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Autore: Marpesia    27/01/2018    2 recensioni
Chi non desidera allargare la famiglia insieme alla persona ch si ama?
Dal testo:
"Nel diciassettesimo secolo, un mago, che insieme al suo compagno voleva avere degli eredi, aveva avuto l’idea di creare una pozione che permettesse ai maschi di rimanere fertili. Aveva provato per tutta la vita prima su cavie animali e poi su volontari uomini, e aveva infine trovato la chiave per il concepimento maschile."
Riusciranno Remus e Sirius a crearsi una famiglia tutta loro?
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: James Potter, Lily Evans, Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: James/Lily, Remus/Sirius
Note: What if? | Avvertimenti: Mpreg | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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NDA: Per prima cosa mi scuso immensamente per il ritardo. “…per i primi di settembre dovrei farcela”, sì, come no. Con lo studio sono stata veramente molto impegnata, ma mi assumo la mia parte di colpa: non riuscivo a scrivere l’ultima parte di questo capitolo. Ci saranno ancora un paio di capitoli, e spero di riuscire ad aggiornare prima che passino altri cinque mesi.
Prima di leggere, metto qualche nota, sperando di non fare troppi spoiler.
• Mi sono inventata di sana pianta una festa nel mondo dei maghi, ovvero la festa dei nonni però nel mondo magico. Siamo nel mese di maggio e non ha niente di eccezionale, ma mi serviva per il capitolo.
• Piccolo spoiler del capitolo: Sirius e suo fratello Regulus hanno, di norma, un anno di differenza. Ho cambiato le cose: qui gli anni di differenza sono quattro, quindi Regulus ha sedici anni (frequenta Hogwarts) mentre Sirius ne ha venti.
Un ringraziamento a Tita_Weasley per la sua recensione nello scorso capitolo. Ero molto insicura sul pubblicare o meno questa storia, e se non avessi avuto alcuna recensione avrei cancellato tutto. Grazie mille ancora :)






“Siamo a casa!” urlò James una volta uscito dal camino del salotto, mentre dietro di lui un vortice di fiamme verdi si dissolveva. Si spolverò i vestiti e si levò da quel punto, per evitare che Sirius, partito dopo di lui dal Ministero, gli inciampasse addosso una volta arrivato.
 

Potter si scompigliò i capelli e si buttò sul grosso divano rosso a penisola posizionato davanti al camino, togliendosi le scarpe e poggiando la testa all’indietro. Finalmente era a casa e poteva rilassarsi.
 

Sirius lo raggiunse, non aspettando neanche che il fuoco verde si diradasse per uscire dal camino e dare una noncurante spolveratina al mantello blu scuro che faceva parte della loro divisa. Se lo tolse subito -l’imporre di portare quel pesantissimo coso anche a maggio era disumano, davvero- lasciandolo fluttuare nel vuoto, poi questo, da solo, se ne andò verso l’attaccapanni nel corridoio.
 

La tentazione di stravaccarsi sul divano insieme a James era grande, ma non aveva tempo.
 

La piccola Topsy entrò di corsa nel salotto. “Bentornati, padron Sirius e padron James!” esclamò felice avvicinandosi al camino e prendendo una piccola scopa con una paletta; prese a spolverare e ammucchiare la polvere che si era creata in quella zona a causa degli arrivi. In pochi attimi era tutto già perfettamente pulito.
 

“Ciao Topsy” disse James stiracchiandosi per bene. “Cosa ci avete preparato di buono per pranzo?”
 

“Padrona Lily pensato che carne accompagnata da purè di patate, insieme ad insalata di pollo, torta con formaggio, sformato di funghi e macedonia è bene per tutti, signore” rispose pronta la creaturina. “Padron Remus insistito per preparare una torta e del budino. I padroni convinti che ospiti la casa di cibo riempire, Padrone.” James si leccò i baffi all’idea del lungo tavolo della sala da pranzo del cottage pieno di prelibatezze. Sirius sbuffò leggermente; era praticamente da quando l’elfa era entrata in casa che cercava di non farsi chiamare “padrone” o “signore”. Gli faceva troppo strano. Ne aveva parlato con suo zio, Alphard, ed era venuto fuori che lui cercava di risolvere questo problema da circa dieci anni.
 

Potter poco dopo si alzò per andare a farsi una doccia. Sirius invece si diresse verso la cucina per dare una sbirciatina ai cuochi al lavoro. Sbirciare, eh. Non cercare di mangiucchiare qualcosa.

 

La suddetta cucina sembrava un campo di battaglia. Lily, ai fornelli, con i capelli raccolti in un disordinato chignon da cui cadevano parecchie ciocche rosse ed un grembiule che forse in principio doveva essere stato bianco, teneva sott’occhio quattro pentole borbottanti sui fornelli i cui contenuti giravano grazie ai movimenti della sua bacchetta, mentre Remus era seduto al tavolo della cucina a gambe incrociate e sbucciava una montagna di patate.
 

Sirius si avvicinò di soppiatto alla sedia dove suo marito era seduto e all’improvviso si avventò su di lui da dietro, prendendo a baciargli il collo in vari punti mentre gli cingeva le spalle con le braccia.
 

Remus sorrise, poggiando sul tavolo la patata che stava sbucciando ed il coltello. Si pulì le mani con un tovagliolo e subito dopo ne portò una tra i capelli del moro, piegando la testa per dare più spazio di manovra a Black. “Ma ciao” gli mormorò mentre Sirius cominciava ad accarezzargli il viso.
 

“Godric solo sa quanto mi sei mancato” mormorò lui, affondando il naso tra i capelli morbidi e mielati del marito, inspirando il suo profumo. Le sue mani passarono prima sul petto del licantropo e poi sul suo addome, ancora perfettamente piatto, dove si fermarono a lasciare leggere carezze. “Beh” sorrise, “Mi siete mancati.”

 
Remus sorrise ampiamente e si alzò dalla sedia per abbracciare il marito. Si alzò sulle punte per raggiungerlo in altezza. “Sono un po’ teso” gli confidò in un sussurro contro la sua spalla. Sirius lo strinse a sé.
 

