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Autore: revin    03/02/2018    0 recensioni
La vita senza Michael, Lincoln e la loro sfilza di problemi non è più la stessa per la complicata Gwen. Ma i problemi come sempre sono dietro l'angolo... come le prigioni.
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Michael/Sara
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era trascorsa una settimana da quando Michael e Lincoln erano partiti e da allora non avevo più avuto notizie da nessuno dei due.
Ero tornata nel New Jersey depressa e disperata come il presidente Roosevelt dopo essere stato informato dell’attacco dei giapponesi ai danni della flotta americana ancorata a Pearl Harbor.
Per giorni non avevo fatto altro che rimuginare sulla decisione presa di non partire insieme ai miei amici. Avevo cercato di farmene una ragione, avevo cercato di concentrarmi sui lati positivi che quella scelta avrebbe comportato ma per quanto m’impegnassi, non c’era stato verso di trovarne.
Keith era tornato a casa 24 ore dopo il mio arrivo a Newark. Non aveva sospettato nulla del mio viaggio a Chicago, né io avevo trovato il coraggio di parlargliene.

Le giornate all’improvviso si erano fatte tutte uguali. Non trovando la volontà di chiamare Michael per spiegargli quale contorto e insensato motivo mi avesse spinta a rimanere negli Stati Uniti, il mio nuovo passatempo preferito era diventato trascorrere pomeriggi interi in rete a caccia di aggiornamenti sugli ultimi evasi rimasti in circolazione.

Una notizia risalente alla prima settimana di giugno trattava la morte di Charles Patoshik, il detenuto della sezione psichiatrica di Fox River e anche ex compagno di cella di Michael, che inspiegabilmente aveva deciso di arrampicarsi su una torretta di controllo e di lanciarsi nel vuoto, sfracellandosi come un moscerino sul parabrezza. L’ex detenuto, la sera prima del suo folle gesto, aveva aggredito e assassinato una cinquantenne nella sua casa in un microscopico paesino a sud del Wisconsin. Anche questa volta si era occupato del caso l’infaticabile agente federale Alexander Mahone. L’uomo aveva dichiarato alla stampa di aver fatto del suo meglio per convincere Haywire a scendere dalla torretta e farsi arrestare, ma intanto il corpo del povero Charles aveva raggiunto quelli di Abruzzi e Tweener, aggiungendosi alla lunga lista di cadaveri disseminati in giro da quel farabutto in giacca e cravatta.

Nel frattempo, dopo le scottanti dichiarazioni rivelate dai due fratelli nel loro video mandato in onda da Canale 11, era partita un’indagine interna al Bureau contro Mahone. L’indagine aveva portato a galla insospettabili verità sul responsabile delle indagini relative alla cattura degli 8 di Fox River. Il corpo di Oscar Shales era stato ritrovato sepolto nel giardino di casa del poliziotto e immediatamente era stato emesso un mandato di cattura contro quest’ultimo, che purtroppo era riuscito a darsela a gambe, scomparendo dagli Stati Uniti prima di poter essere arrestato.

L’unica notizia positiva della settimana riguardava l’ex soldato C-Note Franklin che, secondo fonti attendibili, era riuscito a riconquistare la sua libertà e a farsi assegnare al programma di protezione testimoni, accettando di collaborare con l’FBI e testimoniare contro Mahone.
Alla fine, il più furbo si era rivelato proprio il caro C-Note. Si era aggiudicato una scala reale riconquistando famiglia, libertà e una parvenza di vita normale, e tutto in un colpo solo. Per lo meno, per qualcuno era finita bene. Ero felice per lui.

I giorni trascorrevano veloci e le notizie riguardanti gli evasi persero di interesse, riducendosi a sporadici trafiletti, relegati alle ultime pagine dei giornali. Senza accorgermene, il tempo era volato e il 15 Giugno comparve all’orizzonte, ricordandomi che anch’io avrei dovuto decidermi a vivere una parvenza di normalità. Non ero più a Fox River, la vita andava avanti e quel giorno compivo 25 anni. 
  • E’ bello riavervi entrambe qui a casa. Sembra che tutto sia tornato alla normalità, cominciavo a perderci le speranze.
Keith mi sorrise entusiasta. Sembrava davvero felice. Aveva organizzato il mio compleanno e costretto Meredith a tornare a casa per il fine settimana perché convinto che quel giorno dovesse rappresentare un nuovo inizio per tutti noi. Finalmente io ero fuori di prigione, Meredith era la prima del suo corso di Criminologia alla S. Diego State University e il pericolo Mahone sembrava essersi volatilizzato completamente dalle nostre vite. Per Keith doveva essere come il giorno di Natale e la festa del Ringraziamento messe insieme. Probabilmente lo sarebbe stato anche per me se, oltre a Keith e Meredith, avessi avuto accanto anche un’altra persona.

