata dall’essersi liberata dal peso del suo sguardo penetrante anche solo per un attimo. Da quando si era rimesso in piedi non aveva smesso un solo istante di guardarla in quel modo, come se riuscisse a leggerle nel pensiero, e non fosse affatto sorpreso da quello che vedeva. Non era una sensazione piacevole, specie se si consideravano le condizioni mentali di Kate in quel momento.
- Sei un po’ troppo silenzioso. – si sentì dire Kate prima di avere il tempo di collegare la bocca al cervello – Mi vuoi dire cosa ti passa per la testa? Prima che io impazzisca?
Lui torse il busto per arrivare a guardarla – Cosa ti fa pensare che ci sia qualcosa di particolare che mi passa per la testa?
- Rispondi ad una domanda con un’altra domanda? Allora è qualcosa di grosso! – dichiarò Kate mentre si sfilava gli auricolari dalle orecchie, la voce che le tremava leggermente per il nervosismo – Su, parla.
Memphis sospirò, ora anche lui stava sorridendo nervosamente – Bene, come vuoi. Lo so che non è una cosa di cui ami parlare, e che probabilmente ti dà fastidio anche solo pensarci, però… non posso farci nulla, ogni volta che ti guardo rivedo la mia Norma Jean.
- Nel senso che vedere me ti fa tornare in mente la vostra storia? – chiese Kate, i muscoli che già iniziavano a tendersi.
- No. Nel senso che tu le assomigli molto.
Ecco, lo aveva detto. Kate, arrabbiata, si alzò dalla sedia e si allontanò bruscamente da lui, serrando le mani sulla balaustra della nave per evitare di fare sciocchezze.
- Ecco, lo sapevo che ti saresti arrabbiata… – sospirò Memphis.
- Ci puoi giurare che mi sono arrabbiata, papà. – sibilò Kate senza voltarsi – Sai com’è, quello che mi hai fatto non è esattamente un complimento.
- Questo è quello che pensi tu. – replicò Memphis – Per come la vedo io non c’è complimento migliore che potrei fare a mia figlia.
Kate si girò di scatto a guardarlo – Scusa, come?!
- Adesso calmati, Kate. – l’ammonì Memphis – Siediti e parliamone.
- Voglio stare in piedi.
- Come vuoi. – sospirò Memphis, riposando il busto sullo schienale della sedia – Ascolta, lo so che le storie che hai sentito su tua madre non sono state molto lusinghiere…
- Norma Jean è un’assassina, un’avida assetata di potere, incapace di alcun sentimento. – affermò Kate controllando a stento la voce – Non posso credere che tu riesca a trovare il coraggio di difenderla! Proprio tu, che sei quello che lei ha ferito più di tutti…
- Kate, ora basta. Smettila di gridare, ti sentiranno tutti. – la rimproverò Memphis. Ora era davvero arrabbiato, il volto cupo e austero. Kate si zittì, non ci poteva credere.
- Non mi piace che mi si paragoni a lei.
- Katherine, tu non sai niente di tua madre.
- So quanto basta.
- No, non è vero.
Kate strinse i denti, nel tentativo di controllarsi. Se si fosse trattato di qualcun altro, di chiunque altro, la dottoressa non avrebbe esitato un solo istante a prenderlo a pugni per fargli passare la voglia di fare certi discorsi… ma lui non era chiunque altro, era Kenmei Memphis, l’uomo più tranquillo e pacifico del mondo, che probabilmente non aveva mai alzato la voce in vita sua, e che di certo non aveva mai usato la violenza con nessuno, nemmeno per difendersi; alzare le mani su di lui sarebbe stato peggio di sparare sulla Croce Rossa, senza contare che era pur sempre suo padre.

Che giornata del cavolo.

