Fumetti/Cartoni americani > Teen Titans
Segui la storia  |       
Autore: edoardo811    22/01/2018    1 recensioni
Quello che sembrava un tranquillo viaggio di ritorno alla propria terra natale si trasformerà in un autentico inferno per i Titans e i loro nuovi acquisti.
Dopo la distruzione del Parco Marktar scopriranno ben presto che non a tutti le loro scorribande nello spazio sono andate giù.
Tra sorprese belle e brutte, litigi, soggiorni poco gradevoli su pianeti per loro inospitali e l’entrata in scena di un nuovo terribile nemico e la sua armata di sgherri, scopriranno presto che tutti i problemi incontrati precedentemente non sono altro che la punta dell’iceberg in un oceano di criminalità e violenza.
Caldamente consigliata la lettura di Hearts of Stars prima di questa.
[RobStar/RedFire/RaeTerra] YURI
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

XX

Sogno nel cassetto

 

 

Riaprì lentamente gli occhi. Quanto gli costò caro. Non appena l’oscurità attorno a lui si dissolse, sentì fitte di dolore atroci e lancinanti colpirlo su ogni centimetro di pelle.

Gemette. Tutto quello gli sembrava irreale. Faticava a respirare, ogni volta che il suo petto si alzava o abbassava il dolore lo colpiva selvaggiamente, senza dargli un attimo di tregua.

Una volta desto si ritrovò in un ambiente a lui totalmente sconosciuto. La vista era ancora sfocata e gli impediva di scorgere bene ciò che si trovava accanto a lui, ma vide comunque delle strane pareti grigie illuminati da altrettanto bizzarri lampadari.

Non riusciva a concentrarsi a pieno, a causa del dolore provato. Quel bruciore incessante, il pulsare continuo di ogni suo sprazzo di pelle gli impediva di riuscire a metabolizzare cosa fosse accaduto in precedenza.

«Guardate, si è svegliato!» disse qualcuno all’improvviso.

Quella voce giunse lontana e distorta alle sue orecchie, ma la sentì ugualmente. Spostò lo sguardo e vide una figura mal distinta di fronte a lui. Era grossa e grigia, sembrava una macchia gigantesca.

Non riuscì a tenere a lungo lo sguardo su di essa, perché il dolore tornò a colpirlo come una martellata. Grugnì e strizzò le palpebre, inarcando la testa all’indietro. Era terribile. Dannatamente terribile. Non credeva di essersi mai sentito peggio.

«Ehi! Ehi! Non svenirmi di nuovo! È scortese farlo in presenza di qualcuno, sai?» tornò all’attacco la voce. Udì anche diversi rintocchi metallici, simili a schiocchi di dita, molto vicini alle sue orecchie.

Tossì e riaprì lentamente gli occhi. Non riusciva a capire cosa stesse succedendo, era troppo disorientato. La macchia grigia rientrò nel suo campo visivo. Questa volta cercò di restare concentrato, con lo sguardo fisso su di lei, aspettando che si definisse da sola.

Ci mise un sacco di tempo. Più i secondi passavano, più sentiva il battito cardiaco farsi sempre più forte ed insistente. Sentiva il suo cuore pulsare come se si trovasse dentro la sua testa, anziché nel petto. Poi, finalmente, riuscì a mettere a fuoco.

L’individuo misterioso di fronte a lui si fece più nitido. E non appena riuscì a vederlo meglio, boccheggiò agitato. Quello era Slag.

Gli ultimi avvenimenti gli tornarono in mente, l’uno dietro l’altro, in un turbinio di immagini confuse. Loro due che combattevano, lui che stava vincendo grazie allo scettro fongoid, e poi un’immensa fiammata che lo centrava in pieno, quasi uccidendolo.

E a quel punto realizzò tutto quanto. E si sentì pervadere dallo sconforto.

«So che voi terrestri siete delle mezze calzette, ma santa Polaris, ce ne hai messo di tempo per riprenderti!»

Robin ignorò il tono di scherno del capitano robot. Cercò di muoversi, di saltargli addosso e fargli sparire quell’odioso sorriso, ma, oltre a ricevere fitte di dolore come se piovessero, non riuscì a spostarsi di un solo centimetro. Si accorse solo in quel momento di essere imprigionato, legato con delle strane catene ad una sedia di ferro. Grugnì, cercò di liberarsi in tutti i modi possibili, ma non ottenne alcun risultato. Alla fine, stremato dall’estrema sofferenza causata dal muoversi in quel modo, si bloccò e boccheggiò. Era ferito troppo gravemente per poter compiere simili sforzi senza sentire quel bruciore lancinante.