Michael. Chissà cosa stava facendo in quel momento.
Avevo cercato di fare del mio meglio per dimostrare un po’ d’entusiasmo di fronte a quel banchetto di compleanno, ai regali e a tutto il resto, ma quando il minuto di buon umore era finito, io ero tornata a chiudermi nuovamente in me stessa e quel compleanno era finito per risultare un disastro. La colpa era mia. Mi mancava terribilmente Michael. Avrei voluto trascorrere quel giorno insieme a lui, e sarebbe successo davvero se non avessi preso la stupida decisione di lasciarlo partire per Panama senza di me. Non è che non fossi felice di trascorrere una serata insieme al mio patrigno e Meredith, solo… non era la stessa cosa. 
  • Tu hai un vantaggio su di me.  -  mi disse improvvisamente Meredith mentre insieme ci stavamo occupando di rassettare la cucina, lavare i piatti e rimettere in ordine.
  • Ah si? E quale sarebbe?  -  chiesi svogliata.
  • Quando qualcosa non va, tu sai sempre come studiare una strategia per tirarmi su il morale, ma se qualcosa preoccupa te io non so mai come fare per aiutarti perché tu non parli con me.
Le passai i piatti asciutti perché li riponesse al loro posto.  -  Non è vero, io ti dico sempre tutto.
  • Se fosse così saprei perché la festa di stasera ha avuto lo stesso successo di un funerale del lunedì mattina, ti pare? Non so cosa ti stia succedendo e questo non mi piace. Parla con me, io potrei aiutarti.
Io non ci avrei giurato. All’improvviso, la persona con la quale ero sempre riuscita a confidarmi era come se si fosse trasformata in un’estranea.
  • Non mi succede nulla, Meredith.  -  mi avvicinai al frigo e presi una bottiglietta d’acqua per me.  -  Dovremmo andare a fare la spesa domattina, che ne dici? Questo frigo grida vendetta.
  • Stai sviando il discorso come al solito.  -  sbuffò, incrociando le braccia al petto.
  • Ti sbagli, guarda tu stessa.
Spalancai l’anta del frigorifero per mostrarle un pezzo di formaggio stantio conservato in carta d’alluminio e contenitori con dentro gli avanzi della serata, ma la ragazza mise il broncio e continuò a fissarmi scontenta.
Stavo per rifilarle una scusa qualsiasi che la convincesse a lasciarmi in pace ma fui interrotta da Keith che, dopo aver travolto la porta ed essersi voltato nella mia direzione, aveva esclamato:
  • Devi venire subito a vedere cosa sta succedendo. Presto!
Io e Meredith eravamo scattate senza farcelo ripetere, seguendo Keith in salotto dove la televisione accesa stava trasmettendo i fuori programma delle ultime notizie.
  • “Colpo di scena al processo contro la dottoressa Sara Tancredi accusata di favoreggiamento e concorso in evasione, oltre che di sottrazione alle autorità e mancata presenza in appello. La donna, discolpata da ogni accusa appena pochi minuti fa al tribunale di Chicago, è stata rilasciata grazie alle testimonianze shock di un personaggio inaspettato che avrebbe raccontato di aver avuto l’ordine di uccidere la dottoressa e il gruppo degli 8 evasi di Fox River da una compagnia di multinazionali americane a capo delle più alte sfere del governo, denominata la Compagnia. Ma mandiamo adesso in onda la confessione del testimone chiave al processo.”
Il servizio era partito immediatamente e una ripresa video dell’aula del tribunale dove si era tenuto il processo aveva mostrato sul banco dei testimoni Paul Kellerman, l’ex agente governativo che aveva lavorato per la Compagnia, decidendo in seguito di aiutarci a distruggere e ricattare Caroline Reynolds.
Con il consueto sorrisetto arrogante, Paul aveva raccontato per filo e per segno come Lincoln Burrows fosse stato incastrato da lui e dal lavoro dei tecnici della Compagnia che con maestria e minuziosa attenzione erano riusciti a far credere che ci fosse proprio lui dietro l’omicidio di Terrence Steadman, in realtà suicidatosi in un motel a 30 miglia da Blackfoot, nel Montana. Tutti i segreti della Compagnia erano stati finalmente svelati al mondo, gli intrighi del governo e il coinvolgimento di Caroline Reynolds resi noti e la piena innocenza di Lincoln e Sara, dichiarata pubblicamente. La testimonianza dell’ex agente della Compagnia, aveva permesso di fare luce su quella triste storia e riconoscere i veri colpevoli, ma aveva anche spinto le autorità ad occuparsi delle nuove scoperte e ritenere Paul Kellerman un complice del complotto governativo e un inevitabile capro espiatorio.
  • Oh mio Dio… Lincoln è libero… Lincoln è stato scagionato da ogni accusa…
Ero allibita. Dovetti avvicinare una sedia e mettermi seduta per evitare di stramazzare a terra, mentre percepivo un’ondata di sollievo scorrere impetuoso nel mio sangue. Mi sembrava quasi di essere sul punto di svenire.
  • Incredibile. Adesso che la colpevolezza della Reynolds è saltata fuori, anche le accuse che ti furono mosse tre mesi fa cadranno automaticamente.  -  esclamò Meredith.  -  Il governo dovrà riconoscere il suo errore e tu verrai scagionata da ogni accusa.
  • Non credo che sarà così semplice.  -  risposi, ancora piuttosto scombussolata.  -  Il governo sarà già abbastanza impegnato a dover riconoscere i danni fisici e morali comportati a Lincoln, Sara e probabilmente anche a Michael. Non penso proprio che vorrà preoccuparsi anche di una ragazzina finita dentro per un’accusa di diffamazione, la quarta per giunta. Tutto questo dimostrerà soltanto che Caroline Reynolds è colpevole e che il mio articolo postato mesi fa non era infamante, ma questo non cambierà le cose. L’espulsione dall’Albo è stata definitiva.
Sarebbe stato bello poter rimettere le cose apposto, riavere indietro tesserino e sogni, ma a dir la verità non me ne importava più niente della vendetta e di tutto il resto. Ne avevo passate così tante nelle ultime settimane che persino Fox River ormai mi sembrava lontana anni luce.
  • Al momento sono solo molto contenta per il mio amico Lincoln.  -  dissi sincera. Chissà se a Panama avevano già trasmesso la notizia.
  • Non avrei mai pensato che potesse esserci sotto una simile congiura. Dimmi la verità Gwen, tu sapevi dell’esistenza di questa Compagnia?  -  mi chiese Keith, parlando per la prima volta.
Riflettei un momento, valutando gli effetti devastanti che avrebbero comportato la mia decisione di raccontare tutta la verità e in un ventiquattresimo di secondo la risposta uscì dalla mia bocca senza che me ne rendessi conto.
  • Ne sento parlare adesso per la prima volta.
Quante altre bugie avrei dovuto raccontare a Keith prima di rendermi conto che stavo dando vita ad una vera e propria bomba nucleare? Dopo tutto quello che avevo combinato: aiutare 8 detenuti rinchiusi in un carcere di massima sicurezza ad evadere, minacciare il direttore del penitenziario e rischiare di essere nuovamente arrestata, avevo quasi perso per sempre la sua fiducia. Non me lo aveva detto espressamente ma sapevo che mi era stata concessa un’ultima possibilità, possibilità che certamente sarebbe andata in fumo se avessi raccontato del mio incontro con Lincoln a Los Angeles, del New Mexico e di tutto il resto. A quel punto avrei dovuto dirgli di essermi recata a Chicago mentre lui era a Pittsburgh, di aver aiutato Michael e Lincoln a scoprire le carte di un’organizzazione governativa che, secondo Kellerman, mi aveva tenuta d’occhio dal giorno in cui avevo messo piede negli Stati Uniti, e ovviamente avrei dovuto raccontargli di come mi fossi sentita persa e vulnerabile il giorno in cui avevo detto addio a Michael o di come ancora mi sentissi sbriciolare in pezzi ogni volta che pensavo a lui e a quanto sentissi la sua mancanza.
E alla fine cos’avrei ottenuto?
Soltanto il disprezzo di Keith, ecco cosa. Gli avevo fatto tante promesse che poi avevo infranto. Lo conoscevo bene e non avrebbe capito le mie scelte, né tanto meno il perché gli avessi mentito. Era meglio che le cose restassero com’erano. Avevo troppo da perdere per decidere così all’improvviso di farmi venire gli scrupoli di coscienza.