“Anche io. Tu però cerca di rilassarti” gli disse subito il moro. “Non dovresti agitarti per niente. E neanche stancarti. Perché sei in piedi? Torna seduto” gli ordinò velocemente, sciogliendo l’abbraccio e spingendo di nuovo il compagno sulla sedia. Quello sbuffò divertito. 
 

“Ma ti prego. Sono seduto su questa sedia da due ore buone, a fare cose elementari come sbucciare patate o tagliare a pezzetti la frutta. Cose che potrebbero benissimo essere fatte con la magia” replicò sottolineando l’ultima parte e sporgendosi verso Lily, che si girò verso i due ragazzi.
 

“Tu non ti muovi da quella sedia se non per andare a stare sul divano o su una poltrona, te l’ho detto” ribadì. “E poi tua madre lo dice sempre: “Una bacchetta non può sostituire l’olio di gomito”. E ha ragione.” Remus stava per replicare quando lei lo zittì. “Scordati pure di pulire la casa o fare pulizie tutto da solo e senza magia per i prossimi dodici mesi” finì, tornando ad occuparsi delle pentole sul fuoco.
 

“Lily, con tutte le cose che ci sono da fare in casa non puoi mettermi seduto a fare queste sciocchezze! Bisogna apparecchiare, pulire i bagni, preparare la camera degli ospiti, spolverare…” cominciò ad elencare Lupin. Probabilmente, pensò Sirius, ne avevano discorso per tutta la mattinata. “Tu non stavi mai ferma quando aspettavi Harry! Sempre in giro a…-”
 

“Lily ha ragione” lo interruppe Sirius. “Tu ora stai seduto, limiti gli sforzi e fai cose che non ti stancano. Abbiamo un’elfa domestica efficiente e disponibile, noi siamo rientrati prima dal lavoro per dare una mano e tra poco arriveranno gli ospiti ad aiutare. Non ti preoccupare.”
 

“Ma…” stava per ribattere Remus. Lo sguardo del marito lo zittì. Si rimise composto e riprese in mano la patata mezza sbucciata e il coltello, con un piccolo sbuffo seccato.
 

Sirius odiava vedere il viso del compagno imbronciato, ma in quel frangente non poteva farci niente. Sapeva quanto ci tenesse Remus a tenere in ordine e pulito il cottage, e che fare le pulizie alla maniera babbana, come gli aveva insegnato sua madre, non gli pesava affatto; il punto era che il medico gli aveva proibito ogni sforzo, per il benessere suo e del bambino, soprattutto nel primo e nell’ultimo periodo, i più delicati. E Sirius, dopo tutto quello che avevano fatto per ottenere quel piccolo miracolo, stravedeva già al primo mese (e mezzo) di gravidanza sia per Remus che per quel piccolo ammasso di cellule grande poco più di un chicco di sesamo.
 

Si piegò sulle ginocchia al fianco della sedia su cui Lupin era seduto, intento a pelare un’altra patata, con espressione impassibile. Gli mise una mano sul ginocchio. “Amore.”
 

“Sì?” chiese velocemente il mannaro, senza distogliere gli occhi dal tubero.
 

“Non fare così.”
 

“Così come?”
 

“Lo sai.”
 

“Vuoi dirmi anche come sbucciare questa patata?”
 

“Rem. Lo sai che è per te e per il bimbo. O la bimba. Hai idea dell’ansia che provo? Tutto deve andare per il meglio, e se vi capitasse qualcosa io…” non finì la frase. La presa sul ginocchio del marito però aumentò, e questo girò il capo per guardarlo. Di nuovo posò patata e coltello e si pulì le mani. Poi ne portò una tra i capelli di Sirius, che aveva abbassato lo sguardo. Lo capiva. Entrambi avevano avuto un’infanzia difficile, tra mancanza d’affetto e isolamento sociale. Avevano faticato, si erano rialzati e avevano combattuto insieme per ottenere ciò che in quel momento avevano. Si meritavano una vita felice.
 

“Lo so, amore” disse dolcemente il licantropo facendo poggiare al marito la testa sulle sue gambe. Poi si piegò per lasciargli un bacio tra l’ammasso di capelli corvini lunghi fino alla spalla. “Lo so. Sono troppo testardo, vero?” chiese sorridendo. Sirius annuì con la testa contro il suo grembo. “Speriamo che sia bravo quanto te, questo bambino, giusto?” Sirius annuì di nuovo. Poi lasciò un bacino sul ventre piatto. “Mai sia che diventi terribile come me” rincarò il mannaro, e Sirius si rese conto solo allora del tono sarcastico del marito. Gli rifilò un pizzicotto sul fianco.
 


“Come sta la stellina?”
“Per ora è comoda comoda.”
“E tu? Come ti senti?”
“Oh, bene. Ho vomitato solo due volte questa mattina.”
“Grandi progressi, tesoro mio.”



 

Verso l’una iniziarono ad arrivare gli invitati. I primi furono i genitori di Remus.
 

“Buongiorno a tutti!” disse con voce squillante Hope entrando in cucina. Teneva con entrambe le braccia una busta bianca con dentro piatti e recipienti vari. “Lily! Che piacere vederti, cara! Come stai? E dov’è Harry? Ho trovato delle vecchie cose di Remus, e dei peluches, e delle tutine, e…Sirius! Tesoro, come va? Remus, bambino mio! Oh, come sei pallido…guarda cosa ti ha portato la mamma: verdure arrostite, biscotti alla cannella e un po’ di gelato. Volevo fare anche dei muffin al cioccolato, ma sai, ho chiesto a papà di tenerli d’occhio giusto dieci minuti nel forno mentre andavo a prepararmi e…si sono bruciati. Non chiedermi come abbia fatto, lo conosci. Ma se abbiamo gli ingredienti posso farli anche qui.”
 

I tre ragazzi sorrisero mentre Hope continuava a parlare e tirare fuori dalla busta ciò che aveva portato. Era sempre molto solare ed energica. Si affacciò in cucina anche Lyall. Con un sorriso, e con più calma, salutò tutti e invitò Lily ad andare con lui nel salotto, dove aveva lasciato una busta piena di cose per Harry. Hope la sostituì ai fornelli mentre continuava a parlare e straparlare a Remus e Sirius riguardo l’imbranatezza del marito riguardo alle pulizie domestiche e alla cucina.

