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Autore: mercysheals_    21/12/2017    1 recensioni
"Le sarebbe mancata, lo sapeva. Sperava soltanto che stesse bene, e che non le succedesse nulla.
Sorrise al ricordo di quel dolce, ma contemporaneamente amaro saluto, e posò la foto accanto alle sue cose. Era ora di concentrarsi, e di mantenere la promessa che aveva fatto alla ragazza. Doveva restare viva."
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Angela 'Mercy' Ziegler, Fareeha 'Pharah' Amari, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza
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Heroes Never Die - A Pharmercy fanfic.

Angela inizió a togliersi, lentamente e con molta attenzione, la sua tuta Valchiria. Valutó rapidamente i danni che aveva subito durante la battaglia, qualche graffio sparso sul corpo, e qualche livido, ferite superficiali che sarebbero guarite presto. Sciolse i capelli — raccolti in un'alta, stretta coda — che le ricaddero sulle spalle incorniciandole il viso come una cascata dorata. Sospiró, mentre si osservava allo specchio. Studió il suo viso, gli occhi stanchi, le chiazze nere che li cerchiavano a causa della mancanza di sonno. Era sempre molto scossa dopo le battaglie. Era ancora molto faticoso per lei, nonostante avesse visto cose ben peggiori, abituarsi alla vista di persone sofferenti, al suono che le armi producono quando colpiscono un'essere umano, all'odore di polvere da sparo che ormai respirava piú spesso della stessa aria. Di solito, dopo una missione, aveva incubi per diverse notti. Sognava di ritrovarsi in battaglia con Fareeha al suo fianco, di nuovo. Prima che andassero a combattere, entrambe erano felici di ritrovarsi fianco a fianco. Sarebbe quasi sembrato un bel sogno, se non fosse che, proprio mentre le due seguivano il proprio team, pronte a dare del loro meglio, Fareeha venisse colpita. Alla testa. Da un cecchino nascosto.
Nonostante Angela avesse avuto questo sogno centinaia di migliaia di volte, ancora non riusciva a reagire in tempo, ad avvisare la sua amata della pallottola che le avrebbe perforato il cranio pochi secondi dopo. Nel momento in cui il colpo veniva sparato dal fucile, si sentiva solo un fischio, e poi un tonfo, quello del corpo dell'egiziana che colpiva il suolo. In genere, questo era il punto in cui Angela apriva gli occhi, si sedeva in mezzo al letto, ed urlava, e piangeva. Era successo centinaia di migliaia di volte, e lei non ci aveva ancora fatto l'abitudine. Dopo essersi svegliata di soprassalto, non riusciva mai a dormire, e allora andava a sedersi sul divano, con le gambe e le mani ancora tremolanti per lo spavento. 
Scosse la testa, come se stesse cercando di scacciare via quell'aura di negatività che l'aveva circondata. 
Si avvió verso la doccia, e cercó di rilassarsi. Dopotutto, se lo meritava. 
Quando ebbe finito, uscì lentamente, fece attenzione ad asciugare bene ogni angolo del corpo, ed indossó qualcosa di comodo. Si sentiva estremamente stanca, come se il suo corpo si fosse appesantito. Detestava sentirsi senza forze, debole. Ció che odiava di più, peró, era la solitudine. Quella casa sembrava immensa, senza nessuno con cui condividerla. Faceva male vedere la poltrona preferita di Fareeha vuota, la sua tazza ancora riposta con cura nella credenza. Aveva bisogno di parlare con qualcuno, di sfogarsi. Aveva bisogno di discutere con una persona che provasse gli stessi sentimenti, e che potesse capirla. 
Non ebbe alcun dubbio su chi chiamare. Afferrò la cornetta del telefono, quasi fosse la sua ancora di salvezza. Compose il numero velocemente, mentre le mani prendevano a tremarle. Sentiva le lacrime pizzicarle gli occhi, per una volta era lei quella che aveva bisogno di supporto. 
Il telefono squilló un paio di volte, poi sentì la voce rassicurante e calma di Ana Amari, che sussurrava “Pronto?” 
Angela sospiró, cercando di ricacciare indietro le lacrime.
“Per favore, ho bisogno di parlare” disse, con voce tremolante ed incerta. “So che puoi capirmi. Potresti venire? Preparo del tè.” 
Poteva quasi immaginare il viso di Ana, dall'altro lato della cornetta. Stava probabilmente guardando il terreno con aria comprensiva e triste, e giocando con il filo del telefono.
“Certo, Angela.” Rispose, dopo qualche secondo. “Saró lì da te molto presto.”
   
 
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