- E va bene. – sputò alla fine Kate, lasciandosi cadere pesantemente seduta accanto a lui – Dimmi, dunque: perché questa tua irascibile figlia dovrebbe considerare un complimento l’essere paragonata ad O’Rourke D. Norma Jean? Ti prego, spiegamelo, perché io proprio non lo capisco.
- Te l’ho detto, Kate: tu di tua madre non sai nulla. – rispose pacato Memphis – Se tu l’avessi conosciuta come ho fatto io… be’, forse non arriveresti a volerle bene, ma di certo la rispetteresti.
- D’accordo. E perché?
- Perché ha avuto una vita difficile. E perché ha sofferto tanto, molto più di quanto chiunque potrebbe pensare, e perché ha sempre cercato di fare del proprio meglio per le persone che considerava importanti per lei.
Kate lo guardò come se fosse impazzito. Stavano davvero parlando della stessa persona?
- Da ragazza Norma Jean era… un animo inquieto. – spiegò Memphis – Il suo destino sembrava essere quello di vivere esiliata a Cherry Blossom per tutta la vita, ma lei non riusciva ad accettarlo. Si sentiva soffocare, incapace di sopportare i confini dell’isola, umiliata da quella condizione di prigioniera... pensò spesso di suicidarsi. Diceva sempre che per lei era un impulso troppo forte quello di lasciare la propria casa. Era qualcosa che non poteva controllare, che le toglieva il sonno e la serenità, un tarlo che la rodeva dall’interno… lasciò l’isola non per capriccio, ma perché ne aveva bisogno. Tutto questo non ti ricorda niente?
- Non ho dei problemi con il fatto che abbia lasciato l’isola! – protestò Katherine, intuendo il velato paragone con lei – Ma lei era spietata, ha ucciso tantissima gente…
- È vero. Ma l’ha fatto per proteggersi, non per il puro gusto di far del male.
Kate trattenne il fiato – Non ci credo.
- È la verità – replicò Memphis – Ragiona, Kate: lei era un O’Rourke, e non ha mai nascosto il nome che portava… sul serio pensi che non le abbiano dato la caccia per anni, nel tentativo di impadronirsi dei suoi poteri, o anche solo per ridurla al silenzio, proprio come avevano fatto nei Cento anni del Grande Vuoto? – chiese Memphis – Era un vero bersaglio vivo, era costantemente braccata, viveva nella paura… e non poteva tornare a casa, se non voleva attirare i suoi nemici all’isola; così ha dovuto agire di conseguenza, razziando e uccidendo per costruirsi una reputazione di assassina che potesse scoraggiare i tentativi delle persone che volevano catturarla.
- Io conosco una storia diversa. – dichiarò testarda Kate – A lei piaceva uccidere... non esitava mai, me l’hanno raccontato in molti. Dicevano che era avvelenata dalla rabbia, che era assetata di sangue…
- Oh andiamo Kate, credi davvero che le cose siano così semplici?! – la interruppe spazientito Memphis – Certo che era arrabbiata! Tu non saresti stata arrabbiata se avessi avuto interi eserciti a darti la caccia?! Era arrabbiata, certo, e a volte perdeva il controllo. Era spaventata! Davvero vuoi condannarla per questo?
- Io semplicemente non posso credere che Norma Jean sia la donna che stai descrivendo tu. – affermò Kate – Parli di lei come se fosse una persona tormentata, fragile…
- Perché lo era. Lo è sempre stata, anche se è sempre stata bravissima a nasconderlo. – confermò Memphis – Ascolta, che tu ci creda o no, Norma Jean non è mai stata una donna cattiva. Ha commesso degli errori nella vita, ma ha sempre agito con le intenzioni migliori del mondo. Era costantemente tormentata dai dubbi, dalla paura di sbagliare…
- Ma per favore! – esclamò Kate, un sorriso amaro sul volto – Allora mi stai dicendo che aveva buone intenzioni quando voleva abortire e liberarsi di me? O quando ha abbandonato te?!
Stavolta Memphis non replicò, non subito almeno. Si intristì nel sentirla parlare così, e Kate si pentì subito della propria durezza. In fondo quello che era accaduto vent’anni prima non era di certo colpa di Memphis, e non aveva senso prendersela con lui adesso…
- Lei ha sempre avuto… paura di legarsi alle persone. – mormorò dopo un po’ Memphis - Ha sempre allontanato quelli che l’amavano solo per timore di legarsi troppo a loro, e per evitare di metterli in pericolo. Il suo è sempre stato un meccanismo di difesa con due scopi, in un certo senso… feriva le persone per non farsi amare troppo da loro, e le teneva a distanza per non amare troppo a propria volta. So che può sembrare difficile da credere, però…
- Va bene, va bene, ora basta. Ti stai agitando troppo. – lo interruppe Kate, preoccupata per l’improvviso affanno del padre e per l’allarmante colorito che aveva assunto il suo viso – Ti riporto, in infermeria, devi riposare… non avremmo dovuto parlare di queste cose.
E lo aiutò a rimettersi in piedi, sostenendolo per le spalle mentre si avviavano verso prua, tentando nel frattempo di non pensare a tutte le cose che le aveva detto. Memphis sembrava essere davvero convinto che Norma Jean nascondesse gentilezza e altruismo sotto la sua scorza inscalfibile di donna glaciale e sanguinaria… ma Memphis era sempre stato un bonaccione, uno di quelli che a cinquant’anni compiuti credeva ancora che il mondo fosse un posto pieno di gente fantastica tipo mondo della Mulino bianco, che aveva un grande senso dell’ironia che però non usava mai perché viveva nel terrore di ferire il prossimo, che non arrabbiava mai quando qualcuno lo offendeva, e che sarebbe stato capace di vedere un lato buono persino nell’uomo nero. Era un uomo ammirevole, ma non potevi prendere sempre sul serio quello che diceva, perché non era capace di essere obbiettivo…
Eppure Kate si sentiva profondamente turbata, incapace di togliersi dalla testa il pensiero che forse Memphis aveva ragione quando diceva che lei e Norma Jean erano spaventosamente simili… ma soprattutto, per la prima volta in diciannove anni, incapace di decidere se fosse una cosa buona oppure no.

Ribadisco… che giornata del cavolo!


