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Autore: Estethell    23/02/2018    3 recensioni
Grazie a una promozione, il soldato nazista (non per scelta) Ludwig viene inviato nel campo di concentramento prussiano come co-amministratore di suo fratello, il feroce Gilbert.
Contemporaneamente nel campo arrivano dei prigionieri che vengono subito smistati nei vari blocchi dormitorio-fabbrica. Il blocco H3T4-L14, sopranominato hetalia, è amministrato direttamente da Gilbert ed è il luogo peggiore di tutto il campo. In poco tempo vi si ritroveranno prigionieri di vari paesi, tra cui un dissidente politico e filo-russo lituano, un polacco che aiutava gli ebrei a fuggire dai rastrellamenti tedeschi, un ex soldato volontario francese, una spia canadese e un partigiano italiano.
Ludwig cercherà in ogni modo di aiutare i poveri malcapitati del blocco H3T4-L14 a sfuggire dalla violenza del fratello, sviluppando sentimenti nuovi e complessi per il dolce e ingenuo italiano, mentre Gilbert scoprirà grazie a un timido canadese che l'amore vince su ogni cosa, anche sulla violenza.
Principalmente Gerita e Prucan, Fruk sullo sfondo, qualche accenno di Rusliet.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Un po' tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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15 morti e 7 feriti, di cui due lievi.

Era questo il bilancio che fu riferito a Gilbert diverse ore dopo il collo del dormitorio.
L’albino aveva passato tutto quel tempo cercando di nascondere la forte angoscia, che lo stava divorando dall’interno, scrutando senza risultato l’orizzonte insieme alle altre guardie di vedetta.
Nessun movimento sospetto, nessun avvistamento.
Niente che potesse far supporre la presenza dell’Armata Rossa.

Gilbert però non si illuse e continuò a controllare i confini con le altre guardie, finché un prigioniero con il fiato grosso per la corsa non lo informò del numero dei morti e dei feriti e della causa del crollo.
Gilbert rise incredulo quando seppe che il tetto della costruzione, ormai fatiscente da anni, aveva ceduto sotto il peso della neve che si era accumulata sui tetti per giorni interi, tirando giù anche i muri dalle travi marcie.
Era incredibile quanto poteva essere maledettamente beffardo a volte il destino!

Compreso ormai che i russi non erano la causa della tragedia, Gilbert lasciò pochi poveri malcapitati di guardia mentre congedò le altre, lui stesso si dileguò appena gli fu possibile.
Doveva assolutamente controllare tra i cadaveri allineati davanti le macerie se lui era tra quelli. Gilbert pregò varie volte Dio di non dover provare lo strazio di doverlo vedere sotto uno di quei stracci che coprivano i vari corpi, non sapeva davvero come avrebbe potuto reagire alla vista del suo bellissimo viso tumefatto dal crollo, o alla vista del suo corpo straziato.
Erano pensieri orribili che gli fecero sentire un morso allo stomaco.

Arrivato nello spiazzale si fermò qualche istante a osservare il luogo del crollo. I prigionieri, guidati dalle guardie, avevano fatto tutto sommato un buon lavoro. Le macerie erano state per la maggior parte accantonate affianco alla struttura distrutta, di cui rimanevano soltanto qualche pezzo di muro intatto e qualche trave spezzata. I detriti più grandi erano rimasti lì come una carcassa d’animale spolpata della carne. La scena che si presentava era meno impressionante del momento del crollo, ma Gilbert ammise che fu una fortuna che erano riusciti bene o male a trovare e disseppellire tutti i prigionieri rimasti là sotto.
Più morti che vivi purtroppo.

Questo lo riportò al motivo principale per cui era qui.
Davanti le macerie erano stati allineati quindici corpi su due file parallele. I cadaveri erano stati coperti alla meglio con degli stracci, alcuni riuscivano a coprire soltanto il volto del malcapitato lasciando vedere perfettamente lo stato pietoso del resto del suo corpo, spesso sporco di sangue.
Gilbert sentì l’impulso di vomitare, ma cercò di controllarsi e mantenere un certo decoro davanti le guardie che stavano ancora controllando i prigionieri, che lavoravano sui detriti.

Velocemente si avvicinò a una guarda che stava vicino ai cadaveri e appuntava su un taccuino:

“Ehi tu!”

“S-signore!! Si, signore?” Rispose la guardia tremando visibilmente. La maggior parte delle guardie aveva timore di Gilbert e del suo famigerato sadismo.

“Sono venuto a controllare lo stato dei lavori. Avete riconosciuto e appuntato i nomi dei morti?”