 

I signori Lupin erano piuttosto giovani. Quando avevano avuto il loro unico figlio lei aveva venticinque anni mentre lui ventisette. A Remus faceva impressione pensare che, rispettivamente a quarantasei e a quarantotto anni, sarebbero diventati nonni. Oh, che parolona. Trattenne un sorriso sulle labbra mentre ascoltava sua madre raccontare a Sirius di quando Lyall aveva insistito per preparare la torta per il suo trentaduesimo compleanno ed era riuscito a far prendere fuoco a della panna.
 

Hope aveva i capelli mielati e grandi occhi d’ambra. Era piccola e magra, sembrava una delicata statuetta di porcellana con quel suo sorriso dolce e caldo. Remus le assomigliava molto: occhi, capelli, naso, tutti suoi. E il suo sorriso…il suo sorriso, capace di far sentire le persone amate, era identico a quello del figlio. 
 

Essendo babbana, aveva sempre fatto le faccende domestiche a mano, con grande impegno e, quando il marito, anni prima, le aveva detto che, con un movimento della sua bacchetta magica, avrebbe potuto fare in pochi secondi tutto ciò che lei impiegava tutta la mattina per fare, non ne aveva voluto sapere niente. Le cose come le faceva lei venivano benissimo, non aveva bisogno di incantesimi. E poi, diciamolo, anche se Lyall era bravo con la magia, con le pulizie domestiche era davvero imbranato.
 

 Per far sì che Remus non si abituasse a fare gesti quotidiani con la magia, e che quindi diventasse pigro una volta cresciuto e capace di controllare il suo potere, Hope gli aveva insegnato tutto ciò che sua madre aveva insegnato a lei: rifare i letti, spolverare, cucinare, aggiustare oggetti, fare il bucato, riordinare…tutto. Ed era soddisfatta del risultato: suo figlio era capace di fare ogni cosa e ci metteva impegno. Non come la maggior parte dei maghi, che anche solo per preparare una valigia impugnava la bacchetta.
 

Come suo marito, per esempio. Uno sprovveduto, senza la sua preziosissima asticella di legno. Lyall aveva i capelli neri e corti, con la riga da un lato e un ciuffo che gli ricadeva sulla fronte e sugli occhi, scuri e leggermente scesi. Era alto, magro e conservava ancora quell’aria sbarazzina da sciupafemmine che aveva avuto da ragazzo ad Hogwarts. Proveniva da una famiglia purosangue ed era un ottimo mago.
 

Dopo che Greyback aveva morso suo figlio, quanto di più prezioso aveva al mondo, per colpa sua, Lyall aveva smesso di sorridere, di portare la sua famiglia a fare gite ogni fine settimana, di lavorare come Auror, aveva messo la sua bacchetta in un cassetto e non aveva voluto vederla per mesi. Aveva attraversato un periodo in cui aveva mangiato e parlato poco e si era maledetto ogni singolo giorno per aver rovinato la vita di Remus. Solo quando era arrivata la lettera da Hogwarts e aveva rivisto gli occhi del figlio brillare, aveva ripreso a vivere. 
 

 

Lyall e Hope erano fieri di quello che il figlio era diventato. Aveva studiato, era uscito dalla scuola con il massimo dei voti e si era già sposato. Con Sirius, poi. Lo adoravano. La sua condizione non gli aveva impedito di realizzare i suoi sogni, non ne aveva mai fatto un limite e non si era mai perso d’animo. Erano sicuri che in poco tempo avrebbe trovato lavoro, anche se, con lo stipendio a tre zeri che guadagnava il marito, non ce ne sarebbe stato bisogno.

 


I genitori di James e Sirius, Charlus e Dorea Potter, furono i secondi ad arrivare. Anche loro salutarono tutti con molta allegria. Insieme avevano preparato un’insalata di riso piena di cose buone, cercando di unire i gusti di tutti gli ospiti. Con loro, ovviamente, avevano portato Walter, il loro elfo domestico. Era con loro da molto tempo, aveva cresciuto James e sistemato i casini che in casa Potter si erano moltiplicati da quando Sirius si era trasferito lì. Come Topsy per i quattro giovani, era parte integrante della famiglia.

 

Charlus e Dorea non erano giovani come Lyall e Hope; avevano provato per molto tempo ad avere figli, e James era arrivato proprio quando ormai avevano perso le speranze, sulla soglia dei quarant’anni. Avevano una grande villa in campagna, in provincia di Manchester, ma avevano intenzione di venderla e comprare una casetta a Godric’s Hallow: senza i ragazzi, ormai grandi, la villa era troppo vuota per tre abitanti soltanto. I Potter avevano subito legato con i genitori di Remus; a Charlus si era aperto un mondo, conversando con Hope sul mondo dei babbani, e aveva sviluppato una vera e propria fissazione circa le loro abitudini; anche Dorea ne era rimasta affascinata, e aveva imparato a far molte cose senza magia.

 

Insieme a Hope, Dorea salì per andare a vedere il piccolo Harry, di sette mesi, che dormiva placidamente nella sua culla. Topsy intanto stava preparando la camera degli ospiti al piano terra, accanto alla sua. Walter, felice di potersi rendere utile, cominciò ad apparecchiare insieme a Sirius e James. Mancavano ancora alcuni invitati all’appello.
 

Verso l’una e mezza Charlus, James e Sirius uscirono di casa; intanto arrivarono Andromeda e la piccola Ninfadora, di sette anni, con un cesto pieno di muffin alla zucca. Il marito, Ted Tonks, non era potuto essere presente per un viaggio di lavoro. La madre sembrava traumatizzata. Mentre la bambina era corsa in braccio a Remus (“Remi, sposiamoci!” “Dora, non sposerai mio marito! Sono arrivato prima io!”), Dorea aveva chiesto alla nipote il perché di quella faccia segnata.
 

“Non fate mai entrare mia figlia in una cucina con l’intenzione di preparare qualcosa che poi debba pure risultare commestibile” aveva risposto con voce tremolante la poverina. “Ha sporcato tutte le pareti, rotto tre ciotole e una spatola, bruciato metà dei muffins, mangiato parte dell’impasto ancora crudo e pretendeva anche di preparare qualcos’altro.” Hope si mise a ridere, dicendo alla giovane donna che assomigliava tanto a uno degli episodi in cui aveva provato ad insegnare al marito a fare qualcosa alla maniera babbana.

