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Autore: nuvolenere_dna    16/12/2017    6 recensioni
Prima classificata al contest "Au is the only way" indetto da meryl watase sul forum di Efp
Forse è per questo che ha scelto Freezer, perché le sembrava un alieno esattamente quanto lei.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Freezer, Nuovo personaggio, Vegeta, Zarbon | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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3: When You Think You’re Free

 
Just remember when you think you’re free/Ricordati che quando pensi di essere libera
The crack inside your fucking heart is me/La crepa nel tuo fottuto cuore sono io
I wish I could sleep/ Vorrei riuscire a dormire
But I can’t lay on my back/Ma non posso distendermi
‘Cause there’s a knife/Perché ho un coltello nella schiena
For every day that I’ve known you/Per ogni giorno da quando ti conosco
[Marylin Manson – Speed of Pain]4
 

8 Settembre, giovedì, ore 19:33
[Un anno prima]
 
«Just like a supernova exploding, our two worlds are colliding, we are endlessly falling! Just like a photograph aging, fading, the cracks are slowly breaking, and we are slowly changing!5»
La voce stridula di No canta determinata, in fibrillazione per il suono veemente delle chitarre elettriche che eccitano le sue vene e del ringhio aggressivo del cantante. È decisamente stonata, la sua pronuncia della lingua inglese decisamente scadente, ma l’energia del rock è visibile nei suoi occhi risoluti.
Mentre cammina, verso la stanza del piano in cui si trova la sua tana, seguita da uno strascico di gocce d’acqua, rimpiange amaramente di aver dimenticato il phon lontano dal bagno, infreddolita e tremante. È nuda, con un misero asciugamano appoggiato sulle spalle, sempre meno protetta dalla carica energetica della canzone man mano che i passi la allontanano dal cellulare in riproduzione su YouTube. Quando arriva sullo stipite della porta nota Freezer girato di spalle, le braccia incrociate dietro la schiena, che osserva dall’ampia vetrata il mare su cui sta tramontando il sole.
No sobbalza per la visita inattesa, bloccandosi, il corpo madido paralizzato da un brivido gelido. Freezer si gira, avvolto in uno smoking grigio che gli fascia il petto muscoloso, i bottoni leggermente increspati dalla tensione, le mani pallide oscurate dal bagliore dei gemelli, due diamanti che scintillano agli ultimi e morenti raggi del sole. Le sue iridi rosse la guardano, la divorano, facendola a pezzi, abilmente mimetizzate fra i lineamenti immobili, algidi del suo viso. Il suo sguardo percorre i suoi capezzoli turgidi, propaggini di seni piccoli e morbidi, percorsi da gocce d’acqua che attraversano il suo corpo in una lenta discesa verso il basso, disperdendosi nella piega fra le sue cosce.
«Ehi... ciao» No gli sorride, dolce, mentre gli si avvicina.
«Tre chili. Mi aspetto che entro giovedì sia venduta» dichiara lui, facendo un cenno al sacchetto di nylon appoggiato sulla scrivania, spostando fugacemente le pupille severe sul volto di No, che annuisce perplessa. Di solito Freezer non le porta personalmente la droga da vendere, ma la fa recapitare attraverso un sistema di corrieri che quasi tutti i giorni riforniscono tutti gli spacciatori della città, lei compresa. Alza leggermente il sopracciglio, non osando contraddirlo, quando un particolare attira la sua attenzione. Vicino al sacchetto ce n’è un altro, più piccolo, le cui maniglie sono annodate in un fiocco elegante.
«Cos’altro mi hai portato?» ghigna, cercando di scavare nel suo volto freddo e decifrare una qualche emozione, serpeggiante sotto la superficie. Freezer stringe impercettibilmente la mandibola, nel tentativo di deglutire l’impulso di elettricità che ha attraversato il suo corpo quando ha percorso con lo sguardo le sue carni. Odia quella sensazione, odia sentire il basso ventre contrarsi in balia di un istinto animale che non gli appartiene, odia sentire le cuciture dei pantaloni divenire tese e un bizzarro senso di fame riempirgli la gola di spilli.
«Vestiti, Cristo» sibila sprezzante, fissando questa volta il fianco sinistro di No, dove è tatuato lo scheletro di una lucertola che protende aggressivo una zampa verso il suo seno, gli occhi come sfere di plasma vermiglio e fosforescente che sfolgorano nelle orbite vuote.
Ricorda ancora il giorno in cui la hanno marchiata e la sua fibrillazione nel vedere il sangue colarle sulla sua pelle. Il segno della sua gang, il segno indelebile che lei è sua, soltanto sua e per sempre sua, che non potrà mai abbandonarlo a costo di scuoiarsi viva.
Il sorriso di No si spegne, come se i fili dei suoi muscoli fossero stati tagliati. Si asciuga frettolosamente e si infila il pigiama, tamponandosi i capelli corti con l’asciugamano, ormai non più intenzionata a usare il phon.
Sono immersi nel silenzio totale del tramonto quando si siedono al tavolo, uno di fronte all’altro. Non hanno mai parlato molto. No esamina minuziosamente i contorni e i movimenti del suo volto alla ricerca di qualcosa, magari del motivo per cui si sia presentato da lei senza avvisare e senza alcun motivo apparente se non quello di cenare insieme.
Ma lui non dice nulla, limitandosi a mangiare elegantemente i suoi nigiri di salmone con le bacchette, non facendo cadere neppure una goccia di salsa di soia. La sua eleganza è totale, schiacciante nelle labbra finemente disegnate e tinte, nella sua postura composta, nel modo raffinato in cui le sue dita inanellate si portano il tovagliolo di carta alla bocca.
No, invece, seduta a gambe incrociate sulla sedia di alluminio, sorride impercettibilmente quando nota sul fondo della scatola un quartetto di maki al gambero fritto, il suo piatto preferito di sushi, preso apposta per lei. Vorrebbe aprire bocca per ringraziarlo ma ha paura di rovinare quel momento perfetto con una profusione di emotività potenzialmente pericolosa, la rabbia di lui come una bestia acquattata negli angoli di tutte le stanze in cui lui è presente.
«Accendo? A quest’ora c’è il programma sulle stelle.»
Freezer annuisce, distratto, mentre addenta un temaki al tonno trattenuto abilmente fra le bacchette di legno. La televisione prende vita e una volta finito di mangiare i due si spostano sul letto, sprofondati fra i mille cuscini, vestiti e peluche che popolano la testiera del materasso di No.