Ma se quella fu per Kate una giornata davvero del cavolo, i due giorni successivi furono anche peggio. Molto, molto peggio.
- Sorellina, c’è forse un motivo particolare per cui ci stiamo nascondendo nello sgabuzzino delle scope da più di un’ora? – chiese Marco, il solito tono pacato stranamente intriso di divertita ironia – Non mi avrai portato qua dentro per sedurmi, voglio sperare.
Kate lo fissò con odio. Se la rideva, il bastardo. Sul serio, non c’era proprio nessuno su quella nave disposto a mostrarle un minimo di solidarietà?
- Perché mi guardi così? – chiese divertito Marco, facendo palesemente finta di non capire – Guarda che non era mia intenzione offenderti! Tu sei senza dubbio molto carina, ma lo sai che io ho gusti completamente diversi….
- Chiudi la bocca, Marco. – lo zittì bruscamente Kate – Cristo, sta’ zitto. Non è divertente.
Marco invece sembrava al colmo del divertimento – Ma sorellina, io te l’avevo detto che quel tizio prometteva parecchi guai… che ti aspettavi? Che lasciasse correre quello che hai fatto così facilmente?
Kate lo fissò con antipatia, ma non poté dire nulla per difendersi. Dannazione, odiava quando le persone le dicevano “Te l’avevo detto” … specie quando avevano davvero motivo di dirlo.
Ok, credo di dover spiegare. Bene, ecco quello che stava succedendo.
Dopo che aveva avuto quella discussione con Memphis, Kate era rimasta in una sorta di limbo che non avrebbe avuto molto da invidiare alla catalessi per un bel pezzo. Le erano piombate addosso troppe cose in troppo poco tempo: la discussione con Ace, la sopracitata discussione con Memphis, la discussione con Law… insomma, sembrava proprio che l’universo si fosse unito in un fronte compatto contro di lei, e dopo sei ore di attacchi più o meno mirati e personali Kate si era sentita così accerchiata, confusa e rintronata da aver avuto bisogno di dissociarsi dalla realtà, di nascondersi in un posto isolato e tranquillo per rielaborare e di tentare a mettere un po’ d’ordine nella propria testa. Le ci erano volute più tre ore, un paio di bottiglie di sakè e due interi pacchetti di sigarette per riacquistare un minimo di controllo… ma alla fine era riuscita a sconfiggere lo scombussolamento mentale che la torturava, dovendo però in compenso sorbirsi per l’intera notte quello fisico che le avevano dato l’alcool e il fumo.
E va be’, pazienza. C’erano cose peggiori.
Il giorno dopo però si era svegliata, se non in ottima salute, almeno in condizioni accettabili, complice anche la flebo di fisiologica che si era fatta attaccare la sera prima da una alquanto contrariata Beatrix prima di addormentarsi, flebo che aveva contribuito a ripulirle il sangue dal metanolo e aveva notevolmente diminuito il suo mal di testa. Aveva creduto di essere riuscita a superare quella giornata incasinata riportando tutto sommato il minimo dei danni possibili… e si era sentita fiera di sé stessa!
Ma quello era stato solo l’inizio. E le due giornate successive non aveva potuto affrontarle con l’aiuto dell’alcool o delle sigarette, perché Law non gliela avrebbe resa di certo così facile.
Già, Law… quel manipolatore bastardo. Negli ultimi giorni Kate aveva cominciato davvero a chiamarlo così, Manipolatore Bastardo. Le piaceva. Suonava bene…
Scusate, mi sono distratta. Dunque, dicevo… Law. Quel dannato chirurgo sociopatico con vari disturbi della personalità, avete presente? Le aveva dato il tormento. No, non come al solito, magari… se fosse stato tutto come al solito sarebbe stato facile da gestire. No, a quanto pareva il capitano dei pirati Hearts aveva deciso di mettersi seriamente d’impegno, stavolta… Kate non avrebbe mai immaginato che potesse diventare così cattivo. Aveva già conosciuto l’umiliazione che poteva dare l’essere sottovalutata, o l’amarezza che può dare uno sguardo pieno di disprezzo… ma questo era diverso, perché Law non aveva mai giocato sporco fino ad allora. Aveva giocato duro, aveva colpito in basso… ma mai era arrivato a mancarle di rispetto. Perché in questo che consisteva il loro gioco, no? Visto che non erano capaci di dimostrare affetto come le persone normali, lo dimostravano attraverso quella rivalità che li vedeva sempre in contrasto. Ma non erano mai stati su due fronti diversi. Questo mai.
Ma stavolta era diverso, per Law. Stavolta Kate aveva ferito il suo orgoglio, e non era stato un graffietto superficiale. Se lei fosse stata un’altra persona e non la sua più grande avversaria da sempre, probabilmente l’avrebbe uccisa… ma lei non era chiunque, era Kate, e Law aveva scelto di fargliela pagare così. Umiliandola. Provocandola, ma con cattiveria, non con ironia. Insinuando, e di certo non per scherzo, e senza porsi limiti, beandosi del fatto che sapeva perfettamente quali tasti toccare. Ma soprattutto… tutto davanti ai fratelli. Davanti a Barbabianca.
Volete un esempio? Ok, uno solo però, perché se ci pensava troppo avrebbe anche potuto commettere capitanicidio.


Verso l’ora di pranzo del primo giorno Kate era seduta nella grande mensa della Moby Dick a pranzare con una folta cerchia di fratelli, ed era di umore relativamente tranquillo. Era una bella giornata, non c’era vento, non c’era ancora stata alcuna rissa o incidente pseudo-diplomatico… sì, aveva dei buoni motivi per sperare che la giornata procedesse senza intoppi. O almeno fino a quando lui non era comparso accanto a lei.
Non l’aveva nemmeno sentito arrivare, e questa era già stata di per sé una notevole fonte di fastidio. E il modo in cui l’aveva guardata… sembrava impaziente, smanioso. Nel vederselo apparire accanto da un un’istante all’altro Kate indietreggiò d’istinto, scatenando la sua ilarità.
- Sei nervosa stamane, dolcezza? – chiese Law con tono beffardo sedendosi accanto a lei, per poi sfiorarle una guancia con le nocche – Cos’è, stanotte non sei riuscita a dormire bene?
Kate si allontanò di scatto, sottraendosi dal suo tocco come se bruciasse. Davanti agli occhi le balenava l’immagine di loro due nella cambusa, quando lui le aveva detto che sarebbe morto se lei fosse andata via… sembrava essere passato un secolo da allora, e comunque quel gesto non aveva niente a che fare con il Law di quel momento. – Mani a posto, Law.
- Ok, ok, non c’è bisogno di offendersi! – sogghignò Law mettendo le mani in vista – Credevo che ti avrebbe fatto piacere sapere che mi preoccupo per te…
- Oh, ma certo. Non sto più nella pelle, guarda. – borbottò lei riportando l’attenzione sul tavolo, sperando di dare un taglio alla conversazione e di levarselo dai piedi.
- Ma tu guarda che modi… e io che sono stato anche gentile. – disse Law, fingendosi offeso – Ad ogni modo, ero venuto a cercarti per parlare di una certa cosa.
- La stessa di cui volevi parlare ieri? – chiese annoiata Kate senza guardarlo.
- No, in realtà da ieri ho riflettuto su tutta la situazione, su tutto ciò che è accaduto… e sono giunto ad una conclusione.
- Ah, sì? E quale?
- Ho concluso che il nostro comportamento negli ultimi tre anni è stato assurdo. Inqualificabile, peggio che infantile. Sono ancora sconcertato da me stesso, non posso ancora credere di essere stato così immaturo… ma è ora di rimediare.
Kate lo guardò incredula, totalmente presa in contropiede – Davvero?
- Certo! D’ora in poi basta litigi. Basta frecciatine, e tantomeno fine delle insinuazioni strane. Da oggi le cose cambieranno, e noi dobbiamo cercare di fare del nostro meglio per andare d’accordo come due persone mature. Sempre se sei d’accordo, ovvio.
A quel punto Kate si era davvero convinta del fatto che Law avesse ufficialmente perso la ragione. Non poteva credere che fosse davvero serio… ma sembrava esserlo. Per la prima volta sembrava serio e pacato, senza alcun sorriso beffardo o traccia di sarcasmo.