 

Quando Charlus, James e Sirius rientrarono in casa avevano con sé uno degli ospiti, che si sarebbe fermato a dormire al cottage per l’estate. Non appena si sentì la voce di James urlare “Siamo a casa!” tutti si precipitarono nel salotto. Primo fra tutti, Remus si buttò ad abbracciare Regulus con un grosso sorriso. Il cognato ricambiò la stretta. Poi Dorea, e Andromeda, e Lily, e Hope e Lyall.

 

Sirius e Regulus avevano sempre avuto un rapporto unico e forte. Si volevano bene e si proteggevano a vicenda. Quando Sirius, ormai stufo, era scappato da Grimmauld Place a sedici anni, aveva promesso al fratello che sarebbe tornato a prenderlo. Non avrebbe mai potuto lasciarlo lì da solo. All’epoca però Regulus aveva dodici anni, e il fratello era consapevole del fatto di non poterlo portare con sé dai Potter subito; era troppo piccolo. E lasciarlo da solo a Grimmauld Place durante le estati era stato uno strazio, davvero, ma non aveva potuto fare altrimenti. L’estate prima però, all’età di sedici anni, anche Regulus aveva deciso: a rimanere lì dentro non ce l’avrebbe fatta un minuto di più, non con tutta la pressione e le aspettative che i genitori gli avevano scaricato addosso dopo la delusione che avevano ottenuto con il primo figlio. Aveva chiamato Sirius, che insieme a James, Remus e ai signori Potter si era presentato davanti a casa Black ad aspettarlo per portarlo via. Da quel momento passava le vacanze con il fratello e con i suoi amici -la sua nuova famiglia- che era diventata un po’ anche la sua.
 


“Come va a scuola?” gli chiese Hope mentre lo aiutava a sistemare le sue cose nella camera degli ospiti. Anche Lyall era lì, e stava disponendo i libri di scuola del ragazzo su una delle mensole vicine al letto. Regulus sbuffò. “Il sesto anno è stato tosto. Ma il programma di Pozioni di quest’anno è stato interessante e in generale i voti finali sono buoni, anche se la nuova professoressa di Difesa è una sottospecie di tiranno.”
 

“Sempre sicuro di quello che vuoi fare dopo il diploma?” chiese la donna disponendo delle t-shirt nell’armadio. Il ragazzo annuì.
 

“Sì, penso che Medimagia sia la mia strada.”
 

“Mio padre voleva a tutti i costi che diventassi un Medimago, come lui, e come suo padre prima di lui, e come il padre di suo padre eccetera” disse Lyall con un sorrisetto, dando un’occhiata ai libri di testo. “Avevo per la testa tutt’altro, all’epoca. Un po’ non l’ho fatto solo per contraddirlo. Ma le mie sorelle e mio fratello hanno deciso di seguire l’indicazione di mio padre. Tutti medimaghi.”
 

“Hai delle sorelle e un fratello?” chiese stupito Regulus. “Non lo sapevo. Remus non mi ha mai parlato di zii, zie e…”
 

“Perché non si ricorda di loro” tagliò corto l’uomo. “Non li sento da quindici anni. Quando Remus fu morso tutti si distanziarono.” Scese un silenzio triste.
 

“Loro non sanno cosa si sono persi e cosa si stanno perdendo” disse Hope dolcemente, avvicinandosi al marito e alzandosi sulle punte per dargli un bacio sulla guancia, mentre lui le avvolgeva con un braccio la vita.
 

“Davvero non lo sanno” mormorò Lyall, pensando al figlio.
 

 

Erano quasi le due meno venti e ancora un ospite mancava all’appello. Sirius, teso come una corda di violino, camminava avanti e dietro per il salotto, davanti al camino della metropolvere, in attesa dell’ultimo invitato. “E se poi non viene, Jam?” chiese agitato quando scoccò l’una e quarantacinque.
 

L’amico, seduto sul divano con Harry in braccio e Andromeda di fianco, lo guardò divertito. “Rilassati amico, o finirai per creare un buco nel pavimento. E poi lo sai com’è tuo zio, è normale che abbia un po’ di ritardo.”
 

“Non capisco perché tu sia così teso, Sirius” osservò Andromeda perplessa. “E anche se lo zio non viene? Voglio dire, è un peccato, ma perché proprio oggi è importante?”
 

Gli occhi scuri di Sirius saettarono sulla sagoma della cugina, mentre continuava a camminare velocemente. “Perché sì. Io e Remus dobbiamo dirvi una cosa importante e ci teniamo che tutti voi…-”
 

Un grande vortice di fiamme verde si alzò nel camino, facendo sobbalzare Sirius ed alzare James e Andromeda. Alphard Black, un uomo alto ed avvenente sulla cinquantina, i capelli neri alla spalla stirati di grigio e i lineamenti appuntiti, spuntò fuori con tre elfi domestici al seguito, vestiti con completi dai colori sgargianti.

 

Con le mani si tirò indietro i capelli ed uscì dalla cappa, seguito dalle tre piccole creature agghindate a festa. L’uomo indossava dei jeans grigi attillati e una camicia lunga del colore delle violette primaverili; le scarpe scamosciate di un acceso e chiaro color verde acqua richiamavano l’attenzione, quasi ipnotizzando chi le guardava. La moda babbana stava prendendo una svolta originale, tra gli anni ’70 e ’80, e la cosa ad Alphard piaceva.
 

“Buongiorno a tutti” disse con voce roca e fumosa togliendosi gli occhiali da sole rotondi cerchiati d’oro e sfoderando un sorriso smagliante. Sirius, seppur agitato e arrabbiato con l’uomo per il ritardo, non riuscì a mantenere l’espressione seria davanti a quello spettacolo che era suo zio.

 

“Zio” lo salutò Andromeda per prima, andandogli incontro e baciandogli le guance. “Si può sapere cosa stavi facendo?” lo riprese bonariamente.
 