A quel punto non poté fare altro che fissare impotente Slag, seduto dall’altra parte del tavolo che aveva di fronte. Sembravano ad un colloquio, o due amici al bar, e non due reduci da uno scontro devastante.

Il robot lo osservava divertito, tenendo il mento appoggiato sulla mano di ferro, mentre con quella uncinata dava dei colpetti alla superficie di legno del mobile. «È inutile che ti scaldi tanto. Non hai alcun modo di poterti liberare da quelle catene. E anche se ci riuscissi, di certo non potresti mai sconfiggermi. Né me...» Si dondolò sulla sedia, che scricchiolò pericolosamente, ed indicò le due figure in piedi dietro di lui, che fino a quel momento erano sfuggite alla vista di Robin. «... né a loro.»

Il leader dei Titans rimase stupito da ciò che vide. Erano due esseri organici, come lui, non robot come Slag. Uno era un uomo, o perlomeno doveva esserlo. Aveva la pelle azzurra, il collo lungo e bianco, le braccia striate di blu, come se fossero ricoperti da tatuaggi e aveva indosso i classici abiti da pirata. Aveva anche una benda sull’occhio e un bizzarro copricapo simile a quello dei cowboy.

Teneva le braccia incrociate e lo fissava serio in volto, con il suo unico occhio giallo.

Accanto a lui c’era invece una donna. O, perlomeno, lo era fino alla vita. Il resto del suo corpo si smarriva in una lunga coda giallognola mista al verde. Tutto il corpo era di quel colore, eccetto che per alcune striature marroni sul suo volto. Occhi e capelli invece erano del medesimo colore, ovvero un verdognolo oliva. La sua canotta nera era l’unico indumento che aveva indosso.

A differenza dell’uomo, lei aveva stampato in faccia un tenue sorrisetto, che le dava un’aria molto più maliziosa ed imprevedibile.

«Ti presento due dei miei più cari collaboratori, Von Walis Caruso e Shyltia.»

Alla presentazione di Slag, Caruso si tolse il cappello e si esibì in un inchino, mentre Shyltia sibilò rumorosamente con la sua lingua biforcuta, distendendo il sorriso maligno. «Ma che bel bocconcino che abbiamo qui...»

Lo sguardo della piratessa era davvero eloquente. Robin rabbrividì e fece di tutto per non guardarla.

«Peccato che Shamus sia andato a cercare i tuoi amici, altrimenti ti avrei presentato anche lui. Sento che sareste andati parecchio d’accordo...» proseguì Slag, continuando a dondolarsi tenendo l’uncino piantato nel tavolo.

«Che cosa vuoi?» sbottò il ragazzo, digrignando i denti. «Perché sono qui? Dove sono i miei amici?!»

«Quante domande...» rispose il capitano, continuando a sorridere, per poi farsi serio all’improvviso e sradicare via l’uncino dal tavolo, spaccando un pezzo del legno. «Io odio le domande...»

Il pirata si alzò dalla sedia ergendosi in tutta la sua grandezza, per poi dirigersi verso un punto della stanza.

Robin lo seguì con lo sguardo, arrovellandosi su come riuscire ad uscire da quella situazione. Gli altri due pirati continuavano ad osservarlo, non sembravano affatto intenzionati a lasciarselo sfuggire dai rispettivi campi visivi. Quegli sguardi lo incitarono a darsi un’ulteriore mossa. Ma più pensava, meno idee aveva. Era in trappola, semplicemente.

Fece vagare lo sguardo per la stanza. Vide di nuovo le pareti di ferro, i lampadari simili a neon che illuminavano la zona, e un mucchio di scatoloni, dispenser e armadietti. Decine di carte uscivano da ogni dove. Alcune erano appese al muro, altre straripavano dai contenitori ed altre erano arrotolate e lasciate per terra. Raffiguravano mappe, stelle, pianeti e galassie. Erano carte nautiche, sicuramente.

Slag nel frattempo frugò in uno degli armadi ed estrasse un plico di fogli. Si voltò e tornò dal ragazzo, sventolandoli. «Qui l’unico che fa le domande sono io.»

