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Autore: tixit    07/01/2018    3 recensioni
Una ragazzina torna a casa e cerca di adeguarsi alla vita in famiglia.
Breve storia minore su personaggi minori che non è diventata originale.
Genere: Commedia, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sorelle Jarjeyes, Victor Clemente Girodelle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Sigyn la rossa'
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Arriva il momento di fare un po' di ordine

"Non passiamo per Palazzo Girodelle?"

"Un'altra volta" sussurrò la ragazzina con la schiena rigida, nella posa da dama perfetta che avrebbe reso orgogliosa sua madre.

“Ma le clematidi di Vostra madre...” chiocciò il giardiniere disperato.

“Scriverò un bigliettino, e fisseremo un appuntamento.” ribatté Sigyn con cortesia - lo avrebbe fatto, era suo dovere, altrimenti tutta quella giornata sarebbe stata senza senso e sua madre prima o poi si sarebbe chiesta perché mai si era presentata a Versailles, impolverata e zoppicante.
Se lo sarebbe chiesto e avrebbe capito.
E se lo avesse capito non le sarebbe piaciuto. Non avrebbe retto.
Mère andava protetta.
E poi la serra dei Girodelle poteva diventare un rifugio occasionale, lo capiva, come la Cappella della Regina per Madame Marguerite.
Almeno ogni tanto.
Il giusto.
Però solo quando Cassandra e Clément fossero stati altrove, magari appresso a quella vipera di Violaine con il suo collo lungo, il viso tondo, il nasino dritto e la bocca perfetta. Quando andare lì non le avrebbe fatto male, insomma.

Mademoiselle era già pronta come modella per qualche quadro di quelli che piacevano tanto a Clément: soggetti sacri, come quello che avevano tolto dal castello di Bellevue, a Meudon, quello che era stato della Pompadour. Si ricordava ancora di quella lettera scandalizzata.

Ad un certo punto, per Clément, lei era stata una amica con cui chiacchierare di quadri, pettegolezzi, ed idee che sospettava avrebbero urtato il Generale, il Nonno e lo zio Jean-Claude, anche se non contemporaneamente - Clément era una specie di Torquemada con un tocco da fetente.
Poi, senza nemmeno sapere perché, da "amica" era diventata di colpo una "bambina spettinata che batteva i piedi e faceva la scema coi paggi".
Ah Santa Violaine, protettrice delle bambine e delle forcine!
Faceva anche rima.

“Vostra madre era molto contenta del progetto e ha suggerito alcune migliorie, ma è importante a questo punto fare alcune verifiche con Madame de Girodelle.” La voce dell’ometto era severa.

“Le clematidi andranno piantate assieme alle rose, ma non da subito.” tagliò corto Sigyn, che si sentiva terribilmente stanca - poteva sorridere quanto voleva delle forcine di Violaine, ma la verità era che aveva vinto: Violaine aveva piantato le sue forcine molto saldamente nel cuore del suo migliore amico e in quello della sua migliore amica. Forse anche in quello di Madame de Girodelle.

Il vecchietto cominciò subito a borbottare in risposta alla frase della ragazzina, ma Sigyn non lo stava più ascoltando - magari non ci sarebbe stato bisogno di aspettare Boucher per un ritratto di mademoiselle Violaine, magari ci stava già pensando Clément.
Violaine tra le viole, sicuramente, una banalità scontatissima, messa in piedi solo per farle i complimenti sul riserbo, la modestia e la sensibilità spirituale.
Quando era una vipera.
Magari la più spirituale tra le vipere, ma comunque una vipera. Che tra le violette ci stava acquattata solo per mordere meglio la sua vittima.
E poi quello era il suo fiore preferito, dopo i papaveri, mentre lui, a lei, diceva sempre di non aver tempo per farle un ritratto, nemmeno a carboncino. Ah ma non glielo avrebbe chiesto mai più.
Però non le tornava una frase di LaRoche, non che in tutto questo disastro fosse poi così importante, ma non si ricordava, accidenti… LaRoche parlava così tanto. Ed anche il giardiniere, non la smetteva un momento.

“Ma il Vostro amico sa dove portarci? Non è che si perderà? Perché è facile perdersi se non si è pratici! Un paggio! Uno che non è mai uscito da Versailles! Finiremo chissà dove, nel Palazzo di chissà chi!”