Freezer non sembra avere intenzione di andarsene, il corpo affondato nel turbinio delle coperte spiegazzate, gli occhi ipnotizzati dalle immagini delle stelle che nascono, esplodono e rinascono nuovamente, in forme diverse. Non la guarda neppure, le vene del collo tese e ingrossate sotto la cute diafana, come se avesse inghiottito una bomba a orologeria sul punto di esplodere.
È teso, nervoso, senza alcuna ragione particolare. È semplicemente una di quelle giornate in cui il buio dentro di lui è un pozzo talmente profondo da dargli le vertigini. Uno di quei giorni in cui sente il richiamo oscuro delle voragini della terra corvina, che gridano strazianti la fallibilità del suo dominio.
Una città, tante città, centinaia di chilometri, non sono nulla, non sono che fazzoletti di terra sterile e di aria impura, privi di significato. Sogna l’universo e la vastità del cosmo, affondando nelle sue fantasie di bambino e sentendo qualcosa dentro morire. Mentre aspettava che No uscisse dal bagno, ipnotizzato dal proprio riflesso nel vetro della finestra, ha immaginato di infilarsi Raggio della Morte in bocca e di premere il grilletto, ha immaginato di impugnare un coltello e annegare nel suo stesso sangue, sbattendo ripetutamente le palpebre per scacciare quei simulacri assurdi.
Lei è contenta di averlo vicino, il suo respiro familiare quanto lo scroscio delle onde che borbotta lontano, per una sera nel silenzio totale della sua casa, non turbato dal passaggio di nessuno degli altri servitori.
Freezer ha fame, di una fame bianca e chimica, inquieto sul materasso. Si arrende e tira fuori l’orologio da taschino, facendogli fare gli scatti fino a salivare alla vista della copiosa polvere che trabocca. No sorride e si china, versandosi un grumo di cocaina sul dorso della mano e sistemandola fino a formare una lunga striscia, dal polso fino al dito indice.
«Sei pronto?» sussurra, avvicinandosi al suo volto, le iridi di Freezer come stagni torbidi ove riluce una luna di sangue. No striscia lentamente la mano sotto le sue narici che aspirano avide, fameliche, scatenate e voraci come bestie che hanno fatto a pezzi le loro gabbie, divorando anche l’odore dolce della sua pelle. Percepisce il suo corpo divenire elettrico e instabile, gli occhi disciolti in un brivido di eccitazione e il cuore aumentare velocemente, un tamburo che le sembra quasi di poter sentire.
«What can I say, what can I do... This is who I am and I am hurting you! What can I say, what can I do... No matter how strong my feelings are, I always end up hurting you...6»
Il cellulare di No inizia a squillare nell’altra stanza e lei ha un sussulto, iniziando a stiracchiare le gambe per alzarsi.
«Non ci provare» sibila Freezer, le iridi come catene arrugginite che la stringono e la soffocano, immobilizzandola in un intrigo di filo spinato. Si sente debole e furente, non sarebbe mai dovuto venire, non quando si sente così vulnerabile e pieno di vuoto, un vuoto dagli artigli di ossidiana che lo squarta dentro a ogni sfumatura della notte che si dilata.
Una vampata di calore gli infiamma il petto e la faccia, umiliazione e vergogna impartiti dal suo tribunale mentale che l’ha appena dichiarato colpevole. Non vuole che lei parli con nessuno, ha l’istinto di girarsi e strozzarla fino a ucciderla, affinché non sveli a nessuno di come si sia presentato come un ragazzetto patetico alla sua porta con una confezione di sushi take-away.
«Perché? Probabilmente è per lavoro, sei il primo ad arrabbiarti quando perdo le telefonate dei clienti.» ribatte, titubante, cogliendo per un attimo la scintilla dei suoi occhi spaventati sotto le milioni di gradazioni di porpora del suo sguardo, che si affrettano a richiudersi sotto la coltre glaciale del suo volto inespressivo.
Non le risponde, mentre il telefono ricomincia a suonare, una seconda chiamata e una terza, poi una quarta, con tutta probabilità un tossico disperato alla ricerca della prossima dose. A ogni nota della musica sente i muscoli di Freezer divenire più contratti sotto la camicia, come se si colmassero di qualcosa, vibranti di minacce silenti.
Decide di alzarsi, stufa di aspettare, infilandosi le ciabatte guardandolo dritto negli occhi assenti, sperduti fra le immagini di pianeti e di stelle che vorrebbe dominare, stringere e far levitare fra le dita come giocattoli.
«Pensi che mi interessi se tu rimani o te ne vai? È solo una questione di rispetto verso il tuo padrone.» la provoca infine, non degnandola neppure di uno sguardo.
Padrone. No alza le sopracciglia e piega la bocca in un’espressione di disgusto. Vuole offenderla, usando le parole che sa ferirla di più, parole false, riduttive, che anche lui sa essere false, anche se non lo ammetterebbe mai, propaggini di quegli strali di oscurità che sopravvivono sul suo volto inossidabile, forgiato nel metallo. Si volta e attraversa il corridoio, le punte dei piedi nudi che saltellano sul pavimento gelato, e controlla le chiamate perse: come previsto, un cliente in astinenza al quale, dopo un lungo giro di telefonate, invia un altro spacciatore. Risolto il problema, torna nella stanza soddisfatta, sdraiandosi nuovamente accanto a lui come se nulla fosse successo. Fuma lentamente una sigaretta, avvolta sotto il plaid tiepido, osservando il suo profilo serio e concentrato come quello di un rettile primitivo della terra, uno strano sorriso che le incurva le labbra.
No si addormenta, scivolando nel sonno cullata dal ronzio del televisore e dai bagliori di luce, appoggiando la fronte alla spalla di Freezer. Lo cerca, lo cerca sempre quando dormono nello stesso letto, come se tutte le attenzioni che presta durante il giorno per non toccarlo e non infastidirlo andassero in fumo non appena smarrisce il controllo di sé. Lui la respinge, brusco, scansandosi all’istante ma decide di non andarsene.
Quando anche lui si addormenta, all’alba, dopo una nottata passata a girare i canali e a fumare una sigaretta dopo l’altra, l’ultima immagine che catturano i suoi occhi irritati e gonfi è quella del volto immobile di No, l’eye-liner colato e un chicco di riso ancora fra i capelli.
 