Sbatté i fogli sul tavolo, di fronte a Robin, poi li sistemò in modo da permetterli di vederli tutti quanti, dal primo all’ultimo. Il leader dei Titans rimase scioccato quando riconobbe il proprio volto e quello dei suoi amici su alcune di quelle carte, conditi da delle scritte in qualche lingua indecifrabile. Ma non era finita lì. C’erano un mucchio di altre facce. Alcune erano ignote al ragazzo, ma diverse altre no. C’erano quella di Slag, quella di Caruso e quella di Shyltia. Ma non solo. Sgranò gli occhi quando tra le immagini riconobbe gente come Metalhead, Edward, il volto mascherato di Sklershock e perfino alcuni alieni calamari presenti all’asta al Parco Marktar. Alcuni avevano delle X rosse disegnate sopra, come gli stessi Metalhead, Edward e Sklershock. Non era difficile capirne il motivo.

«Queste sono solo alcune delle persone con le taglie più alte che queste galassie abbia mai visto. Come vedi ci sono io, ci sono i miei collaboratori, ci sono alcuni agenti del Dominio... e poi ci siete tu e i tuoi amichetti.» Slag si sporse dalla sedia, avvicinandosi a lui e guardandolo freddamente. «Cosa accidenti ha spinto dei terrestri come voi a giungere fino a qui, uccidere uno dei pezzi grossi del Dominio ed essere stati addirittura coinvolti nella distruzione di uno dei punti di riferimenti maggiori di Bogon, ossia il Parco Marktar?»

«Una nostra amica era in pericolo» rispose Robin, facendo una smorfia. Non capì perché Slag fosse interessato alla faccenda, ma poco gli importò. Non sembrava avere intenzioni troppo bellicose e più avrebbero parlato, più tempo avrebbe avuto per studiare un modo per fuggire da lì.

«Ti riferisci ad una delle due tamaraniane?»

Il ragazzo annuì. «Lei e sua sorella erano state rapite da un mercenario alieno. Voleva venderle al Marktar. Metalhead il Juggernaut, lo conosci? C’è il suo volantino proprio qui...»

«Oh, sì...» sussurrò Shyltia, con tono e sguardo sognanti. «Quello sì che era un gran bel...»

«Figlio di un Protopet!» ululò Slag alzandosi di scattò dalla sedia e sferrando un pugno talmente forte sul tavolo da spaccarlo in due come un grissino.

Robin sobbalzò, quando vide il pirata dapprima tranquillo, ora così furente.

«Quando ho cercato di abbordarlo lui ha ucciso centinaia dei miei uomini e distrutto decine dei miei Torpedo con la sua stramaledetta nave! Lui, quel sacco di carne del suo assistente e quel maledetto sintenoide! È stato un oltraggio nei miei confronti!» protestò il pirata.

Il ragazzo deglutì. A dire il vero, appoggiava più Metalhead che Slag in quel racconto. Del resto, l’uomo rettile si era solo difeso. Ma non lo fece comunque notare al robot. Non aveva voglia di finire di nuovo arrosto, magari addirittura per sempre.

Shyltia continuò a giocherellare con una ciocca di capelli, probabilmente fantasticando su Metalhead. Robin pensò all’uomo rettile e alla donna serpente nella stessa stanza... e beh, gli vennero i brividi. E anche un conato di vomito.

Caruso, invece, rimase immobile e assente. Il capitano robot ci impiegò non poco tempo per poter tornare tranquillo. E quando lo fece, raccolse la sedia che si era rovesciata e ci si sedette di nuovo. Il tavolo che lo separava dal ragazzo era distrutto e tutti i fogli con le taglie erano sparsi al suolo, ma il pirata non sembrò darci troppo peso.

Grugnì ancora, poi sbottò: «D’altronde, il fetente con la X rossa disegnata in faccia è lui, e non io...» Un sorrisetto divertito apparve sul suo volto metallico. «Direi che ha pagato a caro prezzo ciò che mi ha fatto...»

Robin volle ancora una volta dissentire, ma si morse la lingua. Il pirata alzò di nuovo lo sguardo e lo fissò attentamente. «E così avete inseguito Metalhead per salvare le tamaraniane. E su Tabora come ci siete finiti?»