Dio, è un miracolo.

- Be’, io… sì, immagino che sarebbe una scelta ragionevole…
- Fantastico! Sono felice di sapere che sei d’accordo con me! – esultò Law, la smania nei suoi occhi era aumentata – In questo caso, credo che dovresti leggere con attenzione quello che c’è scritto qui – le suggerì offrendole un foglio. Lei glielo strappò di mano, improvvisamente le era venuto un brutto presentimento – Che cos’è?
- Oh, nulla di che… solo un elenco di condizioni a mio avviso necessarie affinché si possa stabilire un rapporto di convivenza che non sfoci nella rappresaglia. Sarà meglio che le rispetti, così potremmo evitare discussioni inutili…
Kate a quel punto non lo stava più ascoltando, era troppo impegnata a scorrere febbrilmente la lista; sì, perché era di una lista che si stava parlando, ma non era una lista qualunque: era una dannata e inconcepibile lista di divieti!
Ve la riporto in parte, così potrete capire quanto fosse grave la situazione:
  1. Non ascoltare musica ad alto volume.
  2. Non disturbare il Capitano mentre lavora.
  3. Non entrare nella cabina del Capitano se non esplicitamente invitata.
  4. Non mangiare in camera da letto o nello studio.
  5. Non fumare in cabina.
  6. Non uscire senza permesso.
  7. Non contattare nessuno con il lumacofono se non espressamente autorizzata.
  8. Non entrare in altre stanze del sottomarino che non siano la cabina personale, il bagno, la cucina e la sala da pranzo…
E soprattutto, cerchiato di rosso per tre volte: Non parlare se non interpellata!
- Law. – mormorò Kate, increspando le sopracciglia – Questa lista è sbagliata.
- Che dici? – fece perplesso Law, riprendendo in mano il foglio per controllare – No. Non mi pare… c’è tutto. – confermò, restituendole il foglio.
- Ma no, guarda… - insistette Kate indicandoglielo – Hai dimenticato “Non uccidere”, “Non rubare” e soprattutto “Non avrai altro Dio all’infuori di me”.


