15 morti
e 7 feriti, di cui due lievi.
Era
questo il bilancio che fu riferito a Gilbert diverse ore dopo
il collo del dormitorio.
L’albino aveva passato tutto quel tempo cercando di
nascondere la forte
angoscia, che lo stava divorando dall’interno, scrutando
senza risultato
l’orizzonte insieme alle altre guardie di vedetta.
Nessun movimento sospetto, nessun avvistamento.
Niente che potesse far supporre la presenza dell’Armata Rossa.
Gilbert
però non si illuse e continuò a controllare i
confini con
le altre guardie, finché un prigioniero con il fiato grosso
per la corsa non lo
informò del numero dei morti e dei feriti e della causa del
crollo.
Gilbert rise incredulo quando seppe che il tetto della costruzione,
ormai
fatiscente da anni, aveva ceduto sotto il peso della neve che si era
accumulata
sui tetti per giorni interi, tirando giù anche i muri dalle
travi marcie.
Era incredibile quanto poteva essere maledettamente beffardo a volte il
destino!
Compreso
ormai che i russi non erano la causa della tragedia,
Gilbert lasciò pochi poveri malcapitati di guardia mentre
congedò le altre, lui
stesso si dileguò appena gli fu possibile.
Doveva assolutamente controllare tra i cadaveri allineati davanti le
macerie se
lui era tra quelli. Gilbert pregò varie volte Dio di non
dover provare lo
strazio di doverlo vedere sotto uno di quei stracci che coprivano i
vari corpi,
non sapeva davvero come avrebbe potuto reagire alla vista del suo
bellissimo
viso tumefatto dal crollo, o alla vista del suo corpo straziato.
Erano pensieri orribili che gli fecero sentire un morso allo stomaco.
Arrivato
nello spiazzale si fermò qualche istante a osservare il
luogo del crollo. I prigionieri, guidati dalle guardie, avevano fatto
tutto
sommato un buon lavoro. Le macerie erano state per la maggior parte
accantonate
affianco alla struttura distrutta, di cui rimanevano soltanto qualche
pezzo di
muro intatto e qualche trave spezzata. I detriti più grandi
erano rimasti lì
come una carcassa d’animale spolpata della carne. La scena
che si presentava
era meno impressionante del momento del crollo, ma Gilbert ammise che
fu una
fortuna che erano riusciti bene o male a trovare e disseppellire tutti
i
prigionieri rimasti là sotto.
Più morti che vivi purtroppo.
Questo lo
riportò al motivo principale per cui era qui.
Davanti le macerie erano stati allineati quindici corpi su due file
parallele.
I cadaveri erano stati coperti alla meglio con degli stracci, alcuni
riuscivano
a coprire soltanto il volto del malcapitato lasciando vedere
perfettamente lo
stato pietoso del resto del suo corpo, spesso sporco di sangue.
Gilbert sentì l’impulso di vomitare, ma
cercò di controllarsi e mantenere un
certo decoro davanti le guardie che stavano ancora controllando i
prigionieri,
che lavoravano sui detriti.
Velocemente
si avvicinò a una guarda che stava vicino ai cadaveri
e appuntava su un taccuino:
“Ehi
tu!”
“S-signore!!
Si, signore?” Rispose la guardia tremando
visibilmente. La maggior parte delle guardie aveva timore di Gilbert e
del suo
famigerato sadismo.
“Sono
venuto a controllare lo stato dei lavori. Avete riconosciuto
e appuntato i nomi dei morti?”
“N-no,
signore, stavo per cominciare”
“Bene,
allora non ti dispiacerà se assisterò,
vero?” Con un
sorriso porse la mano alla guardia e fece un gesto eloquente.
La guardia guardò prima l’albino, poi i cadaveri a
terra e infine il taccuino.
Realizzando cosa il suo superiore gli stava gentilmente suggerito, si
lasciò
sfuggire un gemito e consegnò il taccuino a Gilbert mentre
lui iniziò a
scoprire i volti dei cadaveri per il riconoscimento.
Gilbert
era compiaciuto dal fatto di aver trovato una buona scusa
per controllare i cadaveri senza destare sospetto.
Velocemente la sfortunata guardia scoprì il volto di ogni
vittima
pronunciandone il nome e cognome e il codice cucito
sull’avambraccio. Per quei
corpi con il volto così tumefatto da essere impossibile da
riconoscere, il
povero malcapitato gemeva il numero di riconoscimento respirando forte
dalla
bocca per non sentirsi male.
Più
il tempo passava, più corpi riconoscevano, più le
speranze di
Gilbert aumentavano. Finora non aveva fatto la tanto sofferta scoperta
né del
canadese né dell’italiano, anche se conosceva la
maggior parte di quei
prigionieri.
Con il cuore in gola finì di appuntare i numeri del
penultimo cadavere e
lentamente si avvicinò all’ultimo corpo coperto a
terra.
Gilbert sentì la gola stretta mentre si accorse che la
statura di quel corpo
era simile a quella di Matthew. La guardia aspettò che il
suo superiore si
avvicinasse abbastanza, poi afferrò il lembo di stoffa che
lo copriva fino ai
ginocchi.
Gilbert trattenne il fiato mentre il cuore gli pulsava nelle orecchie
tant’era
forte l’agitazione e l’ansia che stava provando in
quel momento.
Infine la
guardia sfilò la stoffa con un gesto rapido, rivelando
il volto del malcapitato.
Gilbert tremò.
Francis
si passò una mano tra i capelli sciolti mentre cambiava
posizione sulla sedia mezza rotta dell’infermeria. Stava
ancora cercando di
riprendersi dalla tragedia successa ore prima.
Nella sfortuna si sentiva incredibilmente fortunato:
l’edificio era crollato
proprio nel momento in cui lui era stato costretto dalla guardia di
turno a
svuotare il secchio dei bisogni.
Se questo era un segno del destino Francis lo aveva recepito benissimo.
Erano
già due anni che si trovava in quell’inferno, era
uno dei più longevi
prigionieri di tutto il campo, ed era scampato a morte certa sotto le
macerie
del proprio dormitorio…
“Mon
dieu, sono proprio un miracolato. Forse posso davvero
cominciare a sperare di rivedere Arthur!”
Ma quei
pensieri provocavano più dolore che gioia, quindi Francis
cercò subito di distrarsi da loro, concentrandosi invece sul
lettino logoro
dove dormiva profondamente Feliciano. Lui era stato uno dei pochissimi
a
salvarsi dal crollo.
Più o meno.
Era ancora vivo, questo era certo ed era anche molto, ma aveva
riportato brutte
ferite dal crollo. La sua gamba era rotta in più punti ed
era stata steccata
con due pezzi di legno. Aveva qualche costola inclinata a detta del
medico del
campo, ma sentendo le urla di dolore del povero italiano ogni qual
volta faceva
un movimento anche minimo, Francis sospettava che fossero rotte. La
testa era
stata fasciata, ma il francese non sapeva esattamente perché.
Tutto sommato era fortunato, ad altri era andata molto peggio.
Francis
avrebbe tanto voluto aiutare la squadra addetta alla
rimozione dei detriti per cercare in ogni modo possibile di salvare
quelle
povere anime sotto le macerie, ma era stato violentemente scacciato in
favore
dell’infermeria. Quando arrivarono i primi feriti Francis
cominciò ad avere una
speranza. Più gente arrivava più la sua speranza
cresceva.
Essa si fermò al numero sette.
Fortunatamente
tutti quelli che erano riusciti ad arrivare in
infermeria non erano in pericolo di vita. Feliks e Toris avevano
riportato
delle forti contusioni ma erano stati classificati come feriti lievi.
Anche
loro, come Francis, erano increduli di quanta fortuna avessero avuto.
Francis sospirò e strinse i pugni sul favolino nel pensare a
quelli che invece
non ce l’avevano fatta. Erano tutte brave persone, alcune con
un cuore d’oro,
tutte che speravano in un futuro migliore, magari tornare a casa dalla
propria
famiglia, chi invece emigrare in America per fare fortuna.
Quelle povere vite innocenti erano state spezzate così
bruscamente in un posto
simile e probabilmente sarebbero state gettate in fosse comuni come dei
normali
rifiuti.
Un gemito
lo distolse da questi pensieri facendolo girare verso i
lettini. Feliciano si era mosso nel sonno e il dolore era stato
così forte da
farlo gemere anche mentre dormiva. Il ragazzo castano
cominciò a mormorare
strane parole mentre si spostava ancora, parole che Francis riconobbe
come
italiane, tutte seguite da un piccolo sussurro: Lud.
Francis
sorrise mentre addolciva lo sguardo rivolto all’italiano,
che con un ultimo spostamento ricominciò a dormire
pesantemente. Dopo poche ore
dal disastro, quando il medico del campo ebbe finito di visitare tutti
i
pazienti lasciandoli in mano a Francis, nell’infermeria era
entrato Ludwig.
Francis avrebbe voluto salutare quel gran bel pezzo di tedesco con una
delle
sue battute ammiccanti e provocatorie, ma le parole gli morirono in
gola quando
vide lo stato pietoso di quel povero figliolo.
Apparentemente sembrava avere il suo solito aspetto, i capelli ben
ordinati, la
divisa pulita e ben stirata, ma se si provava a guardare il suo volto
era
impossibile non notare il suo pallore quasi cadaverico che metteva in
risalto
lo spesso rossore che cerchiava i suoi occhi chiari.
L’uomo
non disse nulla mentre si chiudeva la porta alle spalle. Si
avvicinò lentamente a Francis e guardò per un
attimo verso i lettini, poi
spostò il suo sguardo implorante e bagnato sul francese.
Francis sorrise e andò a sedersi sulla sedia
dov’era rimasto, apparentemente
concentrandosi su alcuni fogli appuntati, praticamente tenendo un
occhio e un
orecchio sulla stanza dei lettini.
Ludwig
rimase per molto tempo al capezzale dell’italiano. Dapprima
Feliciano non era cosciente, così Ludwig si
limitò ad accarezzargli il volto e
a tenergli la mano, poi quando riprese conoscenza i due parlarono per
molto
tempo. Francis lì colse molte volte a scambiarsi un bacio
fugace quando pensavano
di non essere visti da nessuno.
Era sinceramente felice per quel giovane italiano, ma era anche
stupefatto di
sapere che un prigioniero amava una guardia ed era ricambiato.
All’improvviso
la porta fu aperta violentemente e la figura
terrificante di Gilbert entrò nell’infermeria,
distogliendo il francese dai
suoi pensieri. Francis balzò subito in piedi spaventato
mentre l’uomo chiudeva
sgraziatamente la porta e si avvicinava a lui con pochi passi.
“Fuori”
Sibilò con uno sguardo furioso.
Francis sentì le gambe sciogliersi al pensiero di dover
fronteggiare quel
pazzo, ma non poteva lasciare i malati incustoditi, anche se era
Gilbert in
persona a chiederglielo.
“J-je
ne peux pas… i malati… non posso lasciarli
soli…” Rispose
con un filo di voce.
“Allora
nell’ufficio del medico”
“M-ma,
io non…”
Senza
battere ciglio, Gilbert estrasse velocemente la pistola in
dotazione a ogni guardia del campo. Francis impallidì
vistosamente.
Esattamente come Gilbert, anche quella pistola era leggendaria tra i
prigionieri. Si diceva che avesse ammazzato più lei che
tutti i fucili e le
pistole usati in questa inutile guerra.
Gilbert sorrise godendosi la reazione del biondino.
“Vedo
che la conosci. Sai anche che non ho problemi ad usarla.
Nell’ufficio. ORA!”
Francis
corse tra i lettini fino a raggiungere una porta sul fondo
dello stanzone, chiudendosela rumorosamente dietro una volta entrato.
Gilbert
lo seguì con lo sguardo annuendo e rinfoderando la sua
pistola.
Il trambusto e le
urla disturbarono
alcuni malati che si svegliarono insonnoliti. Quasi tutti si
riaddormentarono
velocemente, tutti tranne uno.
