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Autore: Pittrice88    30/01/2018    7 recensioni
-Vampirelock / Johnlock.- Ogni notte una figura misteriosa entra a Baker Street. Tra sogno e realtà. Tra la vita e la morte. [All'interno della raccolta Freddo (minilong di 4 capitoli completa)]
Possibile ooc
Genere: Dark, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un unico destino
 
 
Una porta anonima si ergeva davanti a John Watson. Nessuna scritta, nessun numero civico, nessun campanello. Niente di niente. Come si fece più vicino si spalancò lentamente davanti a lui.
Spinto da una strana sensazione di familiarità John entrò.
All’interno non vi erano luci.
Nessuna finestra.
L’unica cosa che riuscì a vedere era un trono, apparentemente in oro bianco, su cui sedeva una figura maschile estremamente elegante.
Lo riconobbe, lo avrebbe riconosciuto ovunque.
 
Come faceva Sherlock a essere lì? Era morto.
 
Sherlock era dannatamente e inequivocabilmente morto!
Eppure era lì.
Gli balzò subito agli occhi che la pelle del detective appariva brillante. Era lui l’unica fonte di luce della stanza.
Pareva immerso nei suoi pensieri, quindi il medico ebbe il tempo di guardarlo bene, sembrava più alto del solito, più magro, gli inconfondibili ricci corvini a contornargli il volto angelico.
Le sue labbra erano assolutamente attraenti, finemente delineate, proprio come se le ricordava.
Quando riuscì finalmente a incrociare in suo sguardo rimase come impietrito, le iridi, che erano sempre state chiare, ma comunque di un vivace tono acquamarina, ora erano talmente trasparenti da sembrare bianche.
John avanzò deciso verso di lui, ma il pavimento si fece viscoso sotto i suoi piedi, si sentiva affondare, come se qualcosa di appiccicoso ne frenasse i movimenti.
Abbassò istintivamente lo sguardo, un mare nero, dall’aria putrescente, si estendeva a perdita d’occhio sotto di lui.
Il trono iniziò a fluttuare a mezz’aria.
Uno strano formicolio gli prese gli arti, lo stesso torpore di quando il sangue ha avuto difficoltà a circolare per una qualche costrizione, poi si accorse che in realtà era dovuto a centinaia di migliaia di insetti che, partendo dalle mani e dai piedi, gli camminavano addosso, andandogli a coprire via via tutto il corpo.
Gridò, ma il suono della sua voce non ruppe mai il silenzio spettrale della stanza.
Le pareti si erano dissolte in vapore scuro. Stava camminando su di un lago freddo di pece da cui emergevano creaturine riluttanti che zampettavano veloci su e giù.
Colto dal panico iniziò a correre per quanto possibile.
Avrebbe voluto guadagnare l’uscita, ma anch’essa s’era dissolta.
 
La sua unica speranza era Sherlock.
Eppure era morto.
Un angelo caduto. L’unico angelo senza ali, si rammaricò.
Le immagini di quel volo non lo avevano mai più abbandonato, nonostante fosse passato più di un anno.
Quella follia era la sua una speranza.
Continuò a barcollare sulla superficie piatta e nera in direzione di quello spettro; il suo sovrano. 
Man mano che si avvicinava qualcosa sotto di sé prese a muoversi. Dapprima come delle leggere e innocue increspature, poi tutto iniziò a girare sempre più forte il un mulinello pronto a inghiottirlo nelle profondità più buie e inesplorate.
Istintivamente John saltò, cercando di aggrapparsi all’unica cosa che ancora era definibile in quel mondo di paura, il suo amico, che ora stava fluttuando in piedi sospeso a un metro sopra la sua testa. 
Riuscì ad afferrargli un piede e rimase così a mezz’aria pure lui.
Sherlock si chinò in avanti, lo prese saldamente da un polso e, con una sola mano, lo tirò a se, vicino come se lo stesse abbracciando.
Era freddo, ancor più freddo dell’acqua di un torrente di montagna in primavera.
Quello non aveva proprio nulla di un abbraccio, era più che altro la stretta di un predatore che ghermiva la sua preda.
 
“Sei mio!”
 
Sherlock non aprì bocca, eppure John sentiva chiaramente la voce dell’amico, il timbro conosciuto a scaldargli il cuore, ma con un’increspatura fredda e disumana a raggelargli l’anima.
 
“I nostri destini sono legati indissolubilmente. Se io vivo tu vivi e se io muoio tu muori”.
 
“Non uccidermi, ti prego” la voce di John, flebile, era rotta dalla paura.
 
“Io sono un non-morto. E la tua, da mesi, non si può chiamare vita. Dipende da me, sai?”.
 
Senza preavviso Sherlock affondò i denti nel collo di John, e, continuando a stringerlo con forza a sé, ne succhiò quanto più sangue possibile.
La tensione muscolare del corpo del medico diminuì considerevolmente, ormai debole.
 
“Mi dispiace John per tutto questo dolore, ma la mia sopravvivenza dipende da questo. Sei ciò che mi tiene in vita”.
 
Il vampiro allargò le braccia e lasciò che il corpo si sfilasse dalla sua presa precipitando in un baratro nero.
 
 
 
Un grido strozzato ruppe il silenzio al 221B. John si mise a sedere nel letto. Il cuore gli batteva a mille nel petto fino a fargli male, il fiato corto, una goccia di sudore a solcargli la fronte. Si portò le mani sul volto e iniziò a piangere. Con la coda dell’occhio intravide che la sveglia segnava le 5; era riuscito a dormire più del solito. Gli incubi ormai erano una triste abitudine. Istintivamente si portò una mano al collo e piangendo ripensò a dove le labbra di Sherlock l’avessero toccato. Ebbe quasi la sensazione che qualcuno fosse realmente entrato in casa a Baker Street. Si rimise sdraiato sotto il piumone, sperando che, per una volta, quelle labbra tanto amate lo venissero a trovare in sogno e non in un incubo. Quelle labbra attualmente precluse nella sua esistenza, ma che, a sua insaputa, sarebbero poi tornate a consolarlo di lì a qualche mese. 
   
 
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