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Autore: Lost In Donbass    26/12/2017    3 recensioni
Tom è un alcolizzato, cinico, apatico, coltiva marijuana e se ne frega del resto.
Bill è uno scrittore, ha subito un crollo psicologico non da poco, cucina torte di mele a raffica e mostra cicatrici che nemmeno lui sa di avere.
Ma se questi due squilibrati si trovassero a dover condividere la casa? In una campagna opprimente e inquietante, tra segreti sepolti in cantina, torte di mele, musica punk, fantasmi non del tutto morti, esperimenti umani, occhiate languide e case-reliquiario, riuscirà Tom a salvare sé stesso e Bill? Oppure sprofonderanno nel baratro dove nessuno li tirerà mai fuori?
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bill Kaulitz, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incest
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CAPITOLO TRE: LO STO ASPETTANDO

-Cazzo, cazzo, cazzo! Hansi, che cazzo facciamo adesso?!
-Porca troia, sta morendo, cazzo!
-Non sta morendo, dannazione! Bill? Bill, mi senti? Stai tranquillo, andrà tutto bene, respira. Respira! Bill, non chiudere gli occhi, va tutto bene, capito? Respira!
Bill sentiva quelle voci rimbombargli in testa, ma l’unica che era sicuro di conoscere era quella sibilante e arrochita dal fumo di Hansi, che gli sussurrava nell’orecchio. Però sentiva male, un dolore terribile che gli esplodeva dietro agli occhi, qualcosa che non sembrava avere una fonte precisa. Cosa gli stava succedendo? Era cominciato tutto con delle fortissime coliche ai reni e poi … poi non ricordava. Forse aveva vomitato, a giudicare dalla puzza che aveva addosso.
-Dobbiamo portarlo in ospedale!
-Non dirlo nemmeno, Klaus. Nessuno andrà in nessun ospedale, posso curarlo da solo.
-Non sei un fottuto medico, Hansi, sei solo al primo anno di medicina!
-Ma ne so abbastanza per salvarlo! Bill è il mio ragazzo, è di mia proprietà e decido io cosa farne!
Bill vedeva delle ombre danzargli dolcemente davanti agli occhi, e sentiva il profumo di qualcosa di dolce. Forse sorrise, inebetito da tutto quel dolore assurdo. Non poteva dire con precisione cosa fosse davvero accaduto, ma dopo che Hansi gli aveva somministrato quelle pastiglie rosa, aveva cominciato ad avere un dolore atroce allo stomaco, che poi si era diffuso nei reni, e alla testa, e poi agli occhi, all’intestino, tanto da sembrare solo una palla di male. Quando gliele aveva messe in mano, Bill aveva sfarfallato gli occhioni con stupore, i lunghi capelli corvini acconciati in una complessa sfera sparata dappertutto che gli lambivano il visetto da bambolina. “Provale, tesoro” gli aveva sussurrato Hansi sulle labbra, accarezzandogli i capelli “Dovrebbero farti passare il mal di testa”. Fiducioso, le aveva ingoiate, eppure non sembrava che avessero ottenuto l’effetto desiderato.
-Non avresti dovuto usarlo come cavia! Ci sono tanti ratti qui a Berlino!
-Ho bisogno di cavie umane, idiota. Vuoi forse essere tu il prossimo?
 
Tre giorni. Erano passati tre giorni nella nuova casa, era arrivata la sua coltivazione di marijuana clandestina (guardata con un certo sospetto da Bill) e aveva già fatto incetta di torte di mele. Dunque, teoricamente andava tutto bene. Praticamente, invece, c’era sempre qualcosa che non quadrava. Ci stava pensando in quel momento, seduto con Georg e Gustav in un bar della periferia, prima di prendere la corriera che lo avrebbe depositato a casa, davanti a un triste bicchiere d’acqua naturale che gli faceva ampiamente ribrezzo, aumentato dalla vista dei suoi amici che bevevano tranquillamente due boccali di birra scura schiumante.
-Adesso potete anche smetterla con quella pagliacciata della “riabilitazione”. Perché mi avete parcheggiato da Bill?- disse, schiarendosi la gola.
Georg lo guardò di traverso, inforcando qualche patatina fritta e alzò un sopracciglio
-Per nessun altro motivo, Tom. Hai ventotto anni,  semmai sei tu che puoi anche smetterla con le tue stupide teorie complottiste.