Gilbert lo individuò subito appena mise piede nella stanza.
Su secondo lettino a sinistra c’era Matthew.
Era vivo,
sia lodato il Signore, era vivo.
Gilbert voleva quasi piangere dalla gioia, ma le lacrime si sarebbero
trasformate ben presto in lacrime di dolore quando diede
un’occhiata più
attenta al ragazzo.
Matthew aveva un braccio fasciato e stretto al petto mentre le
fasciature sul
capo gli coprivano anche l’occhio sinistro. Il suo volto era
tutto graffiato e
abraso. Il paio di occhiali che Gilbert gli aveva regalato tempo prima
giaceva
su una sedia che fungeva da comodino. Una lente era scheggiata mentre
la
montatura il legno irrimediabilmente rotta.
Il
ragazzo girò lentamente la testa cercando di guardarsi
attorno
con l’occhio sano, ma Gilbert sapeva che in realtà
era cieco come una talpa e
non riusciva a vedere oltre il suo naso.
Spaventato dal trambusto e dal fatto che non riuscisse a vedere nulla,
Matthew
si mise a sedere sul letto mentre spostava il suo sguardo sulla sagoma
vicino
la porta della stanza.
“Francis?
Francis cosa succede?” Sussurrò con la sua voce
delicata.
A Gilbert
gli si strinse il cuore, e contemporaneamente gli si
spense il cervello.
Con pochi lunghi passi fu vicino il lettino e in un attimo le sue
braccia
strinsero il corpo debole e sofferente del prigioniero. Gilbert nascose
la
testa nella spalla del ragazzo mentre si stringeva sempre
più al suo corpo,
cercando di non danneggiarlo in nessun modo. Matthew guaì
dalla sorpresa per
l’inaspettato contatto fisico e cercò debolmente
di divincolarsi ma senza
successo. Le braccia di Gilbert erano gentili ma salde intorno a
sé.
L’occhio
sano di Matthew stava per gonfiarsi di lacrime mentre
cercava con un filo di voce di chiedere chi fosse
quell’estraneo che lo stava
molestando così all’improvviso, quando
l’uomo si separò da lui guardandolo in
volto e accarezzandogli la faccia con le mani guantate. Matthew
poté vedere
nella luce fioca della stanza che l’uomo aveva i capelli
corti e di un colore
che il canadese non riusciva a identificare.
Dopo pochi istanti riuscì a riconoscerlo e il suo volto
assunse un’espressione
stupita.
Gilbert pensò che fosse irresistibile.
“Gil…?!”
Matthew
non fece in tempo a finire di parlare. Le labbra di
Gilbert premettero sulle sue con forza mentre le mani della guardia
lasciavano
le sue guance per il fianco e una spalla, stringendolo più
vicino. L’occhio
miope del biondo si spalancò per la sorpresa e
fissò incredulo gli occhi chiusi
dell’altro, che intanto assaporava le sue labbra.
Nonostante ciò non oppose resistenza.
Gilbert
cercò subito di approfondire il bacio leccando le labbra
morbide e screpolate del canadese con la sua lingua. Il ragazzo
aprì
timidamente la bocca e Gilbert iniziò subito ad esplorarla.
Aveva un pessimo sapore ma Gilbert non vi fece caso, tutto
ciò che importava
era che Matthew era vivo e che Gilbert poteva finalmente averlo per
sé.
La lingua
di Matthew rimase inizialmente ferma e ciò fece
sospettare al tedesco che il ragazzo non avesse mai baciato prima di
allora,
poi timidamente iniziò a muoversi imitando l’altra.
Dopo pochi istanti Gilbert ruppe il bacio e posò la sua
fronte delicatamente su
quella fasciata del canadese, prendendogli di nuovo il volto tra le
mani.
Matthew sembrava sul punto di piangere e di urlare contemporaneamente.
Il suo
occhio buono era lucido e gonfio e la sua bocca si apriva e chiudeva
incerta
come un pesce che boccheggiava.
Gilbert decise di prendere nuovamente l’iniziativa e
parlò per primo.
“Ho
avuto paura. Pensavo di non poterti più rivedere.
Io… io….” Le
parole gli morirono in gola. Per quando fosse sceso a patti con la
propria
coscienza sulla sua appena scoperta sessualità, gli
risultava ancora difficile
ammetterlo ad alta voce. Forse non sarebbe mai riuscito a farlo.
Matthew
chiuse immediatamente la bocca mentre le sue labbra
iniziarono a tremare e la sua guancia si rigò di lacrime.
Strinse l’uomo a sé e
affondò il volto nella sua spalla piangendo disperatamente.
Gilbert cercò di tranquillizzarlo
accarezzandogli ripetutamente la schiena con una mano e sussurrandogli
parole
dolci nell’orecchio.
Gilbert
rimase nell’infermeria (con Francis bloccato
nell’ufficio
del medico) diverso tempo in cui consolò, parlò e
coccolò Matthew.
Era incredibile come quel povero ragazzo, al quale qualche mese prima
stava per
togliere la vita, avesse accettato così di buon grado i suoi
sentimenti, anzi
sembrava anche ricambiarli.
Gilbert pensò per un breve momento se potesse essere un
tranello per ingannarlo
e per rabbonirsi l’amministratore del campo per ricevere
qualche favore, ma
l’idea sfumò velocemente com’era
arrivata. Matthew era troppo dolce e puro per
poter tramare qualcosa di simile, e soprattutto era l’unico
che non l’avesse
mai giudicato, perciò Gilbert sentiva di potersi fidare
ciecamente.
Quando
infine decise di andare, salutò Matthew con un bacio sulle
bende che coprivano la fronte e con la richiesta di mantenere segreto
cos’era
successo e soprattutto il loro rapporto, poi urlò qualche
insulto a Francis
dicendogli di poter tornare al suo posto e si affrettò ad
uscire
dall’infermeria e ad allontanarsi nella luce del mattino.
Non si accorse di essere osservato.
Quel
giorno le attività delle squadre continuarono i lavori
assegnati come se non fosse successo nulla. La squadra assegnata alla
raccolta
di viveri però era stata dimezzata dalla tragedia e faticava
a trovare cibo per
la partenza.
Feliks e Toris guardarono la colonna umana sfilare davanti i capannoni
diretta
verso l’esterno del campo con la speranza di trovare qualcosa
di commestibile.
I due superstiti del dormitorio H3T4 erano stati esonerati dai loro
compiti a
causa delle ferite ed erano stati assegnati a mansioni più
semplici e meno
impegnative come l’infermeria o la cucina.
Ora capivano quant’era stato fortunato Francis ad essere
assegnato in modo
fisso a quei lavori.
Entrambi
avevano riportato ferite leggere dal crollo. Erano stati
dissotterrati abbracciati l’uno con l’altro e
sconvolti, ma quasi illesi. Toris
era ancora turbato a tutta la situazione, mentre Feliks sembrava non
pensarci
più, come se non fosse mai successo nulla. Il ragazzo
polacco era più
interessato a discutere con l’italiano su delle informazioni
riguardo la
partenza.
“Io
non ci credo. Non è possibile che le guardie facciano tutti
questi sforzi per poterci spostare e salvare la vita!”
“Ma
Ludwig mi ha detto che…”
“Ah
Ludwig! E’ già difficile credere che abbiate una
sorta di
relazione, figuriamoci credere all’idea che ci vogliano
salvare dalle grinfie
dei russi! Quelli ci portano nelle camere a gas, ve lo dico
io!”
“Ve….
Ma non è vero…”
Toris si
avvicinò ai lettini interessato. Da quando il giorno
prima Feliciano era tornato al dormitorio urlando dalla
felicità, erano
successe così tante cose assurde che ormai il ragazzo bruno
non sapeva più a
cosa credere o meno. Quante probabilità c’erano
che un prigioniero potesse
iniziare una relazione sentimentale con una guardia?
Ma poi, quante probabilità c’erano che il
dormitorio crollasse proprio quella
notte? E che uscissero vivi? Perciò non poteva essere poi
così incredibile
l’idea che le guardie stessero trovando un qualsiasi modo per
salvarli tutti…
no?
Feliks
però era seriamente convinto di ciò che diceva,
mentre
Feliciano non riusciva a controbattere e perdeva terreno e fiducia.
Francis era
impegnato a medicare un ferito qualche lettino più in
là, cercando con parole
dolci di convincere il pover’uomo a farsi cambiare le bende
ormai incrostate
alle ferite senza troppi capricci, perciò non partecipava
alla discussione.
Matthew invece rimase in silenzio ad ascoltare i due discutere senza
intervenire, ma Toris sapeva che se anche se lo avesse fatto, sarebbe
rimasto
ignorato e non sarebbe cambiato nulla.
“Io
anche non mi fido dei tedeschi” Esordì attirando
l’attenzione
stupita di entrambi i ragazzi “Ma ho lavorato molto a
contatto con il governo
russo. Mi fido di loro, potrebbero davvero salvarci”
Fissò i due ragazzi con
uno sguardo serio.
Feliciano
rimase a bocca aperta incredulo mentre Feliks non ci
mise molto ad esplodere com’era il suo solito:
“Ma
cosa dici Toris?? Il crollo ti ha danneggiato il cervello? Tu
davvero ci stai suggerendo di consegnarci nelle mani dei russi? Quei
sadici che
portano soltanto dolore e miseria ovunque vadano!”
Toris
notò che Feliks non era semplicemente sconvolto dalla sua
affermazione come Feliciano. A differenza di quest’ultimo, il
polacco sembrava
più terrorizzato che incredulo. Toris ricordò la
prima volta che incontrò
Feliks nel dormitorio e di come, scambiandolo per russo, lo fece
arrabbiare
subendosi per quasi tutta la serata le sue filippiche. I polacchi non
erano in
buoni rapporti con i russi, questo era certo, ma Toris era anche certo
che i
russi avrebbero davvero potuto sconfiggere i tedeschi e salvarli tutti
quanti.
Con un movimento improvviso afferrò le mani di Feliks e le
strinse mentre
fermava il suo sguardo in quello del polacco.
“Feliks
fidati di me. I russi possono davvero salvarci, loro
vogliono vedere la Germania capitolare tanto quanto noi. Ho lavorato
per loro
nella resistenza dei Paesi Baltici contro il giogo tedesco, loro
vogliono
liberarci da quei farabutti!”
Feliks
rimase qualche istante a fissare lo sguardo risoluto di
Toris a bocca aperta, non aveva mai visto il bruno così
deciso e forte. Era una
rivelazione che lo confuse e affascinò al tempo stesso.
Riprendendosi, cercò di
controbattere con la sua solita esuberanza.
“Liberarci?
Toris, sono russi! Quelli non lo fanno per liberarci
ma per assoggettarci a loro! Non vogliono aiutarci, vogliono
conquistarci, loro
vo-…”
“Che
lo facciano allora! Meglio loro che i tedeschi! Con loro
almeno non verremo trattati come degli schiavi senza
dignità, con loro avremo
un futuro!”
Toris
lasciò le mani di Feliks e abbassò lo sguardo a
terra,
chinando leggermente la testa. Feliks pensò che Toris avesse
capito che stava
dicendo soltanto un mucchio di sciocchezze, ma dalle sue parole
comprese che
quello non era un segno di resa, anzi.
“Loro
non sono dei mostri come pensi tu, Feliks. Sono i tedeschi i
mostri! Loro ci stanno facendo questo! Io… io voglio essere
trovato dai russi!”
Feliks
rimase in silenzio non sapendo cosa dire, forse per la
prima volta in tutta la sua vita. Si limitò a fissare
l’amico con uno sguardo
infelice sul volto. Feliciano, che per tutto il tempo era rimasto
spettatore, cercò
di dire la sua con poca convinzione:
“Ma…
Ma Ludwig…. Ve…”
“Questi
discorsi sono inutili!”
Tutti si
girarono verso Francis che, lasciato il ferito, li
raggiunse con pochi passi e uno sguardo piuttosto serio.
