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Autore: l y r a _    10/01/2018    3 recensioni
Il secondo anno di liceo di Tooru Oikawa è un gran macello. Lo dice Hajime Iwaizumi, il suo migliore amico da una vita, e precisa che lo sarebbe stato un po’ meno se non avessero incontrato Sakurai e subìto tutte le sue complicazioni patologiche.
Il primo anno di liceo di Megumi Sakurai è un fallimento annunciato e lei è arrogante, ambiziosa e ha scrupoli quanti gli spiccioli nel suo portafogli: nessuno. Lo dice tutta Sendai ed è tutta la verità.
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[Oikawa/OC | UshiShira | Accenni OC/Ushijima | Perpetrato reato di canon/OC ]
Genere: Generale, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri, Kenjiro Shirabu, Nuovo personaggio, Tooru Oikawa, Wakatoshi Ushijima
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 8

Tutti sanno

Gli occhi di Tooru puntarono immediatamente alla miniatura tonda a sinistra della chat, che – a conferma di quanto aveva ipotizzato – sembrava proprio il primo piano di una signorina tutta agghindata a festa. Strinse appena gli occhi per mettere a fuoco la crocchia elegante in cui aveva raccolto i capelli, che rilucevano di una tonalità molto simile al viola. Insoddisfatto da quell’esame superficiale, sistemò meglio gli occhiali sul naso e ingrandì la miniatura per capire di chi si trattasse.
Per prima cosa urlò e forse il suo grido suonò anche troppo femminile, ma per fortuna nessuno era nei paraggi per ascoltarlo. Poi si rimise in piedi con l’intenzione di saltellare per tutta la stanza, prima di ricordarsi dolorosamente di non poterselo permettere e lasciarsi nuovamente cadere sul letto a gambe e braccia aperte e con un largo sorriso stampato sulla faccia.
Sollevò di nuovo il cellulare e ne osservò nuovamente lo schermo.
Quella che Sakurai aveva impostato come immagine del profilo doveva essere una foto scattata poco prima di iniziare il liceo, in occasione di qualche ricorrenza importante a cui aveva partecipato. Sembrava vagamente più giovane di come l’aveva conosciuta, e la tinta dei capelli doveva essere recente se il colore pareva tanto acceso. Di certo era truccata molto più diligentemente del solito e sorrideva felice all’obiettivo.
Avvicinò con entrambe le mani il telefono al petto e strinse i denti in un sorriso estatico.
«Gumi-chan» commentò ad alta voce «Quando usciremo insieme voglio che ti trucchi così! Però non farti più una tinta così eccentrica, ti preferisco come sei adesso.» poi si accigliò un attimo e ricontrollò la foto, dubbioso. «Ora che ci penso puoi anche non truccarti così tanto, altrimenti non si vedono le lentiggini.»
Le dita si mossero rapide sulla tastiera, lasciando impronte oleose sullo schermo. Si fermò, cancellò tutto quello che aveva scritto, digitò qualche altra parola per poi cancellarla nuovamente. Mise temporaneamente da parte l’editor dei messaggi e compose febbrilmente il numero di Iwaizumi a memoria, imprecando perché l’amico rispondesse al più presto.
«Iwa-chan!» annunciò estatico quando quello, con tono scocciato, gli ebbe risposto che si erano visti solo venti minuti prima «Gumi-chan mi scritto!»
«Cosa? Quando?» replicò incredula la voce dall’altro capo del telefono.
«Alle dodici, cinquantadue minuti e otto secondi.»
«Ma noi eravamo lì a quell’ora!»
«E proprio per questo non me ne ero accorto!»
«E cosa ti ha scritto?» lo incalzò impaziente.
«Vuole sapere del ginocchio. Cosa le rispondo?»
«E tu dille del ginocchio, no? Chi meglio di te può saperlo?» sentì poi Iwaizumi rivolgersi a chi era con lui «Gli ha scritto Sakurai, vuole sapere del ginocchio.»
«Eh? E chi le ha dato il suo numero?» udì interpellare la voce di Hanamaki.
«Già, Oikulo, chi le ha dato il tuo numero?»
Tooru impiegò qualche istante per far mente locale: giunse alla soluzione solamente dopo aver inavvertitamente urtato col gomito l’agenda su cui il fisioterapista aveva segnato i suoi esercizi, che cadde sul pavimento aperta alla pagina del giorno precedente.
«Ieri era venerdì, no? È andata all’allenamento del Galaxy! Vedi che facevo bene ad andarci? Sapevo che prima o poi si sarebbe fatta viva da quelle parti!»
«D’accordo, d’accordo, hai ragione, contento? Adesso stacca e rispondile.»
«No! Iwa-chan, e cosa le scrivo se mi risponde al messaggio del ginocchio? Fa’ sentire anche a Makki e Mattsun, metti il vivavoce!»
«C’è già il vivavoce, Oikulo!» lo rimbeccò Hanamaki «Non eri tu che non volevi assolutamente da noi consigli d’amore?»
«Non voglio fare altre figuracce!» si giustificò nervoso «Questa deve essere la svolta! Datemi una mano!»
«Ma cosa vuoi che ne sappia io di cosa si scrive ad una ragazza?» protestò Iwaizumi imbarazzato «Non l’ho neanche mai avuto, il numero di una ragazza, nella rubrica del telefono!»
«Dici sul serio, Iwaizumi?» osservò Matsukawa sorpreso «Ti facevo più popolare.»
«Non siamo qui per parlare della vita sentimentale di Iwa-chan, ma della mia!» contestò spazientito.
«Se lei ti ha scritto del ginocchio, tu parlale del ginocchio, no? Riferiscile cosa ti hanno detto i medici ed il motivo per cui ti sei ridotto così.» gli consigliò Hanamaki.
«E non scordarti di chiedere come sta lei!» intervenne Iwaizumi «Dopo quello che le è accaduto non deve essersela passata affatto bene. Se non lo fai, sembrerai scortese!»
«Ovvio, ovvio che glielo chiedo! Voglio saperlo anche io!» lo rassicurò.
«Niente frasi fatte, per favore.» lo ammonì Matsukawa.
«Ora stacca questa chiamata, sbrigati!» lo esortò infine Iwaizumi «Fa’ in modo che esserti quasi sfasciato definitivamente un ginocchio non sia stato vano.»
«Signorsì!»
Non era facile, si disse quando un bip familiare lo ebbe avvertito della fine della telefonata. Rilesse nuovamente il messaggio di Sakurai, scrisse, riscrisse, tentennò, riprese, cancellò, esitò per cinque minuti interi prima di pigiare il tasto d’invio. Se ne pentì un secondo dopo: e se non avesse controllato bene e gli fosse sfuggito qualche errore di grammatica? Alle ragazze piacciono i ragazzi che sanno parlar bene, non voleva far la figura dell’ignorante. O forse il messaggio era troppo lungo, avrebbe dovuto spezzettarlo. Si mise a rileggere per l’ennesima volta ciò che aveva appena inviato.