Vi lascio immaginare il resto. No, scherzo, ve lo racconto, sennò vi macherebbe il finale. Dopo quella battuta fulminante, ovviamente Kate aveva accartocciato il foglio e glielo aveva tirato in faccia, per poi sguainare uno dei suoi bisturi e cominciare a rincorrerlo per tutta la stanza, urlandogli dietro parole irripetibili. Law tuttavia non si era scomposto più di tanto, si era limitato a sfuggirle senza rispondere ai suoi insulti… e quando Kate era stata costretta a fermarsi per la mancanza di fiato, lui l’aveva guardata freddamente dall’alto in basso, e senza fare una piega le aveva ricordato che, a dispetto del suo atteggiamento sfacciato e insubordinato, lui era ancora il suo capitano, e che lei era obbligata ad obbedirgli senza discutere… il che significava che lui avrebbe potuto anche scrivere direttamente “Leccami i piedi” su quella lista, e lei non avrebbe potuto di certo protestare o rifiutarsi di eseguire. Finché Kate faceva della sua ciurma era obbligata a rispettare le sue regole, le aveva spiegato, e fondamentalmente le sue regole erano quello che a lui girava, né più né meno. Inutile dire che lei in tutta risposta lo aveva molto elegantemente mandato a farsi fottere il più presto possibile… e così era cominciata quella guerra.
Era da appena due giorni che andava avanti così, ma a Kate sembravano piuttosto due anni. Per tutto il tempo Law non aveva fatto altro che darle ordini e trattarla con sufficienza, neanche fosse stata la sua schiava personale. Avete presente la favola di Cenerentola? Be’, ecco cosa stava succedendo, anche se forse in versione leggermente più “Dr. House”. Lei ovviamente aveva il ruolo di Cenerentola – una Cenerentola molto meno paziente, dolce e gentile dell’originale, e forse anche incredibilmente simile al dottor Foreman, ma tant’era-, e lui invece interpretava matrigna, sorellastre e House, tutti insieme. Ho reso l’idea?
Compila le cartelle al mio posto, riordina lo studio, resta di guardia di notte, apri la finestra, fammi queste analisi, comprami queste cose, non ho chiesto il tuo parere, richiudi la finestra… insomma, perfino la vergine di Norimberga sarebbe stata una tortura più piacevole. E lei nel frattempo covava rabbia su rabbia, e si nascondeva per evitare di ricevere altre direttive, ma anche per resistere alla tentazione di rompergli una gamba per farlo andare in giro con il bastone, così sì che sarebbe stato identico al Dr. House.
Se l’era cercata? Forse. Ma non era stata lei a cominciare, dannazione. Lui si sentiva in diritto di poter disporre di lei, ma in realtà non aveva alcun diritto, dannazione! Lei non era una proprietà, e nemmeno una schiava, era un’amica, e un vice capitano! Law non poteva trattarla in quel modo!
- Dovresti prendere misure, secondo me. – le suggerì Marco, interrompendo il corso dei suoi pensieri – Non faccio per dire, ma un po’ alla volta stai diventando lo zimbello di questa nave.
Kate ringhiò, affondando le unghie nel legno della porta per autodisciplinarsi. Era proprio questa la parte peggiore, infatti! Se Law si fosse limitata ad umiliarla in privato Kate avrebbe potuto anche farsene una ragione, tutto sommato… avrebbe potuto mettere temporaneamente in pausa l’orgoglio e accettare quel supplizio augurandosi che passasse in fretta! Ma quel vigliacco senza attributi, quel… quel cafone senza arte né parte non solo la stava rendendo ridicola, ma lo stava facendo davanti a tutta sua famiglia, e questo, perdio, non era accettabile!
Nel vedere che stava per esplodere Marco le posò gentilmente una mano sulla spalla – Su, piccola, adesso sta’ calma. Se ti arrabbi gli darai solo soddisfazione, lo sai.
Kate annuì e prese un profondo respiro per tentare di ricomporsi. Sì, Marco aveva ragione… doveva restare calma e mantenere il sangue freddo. Se fosse esplosa avrebbe fatto solo il gioco di quel bastardo, e questo sarebbe stato davvero troppo. Ringraziò tacitamente gli dei per averle dato la forza di confidare i propri guai a Marco: se lui non fosse stato lì accanto a lei per mantenerla lucida e farla ragionare, Kate avrebbe finito per commettere l’irreparabile.
Aveva capito cosa Law stesse cercando di fare. La sua non era una semplice vendetta, ma il tentativo di darle una lezione: hai passato il segno, e adesso ti insegno a stare al tuo posto. Kate nel profondo sapeva che il ragionamento di Law non era sbagliato, non quanto il metodo che usava per inculcarglielo in testa, almeno. In effetti lei era davvero una sottoposta, ed era giusto che mostrasse, se non obbedienza incondizionata, quanto meno rispetto dell’autorità del proprio capitano... solo che lei in quei giorni non l’aveva fatto per niente, e per questo era consapevole di meritarsi, almeno in parte, quel trattamento.
Eppure…
- Tu hai ragione quando dici che in parte me lo sarei dovuto aspettare. – sospirò Kate, mentre Marco la studiava serio – E so che in parte mi merito tutto questo. È solo che…
- È solo che… cosa?
- Penso di aver raggiunto il mio limite. – dichiarò Kate – Non credo di poter fare più di così.
Marco la guardò senza capire.
- Sai… a dispetto di come io mi comporto di solito con lui, io ho sempre ammirato molto Law, sin dal primo giorno. – spiegò Kate – E quando lui mi ha presa con sé e ha iniziato ad addestrarmi, offrendomi così tutto ciò che avevo sempre desiderato, credevo che non ci sarebbe stato niente che non sarei stata disposta a fare per lui. Ma quando l’altro giorno mi ha vietato di venire qui per prendermi cura di Thatch, quando ha tentato di usare la sua autorità per costringermi a rinunciare… ho capito che mi sbagliavo. Non posso garantirgli obbedienza totale, non posso e non voglio. Non dopo tutto ciò che è accaduto.
Ecco qual era il problema, il vero problema. Al di là del risentimento che Kate poteva covare nei confronti di Law per i motivi che preferiva, al di là del risentimento che Law poteva covare nei confronti di Kate per i motivi che preferiva, le cose non sarebbero mai state come prima. Lei era troppo fedele alle proprie convinzioni per accettare di rinunciarvi, e lui era troppo autoritario per accettare una lealtà che non era totale. Ecco perché avrebbe potuto punirla e tentare di sottometterla quanto voleva, non avrebbe comunque ottenuto quello che desiderava. Era situazione bloccata.
- Non credo di essere fatta per essere una sottoposta. – concluse Kate.
- Sono d’accordo. – annuì Marco – E quindi? Cosa farai?
- Non lo so... – ammise Kate.
- Be’, ti converrebbe deciderlo… così non potete andare avanti.
- Lo so. – sospirò Kate, per poi allungare la mano verso la maniglia della porta – Su, andiamo. Mi sta mancando l’aria, e comunque ormai è inutile restare qui.
Uscirono. Kate era contenta di essere relativamente riuscita a calmarsi, ma percepiva la sua rabbia attendere paziente come un alligatore nascosto sotto il pelo dell’acqua, pronto ad emergere e ad azzannarla non appena fosse arrivato il momento opportuno. Non poteva rilassarsi, non ancora… anzi, aveva la sensazione che quella storia non si sarebbe conclusa tanto presto.
- Katherine! – chiamò una voce autoritaria – Finalmente! Dov’eri andata a perdere tempo, dannata ragazzina?!
No, non di nuovo… Pensò disperata Katherine senza smettere di camminare. Non voleva fermarsi. Se anche stavolta quello stupido l’avesse provocata, questa era la volta buona che ci rimetteva un occhio. O entrambi.
- Ragazzina, parlo con te! – ringhiò infastidito Law avvicinandosi – Che c’è, sei diventata sorda?
Molto lentamente Kate si voltò, il volto deformato da una smorfia velenosa – Perdonami, mio magnifico capitano. Cosa posso fare per te?
- Potresti spiegarmi cosa è questo, per esempio. – sibilò Law, sventolandole davanti al naso una pila di cartelline.
Kate finse di scrutarla con grande attenzione prima di rispondere – Mmh, da un’attenta analisi potrei dire che sono… cartelle cliniche?
- Brava, ottimo intuito. – replicò sarcastico Law – Ti saranno familiari, immagino… sono quelle che ti avevo chiesto di riordinare ieri sera, se non ricordo male. Stamattina però erano ancora sulla mia scrivania… posso chiederti come mai?
Kate assottigliò gli occhi, affondando le unghie nei palmi delle mani. Certo che si ricordava di quelle cartelle. Proprio come aveva detto Law, avrebbe dovuto metterle a posto la sera prima… peccato che fosse crollata addormentata con la fronte poggiata sulla scrivania verso le tre del mattino prima di aver avuto la possibilità di farlo, dopo una serata intera e una parte del pomeriggio trascorsa a fare le pulizie nello studio del Manipolatore bastardo.
- Temo di essere stata impegnata a fare altro, e di essermene dimenticata, capitano. – rispose Kate monocorde, le spalle che tremavano per la rabbia.
- Bene. Peggio per te, allora. Vorrà dire che, prima di rimetterle a posto, le ricopierai in bella grafia su dei fogli nuovi. Visto che hai il tempo di andartene in giro a bighellonare…
Fu l’ultima goccia. Nel sentirsi apostrofare con quel tono così denso di scherno Kate vide rosso, e agì senza pensare. Livida di rabbia fece un passo avanti e gli strappò di mano le cartelle, indietreggiò lentamente camminando all’indietro e senza interrompere il contatto con gli occhi dell’altro e, con estremo piacere, le gettò in mare con un fluido movimento del braccio.
- Adesso sono al loro posto, capitano. – sputò ironica, le labbra incurvate in un ghigno.
La fissarono tutti, sconcertati da tanta insolenza, Pirati Heart e Pirati di Barbabianca senza differenza alcuna. Il più sconvolto però era Law, che però riuscì a replicare – Credi davvero di avere il diritto di rivolgerti a me in questo modo, ragazzina? Non direi proprio…
Fu costretto ad interrompersi. Muovendosi rapida come un serpente, Kate infatti gli aveva appena strappato di mano anche la nodachi. Intuendo quello che voleva fare Law si lanciò in avanti per fermarla, ma lei fu più veloce di lui: indietreggiò di nuovo all’istante per portarsi fuori dal raggio d’azione del frutto Ope Ope e, con un ghigno ancora più compiaciuto del precedente, gettò in mare anche quella.
- Ti consiglio di mandare qualcuno a recuperarla al più presto… - cinguettò Kate – Non vorrei mai che il sale la danneggiasse, o peggio, che finisse nella pancia di qualche grosso pesce.
E raddrizzò le spalle, in attesa della sua replica. Dall’esterno sarebbe potuta sembrare impassibile, ma dentro di sé stava fremendo, non sapeva se di rabbia, soddisfazione o paura. Probabilmente tutte e tre le cose insieme, ma non si pentiva di ciò che aveva fatto. Chiunque al suo posto avrebbe fatto altrettanto, ne era sicura…
Ma era altrettanto sicura del fatto che questa l’avrebbe pagata, e molto cara anche. Stavolta lo aveva deliberatamente sfidato davanti a tutti, e di certo non se la sarebbe cavata con poco.
- Dolcezza, devo forse rammentarti che sei al mio servizio? – ringhiò infatti Law furibondo.
- Tu non tralasci certo occasione di ricordarmelo.
- Allora perché continui a sfidarmi? Perché non accetti la mia autorità e basta?
- Sinceramente? Perché non ne ho più alcuna voglia. Anzi, se devo dirla tutta, ne ho le tasche piene di te e della tua prepotenza.
- Che cosa…?
- Ora ascoltami bene, manipolatore bastardo che non sei altro! – esplose Katherine con tanta veemenza che Law tacque allibito – Non ho dimenticato quello che hai fatto per me, cosa credi? So benissimo che mi hai offerto tutto ciò che ho sempre voluto, e non ho dimenticato che mi hai salvato la vita, tre anni fa. Ma questo non significa che puoi considerarmi una tua proprietà, o che hai diritto di vita e di morte su di me. Ho promesso che ti avrei seguito per ripagare il debito che ho con te, e sono disposta a fare molte cose pur di riuscirci. Ma se ti aspetti che io vada contro la mia coscienza, o che io sacrifichi il mio orgoglio e la mia dignità pur di compiacerti, allora sono spiacente, ma hai capito davvero male. Quindi è inutile che alzi la voce con me, che mi minacci o che cerchi di umiliarmi davanti alla mia famiglia. Fa’ pure, se questo ti rende felice! Ma sappi che non cambierà le cose. Io per te non farò mai niente che vada incontro anche alla mia approvazione, mai. Se volevi una schiava invece di un’alleata, allora sappi che hai scelto male. Gli schiavi si trovano alle Sabaody, non sulle navi degli imperatori!