22 Novembre, mercoledì, ore 21:32
 
I brividi scuotono il corpo di No, fragile come una foglia tremula di fronte alla tempesta. Ha paura, le vene di carta vetrata che spingono sotto la pelle, l’energia che abbandona le sue membra, sempre più stanche. Corre, traballante, cercando di allontanarsi il più possibile, come se fosse sufficiente dissolvere la sua immagine dal campo visivo per dimenticarlo.
Continua a chiedersi cosa le sia balzato in mente quella maledetta sera, come abbia potuto pensare di chiedere aiuto, fra tutti, proprio a Freezer. Se solo fosse riuscita, come sempre, a rinchiudere quel dolore nelle segrete delle sue viscere, ad arginare la scarica di coltellate che le aveva trapassato il corpo con un respiro profondo, No avrebbe taciuto. Le sue labbra fini sarebbero state come guardiani e lei avrebbe dormito al suo fianco in silenzio, perfettamente consapevole del fatto che lui non avrebbe mai potuto darle nessuna delle risposte che cercava.
Stupida, stupida, maledetta stupida, si maledice, si è innamorata di Freezer e della sua freddezza, della sua sicurezza, del suo viso impassibile e dei suoi occhi eterni, plasmati nella stessa sostanza degli astri. E adesso osa offendersi perché lui ha manifestato, in piena coerenza con se stesso, la propria natura?
Ipocrita. Si morde le labbra, alterata, rifiutando di ammettere a se stessa ciò che chiunque le direbbe, che è più probabile trovare un ago in un pagliaio che farsi amare da un tipo come lui. Amare. Nel senso umano del termine, di quella stessa umanità che lei ha rigettato, vomitandola su un marciapiede insieme a tutto ciò che apparteneva alla sua vecchia vita, quella fatta di scadenze e di orari, di interrogazioni e verifiche, di gente più alta di lei sempre in diritto di dirle cosa fare. Qualcuno potrebbe dirle che ha soltanto cambiato padrone, ricadendo dalla padella alla brace, inginocchiata di fronte ad un’autorità ancora più suadente. Un’autorità più bassa di lei e dagli occhi iniettati di sangue.
Non si è mai sentita sottomessa da Freezer, neanche quando l’ha picchiata insieme al resto dei suoi scagnozzi, nemmeno quando le ha detto che faceva schifo, che a spararle le avrebbe fatto soltanto un favore.
Quell’unico schiaffo che le ha infiammato la faccia, quando si sarebbe strappata la pelle per farsi accarezzare da lui, per osservare le sue labbra chiuse e silenti, oppure per sentire le sue frasi misantrope che avevano sempre la speciale capacità di farla ridere, è stato più crudele di un proiettile.
Sei patetica
Mi disgusti
Ti odio
Le aveva lette nei suoi occhi di porpora. Anche se avrebbe dovuto aspettarselo, anche se la razionalità saccente dentro la sua testa lo aveva sempre saputo.
No non è mai stata in grado di avere rapporti sani con nessun altro essere umano. Si è sempre sentita un’aliena, calata dall’alto in una ragnatela di sorrisi, risate e convenzioni in cui non è mai riuscita a integrarsi.
Forse è per questo che ha scelto Freezer, perché le sembrava un alieno esattamente quanto lei.
Eppure, forse, mentiva soltanto a se stessa, cieca ai propri stessi desideri, cercando soltanto qualcuno che potesse amarla come è banalmente normale essere amati.
«Scusate! Permesso...» spintona fra la folla, sul punto di svenire. Ha bisogno di farsi, adesso, immediatamente, la nausea continua a vibrare nella bocca dell’esofago, sempre più intensa, accompagnata da crampi dolorosi al ventre. Suda, di un sudore gelido che sembra ghiaccio dentro i suoi vestiti, l’ansia così forte che potrebbe urlare. Non ha più un’altra dose e non ha soldi, non ha più un posto dove andare a dormire. Prova a telefonare a Zarbon, ma non ottiene nessuna risposta. Il panico la azzanna ripetutamente, disgregando il suo corpo in una miriade di brandelli. È da poco tempo che ha iniziato a farsi di eroina e non sa come fare a controllarsi, l’angoscia nel sentire tutto disfarsi, dolorante in ogni punto.
«Ehi! No! Come stai?»
È una voce cristallina, come di una cascata che scorre limpida lungo le rocce sotto il sole, sconosciuta e ambigua lungo i suoi timpani assordati dalla musica. Una ragazza con un caschetto bruno la saluta un gesto della mano, un sorriso smagliante dipinto sul volto. È veramente bellissima, No si smarrisce incantata nell’osservare le sue ciglia lunghe, seducenti, il corpo magro e prosperoso fasciato da un vestito a maniche lunghe di un colore simile al bordeaux.
«Scusa... ci conosciamo?» biascica, disinteressata, continuando a scorrere la rubrica del cellulare.
«Ma come?» ride, sorpresa e un po’ delusa, le sopracciglia chiare che s’increspano nella fronte lambita dalla frangia sfilacciata «Non ti ricordi di me?»
«N-No... proprio no.» ribatte, iniziando a sentire l’irritazione sfiorarle le clavicole. Non ha tempo per queste cose, deve trovarsi una dose e un posto per dormire. A come riorganizzare il resto della sua vita ci penserà domani, quando il sole e la sua pace torneranno a ricoprire la terra.
«Ma sì... sì... a quella festa il mese scorso, alla discoteca giù al molo, ti ricordi?»
La mente di No si riempie di immagini scure, indistinte, accomunate soltanto dai cerchi concentrici nell’acqua nera, sporcata della luce lunare. Il frastuono delle risate e della musica si dilegua condensandosi in un unico, opprimente silenzio profondo come le viscere della terra, dominato dalle gambe di Freezer sospese nel vuoto, ciondolanti sull’abisso del mare, i capelli viola frustati dalla brezza.
No, non se la ricorda proprio quella ragazza.
«Dai, ma così mi offendi! Mi stai dicendo che sono come tutte le altre?» ride, facendo la linguaccia.
«Senti, si può sapere cosa vuoi?»
No sta iniziando a innervosirsi, sente la gabbia toracica irrigidirsi intorno al suo cuore pulsante, la gola in una morsa arida, a disagio per l’audacia con cui la sconosciuta le afferra il polso trascinandola fra la folla. Inizia a domandarsi se potrebbe essere quella ragazza con cui aveva fumato a metà serata, stordita dai troppi bicchieri di assenzio, oppure quella a cui aveva tenuto la porta in bagno a causa della mancanza di serrature funzionanti.
Una bizzarra inquietudine inizia a invaderla mentre confronta quel viso gentile e sensuale con quelle immagini indistinte, sentendo che dovrebbe ricordarsi di qualcosa che in quel momento si nasconde come un gatto mimetizzato nell’erba del crepuscolo.
«In realtà sono venuta a cercarti per restituirti il favore...» dice la sconosciuta, bloccandosi in mezzo alle sterpaglie, nei pressi di un muro di casse in miniatura, assediato da almeno una ventina di persone, che ballano agitando le bottiglie di birra al ritmo di una melodia dubstep proveniente dalla cassa più vicina.
«Che favore?» ribatte No, sospettosa, analizzando minuziosamente il suo trucco impeccabile, inusuale per una frequentatrice di rave party. Sembra una ragazza ricca, di una classe sociale elevata, anche la borsa firmata sembra gridare lo stesso lusso dei suoi lineamenti.
«Questo!» sorride, infilandole qualcosa in mano e richiudendole il pugno con dolcezza «Sei stata veramente un angelo quella sera, se non mi avessi aiutata non so come avrei fatto...»
I suoi occhi si illuminano, blanditi da una luce cupa.
No si rilassa, un’immagine più potente delle altre si staglia nella sua mente, ricordando di aver dato una bustina di cocaina gratis a una ragazza che piangeva, seduta fuori dal locale con i collant strappati. La aveva tenuto compagnia mentre tirava, ascoltando i suoi racconti sconclusionati su quanto il suo ragazzo fosse uno stronzo e fosse scappato insieme alla sua borsa.
«Ah! Adesso forse mi ricordo di te!» mormora No, socchiudendo gli occhi.
Eppure quella ragazza se la ricordava più bassa. O forse bionda. Ma non ne è del tutto certa, quell’episodio si fonde nella sua memoria con almeno una decina di altri.
No non è per nulla adatta a fare la spacciatrice, nonostante le sue dichiarazioni ciniche tende a farsi impietosire fin troppo dal malessere dalla gente, specialmente dalle ragazze sole e disperate che le ricordano se stessa. E Freezer non è mai stato veramente severo con lei riguardo a questo suo deprecabile e infame altruismo, fingendo di non vedere come a volte i suoi ricavi fossero leggermente inferiori a quanto dovuto.
 «Non so se ho azzeccato i tuoi gusti... Ma qualcosa mi dice che ti piacerà.»
Questa è la prima volta in cui qualcuno si offre di ricambiare e un calore di imbarazzo misto a piacere divampa sul suo volto. Apre la mano tremante, dove un pacchetto di carta stagnola si dischiude lentamente nel mostrare della peccaminosa polvere bianca, quella polvere bianca.
Gli occhi di No scintillano involontariamente, mentre il suo intero corpo è attraversato da una scarica elettrica che le contorce i muscoli in un brivido doloroso. Non riesce a smettere di fissarla, ipnotizzata, mentre tutti gli altri pensieri, Freezer, la casa, la notte all’addiaccio, diminuiscono di intensità, come se si fosse abbassato il volume all’improvviso.
Se solo No alzasse lo sguardo in questo momento potrebbe di nuovo vedere la sconosciuta, immobile a una decina di metri da lei, celata fra le sagome fluttuanti della gente che brulica incessantemente, come un predatore mimetizzato fra le fronde degli alberi.
Se solo No non fosse posseduta dalla brama ringhiante che le ustiona le vene, potrebbe scorgere un sorriso sghembo dilatarsi trionfante su quel volto tanto aggraziato.
 