 
“Ciao Gumi-chan! Il mio ginocchio non va molto bene, sono ricoverato da più di una settimana in una clinica specializzata. I dottori dicono che è grave, che ho sovraccaricato troppo il tendine e che ho rischiato la rottura, ma pensano che non sarà necessario l’intervento. Ora mi hanno messo un tutore fastidioso e mi hanno proibito di camminare senza stampella. Ogni giorno faccio un sacco di esercizi noiosi, però sono utili: sto già un po’ meglio. Tu, invece? Come stai?”
 
Con un tonfo al cuore, sotto il suo messaggio apparve l’icona che indicava che Sakurai stava scrivendo. Non riusciva a distinguere tempo soggettivo e oggettivo, ma gli sembrò che passassero ore prima che la risposta della ragazza comparisse.
 
“Sei stato un cretino, a venire al Galaxy. Ti è venuto il ginocchio del saltatore, potevi dirmelo che ti faceva male. Quando me lo hanno raccontato non riuscivo a crederci. La clinica di cui parli è quella vicino Odawara[1]? Se sì, sono molto bravi, forse sarà noioso e faticoso, ma ti rimetteranno a nuovo.”
 
Rilesse nuovamente il messaggio. Sakurai si era ragguardata di non rispondere alla sua ultima domanda. Si chiese se fosse il caso d’insistere, poi riapparvero i puntini di sospensione che suggerivano la speranza di un nuovo messaggio.
 
“Quanto a come sto, non lo so neanch’io.”
 
Cosa si rispondeva ad un’affermazione del genere? La tentazione di chiamare daccapo Iwaizumi e gli altri si ripresentò con urgenza, ma alla fine si risolse a far da sé.
 
“Vorrei poter fare di più che scriverti che d’ora in poi tutto andrà bene.”
 
La risposta di Sakurai fu stavolta fulminea, e gli strappò un sorriso.
 
“E cos’altro vorresti poter fare? Hai fatto anche troppo, non me lo meritavo.”
 
Altrettanto prontamente le sue dita scivolarono sulla tastiera.

“Non meritavi nemmeno che non intervenissi, non me lo sarei mai perdonato.”
 
Riapparvero i familiari puntini di sospensione, poi sparirono.

“Hai perfino lasciato il cellulare con la registrazione alla stazione di polizia.”

“Aveva lo schermo rotto per via della caduta, avrei comunque dovuto prenderne uno nuovo.”

“Quindi hai rotto un telefono per me? Oltre ad esserti fatto riempire di botte?”

“Il solo fatto che tu ora sia in grado di scrivermi vuol dire che ne è valsa la pena.”

 
Questa volta Sakurai non rispose subito, perciò Tooru fu colto dal dubbio di aver osato troppo con la sua ultima uscita. Si maledisse mentalmente: Matsukawa lo aveva avvisato di evitare le frasi fatte. Osservò sullo schermo Sakurai indugiare, scrivere, fermarsi e ricominciare.
 
“Permettimi di ripagarti il telefono, è il minimo che posso fare.”
 
Considerò che una proposta del genere era generosa, soprattutto se avanzata da una che può permettersi gli studi solo sfruttando delle borse di studio.
 
“Non essere ridicola, non ne ho bisogno. L’ho fatto spontaneamente, davvero!”

“E se il tuo ginocchio fosse peggiorato quel giorno, per colpa mia?”

 
Sorrise intenerito. Tentò di immaginarsela, Sakurai, tutta presa da quelle paranoie insensate, ma in qualche modo preoccupata per lui. Forse avrebbe avuto le guance arrossate come quando doveva dire qualcosa di scomodo, era plausibile che con i denti si stesse tormentando il labbro inferiore, come quando le toccava il servizio sul 24-23. Per quanto fosse un’immagine subdolamente piacevole da evocare, la rassicurò.
 
“Il mio ginocchio è peggiorato perché ho passato ore intere ad esercitarmi col servizio in salto. E perché sorvolavo spesso sul riscaldamento e sullo stretching. Anche tu, fai più stretching dopo gli allenamenti, okay?”
 
Sakurai scrisse e cancellò più volte prima di inviargli la risposta.
 
“Non ho bisogno di stretching se non mi alleno.”
 
Tooru s’infastidì nel leggere quell’affermazione. Francamente, avrebbe dato qualsiasi cosa per potersi allenare con gli altri e non capiva come invece Sakurai non desiderasse affatto riprendere a giocare. Era consapevole, certo, che l’ambiente sportivo ricordasse alla ragazza eventi spiacevoli che stava cercando di dimenticare, ma trovava che fosse biasimevole accantonare in tronco la pallavolo intera solamente per rinchiudersi in una campana di vetro. Cercò di esprimere la propria opinione abbozzando un paio di messaggi che avrebbe poi cancellato senza inviare: non voleva ferirla.
Scrisse allora:

 
“Ti devo ancora quel gelato mochi.”

“Non sono mai riuscita a schiacciare la veloce che volevi, quindi non mi devi nulla.”

“Speravo che potessi chiudere un occhio.”

“Sei ostinato.”

“Da quale pulpito…”