-Questa non è una teoria complottista, è la mia vita!- sbottò il ragazzo, scostandosi i capelli dal viso. – Insomma, non ha senso che mi abbiate relegato con una specie di psicopatico fissato con la pulizia. Avreste potuto trovare gente più normale.
Gustav alzò gli occhi al cielo, grattandosi la pancia e pulendosi gli occhiali
-Ma per una santa volta in vita tua non puoi farti andare bene qualcosa senza ficcanasare in giro?
-No che non posso!- Tom fece tanto d’occhi, guardando con schifo il suo bicchiere d’acqua – Ma stiamo scherzando?! Mi mettete a vivere con uno scrittore malato di mente con la mania delle torte di mele e pretendete pure che io me ne stia?!
Georg e Gustav si guardarono negli occhi, sbuffando in sincrono. In fondo, il problema con Tom era sempre stato quello: era … fuori dal mondo. Quello che l’aveva poi trascinato nel vortice dell’alcol era quella sua stranezza, quel suo estraniamento dalla realtà, quel suo farsi domande senza senso che però nella sua testa matta quadravano perfettamente. Non era un ragazzo che andasse bene per quell’epoca, era ancorato a ideali già morti e aveva idee troppo strane per poter essere capite. Semplicemente, Tom non esisteva per nessuno se non per sé stesso. Da un lato, troppo antiquato, dall’altro troppo avanguardista.
-Non pretendiamo questo, solo che … dai tempo al tempo, per piacere.- disse Georg, sistemandosi i capelli corti e perfettamente in ordine – Secondo me tu e Bill potreste andare d’accordo. E poi sicuramente qualunque persona normale non sarebbe riuscita a reggerti. Tom, ti rendi conto di essere un caso psichiatrico?
-Ho capito che sono un alcolizzato, ma non mi pare di essere matto! Insomma, lo fanno vedere pure nei film, tutte quelle menate sugli ex alco …
-Ma non è il tuo caso, cazzo!- abbaiò Gustav, dando un pugno sul tavolo per sicurezza. Era arrabbiato, e non lo nascondeva – Senti, bello, parliamoci chiaro: te non sei normale, alcol a parte. Sei scollegato da questo mondo, sei apatico, sei cinico in maniera esagerata e non hai minimo senso di rapporto umano: non puoi pretendere di essere normale e non puoi nemmeno pretendere di poter vivere con delle persone integrate, ok? Faresti impazzire chiunque! Passi giorni a non parlare, di notte vagabondi per casa, ascolti sempre la solita musica punk a tutto volume, hai la presenza di spirito di un’ameba bollita e filosofeggi su cose che solo te capisci.
Tom si morse il labbro, e abbassò la testa, sconsolato. Ecco, lo sapeva che prima o poi ci sarebbero caduti, come al solito. Effettivamente, non poteva dare torto ai suoi amici, nonostante lui continuasse a fingere di essere un ragazzo nella norma. Il mondo era così difficile e arduo da affrontare, e lui invece era così pigro, e svogliato …  non lo faceva mica apposta ad essere così. Forse Bill poteva essere l’unico abbastanza fuori di testa per poterlo sopportare, siccome pareva che anche lui fosse piuttosto in disaccordo con la normalità e la fretta del nuovo millennio.
-Va bene, ho capito, ma ciò non toglie che voglia sapere.- incrociò le braccia sul tavolo, con l’espressione di sfida. – Ho scoperto che il marito di Bill era uno psichiatra estremamente quotato, ed è stato ucciso da un suo paziente, mentre Bill è uno scrittore famoso, quindi non mi pare che mi possiate aver mandato lì per aiutarlo a pagare le spese della casa. È straricco, io non ho un soldo bucato, come la mettiamo? E poi, dai: ho la corriera a un passo, posso andare in città a bere quando mi pare, piantatela di dire che la campagna mi terrà lontano.
Georg roteò gli occhi al cielo, sbuffando.