Law fissava la donna che gli stava davanti, sconvolto da tanta incosciente spudoratezza.
Nessuno era mai arrivato a tanto con lui, prima di allora. Di solito lui era bravo ad intimorire le persone, ma lei sembrava essere totalmente immune ai suoi metodi. Non indietreggiava, non abbassava gli occhi, e non si arrendeva mai. In quei due giorni aveva fatto di tutto pur di piegarla e di ficcarle in testa che, in quanto sua sottoposta, avrebbe dovuto obbedirgli senza discutere… ma a quanto pareva aveva ottenuto l’effetto opposto. La luce di ostinata ribellione che tanto l’aveva inquietato non si era affatto spenta, al contrario, scintillava nei suoi occhi più viva che mai.
- Avvicinati. – sibilò Law.
Lei non ammorbidì la propria espressione – Perché? – chiese circospetta.
- Fallo e basta.
Kate digrignò i denti, irritata da quell’ennesimo ordine, e lui si incupì ancora di più, a propria volta irritato dalla resistenza che gli faceva; entrambi erano talmente carichi di rabbia e tensione che si sarebbe detto che le scintille volassero tra loro. Era una scena che destava curiosità e tutti, chi sfrontatamente, chi di nascosto, si erano messi a seguire con interesse.
Alla fine lei si decise ad andargli incontro. Attraversò il ponte con passo arrogante, senza fretta, il mento alzato con sfida, lo sguardo sicuro, diretto. Lui l’attendeva immobile, minaccioso, e pericolosamente accigliato. Gli si fermò a un passo, le mani sui fianchi.
Nel vedersela arrivare vicino con tale alterigia, Law comprese che le punizioni, di qualunque natura fossero, non avrebbero mai avuto effetto su quella donna. Anzi, sembravano rafforzarla. Era adorabile, pensò sconcertato, col viso acceso di collera e i capelli che parevano fiamme oscure al vento, pericolosamente simile ad una creatura selvatica.
Avrebbe dovuto vincerla, non umiliarla. La sconfitta forse le avrebbe inculcato un po’ di buonsenso, l’umiliazione l’avrebbe solo resa più cattiva e indomabile... non aveva mai incontrato una donna che pensasse come un uomo.
Fu allora che capì la verità, quella che per giorni, per mesi, forse per anni aveva negato a sé stesso, forse perché troppo grande, troppo incredibile per lui… almeno fino al quel momento. Mentre lo fronteggiava con un coraggio che molti suoi nemici non riuscivano neanche a fingere, senza indietreggiare di un passo e guardandolo dritto negli occhi, Law fu certo che quella donna fosse stata fatta apposta per lui. E capì che non avrebbe avuto pace fino a quando quel corpo sottile, fremente di vita e forgiato da innumerevoli battaglie, quel viso, quegli occhi splendidi, quell’anima indocile non gli fossero appartenuti per sempre.
- Che arma preferisci? - sbottò.
Kate lo fissò stupita. - Come?
- Ti sfido. La mia autorità contro la tua obbedienza. Ti lascio la scelta dell’arma.
Kate era assolutamente allibita. – Tu vuoi sfidarmi a duello? Sul serio?!
- Perché no? A questo punto mi sembra l’unica maniera per risolverla. – rispose pacato lui. Strano, ma la rabbia gli stava sbollendo, anzi, riusciva quasi a trovare divertente quell’espressione confusa che le leggeva sul viso. – Sai, ero serio l’altro ieri quando ti ho detto che dobbiamo farla finita con questi litigi da bambini. Non vuoi accettare la mia autorità? Bene, vorrà dire che se desideri così tanto la libertà te la dovrai guadagnare.
- E questo che vorrebbe dire? – sbottò lei, la confusione ancora presente nei suoi occhi.
- Che ti sto proponendo una scommessa. – rispose Law, il suo solito ghigno finalmente tornato ad incurvargli le labbra – Ci sfideremo in regolare duello, e se vincerò io tu sarai legata a me in eterno, e soprattutto dovrai giurarmi solennemente obbedienza incondizionata. Basta risposte taglienti, basta rivalse, basta rifiuti… basta tutto.
- Cosa?! Ma è assurdo! – urlò Kate – Non accetterò mai!
- Se vincerai tu, invece… - proseguì Law, ignorando la sua ultima affermazione - … ti libererò dal debito che hai con me, e anche dalla mia autorità. Non mi dovrai più niente, e sarai libera di fare quello che meglio credi… anche andare per la tua strada, se lo vorrai. Allora, cosa ne dici?