“È
inutile discutere su chi sia migliore, su chi salverà chi o
quale piano hanno in mente i tedeschi, tanto non lo sapremo mai. E
inoltre a
questo mondo nessuno fa nulla per niente, ricordatelo
tesoro!” Toris abbassò lo
sguardo irritato “Il nostro unico obbiettivo ora è
cercare di sopravvivere, con
chi non lo sapremo finché non sarà il momento.
Tedeschi, russi, chiunque andrà
bene, l’importante è continuare a
vivere… e tornare a casa prima o poi!”
Poi
appoggiò le mani sulle spalle dei ragazzi e sorrise.
Era quasi
il tramonto quando Gilbert salì sul palchetto nella
piazza del campo insieme a suo fratello. Sotto di loro le guardie li
fissavano
con gli occhi che riflettevano luce fioca del sole invernale.
Gilbert aveva in mano i rapporti stilati delle varie squadre stilati da
quando
avevano iniziato a lavorare per il trasferimento.
Non erano per niente promettenti, il malcontento era dilagante anche
tra le
guardie stesse.
Schiarendosi
la gola, Gilbert iniziò a parlare al pubblico
riguardo i rapporti che stringeva nella mano. Mentre parlava il suo
sguardo
vagava su tutta la folla cogliendo i segni di disagio, irritazione,
ansia e
rabbia delle guardie. Man mano che continuava, anche la sua
preoccupazione
aumentava in modo esponenziale.
Gilbert
aveva notato che per tutto il giorno gruppi di guardie si
riunivano a parlottare vicino i muri degli edifici con fare concitato,
per poi
azzittirsi o disperdersi nel momento in cui passava o si avvicinava.
Tutti però
lo fissavano insistentemente, senza che l’albino capisse il
perché.
La pressione dell’arrivo imminente ed improvviso del nemico,
il lavoro a cui
erano stati sottoposti, la nottata passata in bianco a causa del crollo
e
l’evidente inadeguatezza dei mezzi di cui disponevano per
sostenere una marcia
forzata di varie settimane, aveva reso irrequiete le guardie.
Gilbert
anche era piuttosto agitato. Dopo aver subito il duro
colpo della lettera, esser quasi morto di dolore per il crollo del
dormitorio
e aver passato la
notte sveglio a
controllare confini vuoti, l’albino cominciava a mostrare
segni di cedimento.
Il suo volto era provato e teso, il suo corpo affaticato e la sua voce
non più
squillante come al solito. Del vecchio Gilbert energico ed esuberante,
restava
soltanto una sorta di guscio vuoto, un’ombra debole e vacua.
Ludwig invece sembrava non mostrare segni di affaticamento o di ansia,
anzi
agli occhi di Gilbert il fratello perfetto sembrava anche
più rilassato del
solito. Si scoprì ad invidiarlo per questo.
“Siccome i viveri
non sono
abbastanza per sostenere un viaggio simile, razioneremo il nostro cibo
esattamente come quello dei prigionieri. Così facendo, a
conti fatti, dovremmo
riusci-“
“Cosa?
Sei forse impazzito?”
Gilbert
alzò lo sguardo dal foglio, incredulo. Chi era
quell’idiota che aveva il coraggio di interromperlo e
rispondergli in quel
modo?
Ma la voce non si fermò nonostante Gilbert fissasse la folla
con uno sguardo
omicida, e ben presto la voce di protesta fu accompagnata da altre urla
e gesti
di disapprovazione. Gilbert rimase confuso e incredulo per quello che
stava
vedendo, e anche Ludwig anche perse la sua compostezza rivelando
confusione nel
suo sguardo.
Le guardie che per anni erano state sotto il suo diretto comando
rispettando
una ferrea disciplina si stavano improvvisamente ribellando.
“SILENZIO!
È un ordine!”
Ma i suoi
sottoposti continuarono a protestare, parlottando tra di
loro e urlando. Gilbert stava perdendo velocemente il controllo della
situazione, qualcosa che non era mai successo da quando era diventato
amministratore del campo.
Cosa stava succedendo? Perché all’improvviso i
suoi sottoposti, che avevano
sempre dimostrato rispetto per lui, all’improvviso non
avevano più timore?
Forse ai loro occhi il fiero e feroce Gilbert ormai era diventato solo
uno
spaurito coniglio bianco?
Guardò incredulo il fratello che ricambiò lo
sguardo stupito, per poi spostarlo
nuovamente sulla folla. Nel caos che si stava creando, notò
che soltanto
Roderich non partecipava alla confusione generale ma anzi rimaneva in
silenzio
a fissarlo con quel suo sguardo irritante dietro le lenti.
I nervi
di Gilbert non ci misero molto a saltare. La stanchezza,
la paura, la preoccupazione e la rabbia che aveva accumulato in quegli
ultimi
giorni esplosero insieme rendendolo furioso.
Con lo sguardo iniettato di sangue e i denti scoperti in un ringhio
feroce,
l’albino estrasse velocemente la sua pistola e
sparò un colpo in aria, per poi
spostare subito la mira sulla folla.
Immediatamente tutte le guardie sotto il palchetto si azzittirono
stupiti e
impauriti.
“Silenzio
maledetti bastardi! Non osate più disobbedirmi
altrimenti vi mando al creatore all’istante!”
Urlò a squarciagola spostando la
pistola ovunque sulla folla.
Anche
Ludwig era scioccato dalla reazione improvvisa del fratello
e lo fissava con la bocca aperta, pallido come un lenzuolo, senza avere
il
coraggio di parlare.
Gilbert lanciò un lungo sguardo furioso alla folla, poi si
mise a ridere in
modo sguaiato mentre giocherellava con la pistola, puntando sempre alle
guardie.
“Ke
se se se. Bene, ora che ho ottenuto nuovamente la vostra
attenzione, come stavo dicendo, razioneremo anche noi il cibo come i
prigionieri… Se qualcuno non è
d’accordo lo dica subito così gli sparo e non se
ne parla più, ok? Non mi servono dei traditori nel mio
campo!”
“Allora…
se la metti così…”
La canna
della pistola mirò alla persona che aveva appena avuto il
coraggio di parlare prima che Gilbert lo guardasse direttamente. Con
sua grande
sorpresa e irritazione Roderich si fece largo tra le altre guardie e
arrivò fin
sotto il palchetto. Gilbert mirò esattamente al centro della
fronte di quel
pomposo aristocratico.
“Cosa
cazzo stai facendo, Roderich? Non posso perdere tempo con te
per le tue stronzate da aristocratico viziato! Torna al tuo
posto!”
Ma Roderich non si mosse, anzi sostenne il suo sguardo con orgoglio e
superbia.
Gilbert avrebbe tanto voluto sparargli in quel momento per toglierselo
dai
piedi una volta per tutte, ma sapeva di non poterlo fare
perché era protetto
dal governo. Piuttosto sentì avvicinarsi al suo fianco
Ludwig avvicinarsi
agitato mentre notava che alcune guardie affiancavano Roderich con lo
stesso
sguardo di sfida.
“Dici
che non ti servono dei traditori nel campo, quando sei tu il
primo traditore in mezzo a noi”
Gilbert
ebbe un sussulto.
La sua mano tremò per un secondo prima che la presa sul
manico della pistola si
irrigidisse e la canna si allineasse perfettamente alla fronte
dell’austriaco.
Stava per fare fuori quello stronzo, Gilbert stava davvero per
sparargli in fronte,
quando un urlo secco di Ludwig lo distrasse. Il ragazzo biondo lo
afferrò per
una spalla scuotendolo violentemente.
“No
Gilbert! Sei impazzito?”
Gilbert
non fece in tempo a guardare suo fratello negli occhi, Lo
strofinio di qualcosa e molti click lo riportarono immediatamente a
guardare
oltre il palchetto. Le guardie che avevano affiancato Roderich avevano
tutte
estratto le loro pistole e le puntavano contro Gilbert e Ludwig nello
stupore e
nella confusione generale delle altre guardie.
Gilbert guardò tutte quelle canne vuote contro di lui e
iniziò a sudare freddo.
La presa sulla sua pistola vacillò.
Roderich sospirò e incrociò le braccia sul petto,
più annoiato che altro.
“Ascoltami
Gilbert, abbiamo giocato abbastanza, è ora che la
verità venga a galla”
“Quale
verità? Cosa cazzo stai dicendo?” Rispose
d’impulso il
giovane, ma l’avvicinarsi delle guardie con le pistole
puntate su di lui gli
fecero passare la voglia di parlare. Solo un po’.
“Sto
dicendo che so tutto della lettera e dell’infermeria, Gilbert
Beilschmidt, o meglio sappiamo tutto”
La gola
di Gilbert si seccò istantaneamente mentre una vampata di
sudore freddo gli percorse tutto il corpo. Cercò di
deglutire mentre fissava in
silenzio l’austriaco. Roderich notò il panico che
si stava impadronendo di lui
e continuò a parlare.
“Ho
letto la lettera la sera in cui è arrivata. Ero stato
disturbato da tutto il chiasso che avevate fatto ed ero venuto a
rimproverarvi
quando ho trovato l’ufficio vuoto e in uno stato pietoso.
Aspettando il vostro
ritorno per mettervi al corrente della mia irritazione, ho trovato la
lettera
sotto la scrivania. In realtà non sono stato molto sorpreso
da quel comunicato,
in fin dei conti me lo aspettavo. Quello che mi ha sorpreso invece
è stato il
tuo discorso il giorno dopo!”
Fece una
pausa scuotendo la testa in segno di disprezzo. Le altre
guardie si erano calmate e anche loro si erano avvicinate per capire
cosa
stesse succedendo. Gilbert notò che alcune di loro
poggiavano la mano sulla
fondina della pistola mentre pendevano dalle labbra di Roderich.
Il silenzio era quasi assoluto mentre gli ultimi raggi del pallido sole
d’inverno illuminavano il campo innevato. Gilbert riusciva a
sentire soltanto
il pesante respiro del fratello, che come le altre guardie ora
ascoltava concentrato
l’austriaco.
“Abbandonare
il campo portandosi dietro i prigionieri… Davvero
Gilbert, cosa diavolo ti è passato per la testa?
Perché vedete, la lettera ordinava
di eliminare ogni prova del nostro operato qui; Perciò
documenti… dormitori…
fabbriche… prigionieri… tutto!
Un brusio
si levò all’istante, le guardie cominciarono
nuovamente
a commentare tra di loro, ma questa volta la maggior parte estrasse la
pistola
e la puntò contro gli amministratori sul palchetto. Gilbert
sentì il mondo
crollargli addosso nel preciso istante in cui Roderich finì
di parlare.
Era stato scoperto, e cosa peggiore era stato scoperto dai suoi
sottoposti che
lo stavano letteralmente processando su due piedi.
L’albino avrebbe voluto dire qualcosa per difendersi ma le
parole non uscirono dalla
gola riarsa. Tutto quello che riuscì a fare fu restare
perfettamente immobile
con gli occhi strabuzzati fissi sull’austriaco mentre il
sudore gli colava
sulla fronte cadaverica e sulle tempie fino al collo.
Ludwig anche non disse nulla e non si mosse, ma Gilbert
sentì che la presa
sulla spalla si strinse con forza.
“Inizialmente
ho fatto finta di niente perché non avevo alcun
interesse se salvavi o no quella feccia ambulante, ma non riuscivo a
capire
cosa ti avesse spinto a disobbedire a degli ordini diretti. Ma preferii
farmi
gli affari miei, inoltre non lo sapeva nessuno. Certo, potevo
smascherarti fin
da subito e farti uccidere sul posto, ma avrei guadagnato soltanto
un’intera
ritirata da organizzare. Davvero poco conveniente. Ma caro il mio
scherzo della
natura, ti sei tradito da solo quando dopo il turno di guardia sei
andato a
intrufolarti di nascosto nell’infermeria!