-Va bene, Sherlock, complimenti per le qualità investigative. Ti abbiamo mandato da Bill perché … beh, io lo conoscevo. O meglio, non proprio di persona, conoscevo suo marito, per un caso legale che aveva coinvolto l’ospedale dove lavorava. Avevo saputo che Bill era un ragazzo un po’ strano, e quando di conseguenza mi è giunta notizia che mr. Schadenwalt era morto e che Bill era rimasto solo … beh, mi è parso naturale mandarti lì. Voglio dire, l’equazione quadrava: tu hai dei problemi, lui ha dei problemi, insieme potevate in qualche modo tirarvene fuori.
-E dirmelo prima, santa madonna?!- Tom boccheggiò e scosse la testa, quasi offeso. Da quando era uscito dalla riabilitazione Georg e Gustav lo trattavano in maniera quasi imbarazzante, nemmeno che fosse uscito da un ospedale psichiatrico. Dunque, Georg conosceva Hansi. Bene, e con questo? Tom non era davvero sicuro di capirlo, ma c’era qualcosa che gli diceva che prima o poi quell’informazione gli sarebbe venuta utile. Non sapeva come né benché meno perché, ma aveva deciso che non avrebbe mai ignorato il sesto senso. Cominciavano ad aggiungersi elementi al suo complicato gioco di Barbablu, personaggi, nozioni, luoghi da far quadrare. Era come un gigantesco puzzle, ma Tom non li aveva mai saputi fare, nemmeno da bambino.
-Non ci sembrava adatto.- lo zittì Gustav, bevendo un sorso di birra e fulminando Tom prima che tentasse di rubargli il boccale. – E poi, cosa c’è? Ti trovi male?
-Beh, no, affatto. Bill è molto … carino, con me. Anche se non sembra di stare in una casa, ma in un museo delle cere.
-E allora non lamentarti.- Gustav era diventato intrattabile, dopo la riabilitazione. Era furioso con lui, e forse non poteva nemmeno biasimarlo, ma continuava comunque a chiedersi come mai nessuno si fosse fatto delle domande allora sul perché lui era un’alcolizzato. Lo incolpavano, e basta, non si erano mai presi la briga di capire le sue motivazioni, la sua solitudine che lo divorava ogni giorno di più. Certo, era facile andare avanti quando la vita ti dava una motivazione, ma quando pare che nulla abbia più un senso e si esiste invece che vivere, come si fa a non sentire il bisogno quasi fisico di evadere in qualche modo dalla realtà quotidiana e proiettarsi lontano, in altri mondi, in altri paradisi? C’era chi ricorreva all’autolesionismo, ma Tom era troppo attaccato a sé stesso per farlo, idem per il suicidio. C’era chi cadeva nella droga e chi nell’alcol, e alla fine il ragazzo aveva scelto il bere. Più economico, più rapido e sicuri che non si sarebbe finiti nella mani della giustizia per una birra di troppo nascosta sotto al letto. Ma perché devo essere così triste, si chiedeva a volte, quando guardava il soffitto, nelle sue notti insonni. Non lo capiva, non capiva perché era diverso, non capiva perché soffriva.
-Ditemi almeno se devo fare l’agente segreto sotto copertura oppure no.- commentò acidamente, rimescolando tristemente col dito il bicchere d’acqua intoccato che aveva davanti.
-Non devi fare nulla, T.- Georg gli posò una mano sul braccio, tentando di fare un sorriso solidale – Devi solo guarire, va bene? Bill ti aiuterà, non ti preoccupare.
-Sicuro, mi aiuterà a diventare allergico alle mele. Cristo, ma non mangia altro che quelle benedette torte. Mattino, pranzo e cena: fetta di torta e tazza di the.- Tom spalancò comicamente gli occhi.
-Vuoi che ti mando del cibo?- propose subito Gustav, dimentico della rabbia di prima e pieno della solita compassione alla quale lo muovevano le persone sprovviste di vivande – Non puoi deperire a suon di mele!
-Evita, Gus, tranquillo.- Tom tentò per un sorriso che gli morì miseramente sul volto quando propose – E, comunque, non volete rivelarmi nulla riguardo ad Hansi? Dai, Geo, più o meno lo conoscevi. Che tipo era? Come mai ti avevano ingaggiato? Che battaglia legale era stata? E come è morto?
-Smettila di fare il bambino, Tom!- sbottò Georg, lanciandogli un’occhiataccia. – A cosa ti serve saperlo? Era un medico, ok ti posso concedere che era il classico psichiatra psicopatico, ma intanto è morto ormai. E lui non c’entrava nulla col caso in sé.