 
~
«Sono ancora vive?»
Tendou aprì maggiormente la finestrella che dava sul cortile delle palestre, lasciando che l’anta scorresse rumorosamente sul binario appena arrugginito. Wakatoshi ne approfittò per guardare cosa accadeva fuori: il campo all’aperto era occupato dai ragazzi del club di basket. Uno di loro, il più alto, scrutava il gruppetto di ragazze che stava compiendo l’ennesimo giro di riscaldamento, senza neanche preoccuparsi di non farsi notare. Ma le ragazze del club di pallavolo non parevano farci affatto caso, ridotte com’erano allo stremo delle forze.
«Sono quasi venti minuti che corrono, sono preoccupato per la cicciottella.» commentò Shirabu arrotolando meglio il nastro sulle dita.
«La cicciottella ha un nome, sai? Si chiama Nonaka.» lo corresse stizzito Kawanishi. «Faresti bene a chiamarla così, invece di correre il rischio che qualcuno ti senta.»
«Perdonami, non sapevo avessi un debole per le ragazze cicciottelle.» ironizzò l’altro infastidito.
«Siamo compagni di classe, ed è una persona squisita… non merita di essere presa in giro.»
«Quindi ti piace.»
«Non ho detto che mi piace in quel senso, mi piace come persona.» ribadì Kawanishi senza scomporsi.
«Non devi vergognarti, sai? I gusti sono gusti, insindacabili.» rincarò Shirabu con serietà.
Un sopracciglio di Kawanishi guizzò verso l’altro, mentre gli occhi scuri si assottigliavano e le labbra si distendevano in un ghigno appena accennato, che non sfuggi a Wakatoshi.
«Insindacabili, eh? In fondo chi meglio di te può saperlo?»
Shirabu parve per qualche motivo intimorito. Wakatoshi lo vide stringere i denti ed i pugni, guardarsi furtivamente intorno per rendersi conto di quanti avessero udito la battuta di Kawanishi. Battuta che, per quanto riguardava Wakatoshi, era totalmente innocua, affatto ambigua. Non comprendeva perché Kawanishi l’avesse pronunciata con tanta cattiveria, né perché Shirabu l’avesse presa tanto a male. I gusti sono gusti: non si può rimproverare a qualcuno di amare il pesce poiché in prima persona si ama la carne. Quando ci si siede insieme ad un ristorante, ognuno ordina quello che vuole e tutti sono soddisfatti. Cosa c’era di ambiguo in questo?
Invece Shirabu si fece più vicino a Kawanishi, di scatto, come se volesse prenderlo a pugni ma non osasse farlo, poiché l’altro lo avrebbe subito messo al tappeto.
«Non so cosa tu abbia sentito al riguardo, ma non è vero.» sibilò a metà fra furia e paura.
«Fra le matricole girano delle voci…»
«Le voci possono mentire.»
«Ma io ho visto con i miei occhi.» spiegò il centrale con tranquillità «L’altro pomeriggio, quando ci stavamo cambiando…»
«Sta’ zitto!» intimò Shirabu, stavolta terrorizzato «Tieni chiusa quella bocca!»
Prima che potesse intervenire personalmente per calmare il palleggiatore, Semi si era già precipitato fra i due per impedire che accadesse l’inseparabile. Qualsiasi fosse il segreto a cui i due si riferivano, Shirabu ottenne da Kawanishi la promessa che non ne avrebbe parlato a nessuno, e – nonostante il compagno di squadra apparisse piuttosto reticente a mantenerla – Shirabu ne fu rassicurato, al punto da cambiare repentinamente discorso. Per niente certo di aver afferrato cosa fosse accaduto, cercò lo sguardo di Tendou, normalmente molto più perspicace di lui, che ricambiò con un sorriso enigmatico e affatto d’aiuto.
«Credevo che ci fosse un’altra ragazza del club femminile nella tua classe, una più popolare.» balbettò Shirabu ancora un po’ rosso in viso.
«Oh, capisco a chi ti riferisci.» rispose Kawanishi quasi divertito «Ikeda, ma non la troverai qui. Fino a prima delle vacanze non veniva neanche a scuola.»
«Un’altra persona squisita?»
«Certo, se trovi squisito il veleno.» ribatté l’altro, prima di far cenno col pollice a quanto accadeva al di là della finestra «Si dice che Nobuhara l’abbia piantata e che lei si sia rinchiusa in casa col cuore spezzato, ma ora eccolo lì Nobuhara… Impalato come uno stoccafisso di due metri a cercarla fra le sue vecchie compagne di squadra. Avrei giurato di averlo visto in giro con un’altra ragazza lo scorso mese, ma ora sembra tornato sui suoi passi.»
Seguire quanto i due si stessero dicendo era ora divenuto più difficile: le voci di Shirabu e Kawanishi erano state coperte – e Wakatoshi si chiedeva se volontariamente o meno – dalla chiacchiera allegra di Tendou, che aveva preso a punzecchiare Yamagata suggerendogli scherzosamente di abbandonare il club in favore di quello di calcio. Ammirava i tentativi compiuti da Semi per metterlo a tacere prima che perfino il libero perdesse la pazienza, ma avrebbe preferito che zittissero tutti, nell’eventualità che Shirabu o Kawanishi avessero ripreso l’argomento di poco prima. Si trattava di una delle rare volte in cui si scopriva realmente curioso di qualcosa, ma si rese conto che la propria indiscrezione non sarebbe stata appagata quando anche Yunohama si aggiunse alla conversazione, che aveva assunto tutti i connotati del pettegolezzo.
«La strega avrà gettato un sortilegio su di lui, perché si pentisse!»
«Anche a te hanno raccontato del suo talento, Yunohama?» ridacchiò Kawanishi «Il club dell’occulto ha tentato di intervistarla, ma quella è sfuggente e altezzosa come non mai. Li ha spaventati finché non sono scappati via!»
«Quanto dovete essere sempliciotti per pensare che Ikeda faccia magie, incantesimi o cose simili?» commentò scettico Shirabu «Sakurai diceva solo che ha la lingua affilata ed una marcata tendenza ad augurare ogni genere di male a chi le faccia un torto.»
Sentir pronunciare il cognome dell’amica ridestò la sua attenzione. Aveva quasi dimenticato, dopo tutto quello che era successo, di averla affidata a Shirabu. Era abituato a sapere sempre tutto di lei, non era avvezzo a sentirne parlare da altri che non fossero Megumi in persona. Negli ultimi due mesi invece accadeva continuamente, e l’amica si ostinava ancora a non volerlo vedere.
«Bene, e Sakurai ti ha anche detto con quale frequenza queste iettature avessero effetto?»
«Ecco...» farfugliò il palleggiatore «Ha detto che succedeva spesso, perciò lei cercava di averci a che fare il meno possibile.»
Kawanishi e Yunohama gli rivolsero un sorriso soddisfatto.
«Ma sono certo che si tratta solo di un caso, l’ho detto anche a lei!»
«Anche Nonaka la pensa così, ma quella ragazza è troppo buona.» commentò Kawanishi facendo cenno alla bionda, che terminati i giri di riscaldamento si era spiaggiata sul muretto del cortile, mentre la capitana cercava in tutti i modi di rimetterla in piedi.
Alla fine Kurihara, particolarmente irritata dal chiacchiericcio proveniente dalla palestra coperta, spuntò davanti alla finestrella e la richiuse dall’esterno con uno schianto sonoro. Mentre la udivano allontanarsi borbottando ad alta voce «Razza di pervertiti!», Washijou rientrò nella palestra infastidito come non mai.
«La pausa è finita da un bel pezzo, vi pare il momento di mettervi a guardare i culi di quelle del club femminile? Alle ragazze dovete pensarci fuori da qui, per colpa vostra ho dovuto sopportare la ramanzina di quella… quella…»
«Cerchiamo di dare il buon esempio, professore.» intervenne teso Saitou.
«Zitto tu! Detesto essere rimproverato da chi ha ancora il moccio al naso!»
«Non la stavo rimproverando, professore…» si scusò l’allenatore più giovane.
«Non parlavo di te!» sbottò l’anziano ancora più nervoso «Ma di quella… quella maleducata incapace! Allena da meno di due settimane e si sente già la padrona di casa, nessun rispetto per i superiori!»
«Si è diplomata qui, conosce bene l’ambiente, non c’è da meravigliarsi che si sia già integrata.»
«Ed è anche peggio! Nessun rispetto per gli ex-professori! Ma lei è sempre stata così, sempre insolente, sempre inopportuna. Mi faceva perdere la voce, tornavo a casa che potevo solo sussurrare monosillabi. Allora mia moglie mi chiedeva: “Kato?” ed io cosa potevo fare? Facevo sì solo con la testa. Ora è cresciuta, ed invece di mettersi a pensare all’abito con cui sposarsi viene qui a far la gradassa con me, che ero ben felice di essermene liberato quindici anni fa!»
«Se sta parlando della stessa signorina Kato che conosco io, professore» s’intromise Tendou come se stesse parlando con l’amico della porta accanto «non si può negare che avesse talento.»
Per un attimo Wakatoshi temé l’ira di Washijou, che scrutò il centrale con sospetto. Dopo dieci, lunghi, secondi di terrore, sospirò:
«Talento? Quella donna era una bestia sacra, il suo non era talento… era una benedizione divina. La mettevi in campo e segnava la metà dei punti, pallonetti come se piovesse, schiacciava come un’opposta, ed era solo una centrale!»
«E quei muri, professore…» aggiunse Tendou.
«Ah, no… se era in prima linea, non passava assolutamente nulla. E non la si fregava, no… era lei a fregare te, con quei palleggi inaspettati… dritti sull’opposta! Arrivò al liceo che già serviva in salto e sapeva anche ricevere e difendere come si deve! Una centrale? È riduttivo, quella donna è un’universale coi fiocchi!»
«E lei l’ha allenata professore, ha sfondato in Nazionale, dovrebbe esser fiero di aver perso la voce per lei.» cercò di farlo ragionare Saitou.
«Non ne fanno più giocatrici così, la fama di quel club si è spenta dopo la generazione di Kato.» sentenziò Washijou amareggiato «Guardale ora… sono ochette che si fanno guardare il culo dai maschi alla finestra, e che piangono se a muro gli si rovina la manicure. Che poi cosa ci sia da guardare non lo so, a parte qualche eccezione sono secche come manici di scopa.»
«La loro fama si è spenta da quando lei ha smesso di allenare il club.» lo corresse Saitou.
«No, le ragazze non sono più quelle di una volta. Sarà il turno di Kato di tornare a casa senza voce, ma senza ottenere niente da loro. Io almeno ottenevo vittorie.» poi scoccò uno sguardo di disapprovazione ai ragazzi «E voi? Non avete nulla di meglio da fare che starvene dietro la finestra a cercare il culo delle ochette? Dividetevi immediatamente e formate le squadre, facciamo set da 15 punti, uscite di qui solamente quando entrambe le squadre avranno vinto tre set!»
«Ma professore! Tre set sono tanti! Vuol dire che usciremmo da qui dopo aver giocato come minimo sei set!» protestò flebilmente Yamagata.
«Silenzio! Prima iniziate, prima finite!»