Alphard emise un piccolo sbuffo, mettendosi le mani sui fianchi e guardando prima James e poi Sirius. Spalancò gli occhi azzurri, messi in evidenza da uno spesso tratto di matita nera disegnato sopra e sotto le iridi chiare. “Credevo fossimo d’accordo che alla stazione ci andavo io a prendere Regulus.” Sirius trattenne una risatina.
 

“No, zio, questo te lo ha proposto uno dei tuoi neuroni affaticati dopo qualche bicchiere di Whiskey Incendiario” gli rispose; poi tutti scoppiarono a ridere. Sirius e James abbracciarono il mago, poi questo prese in braccio Harry e se ne andò a salutare gli altri senza dire niente. Il giovane Black lo guardò sorridente mentre mormorava delle cose al neonato che teneva tra le braccia, facendogli fare qualche saltello. Sì, suo zio sarebbe stato davvero felice della notizia.
 

Alphard si posizionò al centro del corridoio sul quale sbucavano tutte le stanze del primo piano e urlò teatralmente: “Alphard Black è qui per voi!”
 

Tutti si affacciarono sull’androne e andarono a salutare. Regulus abbracciò lo zio per più di due minuti, così come aveva fatto con Sirius, James e Remus. Una dei tre elfi di Alphard, rimasti vicini al camino, con una magliettina fucsia e dei pantaloni verde lime a cavallo basso, tirò timidamente l’orlo dei pantaloni di Sirius per attirare la sua attenzione. Il ragazzo si piegò alla sua altezza.
 

“Ciao” la salutò cordialmente. “Tu sei Millicent, vero?” La piccola elfa, piuttosto giovane, annuì e abbassò lo sguardo, strofinandosi il piede destro contro la caviglia del sinistro.

 
“Padron Alphard portato contributo per banchetto di famiglia” mormorò timidamente indicando le due bottiglie di champagne di sangue di drago, piuttosto costose, sorrette a fatica dagli altri due elfi. Sirius le prese subito, e le creaturine si rilassarono.
 

“Grazie mille per averle portate. Ma guarda un po’, quel carente di mio zio che fa la sua entrata ad effetto e lascia a voi le bottiglie pesanti da portare” mormorò comprensivo passandole a James, che andò a metterle nel frigo.
 

Un altro elfo si affrettò a negare con la testa, facendo muovere le grandi orecchie e spalancando gli occhioni verdi. “Oh, no, Signore” disse, “Padrone molto buono con noi elfi, Signore.” Poi si guardò in giro, come per controllare che nessuno stesse ascoltando la grande cosa importante che stava per confidargli. “Padrone concesso giorno libero a tutti elfi suoi impiegati. Tutti a spasso per Diagon Alley, Signore. Noi voluto accompagnare.”
 

“Ma che bravi” disse una voce. Remus stava sorridendo, appoggiato contro lo stipite della porta del salotto. Sirius girò la testa verso il marito e si alzò.
 

“Raggiungete Topsy e Walter, aggiungeranno i vostri posti a tavola” proferì solo il moro, rivolto agli elfi, continuando a guardare il licantropo. Apparvero gli altri due elfi, che li condussero nella sala da pranzo, dove si trovava un lungo tavolo imbandito e già pronto.
 

Rimasti soli, Remus e Sirius si avvicinarono. “Ho bisogno di coccole” mormorò il biondo cingendo il collo del marito con le braccia e alzandosi sulle punte. Le mani di Black automaticamente andarono a posarsi sui fianchi dell’altro. “Non hai sentito cosa ha detto il dottore? Ora racimolo coccole per due.”
 

“No, il dottore ha detto che ora mangi per due.” Lupin emise un mugugno basso, infilando la testa nell’incavo del collo del marito. “Non farti pregare a tavola, uhm?”
 

“Mh-hm.”
 

“Bravo.”
 

Remus risollevò la testa, avvicinandola a quella del moro.
 

I volti si sfioravano, le labbra sorridevano e Sirius sarebbe stato capace di rispedire tutti a casa per godersi una giornata da solo con il suo Remus. Ma non quel giorno. Quel giorno era importante.
 

“Questa notte” promise quindi in un sussurro sensuale, sulle labbra del compagno. “Io e te nel nostro lettone, con tanti cuscini e quei biscotti che ho visto in cucina. Tu ti metti a leggere il tuo libro e io ti coccolo mentre sfoglio qualche rivista di motociclette. Ci chiudiamo a chiave, così nessuno ci disturba. Direi…le nostre solite tazze sul tuo comodino. Io infuso allo zenzero e tu the alla pesca.” Lupin emise un mugolio soddisfatto, abbassandosi di nuovo e abbracciando forte il marito, la testa stretta al suo petto.
 

“Ti amo” disse soltanto. Solo Sirius riusciva a capire di cosa aveva bisogno in ogni momento. Di fare l’amore, di una passeggiata per la campagna, di un bel massaggio, un po’ di coccole, semplicemente della sua presenza. E riusciva a rendere tutto così dannatamente perfetto, così sensuale e giusto e dolce che non riusciva a capacitarsene. Gli aveva appena proposto una seratina tranquilla tra le coperte immersa nel silenzio con lo stesso tono che avrebbe potuto usare per suggerire una gita romantica a Parigi per San Valentino. Era perfetto.
 

“Rem…?”
 

“Mh?”
 

“Ti rendi conto del fatto che tra qualche mese ci sarà un piccolo ingombro proprio qui in mezzo…e che non riusciremo più ad abbracciarci così per un po’?”
 

Remus fece un versetto emozionato, stringendo ancora di più il moro, che sorrise accostandolo a sé. “Soffrirò in silenzio.”
 

 

La sala da pranzo era la stanza più grande del cottage. Una parete era interamente coperta da scaffali pieni di libri, vinili, soprammobili e fotografie; lì vicino erano disposti una poltrona e un divanetto beige, un tavolino da caffè e un’alta lampada ricurva che ricadeva su quel piccolo angolo per la lettura. La stanza era molto luminosa, perché la parete esterna era stata sostituita da pannelli di vetro che davano una bellissima visuale sulla campagna, splendida in tutte le stagioni: in inverno, quando un fitto strato di neve si depositava su tutta la regione, facendo sembrare la casa dispersa in una landa desolata; in primavera, quando l’erba era verde e piena di fiori colorati; in estate, quando il grano dei campi vicini era maturo e ondeggiava pigro fino alla mietitura; anche in autunno, quando una coperta di foglie colorate si adagiava sulla pianura e il cielo grigio carico di pioggia ti faceva venir voglia di stare rintanato in casa, al calduccio. In lontananza si riusciva anche a scorgere il paese vicino.
 