*
 
La trova subito, rovesciata a terra dietro un accampamento di tende vuote, le cui cerniere sono spalancate come bocche di enormi bestie rannicchiate.
È girata su un fianco, perfettamente immobile, la manica del braccio sinistro arrotolata maldestramente, la siringa ancora infilata nella piega del gomito. Vede soltanto i suoi capelli mescolarsi all’oscurità della terra e la sagoma del suo naso, mentre inizia a sentire qualcosa di liquido e gelido allargarsi lentamente dentro di lui. Ignora quella sensazione, mordendosi le labbra e spingendo con un piede il corpo di No a girarsi supino.
Pensi che ti lascerò andare?”
La mente di Freezer è un lungo corridoio infinito in cui si moltiplica l’eco di parole che adesso squarciano come lame.  
Si china leggermente su di lei, la coda candida del frac che affonda nel tappeto di foglie autunnali che scricchiolano sotto le sue scarpe eleganti. 
Il volto di No è intriso da una sfumatura bluastra, le labbra violacee, contratte e sporche di buio, come se avesse inghiottito la luna e gli oceani e li avesse intrappolati al suo interno, costretti a pulsare e rivoltarsi all’infinito dentro di lei.
Il suo petto si muove appena, impercettibile, gli occhi chiusi, le lunghe ciglia appoggiate sulla pelle come rami ricoperti di falene addormentate.
Il silenzio colma le vene e i ventricoli di Freezer come un soffio della bora. Non esiste più nulla, solo il corpo di No che si moltiplica infinite volte, in un caleidoscopio muto.
Non avrebbe mai dovuto lasciarla andare.
Ai lati del suo corpo, un accendino e un cucchiaio, su cui giace un sedimento granuloso, diverso dai soliti residui calcarei lasciati dall’eroina dopo essere stata aspirata. Freezer socchiude gli occhi, sospettoso, un ingranaggio della sua mente che scricchiola, un passo falso su un lago ghiacciato.
Zarbon è morto, Dodoria è morto, altri suoi seguaci sono completamente irreperibili da ore e adesso questo. Che diavolo sta succedendo? La rabbia e lo sdegno divampano sul suo volto, ridotto a una maschera deformata. Infila la mano nella tasca della giacca di pelle di No alla ricerca di indizi, non trovando nulla di rilevante eccetto il suo cellulare in standby.
Dovrebbe chiamare l’ambulanza e tentare di salvarle la vita, lo sa, in un anfratto minuscolo della sua mente sente soltanto il suono delle sirene, assordante, come un canto di guerra. Una guerra in cui lui ha perso, comportandosi come uno sciocco umano che si dispera per la sopravvivenza di una specifica vita, inutile e priva di significato come tutte le vite. No è soltanto una ragazza fra mille ragazze, si ripete, la sua vita non vale di più di quella di Zarbon o di Dodoria, ormai carne fredda e morta alle sue spalle, di cui ha già dimenticato persino l’odore. Non può perdere il suo tempo nell’aiutarla, mentre il suo nemico fiorisce alle sue spalle.
Inizia a esplorare il telefono di No, alla ricerca di qualunque dettaglio che possa fornirgli un’idea di come No, nota per la sua diffidenza, sia arrivata ad assumere droga probabilmente avvelenata.
Qualche chiamata di Zarbon, una ventina di clienti abituali, altri numeri di spacciatori del suo dominio, nulla di particolarmente sospetto. Nei messaggi un’unica recente conversazione, quella con Gibraltar, una sua amica che si è trasferita in una città a qualche ora di distanza per frequentare l’università.
«Ho paura. Mi sento annegare nella morte. È come se i muri della mia vita si restringessero ed io fossi costretta a fuggire verso il centro, arroccata fra le mie ossa, aspettando una fine inevitabile. Vorrei soltanto che mi stringesse. Che mi dicesse che andrà tutto bene, che potrò piangere sul suo completo elegante ogni volta che vorrò. La verità, invece, è che sono completamente sola.» dice il messaggio di No, al quale l’amica non ha ancora risposto.
Fra le conversazioni meno recenti, quella con Zarbon, risalente a quella notte.
«Cosa è successo? Ti ho sentita piangere e sbattere la porta. Mi era sembrato di essere stato chiaro. Richiamami», al quale No aveva risposto con un secco «Sono tornata al molo. Tutto nella norma, non preoccuparti.»
Il molo, qualcosa nelle gengive di Freezer brucia nel ripensare al tintinnio di quelle chiavi scivolare a terra. Una delle industrie abbandonate, sorte grazie all’abusivismo edilizio di una trentina di anni prima, una costruzione gigante come un colosso corroso dalla decadenza, consumata dal riverbero delle onde, tutta per lei, regalata in occasione del suo compleanno.
Quello che non vuole capire è che No preferisce di gran lunga dormire nel suo letto, rannicchiata nel lato opposto del suo materasso, cullata dall’odore della sua pelle e protetta dall’ombra oscillante del salice, al quale sono attaccati dei sonagli da vento che cantano nella notte.
Le è sempre piaciuto vedere il corpo immobile e silenzioso di Freezer mentre dorme, la curva della sua spalla nuda tendere le coperte. Non glielo ha mai detto, ma a volte lo toccava, pianissimo, al cardiopalma nella paura che lui potesse svegliarsi.