Non posso crederci. Pensò Kate allibita. Non può fare sul serio…

Non poteva accettare. Non avrebbe avuto alcuna possibilità contro Law, di questo era ahimè realisticamente consapevole. Lui era un guerriero dalle capacità eccezionali, e lei non aveva ancora nemmeno conosciuto molte delle sue doti nascoste… e lei, invece? Era brava, era forte, ma era giovane, e ancora inesperta! E inoltre Law le aveva fatto da maestro praticamente in tutto, dalle arti marziali alla strategia militare, e conosceva il suo stile di combattimento probabilmente meglio di quanto lo conoscesse lei stessa. Non avrebbe avuto speranze contro di lui in un combattimento frontale… e non avrebbe potuto nemmeno prenderlo di sorpresa architettando un qualche piano malefico, perché lui era intelligente almeno quanto lei, e non si sarebbe lasciato imbrogliare troppo facilmente. E l’abilità innata del proprio clan poteva anche scordarsela, tanto non sarebbe stata in grado di usarla di propria volontà per almeno altri due anni…
E lui naturalmente doveva essere perfettamente consapevole della propria superiorità; anzi, di certo era proprio per quello che aveva proposto quella soluzione.
- E se mi rifiutassi di accettare? – chiese torva Kate – Cosa accadrebbe in quel caso?
- La considererei come un forfait, ovviamente… e allora mi apparterresti per sempre, e dovresti giurare tutto quello che ti ho chiesto. – sogghignò Law.
- Questo mai! – dette in escandescenze Kate.
- Allora non altra scelta che accettare.

Che razza di infido bastardo!  Pensò Kate furibonda. L’aveva messa alle strette, e non le aveva lasciato via d’uscita!

Cosa poteva fare? Era inutile rimuginarci sopra, tanto non aveva comunque scelta.
- Bene, allora accetto la sfida. – borbottò.
- Ottimo! – disse Law compiaciuto – E quale arma preferisci?

Come se l’arma potesse fare qualche differenza! Pensò irritata Kate.

Cosa avrebbe dovuto rispondere?! Le arti marziali? Sì, probabilmente quella era la scelta più ragionevole. Erano la sua specialità, forse almeno con quelle avrebbe potuto evitare di fare una figura eccessivamente pietosa… ma in fondo cosa importava della figura che avrebbe fatto?! Avrebbe perso il duello comunque, e con quello la propria libertà. Che importava il modo in cui sarebbe accaduto?