 Al centro della stanza era stato sistemato un lungo tavolo in legno scuro, che poteva ospitare fino a dodici persone. Quel giorno in tutto erano quindici, ma erano lo stesso riusciti tutti ad avere un posto, stringendosi un pochino.

 
Finalmente erano tutti seduti e si stavano gustando il pasto conversando animatamente.
 

“…e avevo capito che a prendere Regulus ci sarei andato io” stava raccontando Alphard gesticolando con il cucchiaio pieno di purè in mano. “Non vi ho nemmeno incrociati alla stazione. Io però non sapevo che lo aveste preso voi, quindi sono stato lì ad aspettarlo pazientemente per trenta minuti buoni. Credevo che si fosse imboscato con qualche bella ragazza sul treno. E invece no! Era già qui a sistemare i suoi calzini” finì con faccia sconcertata. Tutti risero.
 

“Ma dove ce l’hai la testa, eh zio?” gli chiese tra un boccone di pasticcio e l’altro Regulus.
 

“Davvero non lo so, ragazzo mio” rispose gravemente il signore mettendo finalmente in bocca il cucchiaio con il purè che non era finito sparso lì intorno.
 


Il pranzo venne consumato in allegria, con un chiacchiereccio sparso e sempre costante. Di tutto ciò che era stato cucinato era rimasto veramente poco, e tutti erano così sazi che avrebbero volentieri saltato la cena e la colazione del giorno dopo.
 

Ma per il budino, la torta, il gelato, i muffin e i biscotti un posticino nello stomaco c’era, eh.
 

“Okay, okay, ora ascoltatemi” disse ad un certo punto Sirius alzandosi, dopo una delle pessime battute dello zio. Quando ci fu silenzio, il moro continuò: “Dunque, vorremmo ringraziarvi per essere venuti qui oggi a passare una giornata in compagnia; non sapete quanto ci faccia piacere avere la famiglia riunita.” Tutti applaudirono, concordi.
 

“Aaaaaww, che tesoro” sussurrò Dorea dando una leggera gomitata al marito. “Il nostro ragazzo…”
 

Charlus sorrise alla moglie. “Nostro figlio” sussurrò di rimando.
 

“E grazie anche per aver portato oggi tante cose buone da mangiare, era veramente tutto ottimo. Zio Al, a te un ringraziamento speciale per aver portato due bottiglie di champagne…” Ci furono risatine sparse, mentre Alphard alzava il pollice in alto. “…perché oggi è una giornata importante, e bisogna festeggiare. Ora…aspettate un momento, vado a prenderle così le stappiamo.” E detto questo si diresse verso la cucina con una corsetta.
 

Remus, che a stento tratteneva un sorriso emozionato tra le labbra, decise di colmare il silenzio. “Voi lo sapete, che festa è oggi nel mondo dei maghi?” chiese facendo passare lo sguardo su tutta la tavolata.
 

“Eccome se lo so” disse Charlus con una risatina. “Oggi si festeggiano i nonni!”
 

“Esatto” disse il licantropo sorridendo.
 

“E qui c’è chi viene festeggiato per la prima volta…” aggiunse Andromeda guardando radiosa i coniugi Potter senior, tutti emozionati. Il loro primo nipotino, ora in braccio alla sua mamma, li aveva riempiti di gioia. Sette mesi…e la loro prima festa dei nonni.
 

“Ben detto, Andromeda” proruppe Sirius entrando di nuovo nella sala da pranzo con le due bottiglie, che poggiò sul tavolo una volta raggiunto di nuovo Remus. “Propongo quindi di stappare la prima bottiglia facendo gli auguri ai nonni Potter” disse e, tra l’assenso generale, fece per togliere il tappo allo champagne. Alche, la piccola Ninfadora, ormai stufa di starsene ferma e buona a tavola, cominciò a pregare il cugino di farle aprire la bottiglia. Questo rivolse uno sguardo spaventato ad Andromeda, mentre l’intera tavolata sudava freddo.
 

Alla fine lasciarono che la bambina stappasse la bottiglia, già mezza aperta da Sirius. Mentre Walter e Norris, uno dei tre elfi accompagnatori di Alphard, riempivano i bicchieri di vino e tutti, lasciati ormai i posti a tavola, chiacchieravano, Remus discuteva con lo zio del marito. Ovviamente non poteva bere alcol, per il bene del bambino, ma l’ospite, ignaro, non vedeva cosa ci potesse essere di male in un po’ di vino.
 

“Remus, ti prego, prendine almeno un sorso!” disse dispiaciuto Black, porgendogli uno dei bicchieri di cristallo pieno del costoso champagne. “So che è il tuo preferito!”
 

Remus, prendendo un respiro profondo ed imponendosi di non toccare lo champagne di sangue di drago, , il suo vino preferito in assoluto, rivolse un sorriso gentile ad Alphard. “Grazie mille, davvero, ma per questa volta passo.”
 

“Ma come?” insisté l’uomo, tenendogli il bicchiere a una spanna dal viso. Il profumo delicato e fruttato dello champagne raggiunse le narici del biondo, che fece violenza su sé stesso per non prendere tutte e due le bottiglie e andarsele a scolare giù nella cantina tutto da solo.
 

“I-io…penso che prenderò un po’ d’acqua. Per stare leggero” tentò allora Lupin, all’apice della disperazione, con un sorriso tremolante.
 

“Ma Remus…” protestò il signore, con un broncio deluso identico a quello del suo Sirius.
 

Non lo dire, pensò il giovane.
 

“…io l’ho preso apposta per te!”
 


 

Voglio morire.
 

In quel momento Sirius si avvicinò ai due, con un bicchiere di champagne in mano e il sorriso angelico. “Che succede, ragazzi?” chiese, non vedendo l’angoscia negli occhi del marito.
 