Sigyn osservò LaRoche dal finestrino, sollevando le tendine di cuoio; i coupé come Naso Corto non erano pensati per essere guidati da un cocchiere, ma da un cavaliere, un porteur, che doveva cavalcare a sinistra del tiro, incitandolo e guidandolo. Ora lei, di cavalli, quando aveva lasciato Palazzo Jarjayes, ne aveva attaccati solo due - animali molto tranquilli - e il paggio non sembrava pretendere cose che quei due non potevano fare.
Se sapeva come, sapeva anche dove.

“Direi di si.” mormorò, “Per stavolta non finiremo sbranati dai cani da caccia di qualche barone nostro vicino, non temete...”

LaRoche parlava tanto, ma il guaio era che ascoltava pure.
Aveva preso il comando allo stesso modo di Clément, come quei due avrebbero fatto con uno dei loro cavalli. La prossima volta cosa avrebbero fatto? Le avrebbero porto una mela? Strofinato il naso dicendole di fare la brava?

“Non è un amico, però.“ sussurrò.

“No?” il vecchietto la guardò allarmato e Sigyn pensò che probabilmente il giardiniere si stava preoccupando del riscatto dei loro vasi e del prezioso terriccio dei Jarjayes, privo di larve e di muffe, invidia di tutta Versailles. Mentalmente sollevò gli occhi al cielo ma si trattenne.

“Non lo so.” la ragazzina incrociò le mani “Non conosco il modo di sciogliere… non lo so, sul serio, è molto diverso dal Nonno e dal Generale, vuole piacere ma non gliene importa davvero. E' come un nodo che non conosco.”

“Perché avete troppa fretta e troppe pretese come tutta la Vostra generazione, il seme e la pianta vogliono il loro tempo.” il vecchietto agitò il dito nodoso contro la ragazzina, nello spazio in fondo stretto del coupé.

 

Davanti al cancello si fermarono e lei rifletté che forse era colpa sua, che c’era un motivo se non piaceva alla gente. Il Nonno le aveva spezzato il cuore e ancora non aveva scritto allo zio Jean-Claude, che le mancava terribilmente.
Cassandra non era una persona facile, sarà stato tutto quell’andare a cavallo agitando un frustino, proprio come il Generale. Ogni tanto andava lasciata cuocere nel suo brodo, ma, di solito, la presentava come sua amica, una cara amica, forse la migliore, e adesso cosa era diventata per lei? Una bambina noiosa che voleva giocare invece di ascoltare un requiem, una specie di brutta abitudine che stava cercando di perdere come mangiarsi le unghie. 
Con Clément che le dava pure ragione. Non solo, pretendeva pure che lei capisse.

Quanto ad Oscar: non era contenta per motivi che sapeva solo lei - nemmeno la stava a sentire, con quella poesia era partita per la tangente e non s’era fermata più - Joséphine la detestava, per qualche ragione la riteneva indegna del nome che portava, mentre il precettore pensava che lei fosse cretina.
Clément si limitava ritenerla ignorante, cosa che, però, per lui, tutto sommato non così era importante perché tutte le femmine lo erano, a parte Cassandra e Mademoiselle Violaine, s’intende. A sentir lui
Se sua madre avesse ascoltato le parole di Clément sarebbe stato terribile: lei la voleva studiosa ed eternamente felice anche se solo un matto al posto suo avrebbe sorriso in questa situazione.

Non c’era proprio niente di cui sorridere.
A meno di non essere uno che riponeva la propria gioia nello stato del terriccio della serra.

O negli ananas.

Si sarebbe ridotta come il giardiniere? Quando la vita ti delude le larve restano l’unica consolazione?
 

Oh beh, certo, c'era una soluzione, se eri abbastanza nobile da poter andare a servizio dalla Regina, pensò stizzita. Abbandonare tutti.
Mère si era portata via i suoi orecchini, li aveva fatti riporre con cure dentro delle scatoline imbottite di velluto, e però aveva lasciato lì lei ed Oscar assieme alle boccette di profumo ormai vuote. E pretendeva pure che lei sorridesse?

 

Il paggio le aprì la porta compito “Se Vi serve un accompagnatore…” mormorò con un inchino.

Sigyn scosse la testa e la Roche annuì “Ad ogni tentativo di incatenare una persona corrisponde un piano di fuga, ma, per ogni fuga che riesce, esistono conseguenze a cui non si può sfuggire.”

“Deve essere bello sapere proprio tutto.” sospirò Sigyn senza guardarlo.