“N-no, signore, stavo per cominciare”

“Bene, allora non ti dispiacerà se assisterò, vero?” Con un sorriso porse la mano alla guardia e fece un gesto eloquente.
La guardia guardò prima l’albino, poi i cadaveri a terra e infine il taccuino. Realizzando cosa il suo superiore gli stava gentilmente suggerito, si lasciò sfuggire un gemito e consegnò il taccuino a Gilbert mentre lui iniziò a scoprire i volti dei cadaveri per il riconoscimento.

Gilbert era compiaciuto dal fatto di aver trovato una buona scusa per controllare i cadaveri senza destare sospetto.
Velocemente la sfortunata guardia scoprì il volto di ogni vittima pronunciandone il nome e cognome e il codice cucito sull’avambraccio. Per quei corpi con il volto così tumefatto da essere impossibile da riconoscere, il povero malcapitato gemeva il numero di riconoscimento respirando forte dalla bocca per non sentirsi male.

Più il tempo passava, più corpi riconoscevano, più le speranze di Gilbert aumentavano. Finora non aveva fatto la tanto sofferta scoperta né del canadese né dell’italiano, anche se conosceva la maggior parte di quei prigionieri.
Con il cuore in gola finì di appuntare i numeri del penultimo cadavere e lentamente si avvicinò all’ultimo corpo coperto a terra.
Gilbert sentì la gola stretta mentre si accorse che la statura di quel corpo era simile a quella di Matthew. La guardia aspettò che il suo superiore si avvicinasse abbastanza, poi afferrò il lembo di stoffa che lo copriva fino ai ginocchi.
Gilbert trattenne il fiato mentre il cuore gli pulsava nelle orecchie tant’era forte l’agitazione e l’ansia che stava provando in quel momento.

Infine la guardia sfilò la stoffa con un gesto rapido, rivelando il volto del malcapitato.
Gilbert tremò.

 

Francis si passò una mano tra i capelli sciolti mentre cambiava posizione sulla sedia mezza rotta dell’infermeria. Stava ancora cercando di riprendersi dalla tragedia successa ore prima.
Nella sfortuna si sentiva incredibilmente fortunato: l’edificio era crollato proprio nel momento in cui lui era stato costretto dalla guardia di turno a svuotare il secchio dei bisogni.
Se questo era un segno del destino Francis lo aveva recepito benissimo. Erano già due anni che si trovava in quell’inferno, era uno dei più longevi prigionieri di tutto il campo, ed era scampato a morte certa sotto le macerie del proprio dormitorio…

“Mon dieu, sono proprio un miracolato. Forse posso davvero cominciare a sperare di rivedere Arthur!”

Ma quei pensieri provocavano più dolore che gioia, quindi Francis cercò subito di distrarsi da loro, concentrandosi invece sul lettino logoro dove dormiva profondamente Feliciano. Lui era stato uno dei pochissimi a salvarsi dal crollo.
Più o meno.
Era ancora vivo, questo era certo ed era anche molto, ma aveva riportato brutte ferite dal crollo. La sua gamba era rotta in più punti ed era stata steccata con due pezzi di legno. Aveva qualche costola inclinata a detta del medico del campo, ma sentendo le urla di dolore del povero italiano ogni qual volta faceva un movimento anche minimo, Francis sospettava che fossero rotte. La testa era stata fasciata, ma il francese non sapeva esattamente perché.
Tutto sommato era fortunato, ad altri era andata molto peggio.

Francis avrebbe tanto voluto aiutare la squadra addetta alla rimozione dei detriti per cercare in ogni modo possibile di salvare quelle povere anime sotto le macerie, ma era stato violentemente scacciato in favore dell’infermeria. Quando arrivarono i primi feriti Francis cominciò ad avere una speranza. Più gente arrivava più la sua speranza cresceva.
Essa si fermò al numero sette.

Fortunatamente tutti quelli che erano riusciti ad arrivare in infermeria non erano in pericolo di vita. Feliks e Toris avevano riportato delle forti contusioni ma erano stati classificati come feriti lievi. Anche loro, come Francis, erano increduli di quanta fortuna avessero avuto.
Francis sospirò e strinse i pugni sul favolino nel pensare a quelli che invece non ce l’avevano fatta. Erano tutte brave persone, alcune con un cuore d’oro, tutte che speravano in un futuro migliore, magari tornare a casa dalla propria famiglia, chi invece emigrare in America per fare fortuna.
Quelle povere vite innocenti erano state spezzate così bruscamente in un posto simile e probabilmente sarebbero state gettate in fosse comuni come dei normali rifiuti.