Sempre pensando alla fuga, Robin spiegò anche quello. Raccontò dell’attacco che avevano subito e del loro atterraggio di fortuna, e di come da inseguitori erano diventati gli inseguiti dal Dominio. Probabilmente Terra non aveva nemmeno mai avuto intenzione di uccidere Sklershock, quando lo aveva attaccato. Si erano solo difesi da lui, semplicemente.

A racconto concluso, Slag annuì e si alzò ancora una volta dalla sedia, per poi cominciare a camminare per la stanza, tenendo le mani congiunte dietro la schiena. «Mh... beh, sono colpito. Davvero. Per essere solo dei pulciosi terrestri vi siete fatti valere. Avete accumulato una taglia che non è per niente da ridere.»

Si fermò. Osservò un punto imprecisato di fronte a sé. Robin rimase a fissare la sua schiena, ancora occupato con i suoi pensieri.

«Ho deciso di portarti qui nel mio ufficio, semplicemente per dirti che non ce l’ho con te e con i tuoi amici in particolare.» Si voltò, per osservarlo di nuovo. Sembrava davvero serio, quasi dispiaciuto per lui. Di sicuro non aveva più la stessa aria che aveva nel villaggio fongoid, quando avevano combattuto. «Vi ho catturati perché mi serve riscuotere le vostre taglie. Ho bisogno di soldi. Ho quattro navi, centinaia di Torpedo, altrettanti uomini... devi capire che vado incontro a spese non poco ingenti. Carburante, munizioni, armi... Di solito io sono una brava, anzi no, una bravissima... beh, persona. Non farei del male ad una mosca. Non avrei mai voluto bruciarti vivo come ho fatto. Ma, vedi, mi avevi fatto perdere un po’ le staffe, ed io sono un tipo molto irascibile, come avrai ben capito...»

Robin fece una smorfia udendo quelle parole. Cos’era, Slag cercava di discolparsi per averlo catturato? Gli stava chiedendo scusa per averlo arso vivo?!

«Vedi, terrestre, io ho un sogno. Un sogno nel cassetto, come dite voi.» Il pirata raccolse due fogli dal mucchio sparso a terra e tornò a sedersi di fronte a Robin. «Voglio che il mio nome venga scritto nella storia di questo universo. Voglio che chiunque, dal Dominio alle forze dell’ordine, non appena mi sentirà nominare, cominci a tremare come una foglia. Voglio che la mia ciurma diventi la più potente di tutte. Voglio che diventi la più grande, la più temibile, che faccia sembrare l’esercito di mercenari del Dominio una barzelletta! Ecco, da’ un’occhiata.»

Sollevò i due fogli, uno tenendolo con una mano, l’altro infilzandolo con l’uncino. Il primo raffigurava l’immagine di un ragazzino con la pelle grigia, le orecchie appuntite e i capelli rossi. Assomigliava parecchio ad un terrestre. L’altro invece raffigurava un altro umanoide, però molto, molto più anziano. La pelle rosa pallida era ricoperta da rughe. Il naso era piccolo e sottile. Gli occhi erano chiusi e incavati nel volto, orecchie e capelli erano nascosti da quello che sembrava un cappuccio alzato.

«Questi sono i due individui con le taglie più alte sulla testa al momento esistenti» spiegò Slag. Sollevò il foglio con il ragazzino. «Questo è Dewys Fitzfiged. Ha una taglia di cinquecento milioni sulla testa. Questo  cadavere ambulante invece è Lord Price X, il sovrano di Ryckan V, con un miliardo di taglia.»

 Robin strabuzzò gli occhi. Per un istante smise anche di pensare al piano di fuga. Come facevano un ragazzino come lui e uno che come minimo aveva duecento anni ad avere delle taglie così ingenti?

Slag sembrò quasi leggergli nel pensiero. «Questi due sono i leader di due delle organizzazioni più potenti del momento. I ribelli Terrox da una parte e il Dominio dall’altra. Inutile dirti che sono aspramente in guerra tra loro e che la taglia del ragazzino, come la tua, è stata instituita da Price stesso. Mentre il vecchio è cercato da qualsiasi agente di polizia a causa del suo enorme mercato di schiavi.»

Gettò i fogli a terra, per poi grugnire. «Per poter diventare il migliore dei migliori, ho bisogno di farli fuori. Entrambi. Se voglio essere come Darkwater, il più grande pirata di tutti i tempi, colui che hai tempi aveva ben settecento milioni sulla propria testa, devo sgomberare la piazza.