Remus gli rifilò un’occhiata degna di una signora basilico con le mestruazioni a cui si sono inoltre bruciate le polpette al sugo nella pentola. Lo prese da parte per la collottola e avvicinò il suo orecchio alle sue labbra. “Tuo zio sta commettendo violenza psicologica su di me, tentandomi con vino più buono del mondo” sibilò in un misto di sofferenza e rabbia, “E io, per colpa della nostra cara e preziosa creatura, devo rifiutare.”
 

Sirius trattenne una risatina, a metà tra il divertito e il dispiaciuto. “Mi dispiace, lupacchiotto. Cerca di resistere.” Vedendo però il viso contrariato del marito, il moro sospirò rassegnato e guardò il bicchiere di champagne che teneva in mano; ci pensò su un attimo e si azzardò a dire, con uno sforzo enorme: “Facciamo così: durante la gravidanza…non berrò neanche io” e tentò con un sorriso. Remus alzò gli occhi su di lui, sorpreso. “Ci impegniamo a non toccare un goccio, va bene? Per il nostro angioletto.” Il mannaro sorrise, gli occhi pieni d’amore per quel ragazzo, che era pronto a rinunciare a tutto pur di farlo sentire meglio. Anche alle sue preziose bottiglie in cantina.
 

“Sei sicuro?” gli chiese, con un sorriso che, pensò, doveva apparire un po’ sciocco. “Otto mesi sono lunghi, signor Black Lupin.”
 

“Mh-hm. Sicurissimo” annuì il moro. Morgana santissima, quanto suonava bene il suo cognome. Mise un braccio intorno alla vita del biondo e lo avvicinò delicatamente a sé, lasciandogli un bacio a fior di labbra. “Ti amo” gli sussurrò, scioccandogli un bacio a stampo. “Tanto” precisò poi, lasciandogliene un altro. Remus sorrise e si sporse per un ultimo bacio prima di riacquistare compostezza.
 

In quel momento furono interrotti da Ninfadora, che, inciampando nel tappeto messo sotto al tavolo, finì addosso alla coppia; lo champagne contenuto nel bicchiere che teneva Sirius ancora in mano si versò su Remus, che riuscì lo stesso a prendere la bambina prima che spiaccicasse quel suo bel nasino contro al pavimento.
 


Poco dopo si spostarono nel salotto, meno grande dalla sala da pranzo e arredato completamente con i colori rosso e oro; davanti ad un camino, usato per la Metropolvere, si trovava un lungo divano rosso a penisola, e poco distante c’era una poltrona dello stesso colore. Due grandi finestre lasciavano entrare molta luce e sui mobili in legno scuro c’erano molte foto dei tempi di Hogwarts e dei viaggi che i giovani avevano fatto; poco a poco il comò si stava riempiendo di foto di un bimbo con gli occhioni verdi e una zazzera corvina nera in testa.
 

Per un po’ conversarono tutti animatamente, con argomenti che variavano dal nuovo negozio di cappelli aperto a Diagon Alley. I cinque elfi domestici si erano ritirati in cucina per lavare i piatti e sistemare, di loro volontà, nonostante fossero stati pregati di unirsi alle chiacchiere. Erano quasi le quattro del pomeriggio quando Remus e Sirius, istintivamente, si scambiarono un’occhiata d’intesa. Era arrivato il momento di dirlo. Quindi ad un certo punto Remus si alzò dal divano e richiamò l’attenzione degli ospiti, mentre Sirius usciva alla chetichella dalla sala.
 

“Dunque…ora ascoltate tutti, per favore” iniziò, con la voce che tremava appena, per l’emozione. Piano piano calò il silenzio, mentre gli occhi erano puntati sul licantropo. “…bene.” Prese un respiro profondo. “Io e Sirius abbiamo pensato di farvi un piccolo regalo e…-”
 

“Remus, ma non dovevate…” lo interruppe Dorea. “Perché…?”
 

“Lo scoprirete da soli” rispose con un sorriso enigmatico Lupin. “Ora Sirius lo sta andando a prendere.”
 

Dopo qualche istante Sirius rientrò nel salotto, con una leggera corsetta. Tra le mani teneva cinque pacchetti di colori diversi, tutti tenui e pastellati. Diede il primo ai coniugi Potter Senior, viola; il secondo ai signori Lupin, verde chiaro; il terzo ad Andromeda e Ninfadora, rosa; il quarto a Regulus, giallo; l’ultimo ad Alphard, azzurro. A Lily e James, che già sapevano ciò che la consegna dei regali comportava dire, non venne consegnato nulla. “Non apriteli fino al nostro segnale” disse subito Remus, vedendo Dora dare una sbirciatina alla bustina sulle gambe della madre. “Vado a…prendere un’ultima cosa” esclamò Sirius. “Poi potrete aprirli.”
 

Tornò quasi subito, mentre accanto a sé lievitava, grazie alla sua bacchetta tesa, un vassoio con bicchieri da brindisi puliti e l’ultima bottiglia di champagne di cuore di drago. Alphard, con un’occhiata, fece intendere a Remus che, a quel giro, non l’avrebbe scampata bella. Avrebbe bevuto taaaaanto champagne. Il povero ragazzo voleva mettersi a piangere.
 

Mentre, con la bacchetta di Sirius, il vassoio restava sospeso a mezz’aria, il marito gli si avvicinò, passando un braccio sulla sua schiena; Black lo attirò a sé cingendogli la vita con un braccio, stringendolo impercettibilmente. L’ansia stava raggiungendo livelli massimi. Fornirono le ultime direttive: avrebbero stappato lo champagne dopo lo spacchettamento dei regali, e che questi nascondevano un -più che palese, a dire la verità- indovinello da svelare. James, quatto quatto, aveva intanto preso una videocamera babbana, comprata qualche anno prima; si era poi posizionato davanti al lungo divano a penisola, dove gli ospiti erano seduti con i pacchetti sulle gambe, impazienti di scoprire in cosa consistevano i regali.
 

Remus e Sirius, mentre si stringevano di più, insieme esclamarono “Via!” e tutti si lanciarono all’attacco sulle povere bustine di carta dai colori pastello.
 