Si infila in tasca il telefono, rabbiosamente, non vuole più sapere niente di No, non vuole più vedere il suo corpo esanime, ricordare la sua voce, la luce malinconica dei suoi occhi, oppure ripensare a quanto fosse irritante senza occhiali la mattina, perennemente alla ricerca delle ciabatte disperse nel buio sotto il letto.
È onnipotente, lui.
È indistruttibile, lui.
Non ha paura dei vivi, né tantomeno dei morti. Non gliene importa più niente dei suoi occhi castani e della loro morbidezza, gelatina putrescente che nutrirà gli avvoltoi e i vermi. Niente, neppure delle sue mani piccole, che gli hanno confezionato una sciarpa fatta a mano con l’uncinetto, a fili alternati bianchi e viola. Era imperfetta, asimmetrica, il peso dei colori sgraziato, ma lunga e molto calda, della lana adatta ad affrontare l’austera stagione invernale. L’aveva guardata e aveva provato una rabbia cocente che lo aveva ustionato da dentro fino ad avvelenargli la lingua.
«Pensi forse che io indosserei uno schifo simile?» le aveva detto, mentre la gettava a terra, trapassandola con uno sguardo pieno d’odio. Lo stesso odio con cui la guarda adesso, vergognosamente esanime, vergognosamente morente, sempre così imbarazzante. Qualcosa attrae la sua attenzione e chinandosi di nuovo su di lei raccoglie una bustina trasparente, mimetizzata fra le foglie. I suoi occhi si dilatano in un misto di stupore e di rabbia: lo stemma dei Saiyan, impresso in un angolo, talmente piccolo da essere quasi invisibile.
Un boato d’ira sconvolge il suo corpo, veemente come un tuono, la pressione delle sue vene diventa insostenibile mentre pensa a quelle scimmie disgustose, scimmie più disgustose delle altre, rivali della sua famiglia da moltissimi anni. Come si sono permessi, come si sono permessi di invadere il suo territorio?
Freezer alza il mento e si morde le labbra, sentendo la bocca arida e tagliente, ha capito chi è il suo nemico, lo sa, lo vede, pregusta il suono del suo cuore spegnersi, le corde e i torrenti di carne dilaniati da uno dei suoi proiettili e ringhia, lasciandosi il corpo di No alle spalle.
Nessuno può permettersi di dominare nel suo territorio.
Nessuno.
Trascorre soltanto pochi minuti vagando per le centinaia di camper riuniti per il rave party, quando un odore particolarmente schifoso raggiunge le narici di Freezer. Un sinistro presentimento allerta la sua mano, che stringe Raggio della Morte come se facesse parte del suo corpo. È immerso fra gli alberi, alberi meccanici a quattro ruote che contengono vita: voci, gemiti, musica assordante, schiocchi di accendini che accendono sigarette, canne, riscaldano cucchiai o pipe, urla e schiamazzi dall’intensità irregolare.
Il ragazzo si gira, fino a osservare un camper diverso dagli altri. Le luci sono spente e non c’è nessuno, come se tutti fossero fuggiti, inoltre l’odore di un’acqua di colonia rivoltante permea l’aria, come quello del pelo di un animale bagnato nascosto nella boscaglia. Si avvicina, attento a non far schioccare le scarpe sulle foglie secche, fino a quando riesce a sporgersi dall’oblò e a osservare all’interno da un lembo della tenda lasciato dischiuso.
Il volto di Freezer si contrae in un’espressione di disgusto, socchiudendo per un attimo gli occhi, gli angoli della bocca rivolti verso il basso. Sta per andarsene, quando il suo sguardo viene di nuovo attratto dal volto di lui, sconvolto in un’espressione di intenso piacere.
Vegeta.
I capelli neri e scompigliati sul materasso, le iridi liquide ed eccitate, concentrate soltanto su di lei, bellissima e seducente, che si spinge voracemente contro il suo sesso come se non ne avesse mai abbastanza.
«Tutt-ah! Ah! Tutto... sarà nostro...» geme lei, chinandosi su di lui, i capelli azzurri e reclinati in curve morbide che si rovesciano sul suo petto.
Vegeta, il rampollo della famiglia Saiyan, il suo acerrimo rivale. Freezer alza le sopracciglia, nauseato: così sono le scimmie, dai grandi progetti, ma dalla carne debole in modo decisamente imbarazzante. Ai lati del materasso, nel cono d’ombra escluso dalla luce proveniente dai finestrini, scorge il brillio di cucchiai, aghi e polvere bianca sparsa ovunque, due cannule e una pipa. Gusci viventi che istigano all’omicidio, talmente intossicati da non rendersi più nemmeno conto di dove si trovano, sperduti in un piacere chimico e totalizzante.
«Prima i vermi e poi la puttana» ride lui, i denti bianchi come zanne aguzze in ghigno soddisfatto, la vista annebbiata in un caleidoscopio di capezzoli duri, saggiati rudemente dalle sue mani ruvide.
Ogni volta Bulma è in grado di stupirlo, scaltra come una serpe: sono bastate una parrucca castana e la sua parlantina, irradiata del suo irresistibile carisma, per ingannare No. Non è stato facile trovarla, No è un’ombra nella città, mai gli stessi orari, mai gli stessi posti, quasi sempre pedinata a vista da una delle guardie del corpo di Freezer. Invece, contrariamente alle aspettative, convincerla ad accettare quella bustina e a spararsela dritta in vena, si è rivelato paradossalmente troppo semplice.
