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Autore: Napee    23/12/2017    8 recensioni
Gli amori finiscono, gli amanti si lasciano, ed i due "ex", a volte, vorrebbero non vedersi mai più.
Ma cosa accadrebbe se ,per un sadico gioco del destino, ci si ritrovasse il proprio ex come capo?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Rin, Sesshoumaru | Coppie: Rin/Sesshoumaru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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5. Nuovi e vecchi incontri


 

Il vento gelido del nord gli sferzava il viso con violenza, arrossandogli la pelle candida sulle guance e sul naso.
La neve che cadeva in abbondanti fiocchi bianchi gli rendeva difficoltoso il volo, ma la sua meta spiccava nera ed imponente dinanzi a lui.
Una fortezza impenetrabile, il carcere di massima sicurezza per demoni ribelli. Un castello nero in cemento che si ergeva nel bel mezzo del niente, circondato dalla più gelida desolazione del polo nord.
Circondata da mura sacre, sorvegliata da monaci potenti al servizio dei grandi capi del mondo. Un luogo che avrebbe fatto rabbrividire ogni demone a questo mondo.
L’aura che emanava quel luogo era talmente pura che quasi toglieva il respiro.
I detenuti contenuti all’interno di celle inespugnabili, vivevano annichiliti sotto a quello schiacciante potere sacro, perennemente a rischio di purificazione.
Sesshoumaru atterrò nei pressi di quel luogo barcollando a causa di quel potere così destabilizzante.
Materializzò le sue spade demoniache al suo fianco ed impugnò Tenseiga ergendo una barriera protettiva che gli consentisse di proseguire senza rischiare di essere purificato.
La neve gelida gli congelò i piedi e le caviglie mentre avanzava in diversi metri di fiocchi candidi accumulati a terra.
Almeno il vento era mitigato dalla barriera demoniaca della spada.
Avanzò fino all’imponente portone d’ingresso, dove un monaco tutto avvolto in un cappottone lo accolse con un sorriso amichevole che gli fece venire la nausea.
Anche se era ormai integrato nel mondo umano, non si sarebbe mai abituato a quei gesti di solare confidenza che le persone erano solite scambiarsi.
L’uomo gli porse un tablet dallo schermo verdastro con la mano avvolta in uno spesso guanto, e Sesshoumaru poggiò il palmo sullo schermo gelido attendendo il tintinnio e la voce metallica che gli avrebbe consentito l’accesso.
L’uomo guardò il tablet per un secondo, digitò qualcosa sullo schermo con un pennino ed infine gli sorrise di nuovo.
“La stavamo aspettando, bentornato Signor No Taisho!” Gioì infine, ma dal demone non ottenne alcun cenno di risposta.
Avanzarono all’interno della struttura richiudendosi l’imponente portone alle spalle e subito il caldo tepore all’interno gli scaldò le membra congelate.
Sesshoumaru aggrottò le sopracciglia ripensando alle parole dell’uomo.
“Perché mi aspettavate?” Chiese infine, carezzando distrattamente l’elsa di Tenseiga e mantenendo eretta la barriera demoniaca.
“Suo padre l’ha sentita arrivare e ci ha avvisati.” Spiegò l’uomo iniziando a spogliarsi dal pesante giaccone ed appendendolo ad un gancio accanto alla porta.
Suo padre… doveva immaginarselo.
“Dov’è ora? Devo parlargli.” Chiese il demone con fare autoritario e burbero.
Il suo umore apparentemente piatto si inaspriva sempre quando si trattava di suo padre.
“È nel suo ufficio. Vuole che l’accompagni o si ricorda la strada?” Chiese cortese l’uomo, ma Sesshoumaru si era già avviato per quel dedalo di corridoi senza degnarlo di risposta alcuna.

L’immenso ufficio di suo padre era esattamente come se lo ricordava: fastidiosamente arredato.
Ogni dove proliferavano come funghi ninnoli vari, foto di famiglia – nelle quali Sesshoumaru aveva sempre la solita espressione atona – fascicoli e documenti vari spuntavano di quando in quando fra le mille statuette di porcellana disseminate sulla scrivania e sui mobili.
Una lampada, ingombrante ed appariscente, in legno scuro, troneggiava nell’angolo accanto alla finestra sotto alla quale faceva bella mostra di sé una poltroncina in pelle scura. Sopra a quest’ultima, si era assopita Izayoi con un libro fra le mani.