Forse credevi di essere solo, ma ti sbagliavi. Io e le altre guardie
qui
presenti ti abbiamo visto lasciare l’infermeria agitato.
Perciò…” Anche lui
estrasse la pistola puntandola al petto dell’albino
“Da quando te la fai con
quella sgualdrina di un francese? È per questo che hai
tradito noi e il
governo? È per questo che stai mettendo a rischio tutte le
nostre vite con una
fuga disperata mentre i russi potrebbero attaccare da un momento
all’altro? Per
salvare quello schifoso? Il perfetto Gilbert Beilschmidt,
così perfetto
che crede di poter sfidare tutta l’ideologia nazista e
farsela con un altro
uomo sotto il nostro naso… Tu…”
Il volto di Roderich assunse
un’espressione di rabbia e
irritazione raccapricciante. Tutto il disgusto e disprezzo che provava
in quel
momento presero forma sul suo volto, per poi sparirono velocemente come
erano
arrivate. Il ragazzo bruno si rilassò e sorrise con fare
superbo.
“L’amministrazione Beilschmidt finisce qui. Sei stato
appena processato e dichiarato colpevole di alto tradimento ai danni
del
governo nazista e di sodomia dall’unanimità delle
guardie che mi hanno eletto
nuovo amministratore del campo. Perciò ora verrai
giustiziato con disonore,
feccia che non sei altro! Giustizieremo anche tuo fratello per
complicità. Voi
altri iniziate a prepararvi per la partenza, cercate di prendere tutto
quello
che trovate, soprattutto cibo e vetture. Per i prigionieri fate quello
che vi
pare, uccideteli pure, non m’interessa”
Gli istanti immediatamente successivi
alle parole
dell’austriaco furono percepiti da Gilbert in modo confuso,
come se la sua
vista fosse sdoppiata e al rallentatore, le sue orecchie percepivano i
suoni in
modo ovattato come sott’acqua.
Vide le restanti guardie puntare le pistole contro il palchetto mentre
altre
urlavano con forza parole che Gilbert non riusciva a comprendere.
Il suo corpo era rigido e immobile come un albero, non riusciva a
muovere nessun
muscolo mentre il sudore gli imperlava il volto. Gli occhi erano fissi
e
sgranati sulla folla mentre la mente era vuota e leggera.
Al suo fianco Ludwig mosse qualche passo in avanti. Di sfuggita vide
che urlava
qualcosa di rimando che però arrivò alle sue
orecchie come un urlo lontano,
come quasi un’eco urlato tra le montagne.
L’unica cosa che riusciva a sentire era il rumore del suo
respiro, incerto e
tremolante.
Questo era quello che si provava quando si stava per morire?
La distorsione del tempo
finì quando Ludwig lo prese improvvisamente
per un braccio e lo tirò con forza giù dal
palchetto mentre alcuni colpi di
pistola fendettero l’aria vicino al punto in cui si erano
trovati pochi istanti
prima.
I due ragazzi rovinarono sulla neve rotolando. Ludwig sentì
un forte dolore
sordo alla spalla sinistra, ma non vi prestò molta
attenzione mentre si
rialzava e rimetteva in piedi suo fratello strattonandolo per la giacca.
Da dietro il palchetto le guardie urlarono inferocite e iniziarono a
sparpagliarsi.
“Prendete quei due bastardi
traditori!”
“Abbiamo accatastato le
provviste in quel magazzino! Le auto
sono nel capannone affianco”
“Ho una tremenda voglia di
ammazzare quei cani nei dormitori!”
Ludwig tirò Gilbert mentre
iniziava a correre senza una
precisa meta, ma con l’unico scopo di allontanarsi dalle
guardie e di non
essere sparato a vista. L’albino sembrava estremamente
confuso ma corse a
perdifiato seguendo il fratello in silenzio.
Dopo poco tempo Ludwig sentì dei passi dietro di loro
correre affondando nella
neve. Alcune guardie li stavano seguendo, e a giudicare dal rumore dei
passi e
del fiato corto, avevano proprio intenzione di raggiungerli.
Alcune grida e altre pallottole sibilarono nell’aria. Ludwig
chinò la testa e
corse più accovacciato possibile, sempre tirando il fratello
per la giacca, che
lo imitò.
Alcune pallottole fischiarono dietro
di loro, mentre
qualcuna si avvicinò pericolosamente alle orecchie del
biondo. Spaventato,
Ludwig si guardò intorno freneticamente in cerca di un
nascondiglio e infine
spinse bruscamente il fratello in un piccolo passaggio tra due edifici.
Una
volta dentro il vicolo, corsero ancora per qualche metro e raggiunsero
una
porta marrone scrostata, che per fortuna era aperta.
Con un gesto veloce Ludwig la aprì e vi spinse dentro
l’albino, per poi entrare
e richiuderla qualche istante prima che le altre guardie imboccassero
il
vicolo.
Chiudendo le sicure della vecchia porta, fece segno di fare silenzio
all’altro
e rimase in attesa ad ascoltare i rumori fuori.
La neve sul terreno era fresca e soffice e non era difficile lasciare
impronte
quando si camminava in giro, infatti nella loro corsa avevano lasciato
molte
impronte che finivano davanti quella porta. Una persona con un minimo
di
cervello si sarebbe sicuramente accorto che i due fuggiaschi erano
entrati
nella porta sul retro dell’edificio.
Ludwig sperò con tutto sé stesso che i loro
inseguitori non fossero così acuti.
Il rumore dei passi in corsa si
avvicinò in pochi istanti,
che per Ludwig sembrarono un’eternità. Quando
furono in prossimità della porta,
il ragazzo trattenne il respiro mentre il suo cuore accelerava il
battito per
la paura.
Il rumore, accompagnato dal fiato grosso e da imprecazioni varie, non
accennò a
fermarsi e lentamente si allontanò così
com’era arrivato. Ludwig lasciò andare
il respiro trattenuto con un tremito, cercando di rilassare i suoi
nervi.
Ora che avevano seminato i loro
aggressori per qualche tempo
potevano allentare un po’ la tensione, anche se non potevano
abbassare la
guardia.
Sospirando nuovamente, Ludwig si girò ad affrontare suo
fratello. Gilbert
sembrava un lenzuolo sgualcito: la sua carnagione era diventata
tutt’un colore
con i suoi capelli, sul suo volto si potevano distinguere soltanto le
pupille
rosse dei suoi strani occhi.
Probabilmente Ludwig non aveva mai visto suo fratello ridotto in quello
stato.
Lo sguardo dell’albino era
perso nel vuoto e le sue labbra
tremavano, così come il resto del suo corpo. Era il ritratto
perfetto del
terrore. Ludwig avrebbe voluto aiutarlo dicendogli di non preoccuparsi,
di
rassicurarlo e consolarlo come spesso il fratello aveva fatto con lui
quando
era piccolo, ma la rabbia, lo sconcerto e le mille domande che si
affollavano
nella sua mente presero il sopravvento.
Afferrò il colletto della giacca di Gilbert e lo spinse
contro il muro con
forza. L’albino gemette stringendogli le braccia nel vano
tentativo di
fermarlo.
“Che cazzo significa tutto
questo?” Ludwig avrebbe tanto
voluto urlargli in faccia con tutta la sua forza, ma si
limitò a parlare con
una voce bassa e potente.
Gilbert lo guardò impaurito e boccheggiante. In effetti era
la prima volta che
Ludwig lo aggrediva in quel modo.
“Parla!”
Tirandolo un pochino a sé, lo sbatté di nuovo con
forza contro il muro facendolo gemere
“Cos’è questa storia della lettera?
Roderich dice il vero, hai davvero mentito?”
“S-si… si
è vero, ho mentito…”
Ludwig digrignò i denti in
un ringhio rabbioso. Una mano
lasciò velocemente il colletto della giacca per dare un
pugno ben assestato al
volto dell’albino. Gilbert si accasciò da un lato
mentre il suo labbro si spaccò
e iniziò a sanguinare, ma la presa ferrea di Ludwig lo
rimise in piedi contro
al muro come prima.
“Bastardo… Io mi
fidavo di te! Lurido traditore, ci hai
quasi fatto ammazzare, e siamo condannati per sempre! Ti rendi conto di
che
cosa hai fatto?” Gli occhi ghiaccio erano iniettati di sangue
“Perché non mi
hai detto niente?”
“Io volevo tenderti fuori,
volevo proteggerti…”
“E’
così che mi proteggi?” Quasi urlò il
ragazzo biondo
sbattendo nuovamente il fratello contro il muro “Non
dicendomi nulla e
facendomi quasi ammazzare come un criminale qualunque? E
cos’è questa storia
dell’infermeria? Da quand’è che te la
fai con quel francese?”
A quelle parole Gilbert
abbassò la testa in silenzio. I
capelli chiari e canditi gli coprivano gran parte del viso, il sangue
gli
rigava il mento dal taglio sul labbro dove era stato colpito. Dopo
qualche
istante Gilbert sospirò scuotendo la testa e
abbassò le spalle in un chiaro
segno di sconfitta.
“No, non
Francis… Matthew…”
Ludwig lasciò la presa sul
colletto del fratello, sconvolto.
Tutto ciò era assurdo. Già il solo pensiero che
Gilbert, fervente religioso e
fanatico dell’ideologia nazista, fosse implicato in una
relazione omosessuale
era incredibile, figurarsi con il fragile e sensibile canadese che
pochi mesi
prima aveva tentato di uccidere.
Ludwig fece qualche passo indietro fissando il fratello con sgomento,
portandosi una mano sulla bocca aperta.
“Assurdo…”
L’albino alzò la
testa di scatto guardando il fratello
dritto negli occhi. Aveva lo sguardo di una persona completamente
distrutta,
schiacciata da un peso troppo grande per lui, sconfitto e rassegnato.
Del
Gilbert arrogante e prepotente che conosceva e che aveva visto in tutto
il suo
splendore quando era appena arrivato al campo non era rimasto nulla se
non
l’aspetto.
Ludwig provò una forte pietà nei suoi confronti.
“In tutta la mia vita non
c’è stata una sola persona che non
mi abbia disprezzato e mi abbia amato per quello che sono, e non per
quello che
sono diventato. Nemmeno tu, che sei mio fratello minore e che ho amato
quasi
come ho amato me stesso. Eppure Matthew, che ho mortificato e seviziato
in vari
modi e che ho cercato di uccidere, non ha provato odio e disprezzo nei
miei
confronti, ma solo compassione”
Ludwig
rimase senza
parole ad ascoltare il monologo del fratello. In tutta la sua vita
Gilbert non
si era mai confidato con lui con il cuore in mano come stava facendo in
questo
momento. Agli suoi occhi e a quelli di tutti gli altri Gilbert era una
testa
calda, violento e sadico, che riusciva a conquistare tutti gli
obbiettivi che
si prefiggeva e che affrontava gli ostacoli a testa alta, superandoli
con pochi
sforzi.
Ludwig non aveva mai pensato una singola volta che suo fratello potesse
avere
dei problemi e potesse soffrire per qualcosa.
Si vergognò di sé stesso e della sua
stupidità.
“Quando ho letto
quell’ordine del governo, ho avuto paura. Ho
avuto paura di perdere l’unica persona al mondo che mi avesse
capito e
accettato per quello che sono… e ho avuto paura anche per
te. Per questo ho
deciso di mentire a tutti e di non uccidere i prigionieri…
Io semplicemente non
potevo”
Gilbert vide l’evidente
domanda non pronunciata sul volto di
Ludwig e sospirò.
“Non volevo che tu perdessi
l’italiano”
Il volto di Ludwig sbiancò
a quelle parole. Un’ondata di
agitazione e di pensieri convulsi lo travolse mentre fissava stordito
il
fratello. Come aveva fatto capirlo? Aveva cercato di nascondere il suo
interesse in tutti i modi possibili anche se ammetteva che le scuse per
esser
stato sotto la doccia più del dovuto erano piuttosto deboli.
Aprì la bocca per dire qualcosa, ma fu subito fermato dal
fratello.