Anche Bulma ride, il volto arrossato e rovente, mordendogli il collo e un orecchio, ben sapendo l’effetto che gli fa. Vegeta sa che non dovrebbe abbassare la guardia, sa che uno degli uomini di Freezer potrebbe presentarsi in qualunque momento e scoprire la strage che ha fatto, riempiendosi le mani di sangue malvagio, che ha ucciso tanta della sua gente e che meritava soltanto un lasciapassare per andare all’inferno. No è un effetto collaterale, una mera ripicca, con tutta probabilità una malata mentale che gioca a fare la fidanzatina, che Freezer avrebbe ucciso comunque, prima o poi, così come uccide tutti i suoi giocattoli, prima o poi.
Immagina di vedere l’occhio scarlatto di Freezer aprirsi sul soffitto, ovunque, come un frattale che si rigenera ovunque lui sposti lo sguardo. Ma non ha alcuna paura, lo farà a pezzi, perché finalmente è arrivato il momento della sua vendetta. Geme, confuso, annebbiato da un piacere travolgente che gli riempie le vene fino a scoppiare, immerso nella cavità bollente fra le cosce di lei.
Non immagina il sorriso aggraziato sul volto di Freezer, non immagina neanche lontanamente quanto profondi e pieni di perfidia possano essere i pozzi neri delle sue pupille che lo spiano, maliziose, al di là del vetro.
Inaspettato, Freezer scrocchia le ossa del collo a destra e a sinistra, irrigidendosi di superbia. Non ha intenzione di sprecare quest’opportunità di ucciderlo, leccando la canna metallica di Raggio della Morte in un gesto lascivo. Conosce quel tipo di camper e sa come fare: spara alla maniglia della porta, chiusa dall’interno, con una certa angolazione e fa saltare la serratura in un tonfo sordo. La porta si spalanca, in un cigolio, rivelando la ragazza nuda, in piedi e terrorizzata a pochi passi da lui. La guarda con maniacale attenzione, percorrendo con lo sguardo le ombre dei suoi seni formosi, su cui rilucono ancora le tracce umide dei baci di quella scimmia orribile. I suoi fianchi, così stretti e sinuosi. Il suo viso armonioso, le labbra carnose e sporgenti.
“Rivoltante sentenziano le sue sinapsi, spietate, mentre una smorfia gli deturpa la faccia.
Raggio della Morte grida, tremante fra le sue dita, trapassando il cervello di Bulma in un sibilo di frantumi, simile al suono delle onde violente che si infrangono sugli scogli durante una tempesta.
Si scopre a pensare a quanto No fosse più bella di lei, nella sua disarmante imperfezione.
Si gode lo sguardo allucinato di Vegeta, le pupille dilatate e traballanti, talmente intossicato da non riuscire a muoversi. Paralizzato, guarda la sua pistola troppo lontana, mescolata alla miriade di sostanze stupefacenti e di vestiti strappati nella foga di un festeggiamento rivelatosi troppo precoce.
«Perché non sei ancora in ginocchio?» sussurra Freezer, delicato, piegando appena il capo in un’espressione falsamente sorpresa. Si avvicina, lento e suadente, puntandogli Raggio della Morte addosso come un lupo feroce trattenuto a stento dalle catene. L’angoscia colma la mente di Vegeta come un recipiente, incatenando tutte le sue sinapsi in un unico grumo pulsante.
«Magari posso aiutarti...» ridacchia ancora, sparandogli due colpi alle caviglie. Vegeta stramazza al suolo ululando di dolore, le mani che si contraggono sul linoleum del pavimento, graffiando, cercando disperatamente una via di fuga. Ma non c’è alcuna via di fuga, non più, pensa lui mentre fissa il cadavere tiepido e nudo di Bulma, i capelli azzurri come un refolo d’acqua pura, inquinati dall’oscurità di un tramonto di sangue.
Lo stesso sangue che ora imperla i suoi piedi, le sue cosce, il distillato dell’arroganza di chi crede di avere potere ma è soltanto un misero plebeo, impotente di fronte all’Imperatore.
Freezer si china su di lui, afferrandogli il mento fra le unghie e sollevandolo per sprofondare nei suoi occhi corvini, oscurità come la sua ma scadente, di un nero slavato e fasullo.
«Scimmia... scimmia schifosa!» grida, liberando le bestie immonde nascoste nel suo volto, indemoniate e furiose come fantasmi maledetti. Lo colpisce con il calcio della pistola, ripetutamente, non è sufficiente ucciderlo, vuole vederlo soffrire, gemere, piangere e supplicare pietà, vuole che soffra come un cane, vuole vedere la sua carne aprirsi come un frutto maturo che secerne succo prezioso. Vegeta prova a colpirlo di rimando ma non riesce, troppo stordito dall’amalgama di alcool e droghe che rende i suoi nervi lenti e anestetizzati.
Soltanto quando Vegeta vomita sangue e succhi gastrici sulle sue scarpe, allo stremo delle forze, malmenato al punto che anche le sue mani iniziano a tagliarsi per la violenza dei colpi, Freezer si ferma, specchiandosi a lungo nei barlumi che restano dei suoi occhi, circondati da lividi neri e gonfi, nutrendosi del suo ultimo sguardo, vacuo e opaco.
Sazio di onnipotenza e di potere, tracimante di vendetta dolcissima, lascia che le sue dita accarezzino il grilletto di Raggio della Morte. Non riesce a non pensare al proiettile che sprecherà, conficcato nel suo disgustoso cranio di scimmia.  
«Se la incontri, all’inferno... dille di aspettarmi.»
Certe cose si possono dire soltanto ai morti.
 