 
~
 
Uno vive tutta la sua vita immerso negli stereotipi senza riconoscerli, finché un giorno non assiste al loro disfarsi e capovolgersi. Uno può quindi trovarsi rilassato sul proprio letto d’ospedale, con un tutore rigido e fastidioso sul ginocchio, ed ascoltare i propri amici – di sesso rigorosamente maschile – dibattere tutti eccitati di vita sentimentale, o più correttamente, della sua vita sentimentale. Di solito ci si aspetta che certi discorsi li facciano le ragazzine delle medie, ed invece a trattare l’argomento questa volta erano quattro liceali alti dal metro e settantacinque in su.
Il nocciolo della questione, che tutto orgoglioso aveva esposto ad i suoi amici, era che lui e Sakurai si erano scambiati messaggi per tutto il pomeriggio e la sera del giorno precedente, fino a mezzanotte inoltrata. Avevano parlato del più e del meno, a partire dalle condizioni del suo ginocchio, per poi raccontare di come lei stesse trascorrendo quei giorni, passando per il tempo atmosferico, i compiti a casa e un’infinità d’altre questioni futili. Era come se Sakurai, favorendo il rinnovo degli argomenti, non volesse smettere di chiacchierare con lui, né tantomeno lui aveva intenzione di terminare presto la conversazione. Quella mattina le aveva inviato un buongiorno a cui non era però seguito lo stesso fervore loquace del giorno prima.
«Mi ha scritto risposto solo “buongiorno” e basta.» spiegò amareggiato.
«Avrà avuto altro da fare.» suggerì Iwaizumi con semplicità «Forse sta facendo i compiti, oppure ti ha risposto, s’è girata dall’altro lato del letto e si è addormentata di nuovo.»
«Io lo faccio sempre.» approvò Matsukawa.
«Questo spiega tante cose.» commentò Hanamaki aggrottando le sopracciglia «Ed io che stamattina aspettavo invano che mi rispondessi con l’orario dei treni!»
«La domenica mattina è fatta per dormire.»
«Se stesse facendo i compiti sarebbe già una gran cosa, vorrebbe dire che sta pensando di tornare a scuola.» rifletté Tooru «Se poi invece dorme come Mattsun, non saprei cosa pensare.»
«Che ne sai, magari ieri sera è uscita ed ha fatto le ore piccole!» osservò Hanamaki.
«Ma l’hai vista Minamisaka? Io, sì, l’ho cercata su Google Maps! È una strada con delle case sui lati, una scuola, una farmacia, un negozio di alimentari, un ristorante di ramen ed un fornaio. Dove vuoi che possa andare?»
«Al ristorante di ramen.»
«Peccato che lei abiti nel mezzo delle campagne, e per raggiungere il paese a piedi ci metta quaranta minuti.»
«Stai diventando ridicolo, Oikulo.» si lamentò Iwaizumi «Se vuole risponderti ti risponderà. Chi ha finito le merendine al cioccolato? Adesso tocca andarle a prendere…»
«Avevo giusto voglia di sgranchirmi le gambe, vado al distributore.» si propose Matsukawa alzandosi in piedi e stiracchiandosi «Volete qualcos’altro? Offre Oikulo.»
«Io non offro proprio niente!» protestò l’interessato, ma rimase inascoltato.
«Qualcosa da bere, decidi tu.» rispose Hanamaki cercando senza riserve il portafoglio di Tooru nel cassetto «Ed i biscotti ripieni di crema alla fragola.»
«Costano l’ira di dio e ce ne sono solo due nella confezione!»
«Acuta osservazione, Oikulo. Issei, prendine due!»
«Ma mi ascoltate quando parlo o no?» contestò l’interessato quando Matsukawa fu uscito dalla stanza carico di spiccioli indebitamente sottrattigli «State prosciugando le mie finanze. La vita è dura qui dentro, ne avete idea?»
«Ma se stai tutto il giorno stravaccato nel letto?» lo rimbeccò Iwaizumi.
«Mi annoio!»
Furono interrotti da Matsukawa, che si affacciò nuovamente nella stanza, con un’aria piuttosto allarmata, come se avesse visto un fantasma, ed a mani vuote.
«Hajime, puoi venire fuori anche tu? Ho bisogno che controlli una cosa.»
«Che genere di cosa?» borbottò raggiungendolo oltre la soglia.
Tooru e Hanamaki si scambiarono uno sguardo interrogativo, il primo ipotizzò che fossero finite le merendine che cercava, ma li sentì bisbigliare appena dietro la porta. Pochi istanti dopo i due si ripresentarono nuovamente nella stanza, senza nessun bottino. Matsukawa gli restituì il portafoglio con un lancio da maestro, Iwaizumi raccattò tutte le sue cose e esortò Hanamaki ad alzarsi tirandolo per il braccio.
«Si può sapere cosa sta succedendo?» protestò quello confuso.
«Stiamo andando via, si è fatto tardi!»
«Ma se sono solo le dieci? E che ne è delle tue merendine?»
«Ne comprerò una confezione intera al konbini dietro la stazione, adesso dobbiamo andare. Buttiamo via tutte queste cartacce!» poi puntò il dito contro Tooru, più confuso che mai «Tu, aggiustati quei capelli e metti le lenti a contatto. Anzi no, non faresti in tempo… pulisciti almeno gli occhiali!»
«Iwa-chan, sei impazzito?»
«Fidati, dopo lo ringrazierai!» cantilenò Matsukawa che stava rimettendo a posto due delle tre sedie su cui si erano accomodati. Si era curato di lasciarne solo una, proprio accanto al suo letto.
«Sta arrivando qualcuno?» dedusse incerto.
Iwaizumi lo afferrò per le spalle, e gli rispose con estrema serietà, dopo aver preso un respiro profondo.
«Ora ascoltami, stai zitto!» esordì «Devi mantenere la calma, niente escandescenze. Ricorda quello che ti abbiamo detto ieri al telefono. Sakurai è qui nel corridoio.»
«Non è uno scherzo divertente, Iwa-chan!» si lamentò offeso.
«Non è uno scherzo, leggeva i numeri delle stanze sulle porte. Sarà qui fra pochissimo, noi andiamo via.»
Niente escandescenze? Come faceva a non farsi prendere dalle escandescenze in una situazione simile? Era in un letto, con quello stupido pigiama coi maialini che Asuka gli aveva regalato perché – a sua detta – era carino e sua madre non gliene aveva ancora portati altri quella settimana, aveva i capelli sparati in aria come se avesse appena alzato la testa dal cuscino, gli occhiali fuori moda e sudici, e probabilmente in faccia doveva essere sporco di qualcosa che aveva mangiato, perché Iwaizumi rabbrividì e con un fazzoletto inumidito chissà come prese a strofinargli energicamente una guancia. Infine gli sfilò gli occhiali e glieli lucidò alla men peggio sulla propria felpa. Quando glieli risistemò sul naso vedeva ancora peggio di prima. Non ebbe nemmeno il tempo di farglielo presente che erano spariti. Qualche istante dopo, sentì bussare.