Sesshoumaru si guardò attorno riconoscendo il tocco della madre di suo fratello un po’ ovunque.
Suo padre, il direttore del carcere di massima sicurezza, gli rivolse un sorriso entusiasta nel quale Sesshoumaru rivide tantissimo suo fratello.
“Bentornato, figliolo! A cosa devo questa visita?” Lo accolse suo padre moderando il tono della voce per non svegliare la compagna.
“Ho da fare.” Tagliò corto Sesshoumaru avanzando nello studio e prendendo posto su una delle sedie davanti alla scrivania imponente del direttore.
“Aprimi la cella di Naraku.”
Inu sospirò guardandolo con sospetto.
“Non posso. È contro il regolamento e lo sai bene, quindi perché una simile richiesta? Cosa c’è sotto?”
“Non lo so…” ringhiò Sesshoumaru sentendo ribollirgli il sangue nelle vene al sol pensiero di aver messo in pericolo Rin.
“Ma ho tutta l’intenzione di scoprirlo.”
Inu studiò attentamente la reazione del figlio, non perdendo l’esatto istante in cui conficcò le unghie nei braccioli.
“Cosa sai?” Chiese diretto e schietto, senza troppi giri di parole.
“Niente a dire il vero, ma temo che lui sia arrivato a Rin.”
“Ti avevo detto di tagliare i conti con lei!” Sbottò il genitore alzando la voce e svegliando inesorabilmente la sua compagna.
“Inu… caro…” sbadigliò Izayoi sussultando per lo spavento.
Inforcò gli occhiali da vista e mise pigramente a fuoco la scena che le si parava davanti.
Sesshoumaru e Inu tesissimi come corde di violino che si squadravano in cagnesco ringhiando sommessamente. Ci mise davvero poco a capire di essere di troppo.
“Vado di sopra.” Annunciò infine ricevendo soltanto il silenzio in risposta.
“È sempre un piacere vederti Sesshoumaru.” Sorrise gentilmente uscendo dalla stanza.
“Spero di vederti più spesso… ed in circostanze migliori.” Pigolò cauta chiudendosi la porta che portava al loro appartamento alle spalle.
E quando il click della serratura invase la stanza silenziosa, Inu sospirò esausto rilassando le spalle.
“Ti vuole bene, Sesshoumaru. Potresti almeno risponderle quando ti parla?” Chiese il genitore lasciandosi andare pigramente sulla poltrona. Adesso, solo la scrivania si frapponeva fra i due demoni ed Inu sperava davvero che non finisse in mille pezzi come la volta scorsa.
Far arrivare una scrivania nuova di pacca fino al polo nord era una vera impresa ogni volta.
In risposta, Sesshoumaru sbuffò con aria annoiata.
“Sono passati trent’anni dalla sua ultima reincarnazione e tu ancora non la vuoi accettare in famiglia…” esalò sconsolato il genitore passandosi una mano sulla faccia.
“Sei senza speranza…” aggiunse infine poggiando i gomiti sul legno scuro della scrivania.
“Non sono venuto per una visita di cortesia.”
“Lo so, sei venuto perché hai fatto una stronzata e vuoi che rimedi al danno.”
Sesshoumaru digrignò i denti ed artigliò i braccioli della sedia forandoli con le sue unghie acuminate.
“Non ho commesso errori. Ho chiuso con lei molto prima di rintracciarlo, ho tagliato tutti i ponti che potevano ricondurla a me…”
“Evidentemente non tutti!” Sbottò di nuovo il genitore sbattendo un pugno sulla scrivania.
Si alzò dalla sua poltrona comoda camminando nervosamente per la stanza. Stare fermo era divenuto impossibile per via del suo nervosismo.
“Non prendermi per uno sprovveduto, è della vita della mia compagna che stiamo parlando!” Sbottò anche Sesshoumaru, ringhiando minaccioso.
Il genitore si aprì in un sorriso spavaldo, di scherno. Aveva capito esattamente dove fosse il problema.
“La tua compagna?” Chiese mellifluo mostrando i canini appuntiti.
“Non avevi detto di aver tagliato ogni legame?”
Sesshoumaru corrugò la fronte confuso d all’improvviso cambio di atteggiamento da parte del genitore.
Dove voleva arrivare?