“Non provare a negare,
è piuttosto palese. Ti conosco bene,
sei mio fratello dopotutto, e posso dire con certezza di non averti mai
visto
così felice come adesso. Io non volevo farti soffrire, non
volevo che tu
tornassi il serio e imperscrutabile Ludwig d’acciaio senza un
minimo di
emozioni!”
Ludwig era senza parole.
Suo fratello aveva fatto tutto questo anche per proteggere lui e la sua
felicità, aveva sfidato le autorità e tutto
ciò in cui credeva anche per lui, lui
che lo aveva ritenuto sempre un sadico nazista senza cuore, che aveva
disprezzato ed evitato, e che ora aveva anche colpito e insultato.
Ludwig si sentì una carogna.
“Gilbert,
io…”
Dall’esterno si sentirono
alcune urla e dei colpi di
pistola. Ludwig lasciò la frase a mezz’aria
guardando la porta scrostata mentre
i rumori venivano rimpiazzati da altre grida e colpi d’arma
da fuoco.
“Stanno sparando sui
prigionieri! Maledetti!” Esclamò il
ragazzo biondo con rabbia.
“Dobbiamo trovare Matthew e
il tuo amico prima che lo
facciano loro” Rispose con urgenza Gilbert
“Dov’erano l’ultima volta che gli
hai visti?”
“All’infermeria,
Feliciano non può ancora camminare”
“Dobbiamo raggiungerli
subito, prima che lor-“
La sua frase fu completamente coperta
dal fortissimo suono di
una sirena che si diffuse in tutto il campo. Gilbert sgranò
gli occhi mentre i
suoi capelli si drizzarono sulla testa.
Ludwig non comprese bene il significato di quel suono e
iniziò a guardarsi
intorno mentre i rumori esterni furono completamente sopraffatti.
Infine guardò Gilbert con uno sguardo interrogativo.
“I russi… sono
arrivati i russi”
Feliks e Toris si trovavano nelle
cucine del campo quando il
sole tramontò oltre l’orizzonte innevato,
lasciando il posto alla notte gelida.
I due erano stati mandati da Francis a prendere la cena per i malati
dell’infermeria. Il campo aveva escogitato un modo astuto per
fingere di curare
quei poveri malcapitati: dividere l’unico pasto dei
prigionieri in due volte
per dare l’illusione di nutrire al meglio i malati. In
realtà la quantità di
cibo era la stessa dei prigionieri sani, ma era divisa in pranzo e
cena. Feliks
sorrise amaramente quando Francis lo informò della cosa, il
campo era davvero
un posto crudele.
I due amici entrarono nelle cucine
dalla porta laterale
sapendo che se avessero usato quella principale il cuoco e le altre
guardie li
avrebbero sgridati e puniti. Loro erano esseri inferiori, non umani, e
pertanto
dovevano strisciare nei vicoli e usare la porta di servizio, mentre
tutti gli
altri usavano quella principale. Francis aveva raccontato che alcune
volte
invece di passargli il cibo glielo avevano gettato addosso o per terra
e poi
costretto a ripulire tutto. Ovviamente i pavimenti erano luridi e
nonostante
ciò i loro secondini e il cuoco lo avevano costretto a
servire quel cibo
ugualmente. A Feliks rivoltava lo stomaco ogni qual volta vi pensava.
Le cucine erano stranamente vuote, un
ambiente silenzioso e
sinistro inghiottito dall’oscurità più
totale. Feliks guardò Toris preoccupato
e il ragazzo ricambiò il suo sguardo, per poi fare un passo
avanti dentro la
stanza.
“C’è…
c’è qualcuno?” Chiese a gran voce, ma la
stanza gli
riportò il suo eco senza nessuna risposta.
Toris ritornò vicino
all’amico con fare agitato.
“Non sembra ci sia
qualcuno, cosa facciamo? Forse il cibo
per i malati è stato appoggiato da qualche parte e dobbiamo
soltanto prenderlo”
“Non ne sono sicuro, Toris.
Non voglio mettere le mani da
nessuna parte, non so se ci è permesso entrare e prendere il
cibo. Non ho
bisogno di una punizione”
“Torniamo da Francis,
saprà cosa fare… magari possiamo stare
noi con i malati mentre lui viene a prendere da mangiare”
L’idea piacque molto a
Feliks, che sorrise all’amico. I due
si chiusero la porta dietro di sé mentre il freddo della
notte cominciava a
farsi sentire con leggere folate di vento, e si avviarono verso
l’infermeria.
Per fortuna aveva smesso di nevicare da un po’, Feliks non
voleva ritrovarsi
sotto o anche vicino a un altro edificio sul punto di crollare.
La neve però era soffice e alta sul terreno e i due
osservarono come le loro
scarpe semi distrutte affondavano fino alla caviglia in quella coltre
bianca.
“Sai, questo mi ricorda
molto la Polonia. Io abitavo nella
periferia di Varsavia, l’inverno era sempre molto
innevato”
“Feliks ti ricordo che io
sono lituano, la neve da me cade
il doppio di quella in Polonia!”
“Non è
vero!” Rispose mettendo il broncio.
Continuarono a discutere sulla
quantità della neve nei loro
rispettivi paesi finché non sentirono degli spari seguiti da
una moltitudine di
urla. Il sangue di Feliks si gelò all’istante,
mentre Toris trattenne il
respiro, sconvolto.
Erano arrivati quasi alla fine del vicolo che dava sul cortile davanti
l’infermeria, quando un gruppo di persone corse velocemente
davanti l’apertura
della stradina. Feliks riuscì a vedere di sfuggita che i
colori dei vestiti del
gruppo erano uguali ai loro. Dopo pochi istanti un altro gruppo di
guardie
corse nello spiazzo, alcune inseguendo i malcapitati, altre fermandosi
e
prendendo la mira con le loro pistole.
Con delle urla agghiaccianti le
guardie fecero fuoco. Due,
tre, cinque, otto colpi furono sparati dalle varie pistole. Feliks
rimase
immobile, con il cuore che minacciava di uscirgli dal petto per il
terrore,
mentre le urla doloranti e agonizzanti del gruppo che fuggiva gli
riempivano le
orecchie. Le guardie davanti a loro ridevano e si asciugavano la fronte
sudata
mentre alcune di loro imprecavano e lanciavano insulti vari.
Toris era terrorizzato più
di Feliks, ma non ebbe il suo stesso
sangue freddo. Fece qualche passo indietro mentre si copriva la bocca
lanciando
un grido soffocato. Avevano appena ucciso un gruppo di prigionieri
senza batter
ciglio, e ridevano come indemoniati. Le sue più grandi paure
si stavano
trasformando in realtà; le guardie stavano uccidendo i
prigionieri, erano
spacciati.
Feliks tentò di fermare il
ragazzo prima che potesse
tradirli con qualsiasi tipo di rumore, ma non fece in tempo.
Afferrò il suo
braccio nel momento in cui una guardia si voltò a guardare
nel vicolo, attirato
dai rumori di Toris, notandoli e indicandoli con un sorriso sadico.
“Lì ce ne sono
altri due!” Esclamò attirando
l’attenzione
delle altre guardie “Quelli sono miei, li ho visti prima
io!”
Le altre guardie risero e
parlottarono ma lasciarono che
quella che li aveva notati per primo si avvicinasse al vicolo e alzasse
la
pistola contro di loro.
Feliks sentì una scarica d’adrenalina in tutto il
corpo quando vide la canna
ancora fumante della pistola puntargli contro.
“Corri…
CORRI!” Urlò a Toris mentre si girava e lo
trascinava con sé correndo verso il fondo del vicolo,
accompagnato dalle risate
della guardia.
Il suo cuore pulsava nelle orecchie,
tutto intorno a lui si
curvò ai bordi della sua visuale diventando scuro, eppure
continuò a correre e
a trascinare con sé l’amico che incespicava nella
neve.
La guardia puntò Feliks
alla nuca. Stava per premere il
grilletto quando l’altoparlante, che si trovava esattamente
sulla sua testa
attaccato al muro, improvvisamente iniziò a suonare con un
allarme fortissimo.
La guardia fu spaventata dall’improvviso suono e
sbagliò mira.
Feliks sentì il proiettile
volargli sopra la testa
nonostante il suono assordante della sirena e cercò di
correre più velocemente,
svoltando a destra oltre il vicolo e continuando senza una meta a
correre,
trascinandosi dietro il lituano.
Erano entrati in una delle strade principali del campo. La strada era
larga
abbastanza da far passare contemporaneamente due carri armati
affiancati ed era
fiancheggiata dagli edifici nella sua totale lunghezza, da dove
spuntavano dei
lampioni che illuminavano tutto il percorso.
All’estremità della strada si
poteva vedere il cancello d’entrata del campo, illuminato da
grossi fari, e i
campi sterminati fin oltre l’orizzonte.
Toris cercò di liberarsi
dalla presa dell’amico tirando in
senso contrario, completamente terrorizzato dall’esser usciti
in un posto così
ampio e completamente privo di ripari.
“Feliks! Feliks dobbiamo
nasconderci!” Urlò a squarciagola,
ma il ragazzo non lo ascoltò mentre correva in mezzo alla
strada cercando di
dar fondo a tutte le sue energie.
Improvvisamente il polacco si
fermò strattonando Toris per i
vestiti e facendolo slittare sulla neve e cadere sul fondoschiena.
Confuso,
Toris guardò prima il suo amico, che sembrava sul punto di
svenire, poi davanti
a sé.
L’ultima parte di strada che li divideva dal cancello
principale era
disseminata di corpi esanimi accasciati in larghe pozze di sangue che
coloravano in modo macabro la neve. Toris si portò una mano
alla bocca e cercò
di reprimere il fortissimo senso di vomito che lo stava assalendo.
“S-sono… loro
sono… le guardie li hanno uccisi
tutti…!”
Balbettò in evidente stato di shock.
Ma quello che stava guardando Feliks
con puro terrore non
erano i morti a terra, bensì lo schieramento di persone
dall’altra parte del
cancello, seguite sullo sfondo da enormi veicoli dai lunghi cannoni.
Alzò una
mano tremante e indicò nella loro direzione.
“Sono arrivati….
Non abbiamo via di scampo…”
Finalmente Toris levò lo
sguardo dai cadaveri in favore
dell’esercito russo che si affollava davanti il cancello. I
soldati, tutti
avvolti in lunghi cappotti e strani elmetti, si stavano allontanando
per
lasciar passare uno dei carri armati che seguivano il loro
schieramento. Con
dei suoni secchi di ingranaggi, il carro armato abbassò il
cannone fino a metà
altezza del cancello, esplodendo un colpo.
Il boato fu fortissimo. Feliks e Toris videro il cancello sventrarsi a
causa
del colpo e pezzi di ferro volare ovunque e cadere tra i corpi a terra.
Immediatamente i soldati russi circondarono il carro armato e
superarono il
cancello appena violato sciamando nel campo come delle formiche
impazzite.
La paura in Feliks ebbe il
sopravvento e riuscì a sbloccare
il corpo del povero ragazzo. Velocemente alzò
l’amico tirandolo dalla presa che
non aveva mai lasciato, e iniziò a correre verso un vicolo
laterale alla strada
tra due fabbriche.
“Cosa stai facendo? Feliks
fermati! I russi sono arrivati, i
russi possono salvarci!”
“Io non voglio
morire!”
Era evidente che il polacco aveva
perso il suo sangue freddo
e si trovava nel panico totale, non riuscendo più a
ragionare a mente lucida.
Imboccarono il vicolo e Toris ne approfittò per liberarsi
dalla sua presa. Con
una mano afferrò l’angolo del muro
dell’edificio e tirò con tutte le forze che
gli erano rimaste. Il tessuto lurido scivolò dalla mano di
Feliks che sorpreso
si fermò e si girò a fronteggiare il compagno.