*
 
È tutto perfetto, meravigliosamente perfetto.
Si è liberato di tutti i suoi nemici. Il bastardo, la puttana e dopo i seguaci del bastardo e della puttana, uno stuolo di amebe mediocri e imbambolate, attirate dagli spari, che vagavano come vegetali decerebrati intorno al loro camper. Freezer ha ricaricato la pistola e ora siede su un divano sfondato sorseggiando un bicchiere di whisky, le labbra contratte nell’aspirare il fumo di una sigaretta insoddisfacente.
Ha perso alcuni seguaci in una trappola a dir poco demenziale, ma non ha la minima importanza: nessuno verrà a sapere delle circostanze della loro morte e a nessuno importerà di indagare. Le vite di Zarbon, Dodoria, No e degli altri uomini che ha ritrovato sgozzati in un fossato celato dai rovi, non hanno mai avuto nessun valore. Pedine di carne scagliate su un campo di battaglia a farsi a pezzi, pienamente sacrificabili. 
È tutto perfetto. Ha ancora l’impressione di sentire, in un gioco di echi che sussurrano sotto la musica assordante, il suono del sangue dei suoi nemici scorrere e ricongiungersi alla terra affondando nel suolo gelido. Il suono dei bossoli dorati della sua Glock 18 che tintinnavano a terra è stato solo un talismano fatuo, un illusorio amuleto nei confronti dei demoni che stanno ricominciando a sorgere più forti di prima, mostri che gridano e piangono sangue nei recessi delle sue viscere.
Tenta di rilassare i muscoli, abbandonandosi completamente sul divano, rovesciato come un liquido che si espande su una superficie, circondato dallo sciame di persone che gridano, si accalcano e ballano intorno a lui, nel caleidoscopio vorticante di bottiglie di birra che riflettono le luci stroboscopiche di ogni colore, la cui frequenza è talmente elevata da far sembrare tutto tremante, scisso in fotogrammi staccati.
«Feel the agony, I come down like false gravity…We're here to take you back with us7»
Il beat lento della canzone esordisce come un’onda lontana, una piccola increspatura all’orizzonte, le vibrazioni delle casse che iniziano a tormentargli lo stomaco e a distorcere l’aria, divenuta polvere di sassi disgregati dall’ipnosi inarrestabile del muro di casse.
Una delle sue canzoni, ma quando esplode in tutta la sua potenza non prova alcun piacere, soltanto l’angoscia che sale sempre di più, a ogni nota, come colpi di pistola che si avvicinano minacciosi alle sue spalle, mitragliatrici graffianti che lo fanno sussultare come se fosse circondato, lo scroscio dei piedi della gente divenuto un rullo di tamburi di guerra.
«Listen…We're here to take you back with us»
Ripete la voce, suadente, mentre i brividi ghiacciati iniziano a scendergli lungo la schiena. Cerca frettolosamente l’orologio da taschino per farsi una dose, ma ciò che gli finisce tra le mani per primo è il telefono di No. Lo guarda, come se fosse una bomba a orologeria sul punto di esplodere, e guidato da un movimento istintivo lo sblocca, aprendo di nuovo i messaggi. Legge e rilegge, fiumi di sms inutili, fino a quando decide di aprire la propria conversazione e nota un messaggio, non inviato, in cui lampeggia ancora il cursore: “Parliamone. Non voglio perderti...”.
Una vampata di rabbia gli incendia il volto e il petto, incandescenti, e d’istinto getta il cellulare fra i piedi della folla scalpitante. Non vuole più vederlo, quello stupido surrogato bugiardo, lei lo ha rinnegato e ha avuto la fine che si merita, la fine dei traditori e dei creduloni, avvelenati a morte per la propria ingenuità.
Anzi, dovrebbe proprio ringraziarlo quel Vegeta per averlo liberato di una seguace tanto stupida e sprovveduta, tanto ingrata, tanto inutile, tanto infedele e tanto maldestra.
Eppure, dentro di lui, non risuona altro che il silenzio.
Non il fruscio sconnesso degli astri e dei pianeti che gravitano, un silenzio di morte. Di buio e di lutto, di radici strappate ed esposte al vento impietoso che le divora, le consuma e le uccide, centimetro dopo centimetro, di terra arida e nera, incenerita dal fuoco. Una gravità rovesciata e sinistra, che risucchia tutte le sue forze verso il cuore dolorante, gli arti come propaggini robotiche, svuotate di vita. Una striscia non basta, due, tre, non guarda nemmeno con attenzione la quantità di polvere che si versa sul dorso della mano e inspira, ripetutamente, lasciandosi cadere sulla schiena e osservando il cielo stellato, indenne al frastuono e alle luci, immobile e silente dominatore della terra.
“Parliamone. Non voglio perderti...”
È un’eco che inizia a corrodergli i timpani, un richiamo lontano e impossibile, perché l’ha lasciata morire, perché ha guardato impassibile i suoi occhi chiusi e la sua pelle diafana, intessuta di una sfumatura blu. Freezer trema convulsamente, mentre il cuore batte sempre più forte, intossicato dalla cocaina, le vertigini che invertono cielo e terra come una clessidra alimentata a sangue. Geme, rabbioso, rinchiudendosi in se stesso e coprendosi il volto con le mani.