-Ti prego, Georg, dimmelo! Come mai era stato indagato l’ospedale? Tu chi proteggevi? O chi accusavi?- con gli occhi brillanti e l’aria da bambino entusiasta, Tom sembrava veramente partecipe al discorso più di quanto lo fosse mai stato in vita sua e Georg non poté fare altro che bere un sorso di birra con aria stanca. Tanto lo sapeva, nulla lo avrebbe potuto distogliere da quel chiodo che si era prefissato in testa. Apatico, troppo spesso. Investigatore scanzonato, a volte. Mente eccitabile, ogni santo giorno.
-Primo, non è stato niente di eclatante o emozionante, dunque non partire per i tuoi stupidi film mentali, chiaro?- cominciò Georg, accavallando le gambe – I familiari di una donna deceduta hanno trascinato in aula la clinica psichiatrica dove era internata dicendo che invece di curarla l’avessero sfruttata per presupposti esperimenti umani. Diciamo che studiando le ultime sedute della donna, sembrava impossibile che potesse suicidarsi, cosa che poi è effettivamente accaduta. Io ero dalla parte dei medici, e di conseguenza ho conosciuto il marito di Bill. Avevamo vinto la causa, era ovvio che la donna non fosse stata in alcun modo “costretta” al suicidio. Voglio dire, i familiari erano solo una banda di esaltati. Quando ti dico che Hansi non c’entrava, era perché lui non era nella crew dei medici curanti la defunta. Anzi, mi aveva pure dato una mano a cavare d’impiccio i suoi colleghi. Ammetto che potesse essere un tipo strano, sicuramente geniale, ma strano.
Tom ripensò per un attimo alle fotografie, e un brivido gli percorse la spina dorsale. Bill sembrava sempre così indifeso e innocente, forse con l’espressione un po’ allucinata, le spalle strette dalle mani scheletriche di Hansi, che fissava l’obiettivo con quegli occhi chiarissimi, vagamente a mandorla, quel ghigno cattivo e rapace che non si poteva davvero chiamare sorriso. Bello, bellissimo, ma così inquietante.
-In che senso la famiglia accusava la clinica di averla indotta al suicidio facendole esperimenti umani sopra?
-Tom, per piacere, non stiamo girando una puntata di Poirot, va bene?
-Ma poi che te frega, dio mio, non puoi pensare alla barista super tettona come ogni persona normale invece di andarti a imbarcare in questioni pseudo-investigative creandoti più problemi di quanti già tu non ne abbia?!
-Ovvio, perché secondo voi pensare a quella specie di pupazzo gommoso e schifoso dietro al bancone è più intelligente che ragionare su un presunto caso di cronaca nera che, guarda caso, coinvolge il mio coinquilino! Ah, ma giusto, tanto io sono quello alcolizzato con problemi dissociativi, scusate!
-Non fare l’offeso, adesso, Gustav intendeva solo dire che …
-Quello che ho detto, Georg! Che dovrebbe piantarla di ficcanasare in giro e tentare di rimettersi in carreggiata!
-Io non sono mai stato in carreggiata, e non ci starò neanche adesso! Dai, allora? Vai avanti col caso della clinica!
-Devo andare, ho un appuntamento.- Georg si alzò, fulminando i due migliori amici con astio – Tom, per piacere, vedi di piantarla qui con il tuo giocare al detective. Gustav, evita di girare il coltello nella piaga, sei inopportuno.- si passò una mano tra i capelli e tossicchiò – Detto ciò, ci sentiamo domani ragazzi.
Tom e Gustav rimasero da soli al pub, guardandosi senza sapere bene cosa dire, prima di alzarsi a testa mogia, salutarsi a testa bassa e rincasare lentamente all’imbrunire della sera.
 
-E’ successo qualcosa, Tom? Ti vedo strano.
Bill era chino su di lui, con quei grandi occhioni truccati impeccabilmente che lo scrutavano con curiosità. Erano seduti al tavolo della cucina; cenavano insieme quotidianamente, oramai, e Tom lo trovava una cosa quasi carina. A parte che Bill sapeva cucinare davvero bene, era bello scambiare qualche parola con qualcuno, invece che cenare con roba fredda sul divano, in compagnia dei Green Day nelle casse. Era … stimolante mentalmente.