“Toris, sei
impazzito?” Urlò con gli occhi che quasi
uscivano fuori dalle orbite. Aveva il fiato corto e i suoi capelli
erano un
completo disastro, mentre le guance emaciate erano rosse dallo sforzo.
Il cuore di Toris divenne pesante nel guardarlo.
“No, tu sei impazzito. I
russi sono venuti a salvarci e tu
vuoi scappare con il rischio di essere ucciso dai tedesch-“
“Trovati!”
La guardia che avevano seminato pochi
istanti prima spinse
violentemente Toris nel vicolo facendolo cadere su Feliks. I due
rotolarono
nella neve, ma cercarono di rialzarsi guardando con paura la guardia,
che
intanto entrava lentamente nel vicolo.
“No, no, restate
lì fermi. Quei bastardi comunisti sono
arrivati alla fine, non c’è più tempo,
ma non me ne vado senza prima aver
ucciso qualcuno di voi animali”
La canna della pistola fu nuovamente
puntata verso di loro,
ma questa volta mirava alla fronte di Toris.
“Tu sarai il
primo” Disse con una smorfia che alterava il
suo volto in modo orribile. Sembrava completamente impazzito.
Toris non riusciva a distogliere lo
sguardo dall’arma nella
sua mano che rifletteva la luce dell’unico lampione del
vicolo. Sentì Feliks
aggrapparsi a lui e stringere la presa nel disperato tentativo di
trovare
conforto, ma Toris sapeva che ormai non ci sarebbe stato più
conforto per loro,
solo un gelido vicolo pieno di neve dove i loro corpi sarebbero marciti
per
sempre.
Sentì le lacrime bagnargli gli occhi e minacciare di cadere
sulle sue guance.
Di tutti i modi possibili di morire che aveva immaginato, questo era di
sicuro
uno dei più atroci. Si diceva che guardando la morte in
faccia si poteva vedere
velocemente tutta la propria vita scorrere davanti agli occhi, ma
l’unica cosa
che Toris riusciva a vedere in quel momento era la guardia che, con una
smorfia
disumana sul volto, premeva il grilletto.
Il suono dello sparo
aggredì le sue orecchie mentre sentiva
improvvisamente un forte dolore bruciante sulla sua spalla. Si
portò una mano
sulla ferita a bruciapelo mentre vide, senza capire il
perché, la guardia
tedesca inginocchiarsi di peso sulla neve e poi crollare a terra, la
sua
pistola scivolare vicino i due prigionieri. In pochi istanti sotto il
corpo
dell’uomo si formò un piccolo rigagnolo di sangue
fumante.
Dietro di lui alcuni uomini dai
lunghi giubbotti puntavano
il fucile contro di loro e urlavano frasi in russo. Toris conosceva
bene il
russo, e sospettava che anche Feliks lo conoscesse, ma quegli uomini
parlavano
con uno strano accento e con parole mai sentite prima, probabilmente in
un
dialetto sconosciuto ai più.
I soldati russi fecero qualche passo verso di loro e incitarono i
prigionieri
con i loro fucili a rispondere, ma i due non riuscirono a capire nulla
e rimasero
immobili a fissarli terrorizzati.
Il sollievo di Toris per esser stato salvato dall’imminente
morte fu offuscato
dal vedere quei soldati inferociti che sbraitavano contro di loro e li
minacciavano con i fucili. Stava cominciando a perdere le speranze di
essere
salvato quando i soldati si fermarono improvvisamente, probabilmente
realizzando di non essere capiti, e si misero a parlottare tra di loro
abbassando i fucili.
Feliks mantenne il suo volto
terrorizzato e la sua posa
immobile, ma Toris sentì le sue prese allentarsi sul suo
corpo.
Dopo qualche istante a parlottare, alcuni soldati uscirono dal vicolo
mentre
altri si interessarono al cadavere della guardia, girandolo sulla
schiena con
lo stivale e frugando tra i suoi vestiti. Nel frattempo, uno di loro si
avvicinò lentamente ai due ragazzi con un mezzo sorriso sul
volto severo.
“Non abbiate paura, siamo
venuti a salvarvi” Disse con un
russo comprensibile.
Toris lasciò sfuggirsi un
gemito mentre Feliks iniziò a
piangere poggiando il volto sulla spalla del ragazzo.
Davanti al vicolo apparve un grosso
carro armato che si
fermò esattamente davanti l’entrata. Toris lo
guardò da sopra la spalla del
soldato russo, sgomento. Aveva visto molti carri armati durante le sue
operazioni nei Paesi Baltici, ma nessuno era grande e impressionante
come
quello.
Il rumore fece girare i soldati incuriositi verso il veicolo, alcuni di
loro lo
salutarono esultanti per aver ucciso un altro nazista.
Il portellone superiore del carro armato si aprì con un
forte rumore e dalle
sue viscere comparve la testa e il busto di un ragazzo dal naso
incredibilmente
grande e dai capelli chiari, coperti quasi totalmente da un colbacco.
Il
ragazzo uscì quasi del tutto dal portellone, poi si
sistemò un’estremità della
sciarpa che si era srotolata dal suo collo e mise una mano nella tasca
mentre
guardava direttamente ai due prigionieri.
La luce del lampione creava uno strano gioco di ombre sul volto del
ragazzo, ma
questo non fermò Toris dal pensare che quel russo era forse
la cosa più bella
che avesse visto da quando era stato internato in
quell’orribile posto.
Sperava che non fosse l’ultima.
Il russo guardò il pezzo
di carta e poi i prigionieri, poi
si sporse leggermente mentre urlava con il suo forte accento.
“Sei tu Toris
Laurinaitis?”
La sua voce era dolce ma decisa,
ricordava vagamente quella
di Matthew, ma il suo tono era monotono, come se avesse dovuto ripetere
quella
frase molte volte.
Le guance di Toris si rigarono di lacrime mentre la presa di Feliks si
stringeva su di lui.
Era salvo, anzi erano salvi.
Il ragazzo bruno chinò la testa gemendo forte e abbracciando
il compagno mentre
il russo scendeva dal carro armato e si faceva largo tra i compagni con
un
sorriso sul volto.
Ivan si fermò davanti i
prigionieri e si inginocchiò
poggiando una mano sulla testa di Toris e accarezzandogli i capelli con
dolcezza.
“Due ragazzi della
resistenza baltica mi hanno chiesto di
trovarti. Ha davvero dei buoni amici, дорогой
(caro)!”
E così il principe russo,
sul suo bel cavallo armato, riuscì
a salvare la principessa lituana, rinchiusa nel castello di
concentramento,
dalle grinfie del drago nazista.
Dopo aver sentito la sirena dare
l’allarme, Ludwig si era
diviso da Gilbert per precipitarsi all’infermeria e portare
in salvo il maggior
numero di persone, primo tra tutti Feliciano. Avrebbe tanto voluto che
Gilbert
lo seguisse per non perderlo di vista in un momento tanto critico, ma
Gilbert
aveva insistito di dover prendere alcune cose importanti nel suo
ufficio, tra
cui uno zaino pieno di vettovaglie e Gilbird. Il ragionamento
dell’albino non
era sbagliato, era impossibile sopravvivere tra la neve nel paesaggio
prussiano
senza il necessario, ma Ludwig temeva di non rivederlo mai
più.
Dopo il confronto di pochi attimi prima, il tedesco biondo aveva
improvvisamente rivalutato suo fratello. Certo, tutte le cose malvagie
che
aveva commesso non potevano esser cancellate in un attimo con qualche
parola
ben pesata, ma Ludwig sentì che dopo aver scoperto il piano
di Gilbert i suoi
sentimenti verso i lui erano cambiati.
Insomma, non lo riteneva più un bastardo
senz’anima, e aveva cominciato ad
accettare nuovamente i sentimenti d’amore fraterno che per
molto tempo aveva
represso.
Fortunatamente, nel seminare i loro
inseguitori, i due
fratelli erano entrati nella porta sul retro del dormitorio
dell’amministrazione
del campo. Facendo molta attenzione, Gilbert sarebbe riuscito
facilmente a
passare inosservato e a raggiungere il suo ufficio in poco tempo. Lo
stesso non
si poteva dire di Ludwig, che dovette appiattirsi ai muri e guardarsi
intorno
continuamente con la pistola in mano mentre percorreva i vicoli e gli
spiazzali
per raggiungere l’infermeria. Purtroppo, aveva visto molti
prigionieri a terra
morti sotto i colpi delle guardie, alcuni erano stati addirittura
calciati o
trascinati in giro per gioco.
Quello scempio fece montare una forte rabbia in Ludwig.
Quando arrivò
all’infermeria scoprì con orrore che la porta
era stata sfondata con un calcio. Lentamente entrò dentro
puntando la pistola
davanti a sé pronto a far fuoco al minimo cenno di pericolo.
L’infermeria era vuota e tetra, non una luce illuminava le
stanze silenziose.
Qualcosa filtrava dalla finestra che dava sulla stanza dei malati, ma
invece di
aiutare la vista dava un aspetto lugubre e malsano al luogo. Dopo una
rapida
occhiata in giro, Ludwig raggiunse i lettini dei malati, facendo una
macabra
quanto orribile scoperta: sui lettini lerci dell’infermeria i
malati giacevano
inermi con evidenti ferite d’arma da fuoco sul corpo. Il
sangue di alcuni di
loro aveva macchiato non solo i letti ma perfino il pavimento.
Ludwig si portò una mano
alla bocca mentre represse un
coniato di vomito, ma la sua forza di volontà non fu
abbastanza forte. Si
accasciò a terra mentre svuotava lo stomaco e riversava il
suo contenuto a
terra. Quella scena avrebbe potuto impressionare chiunque.
Cercando di riprendersi dallo shock e
dal dolore, il ragazzo
biondo si rialzò e controllò i lettini. Erano
tutti morti di recente, i loro
corpi erano ancora caldi. Ma ciò che interessava Ludwig era
vedere se tra le
vittime c’erano Feliciano e Matthew.
Con suo grande sollievo, non
trovò né loro né Francis.
Probabilmente
erano riusciti a scappare prima dell’arrivo dei soldati,
anche se non capiva
come, soprattutto perché Feliciano aveva una gamba rotta e
non poteva
camminare.
Si guardò ancora qualche secondo attorno a sé per
cercare di capire come quei
tre erano riusciti a salvarsi, quando vide la porta della stanza del
medico
aperta, e all’interno la finestra spalancata.
Ecco come.
Ludwig raggiunse la finestra e
guardò fuori. Da quel punto
riusciva a vedere il perimetro del campo che si estendeva oltre gli
edifici, ma
soprattutto riusciva a vedere delle impronte sulla neve. In tutto erano
quattro, due leggere mentre altre due molto profonde.
“Qualcuno sta portando
sulla schiena Feliciano. Devo
trovarli immediatamente, sono un bersaglio troppo facile da
colpire!” Pensò il
tedesco mentre si lanciava fuori dalla finestra e iniziava a correre
seguendo
le impronte.
La sua deduzione si rivelò
giusta, infatti non dovette
correre molto per trovare i tre ragazzi cercare di scappare seguendo il
perimetro per raggiungere una delle uscite che dava sui campi. In un
altro
contesto Ludwig avrebbe ammesso che quella visione era davvero comica,
con
Francis che cercava di correre barcollando pericolosamente a causa del
peso di
Feliciano che portava sulle spalle, e che evidentemente il suo corpo
stremato
mal sopportava, mentre teneva per mano un Matthew ancora senza occhiali
e cieco
come una talpa.
Sarebbe stato davvero divertente da vedere in un circo, ma
lì in mezzo alla
neve, tra gli edifici di un campo di concentramento e con delle guardie
che sparavano
a chiunque gli capitasse sotto tiro, quello spettacolo feriva
l’anima.
Francis si girò di scatto
sentendo i suoi passi sulla neve,
rischiando di cadere all’indietro trasportato dal peso
dell’italiano.
“Ludwig!”
Esclamò Feliciano in lacrime “Ve… cosa
sta
succedendo?”