Un gemito lo distolse da questi pensieri facendolo girare verso i lettini. Feliciano si era mosso nel sonno e il dolore era stato così forte da farlo gemere anche mentre dormiva. Il ragazzo castano cominciò a mormorare strane parole mentre si spostava ancora, parole che Francis riconobbe come italiane, tutte seguite da un piccolo sussurro: Lud.

Francis sorrise mentre addolciva lo sguardo rivolto all’italiano, che con un ultimo spostamento ricominciò a dormire pesantemente. Dopo poche ore dal disastro, quando il medico del campo ebbe finito di visitare tutti i pazienti lasciandoli in mano a Francis, nell’infermeria era entrato Ludwig.
Francis avrebbe voluto salutare quel gran bel pezzo di tedesco con una delle sue battute ammiccanti e provocatorie, ma le parole gli morirono in gola quando vide lo stato pietoso di quel povero figliolo.
Apparentemente sembrava avere il suo solito aspetto, i capelli ben ordinati, la divisa pulita e ben stirata, ma se si provava a guardare il suo volto era impossibile non notare il suo pallore quasi cadaverico che metteva in risalto lo spesso rossore che cerchiava i suoi occhi chiari.

L’uomo non disse nulla mentre si chiudeva la porta alle spalle. Si avvicinò lentamente a Francis e guardò per un attimo verso i lettini, poi spostò il suo sguardo implorante e bagnato sul francese.
Francis sorrise e andò a sedersi sulla sedia dov’era rimasto, apparentemente concentrandosi su alcuni fogli appuntati, praticamente tenendo un occhio e un orecchio sulla stanza dei lettini.

Ludwig rimase per molto tempo al capezzale dell’italiano. Dapprima Feliciano non era cosciente, così Ludwig si limitò ad accarezzargli il volto e a tenergli la mano, poi quando riprese conoscenza i due parlarono per molto tempo. Francis lì colse molte volte a scambiarsi un bacio fugace quando pensavano di non essere visti da nessuno.
Era sinceramente felice per quel giovane italiano, ma era anche stupefatto di sapere che un prigioniero amava una guardia ed era ricambiato.

All’improvviso la porta fu aperta violentemente e la figura terrificante di Gilbert entrò nell’infermeria, distogliendo il francese dai suoi pensieri. Francis balzò subito in piedi spaventato mentre l’uomo chiudeva sgraziatamente la porta e si avvicinava a lui con pochi passi.

“Fuori” Sibilò con uno sguardo furioso.
Francis sentì le gambe sciogliersi al pensiero di dover fronteggiare quel pazzo, ma non poteva lasciare i malati incustoditi, anche se era Gilbert in persona a chiederglielo.

“J-je ne peux pas… i malati… non posso lasciarli soli…” Rispose con un filo di voce.

“Allora nell’ufficio del medico”

“M-ma, io non…”

Senza battere ciglio, Gilbert estrasse velocemente la pistola in dotazione a ogni guardia del campo. Francis impallidì vistosamente.
Esattamente come Gilbert, anche quella pistola era leggendaria tra i prigionieri. Si diceva che avesse ammazzato più lei che tutti i fucili e le pistole usati in questa inutile guerra.
Gilbert sorrise godendosi la reazione del biondino.

“Vedo che la conosci. Sai anche che non ho problemi ad usarla. Nell’ufficio. ORA!”

Francis corse tra i lettini fino a raggiungere una porta sul fondo dello stanzone, chiudendosela rumorosamente dietro una volta entrato. Gilbert lo seguì con lo sguardo annuendo e rinfoderando la sua pistola.
 Il trambusto e le urla disturbarono alcuni malati che si svegliarono insonnoliti. Quasi tutti si riaddormentarono velocemente, tutti tranne uno.
Gilbert lo individuò subito appena mise piede nella stanza.
Su secondo lettino a sinistra c’era Matthew.

Era vivo, sia lodato il Signore, era vivo.
Gilbert voleva quasi piangere dalla gioia, ma le lacrime si sarebbero trasformate ben presto in lacrime di dolore quando diede un’occhiata più attenta al ragazzo.
Matthew aveva un braccio fasciato e stretto al petto mentre le fasciature sul capo gli coprivano anche l’occhio sinistro. Il suo volto era tutto graffiato e abraso. Il paio di occhiali che Gilbert gli aveva regalato tempo prima giaceva su una sedia che fungeva da comodino. Una lente era scheggiata mentre la montatura il legno irrimediabilmente rotta.