Rin sarebbe rimasta comunque la sua compagna nonostante la rottura. Così come era sempre stato da secoli ormai, di reincarnazione in reincarnazione.
Le loro anime, destinate l’una all’altra, si sarebbero sempre cercate e ritrovate, perché così doveva essere e quel filo indistruttibile non si sarebbe mai spezzato.
“È quello che ho fatto. Niente poteva ricondurmi a lei.” Rispose Sesshoumaru risoluto e sicuro delle sue parole.
“Dove lavori adesso, Sesshoumaru?”
“Alla centrale di Nerima.”
Inu rise debolmente passandosi nervosamente le mani fra i lunghi capelli argentei.
“Sei un tale imbecille…” Sospirò esausto con voce derisoria, poco prima che un poderoso pugno spaccasse in due la pregiata scrivania.
“Spacca tutto quello che vuoi, le cose non cambieranno comunque.” Sibilò serio e minaccioso, animato nuovamente dall’ira più nera che Sesshoumaru avesse mai visto dipinta sul suo volto.
“Basta con i giri di parole! Come l’hanno trovata?”
“Hanno atteso, perché tanto, prima o poi, saresti tornato da lei.” Spiegò il demone massaggiandosi profondamente le tempie. D’improvviso, un indesiderato mal di testa gli aveva attagliato il cranio e non sembrava volersene andare tanto facilmente.
Sesshoumaru corrugò le sopracciglia confuso, ripensando a tutti quei giorni di separazione in cui si era impegnato a depistare ogni fonte che avrebbe potuto ricollegarlo a lei.
Ogni foto bruciata, cellulari distrutti, profili social azzerati completamente. Ogni traccia di Rin, anche minima che fosse, era stata distrutta o nascosta abilmente.
Eppure, la cosa più lampante e potente che li univa non era stata celata agli occhi del malvagi: il loro Legame.
Quel filo invisibile che li avrebbe sempre fatti rincorrere nei secoli, cercandosi, ritrovandosi, unendosi di nuovo fino alla reincarnazione successiva.
Barcollò all’indietro, Sesshoumaru, trovando un sostegno nel muro dietro le sue spalle.
“Come ho potuto…” Bisbigliò incredulo fra sé e sé mentre cercava di ricordare un collegamento ancora visibile, un incontro indesiderato e, prepotente e violento, lo scontro fra loro qualche giorno prima, quando Rin era fuggita via in lacrime.
Era stato un atteggiamento sospetto… troppo inusuale affinché passasse inosservato.
Persino alcuni colleghi avevano capito che fra loro c’era stato qualcosa, figurarsi un possibile pedinatore che sicuramente lo teneva sott’occhio da quando Naraku era stato rinchiuso in carcere.
“Come posso rimediare?” Chiese infine risoluto. Il momento di debolezza era stato accantonato velocemente e adesso, dinanzi al genitore, si ergeva il fiero e spietato calcolatore principe dei demoni.
“Devi nasconderla e fuggire in un posto sicuro. È l’unico modo.”
“Dove?”
“Dove non possono raggiungerti. Anche qui, se necessario.” Sospirò il genitore, incurvando tristemente le spalle.
Sesshoumaru, udendo quelle parole e vedendo quella reazione inusuale per il fiero demone, non riuscì a non domandarsi se anche a lui fosse accaduto la stessa cosa e se Izayoi vivesse lì, nella struttura, solo per protezione. Era un dubbio che mai avrebbe espresso a parole, ma la tristezza e quel senso di colpa che aleggiava negli occhi del genitore, erano una risposta ben più che eloquente.
“Prima voglio scoprire cosa sa Naraku.” Dichiarò infine, rivolgendo il suo sguardo alla porta dell’ufficio oltre al quale si estendeva un dedalo di corridoi infiniti che portavano fino alle celle nel sottosuolo.
Inu sospirò esausto.
“È contro il regolamento, ma ti concedo dieci minuti. Non un secondo di più, Sesshoumaru.” Concesse il demone con qualche reticenza.
Sesshoumaru annuì in silenzio inforcando la porta a grandi falcate.
Dieci minuti sarebbero bastati.

La gelida cella in cui lo aveva sbattuto tempo addietro era rimasta esattamente come se la ricordava.
Un buco angusto ed opprimente capace di far diventare claustrofobico chiunque vi stesse più di pochi minuti.