“Abbiamo sentito la sirena
suonare e improvvisamente le
guardie hanno iniziato a inseguire i prigionieri ovunque e a sparargli
contro.
Siamo riusciti a scappare dalla stanza del medico prima che aprissero
la porta
a calci… Mon dieu!”
“Tutti quei poverini che
sono rimasti lì… loro sono
tutti…”
Ludwig provò
pietà per il povero canadese che si asciugava
l’occhio sano, gonfio e arrossato, dalle lacrime di dolore.
“Non potevate salvarli,
è già una fortuna che siete ancora
vivi. Aspetta Francis, ti aiuto a trasportare Feliciano”
Il francese non accennò a
fermarsi mentre avvistava la porta
laterale del perimetro.
“Non abbiamo tempo, non
preoccuparti. Se proprio vuoi
aiutarmi, prendi Matthew”
Francis lasciò la mano del
canadese e si sistemò meglio
l’amico sulla schiena tenendogli le gambe con entrambe le
mani. Dopo un attimo
di esitazione, Ludwig prese la mano di Matthew e continuò a
camminare a passo
svelto al fianco ai prigionieri.
“Ludwig” Disse
d’un tratto Francis con un’evidente segno di
sforzo nella voce “La sirena… sono arrivati,
vero?”
Non ricevendo una risposta da parte
del tedesco, Francis imprecò
in francese e non fece altre domande. Al suo posto invece
parlò Feliciano.
“Ve, perché le
guardie ci vogliono uccidere? Forse Feliks
aveva ragione. Chissà dove sono, se sono riusciti a
scappare… ve…”
Ludwig stava per rispondergli con una
spiegazione vaga,
almeno per rassicurarlo quanto bastava per non vederlo in quello stato,
quando
dei passi e delle urla provenienti da un vicolo alla loro destra
attirarono la
loro attenzione.
Subito Ludwig estrasse la pistola e la puntò contro
l’uomo che correva verso di
loro, per poi abbassarla qualche istante dopo accorgendosi, con una
buona dose
di sollievo, che si trattava di suo fratello Gilbert.
L’albino correva a perdifiato con un grosso zaino sulle
spalle, tenendo la
pistola in una mano e con l’altra reggendo il povero, grasso
Gilbird sulla
testa. I suoi vestiti e il volto erano macchiati di sangue.
“Vi ho trovati! Matthew,
stai bene?” Chiese rivolgendo
subito la sua attenzione al canadese, quasi ignorando gli altri.
Matthew arrossì e
annuì con un timido sorriso. Francis
sorrise a sua volta distogliendo lo sguardo per far finta di non sapere
nulla
mentre Feliciano aggrottò la fronte nella confusione
più totale. Ludwig invece
non riusciva a distogliere lo sguardo dalle macchie di sangue.
“Sei ferito?”
“No, hanno cercato di
fermarmi… ma non ci sono riusciti
perché sono troppo furbo. Nessuno può
fermarmi!” Ammiccò verso Matthew mentre sorrideva
come un bambino davanti un vassoio di dolcetti.
Ludwig però non sorrise
come gli altri, con lui quella
recita non funzionava. Poteva vedere perfettamente l’ansia e
la paura nello
sguardo del fratello, il volto pallido e tirato, le mani che tremavano
in modo
incontrollato, il sudore che ammantava il collo e le tempie rendendo
appiccicosi i suoi capelli.
Continuarono a muoversi insieme,
anche se Francis e
Feliciano rallentavano tutto il gruppo. Ad un certo punto, Gilbert si
mise
dietro di loro e iniziò a spingerli premendo sul
fondoschiena di Feliciano,
nella speranza di velocizzare la loro corsa. Ludwig sentì
una scintilla di
gelosia, ma dovette resistere perché era per il loro bene,
inoltre non gli era
sfuggito lo sguardo velenoso che Gilbert gli aveva lanciato nel vedere
la sua
mano stringere quella di Matthew.
La porta ormai era a un centinaio di
metri, Francis poteva
vedere che era ancora chiusa e in perfette condizioni. Sperava
vivamente che
Gilbert avesse con sé le chiavi del lucchetto che bloccava
la sua apertura,
altrimenti da loro salvezza quella porta si sarebbe trasformata in
rovina.
Il francese già pregustava la libertà. Avrebbero
dovuto soffrire il freddo e la
fame nel paesaggio spoglio e inospitale prussiano, ma una volta
raggiunto il
primo centro abitato, Francis si sarebbe dileguato per non essere
catturato
nuovamente. Rispetto a Feliciano e Matthew, che potevano godere della
protezione di quei due tedeschi, Francis era scoperto e non poteva
permettersi
di essere catturato e internato nuovamente, non dopo aver sofferto
tanto per
tornare libero.
Lui doveva tornare in Inghilterra.
Le sue speranze morirono alla vista
dei giubbotti lunghi e
dei fucili dei soldati russi, che si raggrupparono velocemente davanti
la porta
cercando di aprirla strattonandola con forza nella speranza che il
lucchetto
cedesse per il freddo.
Si fermarono bruscamente a quella vista, Matthew che non capiva il
perché di
quel brusco arresto poiché non riusciva a vedere nulla a
quella distanza.
Ludwig cercò lo sguardo di Gilbert nel panico più
totale, se quel gruppo di
soldati li avesse visti non avrebbero esitato a fucilarli un solo
istante.
L’albino ricambiò il suo sguardo con altrettanta
preoccupazione mentre lasciava
la presa su Feliciano, poi annuì leggermente. Immediatamente
Ludwig tirò la
mano di Matthew e cominciò a correre sulle loro stesse orme
verso l’infermeria
da dove erano venuti, mentre Gilbert tirava Francis per farlo girare e
muovere,
e ricominciava a spingere su Feliciano con più forza.
Non ci volle molto tempo prima che
dei soldati russi,
attirati dai rumori di passi sulla neve, li notassero e cominciassero a
urlare
e corrergli dietro. Feliciano, che non doveva stare attento a dove
mettere i
piedi, si girò per dare una sbirciatina alle sue spalle,
cominciando a piangere
quando vide i soldati russi alle loro calcagna imbracciare il fucile.
“Vi prego, non sparate, non
voglio morire!!” Urlò in preda
al panico, aggrappandosi alla testa di Francis con forza e chinandosi
il più
possibile nel vano tentativo di rendersi meno visibile.
Il rumore del calpestio sulla neve e
le urla in russo
riempirono le orecchie di Ludwig che, in preda al panico, correva al
massimo
delle sue capacità con gli occhi sgranati, tirandosi dietro
il canadese che
cercava disperatamente di stargli dietro, distanziando gradualmente gli
altri.
Alcuni colpi di fucile fendettero l’aria facendo urlare dal
panico l’italiano e
dando un incentivo in più agli altri per correre.
Nella sua mente Gilbert ripeteva come un mantra tutte le preghiere che
conosceva.
Improvvisamente sia le urla sia il
rumore dei passi
cessarono all’unisono, lasciando che tornasse il silenzio. I
fuggitivi si
voltarono varie volte per cercare di capire cos’era successo
senza rallentare
la loro andatura.
Ludwig vide Feliciano guardare oltre le sue spalle e allentare la presa
sulla
testa di Francis, mentre dietro di loro due soldati si staccavano dal
gruppo e
alzavano i fucili contro di loro.
A quella vista, il suo corpo divenne improvvisamente leggero e la sua
mente si
svuotò completamente, mentre la consapevolezza della sua
fine occupava tutto il
suo pensiero.
Uno dei fucili fu puntato su di lui,
mentre l’altro fu
puntato su Gilbert, che intanto si era fermato e allontanato di qualche
passo
dai due prigionieri, alzando le mani in segno di resa.
Il cuore di Ludwig affondò nel vederlo arrendersi,
significava che era davvero
tutto finito, che non avevano più scampo e che dovevano
sperare nella pietà del
nemico. Ma quei fucili puntati su di loro davvero non avevano nulla di
pietoso.
Comunque, la speranza era l’ultima a morire,
perciò Ludwig emulò suo fratello
e, lasciando la mano di Matthew e facendo qualche passo lontano da lui,
alzò le
mani sulla testa.
Un uomo si fece largo dal gruppo di
soldati, affiancando
quei due che imbracciavano il fucile. Il suo volto era bruciato dal
freddo e
severo, gli occhi chiari che potevano scrutare direttamente dentro
l’anima,
mentre una mascella forte delineava il viso che sfoggiava un naso
rotto.
Il soldato urlò qualcosa con voce tonante, poi fece un gesto
inequivocabile.
Ludwig sentì il proiettile
passare con un sibilo a pochi
centimetri dal suo braccio sinistro, andando a conficcarsi nel muro di
un
edificio a centinaia di metri di distanza dietro di lui.
Gilbert invece non fu così fortunato.
Senza nemmeno emettere un suono, l’albino fu scaraventato
all’indietro dalla
forza del proiettile, finendo di schiena sulla neve. Gilbird
rotolò nella neve
a pochi passi dalla sua testa.
La vista di Ludwig si
macchiò di giallo e di nero mentre il
suo corpo era scosso da una vampata di sudore freddo. La sua testa
girava
vorticosamente, gli mancava il fiato, le orecchie erano piene delle
urla
stridule di Feliciano e di quelle concitate di Francis, seguite
dall’urlo
disumano e ben udibile di Matthew.
Corse e si inginocchiò di peso accanto al corpo del
fratello, guardandolo come
se fosse la prima volta nella sua vita, mentre Francis cercava di
spingere
Matthew nel lato opposto per continuare a scappare nonostante il
rifiuto
categorico del ragazzo di lasciare Gilbert in quello stato, e i russi
che li
raggiungevano esultanti.
Quando si avvicinò,
Gilbert era ancora cosciente. Il suo
sguardo spento e stanco si posò lentamente su di lui mentre
si sforzava di
sorridere nonostante il dolore. Dalla sua spalla usciva una grande
quantità di
sangue che ben presto macchiò i vestiti e la neve
sottostante. Il foro di
entrata del proiettile era grande quanto una moneta da un marco e
così profondo
che Ludwig poteva quasi vedere l’osso e le articolazioni.
Gli occhi di Ludwig si riempirono di lacrime.
Gilbert prese una boccata
d’aria, che gli costò una
sofferenza atroce:
“Piangi come…
una femminuccia? Non… ti si addice…
sai?”
“Gilbert” Ludwig
cercò di trattenere le lacrime nei suoi
occhi azzurri “Per favore, cerca di resistere,
l’infermeria non è lontana,
posso…”
Ludwig fu interrotto dalla risata di
Gilbert che si
trasformò in un rantolo.
“Non dire
cazzate… piuttosto… prenditi cura di
te… di
Matthew… Gilbird…”
Le lacrime cominciarono a scivolare
dagli occhi di Ludwig,
rigandogli le guance e cadendo dal mento e dal naso sui vestiti di suo
fratello. Gilbert abbozzò un sorriso tremante e sofferto
mentre alzava con
sforzo la mano per raggiungere il volto di Ludwig, non riuscendovi a
causa
delle forze che lo stavano lasciando. Prontamente, il fratello la prese
tra le
sue e se la portò al volto, baciandogli le dita.
Intanto i russi li avevano circondati e puntavano i fucili contro di
loro,
pronti a sparare a qualunque movimento brusco, ma notando i gradi delle
divise
dei due tedeschi e capendo che potevano essere prigionieri molto utili,
rispettarono il momento sforzandosi di tacere. Alcuni di loro invece si
avvicinarono a Gilbird, che intanto pigolava tra la neve. Dopo un breve
parlottare sommesso, uno di loro lo raccolse per un’ala e lo
infilò in un
tascone del suo giubbotto.
Ludwig gemette piano mentre piangeva
come non aveva fatto
mai nella sua vita. La sua vista era completamente offuscata dalle
lacrime, ma
cercò in ogni modo di focalizzare l’immagine del
volto di suo fratello. Tirò su
col naso un paio di volte mentre il respiro di Gilbert diventava sempre
più
lento e interrotto da rantoli e gemiti.