«Molti criminali con taglie ingenti e che avrebbero potuto essere dei problemi sono già morti. Il vice di Darkwater, Calico "Bleck" Jeck, che ai tempi aveva anche lui mezzo miliardo, se n’è andato parecchio tempo fa’. Recentemente è morto Metalhead, che aveva trecento milioni. Quel sacco di carne del suo amico, Edward, che ne aveva centocinquanta. Sklershock, che ne aveva duecento. E tanti, tanti altri.

«Ora come ora, io sono tra quelli con la taglia più alta in assoluto, duecentosettanta milioni. Mentre Caruso, Shyltia e Shamus ce l’hanno attorno ai cento. Se io e la mia ciurma eliminassimo il capo dei ribelli e il vecchio, diventeremmo sicuramente i migliori dei migliori. Per il primo so già come fare. Lo ucciderò senza il minimo problema e con la sua taglia da mezzo miliardo potrò fare enormi cose. Lord Price, invece...  è ancora fuori dalla mia portata. Mi servono soldi, per finanziare una simile impresa. Ed è qui che entrate in gioco voi. Vendendovi al Dominio, spacciandomi come loro amico, avrò modo in primis di scoprire come funzionano i loro sistemi di difesa, e inoltre potrò mettermi da parte una somma niente male. Nulla a confronto con il mezzo miliardo che racimolerò con il moccioso Dewys, ma comunque niente male.

«E quando avrò abbastanza soldi, potrò rifare la mia ciurma, trasformarla in un vero e proprio esercito, con il quale metterò a ferro e fuoco Ryckan e lo raderò al suolo. Da una parte diventerò famoso per aver distrutto una delle più grandi piaghe mai esistite nell’universo, dall’altra... diventerò io stesso una delle piaghe più grandi! L’era della pirateria avrà finalmente inizio! Nell’universo chiunque imparerà a conoscere la vera pericolosità dei pirati! Perfino i Ranger più forti e pericolosi dovranno temermi!»

Robin sgranò gli occhi. Oramai il piano per la fuga era andato a farsi friggere. Era rimasto troppo occupato ad ascoltare le parole di Slag. Era sconvolto. Folle. Ecco cos’era il pirata. Era un pazzo da legare. Credeva che fosse solo l’ennesimo avido bastardo, come Metalhead. Uno che voleva i soldi semplicemente perché erano soldi, non perché aveva un progetto ben preciso per loro. Lui no. Slag aveva un piano. Un piano semplicissimo. Accumulare ricchezze semplicemente per investirle, per migliorare la propria ciurma e per poter, un giorno, diventare il padrone indiscusso dell’universo.

Affrontare criminali e non con taglie ben più alte della sua. Affrontare il Dominio, come se questo non fosse altro che un misero gruppetto di incapaci e non quello che probabilmente era il più potente regime dell’universo.

E quel che era peggio, era che sia Shyltia che Caruso sembravano essere d’accordo con lui. Avevano annuito per tutto il tempo, durante il racconto di Slag. E così avrebbero fatto tutti gli altri pirati, probabilmente.

«Capisci adesso perché vi ho catturati? Se ti può consolare, non consegnerò le due tamaraniane. Credo che... le terrò sulla mia nave. I mozzi sono sempre ben accetti, da queste parti. O se proprio non vogliono restare posso sempre scaricarle in qualche buco nero... tanto loro non patiscono l’assenza di ossigeno.»

E dette quelle parole, scoppiò a ridere. Forse nemmeno lui stesso capì il perché di tale gesto. Di sicuro, Robin non ci trovava nulla di divertente.

Doveva scappare da lì e ritrovare i suoi amici, al più presto. Si dimenò ancora, ottenendo di nuovo zero risultati, solamente fitte di dolore. In compenso, riuscì a muovere la sedia di qualche centimetro. A quel punto sgranò gli occhi. La sedia era di ferro, ma non doveva essere molto pesante. E non era inchiodata a terra. E Slag era parecchio, parecchio irascibile.

Un’idea malsana gli attraversò la mente. Era probabilmente la più folle, e geniale, che avesse mai avuto. Ma non poteva metterla in pratica, non in quel momento, con ben tre avversari riuniti nella stessa stanza insieme a lui. Doveva attendere che sia Caruso, sia Shyltia uscissero. Una volta solo con Slag, non avrebbe più avuto problemi.