«Ora lei è mia, mia, mia...» strilla una voce nelle sue orecchie, così forte da farlo sussultare terrorizzato. Riapre gli occhi, non riesce più a distinguere nulla e nessuno nei dettagli, tutto disciolto in un ribollire di colori e di luci a cui è stato azzerato il volume.
No si avvicina con Raggio della Morte stretta fra le dita, puntandogliela addosso, sul volto uno sguardo folle, tinto di porpora, metà del volto scarnificato, carne viva e pulsante, sotto la quale brulicano le ossa e i tendini. Il sangue la ricopre come un manto lucido, copioso lungo il collo e il vestito viola che indossa, raso lucido e aderente sui suoi seni, morbido nel lasciarle scoperte le lunghe gambe.
«Saresti dovuto morire tu, quel giorno, al suo posto.» sibila No, increspando la metà inviolata delle labbra in un ghigno di derisione. Freezer spalanca gli occhi, allucinato e incredulo. Quella non è No, non può essere lei, No è morta e non sa le origini delle sue cicatrici del suo corpo pallido, non sa nulla di quel che accadde quel giorno del suo compleanno.
Rovente, ustionato dall’interno e tremante, Freezer tace, sconvolto dall’immagine intermittente di No, che si morde lasciva la lingua.
«Tu saresti voluto morire al suo posto.» sibila una donna, avanzando lentamente dall’oscurità alle spalle di No. Il suo volto delicato e sibillino si moltiplica, gigantesco, sempre più vicino, lacerato da un sorriso talmente ampio da spalancarsi in modo innaturale lungo le guance, lambendo addirittura le orecchie in una fila di zanne acuminate da cui stilla il veleno.
Freezer non può ascoltare quelle parole, non può specchiarsi in quegli occhi scarlatti, liquidi e vischiosi come il sangue, che lo fissano con la stessa bramosia delle bestie della foresta, impazienti di trangugiare il suo dolore.
Si sente lo stesso bambino di allora, impotente e solo, in balia delle sue mani curate che gli tappavano la bocca per sopprimere le sue urla e i suoi gemiti mentre lo tormentavano, ogni volta più della precedente, rinchiudendo ogni volta la sua anima in uno spazio più piccolo.
Trema in preda alle vertigini, sudato, un senso di nausea che gli attanaglia lo stomaco. Grida in mezzo alla folla fino a quando la voce non gli muore, sentendosi il cuore compresso in una morsa dolorosa, arpionandosi il petto con le unghie attraverso la camicia candida. Fa male, fa tanto male, vorrebbe solo strapparselo, il cuore batte così forte nel suo petto da eliminare ogni silenzio. Esiste solo un’unica contrazione, eterna, che rimpicciolisce e comprime sempre di più il suo centro fino a ridurlo a un puntino. Annaspa e geme, non vuole più soffrire, il vuoto infuria nei suoi occhi, disperato, non più controllato, come gli inferi rovesciati sulla terra.
Ricorda all’improvviso il gusto dei biscotti a forma di fiocco di neve, mordendosi le labbra a sangue, ricorda il sorriso timido di No, che lo fissa e poi distoglie lo sguardo imbarazzata continuando a sorridere ai fiori sgargianti di un tiepido pomeriggio primaverile.
Bugie, soltanto bugie. Non è mai stato un dominatore della morte, soltanto un bambino troppo impaurito e non lo sopporta, non vuole quei pensieri, non vuole quei ricordi, non vuole più nulla. Freezer afferra Raggio della Morte e se la punta addosso, sotto gli occhi trionfanti delle due donne. Fa male, fa troppo male, non riesce a chiudere quei sentimenti affilati nella scatola degli astri.
L’occhio silente di Raggio della Morte lo fissa, buio come la porta dell’abisso.
Pensa che vorrebbe tornare indietro nel tempo e rimanere immobile quella notte, ascoltando il pianto di No come si ascolta lo scroscio di un temporale, con la malinconia addosso e una sottile angoscia di annientamento, i vetri della casa sempre troppo sottili di fronte alle bufere. Il suono di quel pianto era terribilmente simile al proprio, a quell’ultimo canto di tristezza che si è concesso prima di tramutarsi nel tiranno dei propri sogni di bambino.
Due spari trapassano il corpo pallido di Freezer, Raggio della Morte che scivola lentamente dalle sue dita. Le sue membra si sparpagliano a terra, i fantasmi dissolti e trucidati, richiamati dal precipizio.
Dalla sua spalla destra e dal suo petto sbocciano fiori di sangue, cascate di un rosso fosforescente che si mescola sul suo completo candido a quello di Vegeta, divenuto scuro. 
Sorride lievemente, arrogante anche di fronte alla morte, le iridi di porpora lambite dalla pace dello spazio buio e silenzioso, la luce che muore nelle pupille opache. 


Continua...



4 Marylin Manson – Speed Of Pain
https://www.youtube.com/watch?v=zP5-qj58FBc
 
5 Dead By April – Our Worlds Collide
https://www.youtube.com/watch?v=fqKi94PKI_o
 
6 Dead By April – What Can I Say
https://www.youtube.com/watch?v=KQXEt1JNUhE
 
7 Angerfist – Take U Back
https://www.youtube.com/watch?v=PiZd2jV7XXg

 
  
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