«È permesso?»
Suonava così la voce di Sakurai l’ultima volta che l’aveva sentita? Era più incerta, più femminile, meno aggressiva. Era passato così tanto tempo che aveva l’impressione di non averla mai ascoltata prima di allora. Se il cuore non avesse smesso di battergli tanto forse, poteva darsi che l’avrebbe potuto udire anche lei? Sperò con tutto il cuore che non fosse possibile. Sperò così tanto da dimenticarsi di rispondere.
«C’è nessuno?» riprovò allora lei.
Si schiarì la gola e balbettò timidamente qualcosa di sconnesso, che pregò assomigliasse ad un «Avanti!».
Parve un’eternità prima che entrasse cautamente nella stanza, guardandosi intorno con circospezione. Avrebbe voluto poter dire che non fosse cambiata affatto, eppure il volto era più scavato, il colorito più spento, i capelli crespi relegati in una coda per niente precisa, i ciuffi che ne sfuggivano coprivano a malapena la porzione di pelle più rosea e glabra che interrompeva l’arco del sopracciglio sinistro.
«Ciao!» lo salutò impacciata, ma decisamente non quanto lui, che invece avrebbe voluto farsi inghiottire dal letto «Ieri mi avevi detto che eri qui, ho pensato di venire a trovarti.»
«Sei… sei gentile!» farfugliò rosso in volto «Sediti… cioè… siediti!»
«Forse è il momento sbagliato? Hai la faccia tutta rossa, hai la febbre?»
«Sì! Cioè… no!» ribatté, si accorse di non riuscire a mettere in fila più di una parola alla volta, eppure ne aveva centinaia sulla punta della lingua «È che non mi aspettavo una tua visita…»
Sakurai sembrò interdetta. «Capisco, avrei dovuto avvisare prima di piombare qui.»
«Sì! No, aspetta… volevo dire no!»
La ragazza assottigliò gli occhi con sospetto. «Sì o no, cretino?»
«No, è… è stata una bella sorpresa.» tentò di spiegare «Solo che sono un po’ imbarazzato a farmi vedere così… proprio da te, ecco.»
«E perché?» domandò accomodandosi sulla sedia lasciata lì da Matsukawa, dopo rimase a bocca aperta come quando ci si ricorda qui qualcosa che si era scordato. «Ah, non ti è ancora passata?»
«Queste cose non passano, dovresti saperlo meglio di me!» protestò contrariato «E non è una cotta!»
L’altra parve dispiaciuta, si torturò i palmi delle mani per un po’, prima di chiarire: «Pensavo che dopo aver saputo quello che avevo fatto, avresti perso ogni interesse. Alla fine chi vorrebbe stare con una che si è fatta mettere le mani addosso in cambio di un privilegio?»
«A me non importa, so come sono andate le cose. Non riesco a biasimarti, né a garantirti che al posto tuo mi sarei comportato diversamente.»
Sakurai lo guardò incredula, poi sorrise. «Ma tu non ne hai bisogno, tu sei bravo davvero.»
«Mi hai fatto un complimento? Tu, Megumi Sakurai, mi hai fatto un complimento? Non puoi essere quella vera, hai una sorella gemella buona o un replicante di manifattura aliena!»
Lei sembrò per un attimo rasserenata e rise un po’ «Mi spiace deluderti, ho solo una sorellina minore, ed anche gli alieni ignorano l’esistenza di Minamisaka. Sono proprio io.»
«Ma vivi in campagna, è più facile atterrare! Avete del grano, ci avete mai trovato dei cerchi? Forse tu sei quella vera e la cattiva era quel robot di ferro che schiaccia nei tre metri come un bazooka e picchia come un campione di wrestling!»
«Ora mi stai offendendo…» protestò, ma sorrideva ancora.
«Nessuna offesa, sarebbe una figata!» annunciò estatico «Tu saresti ancora più figa!»
«Ma non sono figa, per niente.» replicò lei «E sono io, torna coi piedi a terra prima che te le suoni.»
«Okay, sei tu.» concordò divertito «Ho visto che sai fare male davvero, quando vuoi, perciò preferirei non aggravare ulteriormente la mia situazione.» spiegò accennando con la testa al tutore coperto dalle lenzuola, ma lei riuscì a comprendere lo stesso a cosa si riferisse, perché tornò seria.
«Posso… vederlo?» domandò insicura.
Il suo cervello tuttavia non connetteva molto bene, perciò arrossì fino alla punta delle orecchie e immaginò la cosa sbagliata, o forse si era confuso con un sogno particolare che iniziava proprio così.
«Gumi-chan… è un po’ presto, ecco… per queste cose! Insomma, normalmente per me non è mai presto però a te sono successi dei fatti spiacevoli… sei confusa e non vorrei approfittare, potresti pentirtene! Io penso che dovremmo aspettare, io posso resistere… è da un po’ che lo faccio! E poi potrebbe entrare qualcuno e…»
La ragazza divenne di colpo ancora più rossa di lui e aggrottò le sopracciglia, furente.
«Cos’hai capito, depravato? Io mi riferivo al ginocchio! Ma cos’hai in quella testa?»
Perché il letto non lo ingoiava come lo stava pregando di fare da dieci minuti?
«Il ginocchio! Il ginocchio… ecco sono così nervoso che mi ero dimenticato anche per quale motivo io fossi qui. Per un attimo ho creduto che la realtà avesse superato il sogno…»
«Quale sogno?» ripeté lei sbigottita «Oikawa, è la cosa più imbarazzante che abbia mai sentito!» protestò nascondendosi la faccia dietro le mani.
«Sono io che dovrei essere imbarazzato!» si lamentò «Ti ho appena detto una cosa che non volevo dirti! Perché arrossisci tu?»
«Perché mi hai fatto pensare a me… e te… che… brrrr, che schifo!»
«Prima dovresti provare per giudicare!» protestò inorgoglito «E poi sappi che là fuori le ragazze fanno la fila per me, evidentemente loro non pensano che io faccia tanto schifo!»
«Scusami, ma col pigiama a maialini e gli occhiali di Harry Potter proprio non riesco ad apprezzare.»
«Siamo pari con le tue mutande a cuoricini! Ti ricordo che io sono andato oltre quelle!»
«Ancora? Dimenticale!»
«Le dimentico se tu dimentichi quello che stai vedendo ora!»
«Affare fatto. Ora per favore cambiamo discorso, mi si sta accapponando la pelle.»
«Certo, cambiamo discorso. Volevi vedere il ginocchio no?» riprese scoprendo la gamba dalle lenzuola.
«Oh, sì… eravamo rimasti al ginocchio, giusto.» ripeté velocemente, si sporse in avanti per vedere meglio e lui riuscì ad osservare meglio la cicatrice sul suo sopracciglio «Il tutore sembra rigidissimo, dimmi che non dovrai tenerlo sempre!»