Un detto popolare diceva che si
riusciva ad apprezzare
qualcosa soltanto quando la si perdeva, Ludwig conosceva bene quel
proverbio, ma
non aveva mai capito fino in fondo cosa si potesse provare nel perdere
qualcosa
e capirne il valore soltanto a tragedia compiuta.
Ora purtroppo era in grado di capirlo.
Con il passaggio dall’infanzia all’adolescenza, con
lo sviluppare dei propri
gusti, dei propri pensieri e ragionamenti, Ludwig era finito da amare
il
fratello a odiarlo con tutto sé stesso. Non aveva mai
sopportato il suo
comportamento, il suo agire, perfino il suo aspetto. Aveva sempre
cercato di
non essere quello che invece lui era, allontanandosi da lui e
disprezzando
qualunque cosa gli fosse collegata. I sentimenti d’amore
verso suo fratello
erano stati brutalmente soffocati a favore di quelli di odio e
disprezzo.
Ludwig credeva di averli eliminati per sempre, invece esistevano ancora
e in
quel momento erano più forti che mai, e chiedevano di essere
espressi a gran
voce.
“Ti prego, non
lasciarmi…. Ho ancora bisogno di te…
Gil…”
Lo sguardo di Gilbert assunse
un’espressione scioccata. I
suoi occhi si inumidirono mentre i bordi delle labbra si alzavano in un
sorriso
dolce. Una singola lacrima scivolò via percorrendogli il
volto pallido.
“Erano anni… che
non… mi… chiamavi….
cos…ì…”
Le pesanti palpebre di Gilbert si
chiusero mentre il braccio
alzato cadeva senza forza nelle mani di Ludwig. Il ragazzo biondo
lanciò un
urlo disperato mentre si chinava sul corpo del fratello, piangendo e
stringendolo con fare convulsivo.
Quando il corpo di Gilbert cadde a
terra colpito dal
proiettile, Francis non provò gioia e soddisfazione come
aveva sempre pensato,
ma tristezza. Dire che aveva immaginato le morti più atroci
per quella guardia
dall’animo nero era poco, ma in quel momento non riusciva
davvero a provare
odio nei suoi confronti, e davvero non sapeva il motivo. Forse aveva
aiutato il
fatto che negli ultimi mesi era stato meno bastardo e più
umano nei loro
confronti, o forse era il pensiero che quel farabutto era riuscito a
cambiare
in meglio grazie all’amore che provava per Matthew.
Qualsiasi fosse il motivo, Francis non ci mise molto a realizzare che
la loro
unica possibilità di uscire dal campo vivi era morta con lui.
Mentre Ludwig lanciava urla disperate
e si gettava sul corpo
del fratello e Feliciano gridava terrorizzato per lui, il suo unico
pensiero fu
di salvare la pelle. Cercò di sovrastare quella cacofonia di
rumori con la sua
voce, urlando ai suoi due compagni di scappare nella speranza di poter
approfittare della distrazione dei soldati russi per svignarsela, ma
l’urlo di
Matthew lo azzittì e contemporaneamente lo fece
rabbrividire.
Il giovane canadese era famoso per la sua voce dolce e delicata,
così delicata
da risultare quasi impossibile da udire, inoltre il suo stesso aspetto
lo
aiutava il più delle volte a passare inosservato. Era
davvero perfetto per lo
spionaggio sul campo, Francis lo aveva sempre pensato.
Ma quell’urlo gli ferì le orecchie con una forza
tale che difficilmente avrebbe
potuto dimenticarlo.
Non aveva idea di come Matthew fosse
riuscito a vedere o a
capire cosa stesse succedendo, ma dal suo comportamento Francis dedusse
che
Matthew sapeva che Gilbert era stato colpito, sapeva che il suo amato
stava per
morire. Il ragazzo cercò di raggiungere Gilbert, ma fu
prontamente bloccato dal
corpo di Francis, mentre Feliciano lo tirava per la maglia e per i
capelli.
Nonostante ciò Matthew sembrava una furia, urlava e si
dimenava come sotto
tortura, l’occhio buono che piangeva ininterrottamente.
Francis dovette appellarsi a tutta la
sua forza di volontà
per raccogliere le forze e scontrarsi con il canadese. Matthew
finì a terra di
peso mentre Feliciano rimase con una sua ciocca di capelli biondi in
mano.
“Smettila, stupide, non
abbiamo tempo da perdere. Vuoi forse
morire?”
Matthew si alzò
lentamente, sconvolto dai singhiozzi. Guardò
il volto di Francis rosso dalla rabbia e dal panico, poi lo
spostò su Gilbert
che intanto alzava una mano verso suo fratello. Doveva essere davvero
una
grandissima sofferenza dover perdere il proprio fratello in quel modo e
vederlo
morire sentendosi impotente. Quel pensiero gli riportò alla
mente il sorriso
smagliante di suo fratello Alfred, il giorno che lo aveva salutato
prima di
imbarcarsi per prendere parte all’operazione di spionaggio in
Francia, non
sapendo che quella sarebbe stata l’ultima volta che lo
avrebbe visto.
Voleva davvero rivedere il suo amato fratello.
Quel pensiero bastò per farlo rialzare, ma non sarebbe stato
più lo stesso
Matthew.
Lanciò un ultimo sguardo
verso Ludwig e Gilbert, assistendo alla
sofferenza del tedesco biondo nel vedere suo fratello morire, soffrendo
lui
stesso nel vedere la persona che aveva amato esalare l’ultimo
respiro.
Si asciugò l’occhio con la manica sfibrata della
maglia e diede la mano a
Francis che iniziò ad allontanarsi velocemente da quel
luogo.
Pochi istanti dopo tre soldati russi notarono i loro spostamenti e si
precipitarono a sbarrargli la strada. I loro sguardi erano duri e
freddi, ma
non puntarono i fucili contro di loro, anzi se li misero sulle spalle e
si avvicinarono
di qualche passo.
Il cuore di Francis minacciava di
esplodere.
Non avevano più speranze, non erano riusciti a scappare e
ora erano in mano ai
soldati russi. Francis voleva piangere, era così vicino alla
libertà, invece
ora dalla prigionia tedesca sarebbe passato a quella russa,
più crudele.
Il suo pensiero andò al suo Arthur che era rimasto in
Inghilterra solo e ad
aspettarlo, ma con una fitta di dolore realizzò che non
riusciva a ricordare
più la maggior parte dei dettagli del suo volto.
Ormai non aveva più niente.
Preso dal panico,
indietreggiò velocemente quando vide il
soldato avvicinarsi, ma si sbilanciò e cadde
all’indietro finendo su Feliciano
che urlò di dolore tenendosi la gamba steccata tra le mani.
Ben presto però
l’italiano cercò di avvicinarsi il più
possibile a lui, preda anch’egli del
terrore. Matthew invece rimase fermo dov’era, non sapendo
assolutamente cosa
fare.
Il soldato, un ragazzo dai capelli
scuri e dagli occhi
chiari, disse alcune parole nella sua lingua offrendo una mano a
Francis mentre
si avvicinava. I tre prigionieri rimasero a fissarlo immobili e pieni
di paura.
Il ragazzo ripeté le parole più lentamente e
scandendo ogni lettera, ma ebbe lo
stesso risultato. Sospirando, ritrasse la mano e chiamò
verso il gruppo di
soldati che accerchiavano il corpo di Gilbert. Un altro soldato rispose
alla
sua chiamata e si staccò dai suoi compagni per raggiungerlo.
Dopo un breve scambio di parole, il soldato appena arrivato si
girò verso di
loro e con un inglese molto stentato disse:
“Noi salvare. Voi
liberi”
Dopo un momento di stallo, Francis
nascose il volto tra le
mani e iniziò a singhiozzare. Matthew sentì le
gambe deboli e cadde in
ginocchio, il suo sguardo perso nel vuoto mentre l’occhio si
inumidiva
nuovamente.
Soltanto Feliciano, che non conosceva né il russo
né l’inglese, non riuscì a
capire cosa stesse succedendo. Si guardò intorno preso dal
panico.
“Francis… cosa
succede?” Infine, chiese sussurrando, senza
perdere di vista i soldati russi davanti a loro.
“Finalmente…
quest’incubo è finito!”
Ludwig strinse il corpo del fratello
a sé come un polpo la
sua preda.
Non voleva lasciarlo per nessun motivo, non voleva accettare il fatto
che il
suo tanto amato e odiato fratello fosse morto. I suoi gemiti di dolore
riempirono l’aria, ma i soldati russi non furono disposti a
concedergli altro
tempo.
Uno dei soldati che lo stavano accerchiando, lo stesso con il naso
rotto che
prima aveva ordinato di sparare, disse alcune parole in russo e i
soldati si
mossero. Due di loro andarono dietro il tedesco e cercarono di
afferrarlo per
tirarlo via, ma lui resistette aggrappandosi al fratello e poggiando
con forza
la testa sul suo petto.
“NO! NO! Lasciatemi! Non
voglio abbandonarlo!” Gridò a pieni
polmoni anche se i russi non potevano capire una sola parola di quello
che
diceva.
Fu in quel momento che lo
sentì.
Il cuore di Gilbert, anche se debolmente, batteva ancora, il che
significava
che suo fratello non era ancora morto.
Quella rivelazione sconvolse a tal punto il ragazzo che i soldati
riuscirono
finalmente ad agguantarlo per le braccia e tirarlo via per renderlo
prigioniero. Ludwig si riprese subito e cercò di
divincolarsi in ogni modo
possibile, scalciando e puntando i piedi a terra, mentre urlava contro
le
guardie che intanto si accostavano al corpo dell’albino.
“E’ ancora vivo!
Aiutatelo, vi prego! Lui… gnh… lui è
ancora
vivo!”
Nel 1945
si concluse la Seconda Guerra Mondiale con la resa della Germania, dopo
la
caduta di Berlino, e la resa del Giappone, dopo lo sgancio delle due
bombe nucleari.
Nel novembre dello
stesso anno si
tennero i processi di Norimberga, volti a giudicare e condannare coloro
che si
erano macchiati di vari crimini contro l’umanità e
la pace comune.
Per le
atrocità compiute come amministratore del campo di
concentramento nel
territorio prussiano, Gilbert Beilschmidt venne condannato a 17 anni di
reclusione.
Per aver compiuto gli stessi crimini ma in minore intensità,
Ludwig Beilschmidt
venne condannato a 10 anni di reclusione, da scontare in un carcere
differente
da quello del fratello.
Nel 1952
Berlino Est e Berlino Ovest, i due blocchi che nacquero dalla divisione
della
città da parte delle forze occidentali e della Russia,
chiusero la frontiera
non permettendo più ai tedeschi di poter circolare
liberamente tra “le due città”.
Nel 1961 fu costruito il muro di Berlino, che di fatto divise
fisicamente in
due la città.
I due
fratelli Beilschmidt non ebbero la possibilità di
ricongiungersi.
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Note dell'Autore
Innanzitutto mi scuso per il fortissimo ritardo della pubblicazione, ho avuto problemi a livello universitario e a livello di salute che non mi hanno permesso di completare prima il capitolo.
Come avete potuto vedere, in questo capitolo accadono moltissime cose, non è stato molto semplice da scrivere per me che sono alle prime armi x'D
Comunque sia spero vi sia piaciuto nonostante la lunghezza esagerata e tutti gli errori che possono esserci (nonostante io controlli scrupolosamente ogni capitolo prima della pubblicazione, qualcosa mi sfugge sempre x'D).
Il prossimo capitolo sarà l'ultimo, siamo quasi arrivati alla fine del nostro percorso :)
Spero che questa ff vi sia piaciuta e vi abbia divertito, fatto soffrire, interessato come l'ho ha fatto con me ^^
E credo davvero che riceverò una bella denuncia per abusi e maltrattamenti dai legali di Prussia x'D
Come sempre, aspetto le recensioni *-*
A presto!