Naraku era lì, al centro di quelle quattro mura, legato con pesanti catene sacre che gli marchiavano la pelle a fuoco con scie scarlatte grondanti sangue.
Ma il suo sorrisetto mellifluo ed al contempo agghiacciante, non l’aveva ancora perso, quel bastardo.
“Sesshoumaru, qual buon vento!” Lo accolse canzonatorio, Naraku, alzando la testa quel tanto che bastava per guardarlo negli occhi.
“Come ci sei arrivato?” Chiese Sesshoumaru senza troppi giri di parole.
Naraku lo guardò confuso, mentre una domanda aleggiava nei suoi occhi scarlatti.
“A cosa? Non so di cosa state parlando, agente.” Sorrise mellifluo, il demone, squadrando Sesshoumaru come se volesse farlo a brandelli in quel momento.
Il ringhio irato di Sesshoumaru scosse la struttura fin nelle fondamenta, facendo crollare dal soffitto qualche sassolino e della polvere.
Odiava essere preso in giro, soprattutto da un farabutto come lui.
Si avvicinò al demone prigioniero, lo afferrò per il bavero della tuta arancione da carcerato e lo sbatté violentemente contro la parete opposta.
Ormai solo un soffio d’aria separava i loro volti.
Gli occhi di Sesshoumaru, iniettati di sangue, non parevano sortire alcuna reazione in Naraku che, anzi, non aveva mai abbandonato quel suo sorrisetto irriverente.
“Non prendermi per il culo, schifoso bastardo!” Tuonò il commissario, mentre il rumore di un allarme e i passi concitati degli agenti riempivano i silenziosi corridoi alle loro spalle.
“Come l’hai trovata? Parla!”
“Sesshoumaru, non so di chi stai parlando. Sul serio, io-…”
Il rumore ferroso della porta che si apriva violentemente sui cardini lo interruppe, e Naraku guardò con somma ed immensa felicità gli agenti che trasportavano fuori il suo rivale mentre si dimenava in preda all’ira.
Una risata gli gonfiò il petto. L’algido e sempre composto Sesshoumaru No Taisho perdeva completamente le staffe se si trattava di quella ragazzina.
Sorrise, quella poteva essere la sua ultima occasione per torturarlo, dopotutto.
“Ti capisco però, Sesshoumaru.” Iniziò Naraku leccandosi le labbra con aria famelica.
“Per due occhi come quelli, anche io impazzirei.”
Ed il dolce suono del ringhio gutturale del demone che veniva trascinato via con la forza, lo cullò per ore interminabili in quella cella angusta e solitaria.

Inu strattonò il figlio per i capelli e lo scaraventò contro la parete intonsa del suo ufficio, crepandola inevitabilmente.
“Ti avevo concesso dieci minuti per parlare, non per picchiarlo!” Tuonò il genitore furente mentre osservava il suo primogenito che lo squadrava con occhi di fuoco.
Sesshoumaru, carponi sul pavimento, si rialzava lentamente, guardando il genitore come se volesse farne coriandoli di lì a breve.
Il ringhio nella sua gola aumentava d’intensità per quella cocente sconfitta e la sua aura demoniaca annichilita da quella imponente del padre, bramava all’idea di uno scontro imminente.
“Ha confessato, è stato lui!”
“Non mi interessa, non puoi andartene a menare i prigionieri, soprattutto Naraku!” Sbraitò Inu iniziando a camminare nervosamente in giro per la stanza.
“Sai che è un prigioniero politico e varie nazioni vogliono che venga liberato. Se questa tua bravata si sapesse in giro, sarei costretto ad aprirgli le porte del carcere e stendere un tappeto rosso dove cammina!”
“Lo so.” Commentò Sesshoumaru passandosi nervosamente una mano fra i capelli argentei.
“Ma è con la vita della mia compagna che sta giocando. Non posso lasciargliela passare liscia.” Sibilò infine con un filo di voce.
All’apparenza pareva calmo e risoluto, lo stesso demone calcolatore che falciava nemici nelle terre dell’ovest.
Eppure, nel suo sguardo, brillava una luce nuova. Una luce diversa, diabolica, che non lasciava presagire niente di buono.
Inu indietreggiò non riconoscendolo quasi.
Quello era lo sguardo di un folle.