«Invece dovrò tenerne sempre uno, ma non questo… il medico dice che lo cambierò, sarà più comodo.»
Sakurai annuì, ancora un po’ a disagio.
«Alla fine ti è restata la cicatrice.» considerò dispiaciuto.
La ragazza trasalì immediatamente e si pigiò forte il ciuffo sul sopracciglio sinistro, dove avrebbe dovuto coprirla. «Si vede ancora? Questo ciuffo non vuole saperne di fare il suo lavoro…»
«Guarda che non ti sta male, come dire… ti si addice. Ti fa sembrare più selvaggia.»
«Quindi sono una selvaggia?» domandò sul piede di guerra.
«In senso positivo, sì… come un’amazzone! Hai presente? È un segno particolare affascinante.»
«Affascinante o no, devo tenerla. Mi ricorderà di quanto sia stata incosciente.» commentò tristemente.
«Anche di quanto tu sia stata coraggiosa. Quella te la sei fatta per difendere me, non è roba da poco.»
«Non ricordo quando me la sono fatta, il dolore l’ho sentito dopo. Non ti ho mai ringraziato, Oikawa, forse non riuscirò mai a ringraziarti abbastanza.» ammise mestamente.
Maledetto tutore, avrebbe voluto strapparselo via, alzarsi in piedi e renderle l’abbraccio di cui aveva bisogno! Forse avrebbe ottenuto un calcio negli stinchi dopo, ma ne sarebbe valsa la pena.
«Il solo fatto che tu sia venuta fin qui da Minamisaka per me è un ringraziamento più che adeguato.»
Sakurai sorrise rincuorata, poi aggiunse:
«Ma io sono tornata a Sendai stamattina, per la scuola. La psicologa dice che devo farlo, io non volevo.»
«Sei tornata a scuola?»
«Sì, domani riprendo le lezioni, i miei genitori mi hanno accompagnata per lasciare a dormitorio le mie cose. Oggi è festivo e ci sono pochi studenti, ma parlano tutti di me, li ho sentiti.»
«Lasciali parlare, oppure vai in giro con Ushiwaka. Lui saprà cosa fare.»
Sakurai non parve affatto rassicurata, anzi – se possibile – s’incupì ancora di più, gli occhi luccicarono di malinconia.
«Io e Waka-nii non ci frequentiamo più.»
«Cosa? Non vuole più vederti? È un gesto così superficiale che…»
«No, no! Lui non c’entra. È venuto a cercarmi tutti i giorni, ma io non ho voluto.»
«Ma sei stupida?» la rimproverò incredulo «Pensi ancora che ti allontanerà? Stai facendo tutto da sola! Guarda, a me fa anche comodo che lui si tolga dei piedi, ma non ti fa bene. Cosa dice la psicologa?»
«Che devo parlargli, e fare amicizie nuove.»
«Brava, devi fare proprio quello. Già hai un nuovo amico straordinario, sono io! Non accetto rimostranze. Poi che mi dici della ragazzina coi capelli rosa? Siete coinquiline, no?»
«Scoiattolo? Penso che mi detesti, sono stata crudele con lei.» confessò sconsolata.
«Ma guarda le coincidenze? Lei pensa che sia tu a detestarla, dovreste chiarire. E poi dovresti tornare da Ushiwaka, uno così apatico non può turbarsi per una cosa del genere e ti è venuto a cercare un sacco di volte. Te lo sto dicendo contro il mio tornaconto, per quel che mi riguarda sarebbe meglio se non gli stessi più intorno, ma so che tu ci tieni molto.»
«Pensavo fossi più frivolo, Oikawa. Viene fuori che non sei quel che sembri.»  considerò sorpresa.
«Tooru, devi chiamarmi Tooru.» la corresse raggiante, Sakurai invece storse il naso.
«Neanche i tuoi amici ti chiamano per nome, perché dovrei farlo io?»
«Perché detto da una ragazza suona più carino, Gumi-chan
«Neanche per sogno, rimani Oikawa. Però ti concedo di chiamarmi come ti pare, anche se il permesso te lo sei accordato da solo. Ma come ti è venuto in mente poi?»
«Gumi? Fa tanto cartone animato, Megu è più inflazionato ed è meno tenero.»
Due minuti dopo si erano addentrati in una disputa su tutta una serie di personaggi di cartoni animati che condividevano il nome con loro, da cui Sakurai uscì sconfitta. Di lì, un nuovo dibattito sulla scuola, sullo studio, sulla moda dei selfie (Sakurai non ne era affatto entusiasta, apprese), sul parco divertimenti poco distante dalla clinica, che entrambi avrebbero voluto visitare. Tooru forse un po’ meno, dal momento che non amava particolarmente le altezze, ma si ripromisero di visitarlo insieme: aveva rimediato un appuntamento senza neanche faticare. Era sicuro che avrebbero continuato a parlare per ore, se l’infermiera coi capelli tinti non fosse venuta a cacciar via la ragazza quando l’ora del pranzo si fu avvicinata.
«Gumi-chan, tornerai a trovarmi?»
Lei sembrò sorpresa, smise di abbottonarsi la giacca di jeans. «Vuoi che torni?»
«Certo!» confermò con un sorriso «Qui è una noia mortale, il tempo passa solo quando gli amici vengono a trovarmi, e tu sei mia amica… per parte mia un’amica speciale, ma pur sempre un’amica.»
«Se ci tieni tornerò, tanto devo andare a scuola…» rispose, per niente entusiasta di tornare a lezione. Gli venne in mente un’idea.
«Gumi-chan, prima hai detto che non sapevi se saresti riuscita a ringraziarmi, non è così?»
Sakurai annuì, interessata.
«Vedi, io ho tanta voglia di tornare a giocare con i miei compagni di squadra, ma sono costretto a stare qui e non posso farlo. Non posso neanche assistere ai loro allenamenti, ed il coach mi ha detto chiaramente che anche se dovessi guarire prima, non mi permetterebbe di giocare prima di gennaio.»
«Mi dispiace tantissimo, è terribile.»
«Tu invece puoi farlo, puoi tornare dalle tue compagne di squadra e ricominciare tutto daccapo. Puoi riscattare la tua reputazione in campo e se sarai brava come sai essere, nessuno si permetterà più di dire nulla su di te. Dimenticheranno e capiranno anche loro che Hattori ti stava impedendo di proseguire sulla tua strada.»
«Non è così semplice, la gente è cattiva… non dimentica e non capisce.»
«Torna a giocare, Gumi-chan. Fallo per me, fallo al posto mio.» la pregò.
L’altra restò a guardarlo in silenzio per qualche istante, tanto indecifrabile da non sbattere neanche le palpebre. Poi sussurrò:
«Ci penso. Ciao, Oikawa.»
Il rumore della porta che si chiudeva non gli aveva mai messo addosso tutta quella malinconia. Solo qualche ora prima si stava struggendo con Iwaizumi e gli altri, adesso si sentiva come se per tre ore fosse stato completo e poi privato del pezzo appena ritrovato.
Quanto detestava quell’infermiera!
~
 