Sperando che, nel frattempo, gli altri suoi amici, e Stella, stessero bene.

 

***

 

BB si drizzò a sedere, massaggiandosi la testa. Riusciva ancora a sentire la presa di Shamus sulle sue tempie, talmente gli facevano male. Prima di svenire aveva avuto il terrore che quel colosso senza cervello gli avesse spappolato la nuca. Fortunatamente, così non era stato. In compenso, aveva comunque perso l’incontro. Ed era stato catturato.

Si guardò intorno, facendo una smorfia infastidita. Era in una stanza spoglia, priva di mobilio. Le pareti erano grigie scure, lucide e perfettamente lisce, senza imperfezioni. Scorse una figura seduta, appoggiata al muro di fronte a lui. Teneva un ginocchio alzato, su cui appoggiava il gomito, e la testa rivolta al pavimento. Non ci mise molto a riconoscerlo. «Cyborg?» domandò, preoccupato. Non aveva una bella cera, ed era impossibile capire se era sveglio o no.

Il robot drizzò la testa non appena udì il suo nome. Quando i loro sguardi si incrociarono, l’espressione del titan bionico non cambiò di una virgola. «BB.»

Il mutaforma si massaggiò una tempia, colpita da un’altra fitta di dolore. «Hanno... hanno preso anche te?»

Cyborg non rispose. Non che BB avesse davvero bisogno di una conferma. Prima di lasciar piombare la stanza in un opprimente silenzio, il mutaforma domandò ancora: «Ma... dove siamo?»

Ancora una volta il robot rimase in silenzio. In compenso, accennò con la testa alla sua sinistra. BB spostò lo sguardo e solo allora notò una parete completamente diversa dalle altre. Questa era viola chiaro, trasparente. Permetteva la visione di un corridoio e di una stanza identica alla loro dall’altra parte di esso. Un ronzio fastidioso proveniva da essa. Sfrigolava e di tanto in tanto la luce sfarfallava. Il verdolo non era un genio in certe cose, ma pure lui capì che quello doveva essere una specie di campo elettromagnetico. E a quel punto connesse tutte le informazioni.

«Una cella...» mormorò, abbattuto. Che era stato sconfitto lo aveva capito... ma ritrovarsi in una prigione gli fece comunque un certo, negativo, effetto.

Cyborg annuì. «Non vogliono certo lasciarci fuggire tanto facilmente. Siamo ancora stati fortunati a non essere morti.»

BB rabbrividì udendo quelle parole. Si alzò e si avvicinò alla parete viola, per poi provare a toccarla. Pensò di morire folgorato, ma non appena il suo dito entrò in contatto con il campo magnetico, la luce sfarfallò ancora, ma non accadde altro. Sospirò, poi guardò fuori appoggiandosi con entrambi i palmi. Vide il corridoio e oltre alla cella di fronte a loro, ne vide diverse altre accanto. Dopo di esse, il corridoio svaniva nell’ombra.

«Gli altri dove sono?» chiese ancora.

«Guarda tu stesso.» Cyborg indicò la cella esattamente di fronte alla loro. BB aguzzò la vista. In un primo momento non vide nulla, poi sgranò gli occhi quando notò un’esile figura rannicchiata in un angolo dell’altra stanza. La riconobbe quasi subito. «Stella...» sussurrò.

La ragazza si stava abbracciando le ginocchia e teneva la testa incassata tra le spalle. Di tanto in tanto alcuni scossoni la colpivano alle spalle e alla schiena. Stava piangendo.

Il mutaforma strinse i pugni. Non era giusto. Stella era già stata rapita una volta, non poteva sopportare di esserlo stata di nuovo. Osservò il campo di forza. Dopodiché grido e lo colpì con un pugno, mettendoci quanta più forza possibile. La luce sfarfallò ancora, ma nient’altro accadde.

«Che stai facendo?» domandò Cyborg, con tono di voce quasi irritato.

«Non possiamo restare qui!» esclamò il mutaforma, voltandosi. «Dobbiamo uscire! Subito!»

«Quelle pareti possono attutire qualsiasi tipo di attacco fisico e non. L’unico modo per disattivarle senza avere la chiave è un sovraccarico, o un calo di tensione» rispose calmo il robot.