Intorno a Sirius, per qualche eterno secondo, tutto si mosse a rallentatore. Si guardò intorno, come per fare il punto della situazione. Per prima cosa Remus. Era stretto a lui e guardava sorridente ed emozionato gli ospiti che frugavano nei pacchetti. Gli stringeva forte il fianco e tratteneva il labbro inferiore tra i denti per evitare di sorridere troppo. I suoi occhi erano accesi di una luce e una gioia che mai aveva visto prima.
 

Buon Merlino, quanto lo amava.
 

Quanto gli aveva dato e quante volte si era chiesto cosa aveva fatto lui, il dannatissimo Sirius Black, per meritare un simile angelo. Poi abbassò lo sguardo sulla pancia del suo uomo. Proprio lì, sotto il maglioncino leggero del marito, il loro piccolo miracolo semplicemente esisteva. Esisteva, era lì, nel ventre ancora piatto del ragazzo che più amava al mondo, e stava crescendo. Quando erano andati a fare la prima ecografia…si era sentito l’uomo più felice del pianeta. Quel piccolo fagiolino grigio era proprio il loro bambino, loro figlio, ed era già così tanto amato da farlo commuovere. Sì, aveva pianto. E sì, anche lui, come Remus, ogni tanto gettava un’occhiata al ventre del mannaro per vedere se, così, da un momento all’altro, la pancia fosse cresciuta. Sapeva che non si sarebbe visto niente ancora per un po’: Remus era molto magro e il bimbo era ancora così piccolo.
 

Alzò poi lo sguardo sul resto del suo mondo, sulla sua famiglia. James era inginocchiato sul tappeto, con la videocamera ad una spanna dal viso, e filmava gli ospiti che scartavano i pacchetti regalo. Come minimo ci sarebbero stati minuti interi di video che riprendevano le sue scarpe o la sua faccia concentrata in un meraviglioso primo piano con tanto di doppio mento, mentre cercava di accendere quell’apparecchio babbano. Lily era seduta sulla poltrona con Harry in braccio, e osservava la scena sorridendo. Regulus e gli altri guardavano con espressione corrucciata l’interno del pacchetto, cercando di capire cosa fosse.
 

Lyall fu il primo a infilare la mano nel pacchetto; gli altri avevano semplicemente preferito aspettare che lo facesse per primo qualcun altro, visto che, a detta di Regulus, per i corridoi di Hogwarts ancora riecheggiavano i racconti sui leggendari Malandrini e sui loro epici scherzi.
 

Corrucciò le sopracciglia scure mentre tastava un qualcosa di molto morbido. Cos’era, velluto? Sotto gli occhi di tutti, l’uomo tirò fuori…un…un…un body per neonati.
 

Andromeda fu la prima a capire -ci mise circa due nanosecondi- e cominciò a strillare come un’ossessa, facendo spaventare la figlia seduta sulle sue gambe.
 

“No, aspetta” mormorò Regulus, mentre tirava fuori, come gli altri, il contenuto dagli altri pacchetti: altri body, tutti colorati, uno estivo, uno pesante, uno rosso, uno verde…”Voi? Voi aspettate un…-?”
 

Non ci credo” disse Hope, gli occhi già pieni di lacrime, mentre si stringeva spasmodicamente al petto la tutina di velluto bianca con stelline gialle trovata nel suo pacchetto. “Oh mio Dio” ripeté mentre guardava il figlio negli occhi e le lacrime cominciavano a cadere copiose. Lyall, improvvisamente pallido, si piegò in avanti, prendendosi la testa tra le mani.
 

Dorea, sventolando il body rosso come la bandiera della vittoria, si unì agli strilli impazziti di Andromeda, mentre Charlus scoppiava a ridere cingendo con un braccio le spalle della moglie. Regulus si alzò, coprendosi la bocca con le mani e facendo qualche passo su e giù per la sala. Alphard studiava con espressione critica il body che teneva tra le mani.
 

“Sul serio sono l’unico a non capire?” chiese guardandosi in giro. Volevano forse dire che avevano problemi con la lavatrice babbana…? Ma come, anche lui ormai aveva imparato a farla bene: il trucco per non far restringere i vestiti era mettere tanto ammorbidente e un po’ di bicarbonato di sodio. Ma ormai c’era chi urlava, chi piangeva, chi rideva e…no, okay. Ninfadora aveva l’espressione spaesata. Le tese la mano, e la bambina la raggiunse. Se la sistemò sulle gambe e le sussurrò “Cerchiamo di capire cosa succede.”
 

Remus, con gli occhi di tutti puntati addosso a lui, e ormai prossimo alle lacrime per la commozione, tirò fuori dalla tasca dei suoi jeans, con la mano tremante, una fotografia che mostrava quello che sembrava un piccolo fagiolino grigio su uno sfondo nero. La sua prima ecografia. L’aveva fatta due settimane prima, ed era rimasto a fissarla per ore una volta a casa. Ne avrebbe fatta un’altra presto, appena dopo la luna piena di quel mese. Il giorno prima aveva raggiunto la sesta settimana. La rivelò agli ospiti, mettendola bene in vista, mentre il braccio del marito gli cingeva la vita e la mano si posava sul suo ventre.
 

Hope crollò sotto ogni punto di vista, cominciando a piangere rumorosamente, rossa in viso, accasciandosi contro il marito, rimasto immobile, mentre Alphard si portava le mani alla bocca, con gli occhi spalancati. James e Lily, che già sapevano, semplicemente sorrisero, stringendosi in un abbraccio con in mezzo il loro bambino. Lyall si alzò tremante dal divano, guardando gli occhi grandi, ambrati e lucidi del suo unico figlio.
 

“D-d-davvero?” chiese con voce quasi impercettibile.
 

“Papà…” mormorò Remus passandosi una mano sulla guancia per asciugare una lacrima di gioia, poi, incapace di continuare, annuì un paio di volte. A quel punto tutti si alzarono, e fu il delirio.
 

Lyall abbracciò di slancio Remus, Regulus invece Sirius, James girava per inquadrare le reazioni di tutti gli ospiti, Andromeda continuava a strillare, emozionatissima, poi qualcuno stappò lo spumante e Remus, raggiunto anche dalla madre, mentre stringeva forte a sé i genitori, sussurro nelle loro orecchie “Buona festa dei nonni.”

 

 

 

   
 
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