Lui conosce ogni più piccolo segreto del mio stile di combattimento, perché mi ha insegnato tutto lui. Arti marziali, spada, combattimento a distanza, armi da fuoco…non c’è niente di cui io sia capace che lui non sappia fare meglio di me. Be’, a parte forse…

A parte forse l’utilizzo del Frutto Esse Esse. Lui di quello sapeva poco o niente, perché era un potere che solo lei che possedeva, e che aveva imparato a padroneggiare da sola. E comunque, perché avrebbe dovuto esserne interessato? Tanto lei lo usava solo a scopi medici, non era di certo un’arma d’attacco…
- I Frutti del mare! – si sentì dire con voce altera. Poi aggiunse più bassa - Tra una settimana.

Cosa?! Che cosa ho detto?!

Che le era saltato in mente?! Non poteva battersi con Law usando i poteri del suo frutto! Il frutto Ope Ope era uno dei più potenti in circolazione, e lei lo sapeva anche fin troppo bene, considerando tutte le volte che era stata smembrata da quel medicastro da quattro soldi durante gli allenamenti… e il frutto Esse Esse non poteva nemmeno essere usato per attaccare, serviva solo a manipolare le funzioni vitali di un corpo umano, e solo a patto di riuscire a far ingerire la propria Essenza! Cosa avrebbe dovuto fare, nascondergliela nel cibo come si fa con le pillole dei cani? Come se Law fosse nato il giorno prima…

Vi prego, ditemi che non l’ho detto sul serio.

L’aveva colto alla sprovvista, questo era evidente. Kate si sarebbe meravigliata del contrario. Law alzò interrogativamente un sopracciglio. – I frutti del Mare? Scherzi?!
- Affatto!

Oddio, sono impazzita! Qualcuno mi fermi, per l’amor di Dio!

- Davvero vuoi rendermela così facile? Il potere del frutto Esse Esse non può minimante competere con quello del frutto Ope Ope, lo sai benissimo! – rise di lei Law - E poi scusa, perché tra una settimana e non ora?
Lei sorrise freddamente, ma in realtà rivoli di sudore le stavano scorrendo lungo la schiena. - Non vorrai negarmi un po’ di esercizio! Sono sicura che mi vorrai al pieno delle mie capacità…
Sì, certo, come se una settimana di allenamenti potesse cambiare la natura del suo frutto. Davvero, ma che accidenti stava combinando?!
- Pensavo avresti scelto le arti marziali…
- Preferisco darti un’opportunità. – replicò lei, con una sicurezza che non sentiva.
Questa è pura presunzione! Pensò lui, intimamente divertito. Non capiva il senso della scelta della ragazza… ma non dubitava nemmeno un po’ che la vittoria sarebbe stata sua. Kate aveva sì parecchia inventiva, ma probabilmente nemmeno l’intelletto di Einstein sarebbe stato in grado di mettere a punto un piano che potesse permettere al frutto Esse Esse di sconfiggere il frutto Ope Ope.
- Bene, come desideri. Risolveremo questa questione tra una settimana, allora…
- Un momento! Ho anch’io delle condizioni da porre! – si affrettò a dire Kate. Ormai il suo buon senso aveva chiaramente mollato baracca e burattini e l’aveva piantata in asso, perciò adesso non restava nient’altro che la sua impulsività a farle da guida. Non c’era da meravigliarsi se stava dicendo una sciocchezza dietro l’altra.
- Ma davvero? E quali sarebbero? – chiese Law con un ghigno.
- Innanzitutto voglio che tu vada via da questa nave… - cominciò Kate.
- Cosa? – ringhiò Law, irritandosi di nuovo seduta stante.
- … per permettermi di allenarmi senza alcuna interferenza. – precisò Kate – Va’ dove ti pare, basta che sia lontano da qui! Non voglio nessun bastardo con manie di grandezza a disturbarmi…
Almeno così non l’avrebbe vista piangere sul suo destino perduto troppo presto, constatò amaramente Kate.
- E va bene, concesso. – sbuffò Law – Nient’altro?
- Sì, c’è un’altra cosa… – annuì Kate, ma esitò a continuare.
- Sentiamola, allora.

Misericordia, non posso credere di stare per farlo davvero. Ma visto che ormai sono in ballo…

– Se dovessi vincere io non solo mi lascerai in pace e non mi darai mai più ordini… ma dovrai anche presentarmi le tue umili scuse. E dovranno essere sincere, questa volta!
Law scoppiò a ridere di gusto – Oh andiamo, dici sul serio?
- Non sono mai stata tanto seria in vita mia. – replicò gelida Kate, non lasciandosi toccare dalle sue risate.
- Bene, ti concedo anche questo, se proprio ci tieni. – riuscì ad articolare Law quando finalmente il riso gli dette tregua – Tanto una cosa simile non accadrà mai. Non riuscirai mai a sconfiggermi, lo sai anche meglio di me.
Sembrava molto sicuro di quello che aveva detto, e non sembrava minimamente preoccupato per l’imminente sfida. Kate avrebbe voluto offendersi davanti a tanta tracotanza… ma non ci riuscì, neanche per un momento.
Perché sapeva che Law aveva ragione. Non l’avrebbe mai battuto, non al proprio attuale livello.
- Vedremo. – replicò invece bluffando – Perché io non ho alcuna intenzione di perdere, invece.
Nel vederla ostentare tanta sicurezza Law scoppiò di nuovo a ridere, come se avesse intuito per filo e per segno ogni singolo pensiero autodistruttivo che le era passato per la testa negli ultimi dieci minuti. E probabilmente era proprio così.

Congratulazioni, O’Rourke. Si disse la ragazza, ancora sbalordita da quanto aveva appena fatto. Ora sì che hai firmato la tua condanna a morte.







Angolo autrice:

Eccomi qui, finalmente! Scommetto che questa non ve l'aspettavate, vero?
Ebbene sì, nel prossimo capitolo assisteremo ad un duello. Kate non sembra avere molte speranze nell'esito, ma in fondo non è detto che non riceverà aiuto da qualcuno... be', immagino che lo scopriremo molto presto!
Alla prossima volta, gente! Baci e abbracci! <3
Tessie
   
 
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