Come tutte le adolescenti che si rispettassero, Arisu detestava il lunedì mattina. Anche per una mattiniera come lei era insopportabile alzarsi alle quattro e mezza e trascinarsi sull’autobus che da Tagajo l’avrebbe portata a Wakano, con la valigia pesante e piena di abiti autunnali e l’uniforme scolastica che rendeva scomodo ogni movimento. Una volta lì, non aveva nemmeno il tempo di far colazione, lasciava il bagaglio nella portineria dei dormitori e arrivava a lezione una manciata di minuti prima del suono della campanella. Neanche sarebbe voluta tornarci a casa nei week-end, sua madre era ossessiva ed irritante ed avrebbe preferito non rivederla.
Da qualche settimana, tuttavia, l’ultimo tratto di strada lo faceva con Nonaka. L’amica avanzava anche più faticosamente di lei alla volta del dormitorio e poi dell’edificio scolastico, sgranocchiando ogni volta uno snack ipercalorico diverso, visto che non era in grado di saltare la colazione.
Quando ebbero raggiunto lo spiazzale del dormitorio, proprio dietro la fontana orribile che il primo preside dell’istituto aveva deciso di piazzarci nel mezzo, Arisu alzò istintivamente gli occhi alla ricerca della finestra della propria stanza e si fermò senza preavviso a guardarla. Kaori si voltò a cercarla.
«Cosa c’è, Arisu-chan?» si preoccupò Kaori fermandosi a sua volta e cercando di intercettare la direzione del suo sguardo.
Arisu indicò le ante spalancate del bacone della propria stanza, dove la tenda bianca svolazzava fuori in balia della corrente.
«Il balcone» disse sconvolta «Sono sicurissima di averlo lasciato chiuso venerdì scorso prima di partire, adesso è aperto.»
Ed era realmente certa di averlo fatto: quella sera Arisu era ritornata indietro appositamente per verificare che fosse chiuso, dopo aver già sceso una rampa di scale.
«Forse non l’hai chiuso bene e durante la notte si è riaperto.» suggerì ottimista la bionda, prima di dare un morso alla sua merendina.
«Ti dico che l’ho chiuso!» ribadì innervosita «Devo andare a controllare!»
«Ma tra poco suonerà la campanella, non arriveremo mai in tempo a lezione!»
«Non ti ho chiesto di venire con me!» sbottò l’altra seccata «Tu vai in classe, io devo capire cosa sta succedendo nella mia stanza!»
Incespicò con la valigia sulle scale maledicendosi per non esser stata dotata di gambe abbastanza lunghe da salirle a due a due, scansò sul pianerottolo due ragazze del secondo anno che correvano a scuola, si precipitò nel corridoio scivolando sul pavimento lucido di cera. Infilò con urgenza la propria chiave nella serratura, trasalì quando si accorse che la porta era chiusa ad una sola mandata, quando lei aveva l’abitudine di farne due. Spinse con difficoltà la porta, apparentemente bloccata da qualcosa di pesante appoggiata all’anta e si risolse ad entrare sgusciando dal piccolo spazio che era riuscita ad aprire.
All’interno c’era un disastro. C’erano scatole e vestiti ovunque, libri sparsi sulla scrivania che sarebbe dovuta essere sgombra, il materasso del letto vacante era stato scoperto dalla trapunta a righe bianca e viola, l’armadio era spalancato come il balcone. Quale ladro poteva entrare in una stanza di un dormitorio scolastico? E cosa poteva sperare di trovarci?
Solo poco dopo si rese conto che i suoi effetti personali non erano stati spostati di un millimetro, che il suo letto e la sua scrivania erano esattamente come li aveva lasciati e così la sua metà dell’armadio. Incuriosita, esaminò il contenuto di una borsa di carta abbandonata sulla sedia dell’altra scrivania, per cercare di capire di chi fosse tutta quella roba.
«Sono medicine.»
La voce femminile proveniente dalla porticina del bagno alla propria sinistra la sorprese d’improvviso, tanto da farle cacciare un grido spaventato. Si voltò impaurita per scoprire Sakurai che la guardava mortificata con una pila di asciugamani fra le braccia.
Il primo istinto di Arisu fu quello di non credere ai propri occhi e che il nuovo ritmo di allenamenti le avesse provocato delle allucinazioni, il cuore che martellava nel petto. Eppure doveva essere davvero Sakurai, in carne ed ossa: di certo era più smunta di come se la ricordasse e non aveva un’aria molto sana. L’occhio sinistro era ancora leggermente scuro e sul sopracciglio era visibile una piccola porzione di pelle scoperta, più recente del resto. Trasalì quando intravide sul collo i segni ancora visibili lasciati dalle dita di Hattori.
Le rivolse un’occhiata interrogativa e si fece più vicina, le tastò con l’indice una manica della divisa scolastica.
«Scoiattolo, sono vera. Non ti è ancora dato di volta il cervello ed in quel caso quelle medicine potrebbero essere utili anche a te.»
Quando era più giovane, Arisu era solita divertirsi a far disperare la madre, annunciandole la volontà di volersi dilettare in ogni tipo di sport estremo. Anna Hiromi in genere si agitava tanto da rischiare il collasso, ma Arisu non aveva mai desiderato mettere a rischio la propria vita a quel modo. Non fino a quel giorno evidentemente.
Sakurai non si scansò dal suo abbraccio repentino, né si lamentò in alcun modo. Lasciò invece che rimanessero in quella posizione goffa finché Arisu non si fosse stancata. Non riusciva a vederle il viso, ma immaginò che ne fosse rimasta sorpresa.
«Sono felice che tu sia tornata!» confessò stringendola più forte «Quando ho saputo, non potevi essere tu… Non sono stata in grado di capirlo, puoi perdonarmi?»
La voce di Sakurai tremò lievemente.
«Non c’era niente da capire, avrei dovuto dirtelo io. Tu non c’entri niente.»
Arisu si scostò, le rivolse un sorriso d’incoraggiamento.
«Sei tornata stamattina?» le domandò.
«Ieri, in realtà. Ma in mattinata sono andata a trovare un amico e nel pomeriggio sono tornata qui.»
«E non hai ancora messo in ordine le tue cose?»
«Ci ho provato, ma mi sono addormentata… vestita e tutto. Questa roba mi aiuta, ma mi fa dormire troppo.» spiegò estraendo un flaconcino dalla borsa della farmacia. Dalla confezione, sembrava un qualche tipo di antidepressivo. Si disse che avrebbe dovuto aspettarselo.
«Devi prenderne molti?»
«No, è una dose minima. La mia psicologa era contraria, ma il medico dice che sono necessari.» spiegò «Effettivamente se posso permettermi di stare qui è grazie a questo.»
«Se ti fanno bene dovresti prenderli, prima o poi te ne libererai. Sono così contenta che tu sia tornata in tempo per la gita delle matricole! Vedrai, ci divertiremo tantissimo, anche se siamo in classi diverse verrò a trovarti di continuo! Io sono in gruppo con due stupide che ridacchiano sempre fra di loro, perciò le lascio più che volentieri.»
Sakurai si rabbuiò.
«Ah, la gita.» ripeté a bassa voce «Pensavo di non venire. Parleranno tutti di me, non voglio sentire.»
«Devi venire per questo, per dimostrare che non hai nulla di cui vergognarti!»
«Ma il fatto è che io ho molte cose di cui vergognarmi.»
«Avrei voluto vedere tutti loro al tuo posto, tu sei stata fin troppo forte.» commentò indispettita, poi continuò «Di qualsiasi altra tua colpa tu ti sia macchiata, ne parleremo a tempo debito. Adesso non è importante, Megumi-chan
Sentendosi chiamare col proprio nome per la prima volta, Megumi sgranò appena gli occhi. Poi le sorrise timidamente.
«Grazie…»
«…Arisu-chan.» le suggerì lei. Megumi non parve convinta.
«Risu-chan.» concluse infine.
«In un modo o nell’altro stai continuando a chiamarmi Scoiattolo[2]…» si lamentò.
«Mi piace ricordarti così.» affermò facendo spallucce «Che salti da una parte all’altra, come uno scoiattolo.»
«A modo suo è un pensiero carino.» concluse.
Lo sguardo di Arisu si soffermò poi sul colletto della camicia, privo del cravattino dell’uniforme. Megumi parve capirlo, perché spiegò:
«Ieri ero così assonnata che non sono riuscita a trovare il cravattino della divisa. Ci ho riprovato stamattina, ma immagino di averlo perso. Mia madre dice di non averlo visto neanche a casa, temo di doverne ordinare uno nuovo.»
Ovviamente, Arisu sapeva bene dove fosse finito il cravattino della coinquilina. Lo custodiva gelosamente da un mese, come fosse un cimelio prezioso. Si vergognò di dove lo aveva conservato, perciò le chiede di voltarsi dall’altra parte prima di andare a prenderlo. Quando si fu assicurata che l’altra non l’avrebbe vista, sollevò il cuscino del proprio letto e lo estrasse.
«Per quale motivo tenevi il mio cravattino sotto il tuo cuscino?» domandò turbata Megumi quando glielo porse «È un posto strano per conservare una cosa simile.»
«Hai sbirciato!» protestò Arisu «Ti avevo chiesto di non guardare!»
«Dormivi col mio cravattino?» aggiunse confusa.
L’altra avvertì le guance diventare calde, «Mi faceva pensare che non fossi così lontana.» ammise imbarazzata.
«Non so se esserne lieta o preoccupata.»
«Io ti consiglio di esserne lieta.»
~
Ma tu lo sai che Ikeda ha mollato Nobuhara?
Io sapevo che fosse stato lui a lasciarla!
Lui l’ha tradita con una della sezione uno!
Ma lei gli ha fatto un incantesimo!
 