«E tu come fai a saperlo? Se mi trasformassi in...»

«Lo so, perché è il mio lavoro saperlo. Ricordi?» si indicò. «Mente del gruppo... inventore... colui che con queste cose ci vive... hai presente? Se ti dico che quel campo è indistruttibile, lo è. Nemmeno da tirannosauro potresti scalfirlo.»

Il mutaforma non si arrese. «E allora perché non provi tu ad aprirlo? Se con queste cose ci vivi, non dovresti avere problemi, no? Non saprei... il tuo cannone, per esempio! Non potrebbe funzionare?»

Il cyborg sospirò, questa volta chiaramente abbattuto. «Potrebbe. Ma non posso usarlo.» Guardò l’amico, con espressione mesta. «Ho vissuto su Quantus per un mese. Un mese senza elettricità. La mia batteria si è quasi completamente esaurita. È già un miracolo che il mio scanner non si sia ancora spento. Non posso usare il cannone, non ho più energia per farlo.»

BB abbandonò le braccia lungo i fianchi. Raramente si era sentito così... abbattuto. Cyborg non poteva fare nulla. Non si sforzò nemmeno di provare a convincerlo. Non aveva mai visto l’amico bionico così... buio in volto.

Appoggiò la schiena contro la parete artificiale, e si lasciò cadere lentamente a terra, fino a ritrovarsi seduto. «E allora cosa facciamo?»

«Aspettiamo, BB.» Il robot alzò ancora una volta lo sguardo, osservandolo severo. «E speriamo.»

 

***

 

Terra mugugnò infastidita. Per la decima volta di fila aveva cercato di usare i suoi poteri. E per la decima volta aveva fallito. Oramai non c’erano più dubbi, era troppo lontana dalla terra ferma. E di conseguenza la terra stessa non rispondeva ai comandi della sua padrona.

Questo, dunque, confermò l’altra sua teoria. Si trovavano su una delle navi di Slag, prigioniere.

Quando si era svegliata all’interno di quella cella era andata nel panico. In un primo momento aveva perfino avuto paura di essere diventata claustrofobica all’improvviso. Ci aveva messo diverso tempo per riacquistare la calma. E quando ciò era successo, era andata incontro alla triste realtà. L’avevano presa. Quell’individuo bizzarro, Von Caruso, che si illuminava di blu era l’unica cosa che ricordava.

La testa le faceva male, nonostante non avesse subito traumi di alcun genere. Non sapeva com’era possibile. Forse il pirata l’aveva ipnotizzata in qualche modo.

Ma la sorpresa maggiore era arrivata quando si era accorta di Amalia. La tamaraniana mora era nella sua stessa cella, sdraiata a terra. Il suo respiro era regolare, ma teneva gli occhi sigillati. Forse era svenuta prima di essere catturata e non si era ancora svegliata. E di certo non sarebbe stata la ragazza bionda a destarla. Amalia aveva già avuto il suo bel da fare con le prigioni, avrebbe sicuramente dato di matto una volta scoperto di essere di nuovo dentro una di esse.

La ragazza sospirò, poi si appoggiò alla parete, incrociando le braccia. Doveva pensare. Doveva trovare il modo di uscire da lì, e al più presto. La parete viola di fronte a lei sembrava il portale per un’altra dimensione. Dubitava che sarebbe mai riuscita ad aprirla in qualche modo.

I suoi pensieri giunsero a Corvina. Quanto le mancava. Sperò che almeno lei stesse bene. Aveva sentito alcuni discorsi dei pirati e aveva capito che almeno lei era ancora libera, perciò sperava ardentemente che arrivasse a salvare tutti loro, in qualche modo. Ma soprattutto, dopo tanto tempo rimasta separata da lei, avrebbe tanto, tanto voluto abbracciarla.

Rimase immersa nelle sue riflessioni, osservando la parete viola. E fu proprio osservando quella parete che si accorse di una figura mal distinta presente nella cella oltre il corridoio. Corrucciò la fronte e si avvicinò. Aggirò la tamaraniana ancora sdraiata in mezzo alla stanza e giunse in prossimità della parete. Aguzzò la vista e si rese conto di non essersi sognata nulla. C’era davvero qualcuno nella cella davanti a lei.