-Eh? No, niente, ho solo litigato con Georg e Gustav, ma niente di serio. Com’è andata la giornata?
In realtà, Bill non faceva niente tutto il giorno. Stava in casa, metteva a posto, scriveva il suo libro, e metteva a posto di nuovo, ma aveva un modo così poetico di raccontare la sua monotona quotidianità che a Tom piaceva moltissimo.
-Oh, oggi è andato tutto molto bene. Il libro è quasi alla sua conclusione, e sono piuttosto soddisfatto di quello che ho scritto, cosa alquanto eccezionale, siccome sono davvero troppo insicuro. E sai cosa? Oggi ho bagnato le piante, hai presente quella bellissima pianta di miseria dietro all’orto? Ecco: mentre la stavo innaffiando, vedo che sotto una foglia si nascondevano due coccinelle. Due, ti rendi conto?! Ero così contento! Ovviamente, ho smesso di bagnare e le ho osservate, per quella che credo possa essere stata un’ora. Non si muovevano di molto, giravano solo attorno alla foglia, e mi hanno fatto venire un’idea bellissima per l’ultimo capitolo del mio libro. Un paragone con la dolcezza delle coccinelle.
Tom sorrise: ecco, lui non ce l’avrebbe mai fatta a fare una cosa del genere. Restare un’ora inginocchiato per terra a guardare due piccole insettini che pedonavano su una foglia, invece Bill lo faceva, con quella semplicità sempre stupita e sempre innocente di un ragazzo che non viveva mai davvero in quel mondo, ma sempre qualche passo sopra tutti, sospeso nella sua vita alternativa. Sapeva cogliere la bellezza più insignificante con una rapidità e con un’acutezza pungente, era in grado di sognare ad occhi aperti su ogni piccolo particolare che colorava la sua sedentaria vita. Tom si chiedeva se non fosse stata proprio quella reclusione a portarlo a trovare la meraviglia in tutto. I ragazzi di oggi hanno tutto, pensò e pensava anche a sé stesso. La musica come droga, la libertà, la politica, la lotta, i diritti: era un continuo mettersi in gioco, un gioco di caste e forza, potere continuo, cadute e risalite, polvere e sudore, onore e gloria o vite da reietti, qualcosa che nessuno godeva ma che tutti combattevano. E poi arrivava Bill, nella sua casetta in campagna, tenuto lontano da tutto senza che se ne accorgesse, e immediatamente partecipe di ogni sogno naturale e umano.
-E’ fantastico, Bill.- tentò di sorridere, ma il sorriso gli morì sul volto quando vide di nuovo quella cosa che lo stava disturbando da oramai una settimana. Ogni sera, Bill apparecchiava tavola per tre, e serviva il terzo piatto come se ci fosse una persona seduta lì veramente. A fine cena, sospirava, e buttava tutto via. Quella cosa inquietava Tom più di quanto avrebbe voluto, come se insieme a loro ci fosse una terza presenza diabolica che angustiava la casa e non li faceva vivere in pace. Tossicchiò, guardando il piatto di crauti e salsicce intoccato accanto a sé e osò dire, con nonchalance costruita – Ehm … non vorrei sembrare indiscreto ma … aspetti qualcuno? Voglio dire … il terzo piatto. Per chi è?
Bill lo guardò aggrottando le sopracciglia e scoppiò in una scrosciante risata
-Come per chi? Ma per Hansi, ovviamente!
Tom spalancò gli occhi a palla, boccheggiando. Forse aveva capito male. Sì, dai, per forza aveva capito male.
-Per Hansi? Ma Hansi tuo marito, quello biondo nelle foto?
-E chi se no.- Bill si strinse nelle spalle, con un sorriso imbarazzato – Io lo sto aspettando. So che sembra impossibile ma … ma se lui tornasse? Deve essere tutto pronto per il suo arrivo. La casa, la cena, il letto, tutto! Ma non devi avere paura: Hansi sarebbe sicuramente contento che mi hai tenuto compagnia. Sei un ragazzo così a modo.