“Sesshoumaru… non fare stronzate o al posto suo ci finisci tu qui dentro.” Gli uscirono quelle parole in un sussurro, quasi come una preghiera.
“Non ho intenzione di commettere errori, padre.”
“Cos’hai in mente?” Chiese il genitore apprensivo, guardandolo con sospetto.
Non si fidava affatto di quel Sesshoumaru. Non sembrava in sé, non sembrava lucido, ma anzi, pareva sul punto di commettere una follia.
“Proteggerla. Anche a costo della mia vita.” Rispose il demone semplicemente, recuperando la sua giacca da terra e scuotendola dalla polvere.
Inu lo guardò mentre indossava quell’indumento elegante ed usciva dalla porta del suo studio con passo deciso e sicuro.
Non avrebbe dovuto lasciarlo andare, sembrava un pazzo pronto a commettere un omicidio, eppure la calma e la risolutezza della sua aura lo avevano convinto a farlo andare via.
Inizialmente era tumultuosa ed imponente, come era sempre stata quando loro due si sfidavano.
Sesshoumaru era un demone progettato per comandare, per dominare gli altri e quando si scontravano, l’aura del genitore aveva sempre scatenato quella del figlio in modo violento ed inaspettato.
Tuttavia, passato quel momento di agitazione, l’aura di Sesshoumaru aveva riacquisito quel suo fluido e piatto andamento. Calma e distaccata, come se non fosse accaduto niente.
L’aura di un freddo e spietato assassino.
E per un attimo, un misero istante, Inu aveva temuto per la sua vita e quella di Izayoi.
Lasciarlo andare era parsa forse la soluzione migliore e più sicura.
Forse il gelido freddo del nord avrebbe annichilito la sua sete di sangue.
Senza pensarci due volte, prese il telefono e chiamò il figlio minore.
Uno squillo.
Due squilli.
“Pronto?”
“Trova un posto dove puoi parlare liberamente. Abbiamo un problema.”



Rin camminava esausta verso casa.
La giornata a lavoro era stata sfiancante e riordinare pile e pile di documenti in ordine cronologico le aveva portato via praticamente tutto il tempo.
L’aria fresca della sera le mordeva l’epidermide delle guance arrossandole leggermente sugli zigomi.
La casa dove sarebbe tornata sarebbe stata ancora dannatamente vuota e troppo grande per una sola persona.
Sospirò sconsolata alzando lo sguardo al cielo terso.
Odiava quel periodo dove sembrava andarle tutto dannatamente male. Si sentiva davvero inutile in quei giorni, come se la sua esistenza fluisse via piatta.
Uno spintone forte la fece barcollare ed un uomo incappucciato le sfilò davanti velocemente tenendo una borsa fra le mani.
“Al ladro! Al ladro!” Urlò un ragazzo alle sue spalle ed in un attimo, le gambe di Rin si mossero da sole.
Rincorse il ladro per qualche isolato.
L’uomo pareva in sovrappeso ed incredibilmente lento. Bastò solo una piccola corsa per fargli perdere il fiato.
Ed in quel momento, Rin gli piombò addosso spedendolo con la faccia a terra ed immobilizzandogli le braccia dietro la schiena.
“Sei in arresto! Hai il diritto di rimanere in silenzio e qualunque cosa dirai potrà essere usata contro di te in tribunale!” Esordì Rin ammanettando l’uomo e strattonandolo di malagrazia affinché si alzasse da terra.
“Forza, andiamo in centrale! C’è una bella cella che attende solo te stanotte!”
“Grazie signorina! Grazie immensamente!” Gioì il ragazzo che aveva dato l’allarme, raggiungendola a grandi falcate con i piedi costretti in vertiginose décolleté.
“Si figuri, sono un poliziotto, è il mio lavoro!” Sorrise lei cordiale, constatando che, in quella giornata infausta, era riuscita a sventare un crimine e forse la sua esistenza non era poi così inutile.
Certamente non lo era stata per quel ragazzo bizzarro con i tacchi ai piedi ed i capelli acconciati in una splendida crocchia.
“La prego, vorrei offrirle da bere se non è in servizio… mi piacerebbe ringraziarla in qualche modo” propose il ragazzo sorridendole accorato.
“Certo, va bene.” Acconsentì Rin, prima di dirigersi con lui il ladro – stranamente mansueto – verso la centrale di polizia.


  
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