“Ammetto che da una certa soddisfazione.” il paggio si inchinò con grazia e a Sigyn venne da sorridere suo malgrado.

 

Mentre zoppicava impercettibilmente verso il Palazzo, ogni passo una stilettata il giardiniere borbottò “Avreste dovuto dirlo al Vostro amico, Vi avrebbe portato in braccio fino alla Vostra stanza.”

“Oh non credo proprio, si sarebbe spiegazzato il giustacuore e sapeva che Joséphine non avrebbe apprezzato il gesto in modo particolare. Non aveva niente da guadagnare.”

“Non parlavo del porteur!” replicò l’ometto con sdegno.


 

Salendo le scale pensò che se era colpa sua, e probabilmente lo era - non potevano sbagliarsi tutti, tutti assieme - forse l’unica soluzione per evitare un futuro fatto solo di terriccio e larve era diventare una persona migliore. Come diceva lo zio Jean-Claude. Migliorare se stessi prima di impicciarsi di come far migliorare gli altri.
Una perfetta damina di Corte. Non una come Violaine, per carità, quello era chiedere davvero troppo.
Forse sarebbe bastato essere carina con Joséphine, darle ciò che voleva. Avrebbe studiato davvero moltissimo, sistemato la serra come un gioiello, tenuto compagnia a Mère - le si strinse il cuore, quella stanza a Versailles era una tomba che man mano si chiudeva - avrebbe ascoltato tutti i requiem che avessero suonato a Parigi e sarebbe stata la sorella perfetta.
Magari piano piano loro avrebbero smesso di vederla come la Jarjayes riuscita male.
Ce la poteva fare.

Quando aprì la porta della sua stanza sentì che le mancava il fiato: le sue cose erano sparse ovunque. E i libri! I libri di preghiere per fortuna, erano sparsi in terra, aperti. Uno scempio!

Raccolse un paio di scarpette e le accarezzò. Poi furibonda lanciò uno strillo. Uno strillo così orribile che sembrava non finire mai


 

“Mi chiedevo quando saresti tornata.”

Sigyn si era seduta sul letto, sfinita “Quando? Come mai non se?”

“Nostra Madre ti ha rispedito qui, come prevedevo.”

Joséphine era davvero bella: alta, bionda, severa, anche se era vestita come un pasticcino con quel vestito rosa pastello pieno di ruches.

“Tu adesso pensi che io sia cattiva, ma io sto cercando di capire cosa hai combinato. Per trovare una soluzione.”

“Una soluzione?” Sigyn la guardò incerta - Joséphine il pasticcino avvelenato voleva aiutarla? A capire? A rimediare con il Nonno? In modo che se ne tornasse in Normandia? “Tu vuoi aiutarmi? Tu?”

“Certo. Non capisci che non è solo un problema tuo? Che si rifletterà su tutti noi? Nostro Padre non ha pensato…” la ragazza alta si tormentò le mani.

“Non ha pensato? A cosa?”

“Lui non ha pensato e basta. Lui ha pensato a te come ti vedono tutti, la piccola Sigyn, l’insignificante ultima femmina, il capriccio di Nostra Madre, la bambola di Horthense, ma io so che non sei così piccola. E ora tu devi aiutarmi ad aiutarti. Perché io sono la sola adesso, che sta pensando a farlo.”

Sigyn la guardò senza capire. Sospettava che Joséphine non fosse proprio completamente... padrona di sé, ma adesso? Era impazzita?

“Dammi quella lettera!”

Ah ecco, pensò Sigyn, delusa, non voleva aiutarla a tornare a casa, voleva solo evitare una scenata del Generale per via di quella lettera che era scomparsa.
“Non ce l’ho.” ribatté sdegnata, poi, pensando in fretta aggiunse, “L’ho consegnata al Generale e lui l’ha messa in un cassetto dello Studio. E’ lì!” Negare, negare sempre, pensò disperata. “Valla a prendere e leggila. Tu puoi...”

Joséphine la fissò a lungo, poi disse imperiosa “Dimmi cosa c’è scritto.”

“Non lo so. Lo vorrei tanto sapere anche io.”