Se Tom era uno che si spaventava molto difficilmente, ora poteva dirsi assurdamente terrorizzato a morte. Bill gli stava dicendo che aspettava un fantasma? Era inconcepibile e non poteva nascondere che un senso di disagio gli stava correndo sottopelle. L’eterna attesa di un morto. La distruzione di un cuore. Un ragazzo rovinato dalla disperazione. E lui che piombava nella sua vita di cristallo con una piantagione di marijuana e i dischi dei Sex Pistols. Eppure, un’altra domanda si stava facendo strada nel suo cervello. Quanto carisma doveva avere Hansi per aver assoggettato così tanto Bill? Quanto doveva essere forte per aver lasciato un’impronta così bruciante nel suo cuore? Oppure, quanto doveva essere crudele per essersi imposto così? Tom a quel punto era quasi curioso di conoscere quel giovane uomo ormai morto, parlargli di persona, cercare di capire quanta influenza avesse sul suo dolce coinquilino. Se c’era qualcosa che non andava prima, ora era più che sicuro che le cose che non andavano nel castello di Barbablu erano tantissime e tutte molto oscure, più di quanto avrebbe effettivamente voluto. Doveva raccogliere le informazioni: uno psichiatra più misterioso di quello che pensasse, uno scrittore segregato in casa che viveva in un mondo di cristallo, un caso legale che coinvolgeva una clinica psichiatrica e un migliore amico che forse sapeva più di quanto volesse ammettere. Sì, Tom poteva non essere Sherlock Holmes, ma in quel caso si sarebbe dovuto improvvisare più di quanto avesse potuto pensare prima.
 
-Bill, mio caro, ti presento l’avvocato Listing. Avvocato, lui è Bill, il mio consorte.
Bill chinò il capo, sistemandosi i lunghi capelli corvini abilmente acconciati e sorrise timidamente, avvolto in quella pesante pelliccia di visone. Porse al giovane uomo prestante e dal viso franco la manina guantata e inanellata, arrossendo sotto al trucco pesante quando l’avvocato gliela strinse.
-E’ un piacere conoscerla, Bill.- Georg gli sorrise, e Bill avvampò, stringendosi al braccio di Hansi. Lo guardò, in cerca di approvazione, e trovò un sorrisetto graffiante, il viso per metà nascosto dai lunghissimi capelli biondissimi.
-Caro, andiamo fuori a cena con mr. Listing. Dobbiamo parlare di affari.- Hansi lo prese sottobraccio, cominciando a guidarlo lungo la strada. Bill ondeggiò sui tacchi a spillo e si strinse nella pelliccia
-Che tipo di affari?
-Una brutta storia.- intervenne Georg, aggiustandosi la cravatta – La clinica è indagata per il suicidio di una paziente; la famiglia dice che è stato indotto e che la donna fosse vittima di esperimenti.
-Un’assurdità, ovviamente.- commentò Hansi, accarezzando distrattamente la schiena di Bill – Però, è un momento delicato per tutti noi. Siamo su tutti i giornali, e come ti avevo detto, non è una cosa che possiamo permetterci.
-Capito.- Bill annuì, i lunghi orecchini di pietre preziose che dondolarono – Ma, Hansi, quando mi avevi detto che era morta una vostra paziente, non mi avevi anche detto che il suo medico curante era Klaus?
-Sì, Bill, lo sappiamo. Ma questo non c’entra.
-Ma non era lui che ti aveva portato quelle strane pastiglie viola, quelle che mi hai detto che dovevamo provare e ….
-Bill, taci.- Hansi gli rivolse un’occhiata così gelida che Bill squittì, abbassando immediatamente la testa. La sua voce sibilante e vagamente arrochita dal fumo pareva proprio quella di un serpente, bassa, misteriosa, ingannatrice, le s arrotolate proprio come quelle di un rettile.
-Pastiglie? Posso sapere di cosa stiamo parlando?- si intromise Georg, osservando con un certo stupore indagatore la strana coppia che gli camminava affianco.
-Nulla, avvocato, Bill è solo molto confusionario. Si confonde, vero, Bill?
-Sì, avvocato, certo. Sono molto confusionario.
Bill cercò di sembrare il più convincente possibile mentre lo diceva, ma si rese conto di non esserci riuscito quando ricevette l’ennesima occhiataccia scottante da parte di Hansi. Aveva le pupille innaturalmente sottili, proprio come quelle di un serpente.
  
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