Tu ce l’hai presente il secchione della sezione cinque?
Ma chi, Shirabu?
Dicono che sia gay, lo sanno tutti!
Allora bottino grasso per lui stanotte, è in gruppo con altri due!
 
Ha avuto il coraggio di ripresentarsi a scuola…
Dopo tutto quello che ha fatto, non si vergogna?
Era già pazza, adesso sembra scappata da un manicomio.
Una vera troia, una sfasciafamiglie!
Io sono certo che sia stata lei a stuzzicare Hattori.
Hai sentito che se la faceva anche con uno di un’altra scuola?
Io, al posto del preside, le toglierei la borsa di studio.
 
«Non ascoltarli, Megumi-chan.» provò a rassicurarla Arisu mentre scendevano dall’autobus per raggiungere la struttura in cui avrebbero alloggiato per quel week-end.
Megumi avrebbe tanto voluto fare come l’amica le consigliava, ma tutto quel chiacchiericcio era assordante ogni volta che voltava le spalle. Nessuno rispondeva ai suoi saluti, tutti le stavano alla larga. Le sue presunte compagne di gruppo erano così disgustate da lei che mantenevano una distanza di sicurezza e si curavano di non rivolgerle la parola nemmeno per sbaglio. Certo, gli sguardi in cagnesco di Risu erano efficaci per zittire per un pezzo chi spettegolava, ma l’effetto era troppo effimero per rasserenarla. Forse prendere parte alla gita non era stata affatto una buona idea.
Tirò fuori il cellulare dalla borsa e scrisse ad Oikawa:

 
"Sono il loro argomento preferito, tutti sanno. Mi odiano."
 
E lui rispose, dal suo letto in clinica:

"E tu lasciati odiare, lo rimpiangeranno."
 

[1] È una località realmente esistente a Sendai.
[2] Come già spiegato nel primo capitolo, “Scoiattolo” in giapponese si pronuncia “Risu”, che è fondamentalmente “Arisu” privato della vocale iniziale.
NOTE DELL'AUTRICE
Sono proprio io, Miss Aggiorno-Un-po'-a-caso, in diretta dalla landa dei sensi di colpa. Mi pentirò di aver perso una giornata per completare questo capitolo invece di dedicarmi alla tesi. Vorrei ringraziare ancora un volta EFP per aver distrutto la formattazione, perciò nel caso non si sia capito, i testi centrati in corsivo fra virgolette alte sono messaggi, quelli che trovate alla fine allineati a sinistra e a destra sono pettegolezzi.
Ora, questi teppistelli del primo anno, che non possono esser chiamati in altro modo, sono in "gita" poco lontano dalla scuola in realtà. Nemmeno un'oretta, ma in mezzo ai boschi. Pare sia una cosa comune e che serva a far integrare le matricole, Megumi piuttosto preferirebbe integrarsi in un pilastro di cemento, ma sta tentando una sorta di terapia d'urto. Se ne vedranno delle belle.
Pare che per esigenze di trama il mistero del sostituto di Hattori si stia già disvelando da ora. Ma ragazzi, io amo Kato.
Per la cronaca, sto facendo ingrassare Oikawa, sono una criminale.
Come al solito, lasciatemi un commentino/recensione se vi va... e se ci sono errori fatemeli notare perché sono conscia di essere fusa.
Alla prossima, quando sarò più libera, si spera. <3
   
 
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