“Tu non lo sai?” Joséphine era orripilata, “Tu non lo sai? Tu proprio non lo sai?” la ragazza le si avvicinò, fissandola, poi poggiò le mani sul letto, il volto a pochi pollici da quello di Sigyn, ”E allora se non hai capito nulla sei in un guaio molto più grosso di quello che credi.” Si rialzò di scatto, “E nostro Padre non è qui, lui non immagina… e ha lasciato tutto nelle mie mani…”

Joséphine camminò avanti indietro, tempestosa, mentre Sigyn la osservava senza capire. E' vero che il Generale aveva lasciato il Palazzo nelle mani di Joséphine, ma il Generale non era mica un fesso: se aveva gettato una lettera in un cassetto aperto senza curarsene non era colpa di Joséphine se qualcuno l'aveva presa. Joséphine non era mica Mère, bastava guardare lo stato dei camini per accorgersene! Figuriamoci se il Generale l'avrebbe considerata responsabile di qualche cosa! La solita esagerata.

In quel momento entrò Margot trafelata e Joséphine si ricompose. “Era entrata nello Studio con un libro proibito!” disse con aria soddisfatta.

“Che libro?”

“Non me lo ha voluto dare.”

“Non te l'ho dato perché non avresti saputo dove metterlo.” precisò Sigyn stancamente. "Sarebbe finito perso per sempre in un posto non suo."

Margot divenne scarlatta “Ha insinuato che non avrei saputo leggerlo!”

“E’ quello che ho appena detto!” ribatté Sigyn stancamente."Non sono un poeta, non serve fare la parafrasi di ogni cosa che dico."

“Un libro in una lingua straniera, quindi! Dallo a me, sbrigati.” la voce di Joséphine non ammetteva repliche.

“Ho cambiato idea, intendo tenerlo e studiarlo.”

“Ah questa poi! Nostro Padre avrebbe dovuto far bruciare tutti i tuoi libri non appena sei arrivata! Sei troppo giovane per leggere da sola! Se poi leggi davvero da sola! E sei troppo giovane per leggere quello che leggi! Qualche porcheria inglese, sicuramente, figuriamoci, in Normandia, fuori controllo completamente… poveretto nostro Padre... l'ennesimo fardello da sopportare.”

“Sono solo libri di preghiere...” Sigyn accennò ai libri sparsi in terra con un gesto irritato.

“Oh ne avrai un gran bisogno credimi… eccome se ti serviranno! Dammi quel libro!”

“Lo aveva riposto in una tasca del vestito, quella di destra!” esclamò trionfante Margot.

“Cosa succede?” Tutte e tre si voltarono verso Oscar, che le stava fissando con gli occhi spalancati.

“Sigyn non vuole darmi un libro.”

“Mi serve,” disse Sigyn ostinata.

“Voglio solo vederlo.” insistette Joséphine gelida. “Non uscirai mai più da questa stanza. Non fino a che non me lo avrai mostrato.”

“E daglielo!” disse Oscar, severa. “Piantala di impuntarti solo per il gusto di farlo.”

Sigyn alzò le mani in segno di resa, poi si lasciò andare sul letto, le mani incrociate dietro la nuca, “Prendetevelo,” disse con un sospiro, “prendetevi tutto. Tanto ormai...”

Sentì le mani di Margot che la frugavano senza un briciolo di cortesia, poi la ragazzotta porse con aria trionfante alla giovane dama in rosa un librettino. Oscar si sporse interessata “Ah bene! Allora ti sei davvero messa in pari, come avevi scritto al precettore…”

“Ho ripassato tutti i verbi irregolari.”

“Ago?” la interrogò Oscar, severa, aggrottando le sopracciglia.

“Ago, agis, egi, actum, agere.”

“Colo?”

“Colo, colis, colui, cultum, colere.”

Margot si fece il segno della Croce spaventata, mentre Joséphine porse il libro ad Oscar “E’ Virgilio? E’ quell’autore latino di cui mi parla in continuazione il vostro precettore?”

“Si, vedi?“ Oscar le mostrò il frontespizio. “Oltre a tradurlo lo usiamo per ripassare la grammatica. Vanno studiati i verbi, e lei era indietro.”

Joséphine raddrizzò la schiena e veleggiò elegante verso la porta “Resterai qui fino all’ora di cena. Nel frattempo rimetti tutto a posto.”

“Non credo proprio.” esclamò la ragazzina piccata, ma Joséphine si voltò e le sorrise “La tua indisponenza, signorinella, sta diventando particolarmente irritante” disse freddamente, “Dato che a quanto pare stai studiando il tuo latino, beh, ti lascio un consiglio che immagino comprenderai… Ora et labora.” Dopodiché lei  e Margot se ne uscirono senza nemmeno degnarla di una occhiata.

   
 
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