Una volta vicina, constatò che chiunque fosse in quella cella, non era uno dei suoi amici. Rimase colpita da ciò che vide. Era difficile vedere bene attraverso i ben due campi magnetici di entrambe le celle, ma non c’erano dubbi. Seduta nella stanza di fronte a lei, appoggiata contro la parete e con la testa bassa, si trovava una ragazza.

Un’aliena, per l’esattezza. Anche se le somiglianze tra lei e una terrestre erano davvero molte. Il viola delle pareti distorceva i colori, ma Terra riuscì comunque a distinguere il colore dei suoi capelli, della sua pelle e dei suoi vestiti. I primi erano castani e lunghi. Ricadevano sulle spalle ed erano coperti in parte da una bandana rossa. La pelle era di una tinta rosa molto pallida e sul viso aveva diverse macchie più scure, mentre le orecchie erano a punta. Gli occhi erano grandi, il colore era difficile da distinguere, ma sembravano anch’essi marroni.

Indossava una specie di tuta, verde sul busto, grigia sulle spalle, marrone sugli avambracci, che arrivava alla cintura grigia metallizzata. I pantaloni erano neri e arrivavano al ginocchio, dove poi cominciava un lungo paio di stivali, sempre marroni.

Sul suolo accanto a lei si dilungava una sottile protuberanza rosa. Terra ci mise diverso tempo per capire che quella doveva essere una coda.

Se non fosse stato per le orecchie e per la coda, l’avrebbe scambiata per una terrestre. I suoi lineamenti erano molto simili a quelli di una ragazza comune, così come il colore della pelle. E, beh, sotto certi punti di vista era anche carina.

A quanto pareva, Terra, Amalia e i loro amici non erano gli unici a cui i pirati erano interessati. Anche quella bizzarra aliena sembrava nella loro stessa situazione.

La bionda sollevò una mano e cercò di attirare la sua attenzione, con diversi cenni. L’aliena ci mise diverso tempo per accorgersi di lei. Sollevò lo sguardo e le due si osservarono. Sembrava parecchio disorientata, ma soprattutto sembrava spaventata.

Terra cercò di sorriderle rassicurante, fece per chiamarla, ma quella si appiattì ulteriormente contro la parete e chiuse gli occhi, distogliendo lo sguardo da lei.

La terrestre abbassò lentamente la mano, afflitta. Guardò ancora per un attimo quella ragazza, poi sospirò e le diede le spalle. Era terrorizzata. Cercare di comunicare con lei in qualche modo non sarebbe servito a niente.

Tornò ad appoggiarsi alla sua parete e sospirò rumorosamente, per poi sedersi pesantemente.

Corvy, ti prego... sbrigati...

 

 





Giusto per precisare, questo è stato l'ultimo capitolo che gli sfortunati che hanno letto questa storia la prima volta sono riusciti ad avere, dopodiché il qui presente idiota ha cancellato tutto. MA, se qualcuno di voi lettori veterani è ancora qui, sappiate che sono assolutamente entusiasta di dirvi che il prossimo capitolo, e anche quelli successivi, sono tutti pronti, pronti per essere pubblicati. Non ho ancora finito la storia, ma sappiate che non mi ci vuole molto per farlo, mi basta semplicemente un finesettimana libero, e sopratutto, la voglia. Tanta, tantissima voglia, ma quella cerco di trovarla. Forse. Sappiate solo che non vi deluderò: il capitolo 21, il capitolo perduto di The Good Left Undone, arriverà, arriverà molto molto presto. Relativamente parlando. Oramai lo avrete capito che "presto" equivale ad "entro il prossimo mese". Comunque arriverà, non preoccupatevi.
Mi spiace davvero per ciò che ho fatto, credetemi, ma questa è la mia occasione per redimermi. Ho pagato le conseguenze delle mie azioni e questa storia un tempo molto molto seguita ora è a malapena calcolata, ma so che quelli che ad essa tenevano davvero sono ancora qui, e di questo non potrò mai ringraziarvi abbastanza. Ai nuovi lettori che invece si sono affezionati ad HoS e Tglu solo di recente, invece, dico solamente grazie per la pazienza e per avermi seguito fino a qui.
Dai, dai, gente, che tra Infamous e Tglu e tutto il resto poco per volta riesco a districarmi. Abbiate fede, amici miei. La fine del tunnel è molto vicina.
   
 
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > Teen Titans / Vai alla pagina dell'autore: edoardo811