Quella sera stessa mi decisi a prendere il cellulare e chiamare Michael, non potevo più rimandare, non dopo tutto quello che era successo. Purtroppo non ottenni risposta. Lasciai diversi messaggi in segreteria e sul forum all’indirizzo e-mail che mi aveva lasciato quella volta in New Mexico, con la speranza che leggendoli o ascoltandoli potesse richiamarmi, ma non accadde. Sembrava che Michael si fosse completamente dimenticato di me, anche se in realtà ero molto più preoccupata che fosse successo qualcosa a Panama. Non riuscivo proprio a capire che fine avessero fatto i miei due amici.

La risposta arrivò in modo del tutto inaspettato quello stesso venerdì, mentre mi trovavo come al solito in casa, cercando di far passare più velocemente il tempo guardando la tv. Dopo 40 minuti di tortura forzata e sbadigli intermittenti di fronte a Law & Order, mi decisi a spegnere il televisore e salire nella mia stanza per riattivare almeno la circolazione nelle gambe e magari, con un po’ di fortuna, anche del mio cervello che sembrava essersi trasferito definitivamente in modalità ibernazione.

Avevo appena superato i primi dieci gradini quando sentii la suoneria del mio cellulare rimasto in camera, suonare all’impazzata. Il ritmo di Infinite Legend dei Two Steps From Hell mi convinse ad accelerare il passo per non perdere la chiamata che, come appurai pochi secondi dopo, proveniva da un numero anonimo. Risposi ugualmente.
  • Pronto.
  • Sawyer…
 Bastò un ventiquattresimo di secondo per riconoscere l’identità dell’interlocutore all’altro capo del telefono. Quasi non volevo crederci.
  • Linc...
  • Ciao piccola delinquente.
   
 
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