Il ragazzo girò lentamente la testa cercando di guardarsi attorno con l’occhio sano, ma Gilbert sapeva che in realtà era cieco come una talpa e non riusciva a vedere oltre il suo naso.
Spaventato dal trambusto e dal fatto che non riuscisse a vedere nulla, Matthew si mise a sedere sul letto mentre spostava il suo sguardo sulla sagoma vicino la porta della stanza.

“Francis? Francis cosa succede?” Sussurrò con la sua voce delicata.

A Gilbert gli si strinse il cuore, e contemporaneamente gli si spense il cervello.
Con pochi lunghi passi fu vicino il lettino e in un attimo le sue braccia strinsero il corpo debole e sofferente del prigioniero. Gilbert nascose la testa nella spalla del ragazzo mentre si stringeva sempre più al suo corpo, cercando di non danneggiarlo in nessun modo. Matthew guaì dalla sorpresa per l’inaspettato contatto fisico e cercò debolmente di divincolarsi ma senza successo. Le braccia di Gilbert erano gentili ma salde intorno a sé.

L’occhio sano di Matthew stava per gonfiarsi di lacrime mentre cercava con un filo di voce di chiedere chi fosse quell’estraneo che lo stava molestando così all’improvviso, quando l’uomo si separò da lui guardandolo in volto e accarezzandogli la faccia con le mani guantate. Matthew poté vedere nella luce fioca della stanza che l’uomo aveva i capelli corti e di un colore che il canadese non riusciva a identificare.
Dopo pochi istanti riuscì a riconoscerlo e il suo volto assunse un’espressione stupita.
Gilbert pensò che fosse irresistibile.

“Gil…?!”

Matthew non fece in tempo a finire di parlare. Le labbra di Gilbert premettero sulle sue con forza mentre le mani della guardia lasciavano le sue guance per il fianco e una spalla, stringendolo più vicino. L’occhio miope del biondo si spalancò per la sorpresa e fissò incredulo gli occhi chiusi dell’altro, che intanto assaporava le sue labbra.
Nonostante ciò non oppose resistenza.

Gilbert cercò subito di approfondire il bacio leccando le labbra morbide e screpolate del canadese con la sua lingua. Il ragazzo aprì timidamente la bocca e Gilbert iniziò subito ad esplorarla.
Aveva un pessimo sapore ma Gilbert non vi fece caso, tutto ciò che importava era che Matthew era vivo e che Gilbert poteva finalmente averlo per sé.

La lingua di Matthew rimase inizialmente ferma e ciò fece sospettare al tedesco che il ragazzo non avesse mai baciato prima di allora, poi timidamente iniziò a muoversi imitando l’altra.
Dopo pochi istanti Gilbert ruppe il bacio e posò la sua fronte delicatamente su quella fasciata del canadese, prendendogli di nuovo il volto tra le mani.
Matthew sembrava sul punto di piangere e di urlare contemporaneamente. Il suo occhio buono era lucido e gonfio e la sua bocca si apriva e chiudeva incerta come un pesce che boccheggiava.
Gilbert decise di prendere nuovamente l’iniziativa e parlò per primo.

“Ho avuto paura. Pensavo di non poterti più rivedere. Io… io….” Le parole gli morirono in gola. Per quando fosse sceso a patti con la propria coscienza sulla sua appena scoperta sessualità, gli risultava ancora difficile ammetterlo ad alta voce. Forse non sarebbe mai riuscito a farlo.

Matthew chiuse immediatamente la bocca mentre le sue labbra iniziarono a tremare e la sua guancia si rigò di lacrime. Strinse l’uomo a sé e affondò il volto nella sua spalla piangendo disperatamente. Gilbert cercò di tranquillizzarlo accarezzandogli ripetutamente la schiena con una mano e sussurrandogli parole dolci nell’orecchio.

Gilbert rimase nell’infermeria (con Francis bloccato nell’ufficio del medico) diverso tempo in cui consolò, parlò e coccolò Matthew.
Era incredibile come quel povero ragazzo, al quale qualche mese prima stava per togliere la vita, avesse accettato così di buon grado i suoi sentimenti, anzi sembrava anche ricambiarli.
Gilbert pensò per un breve momento se potesse essere un tranello per ingannarlo e per rabbonirsi l’amministratore del campo per ricevere qualche favore, ma l’idea sfumò velocemente com’era arrivata. Matthew era troppo dolce e puro per poter tramare qualcosa di simile, e soprattutto era l’unico che non l’avesse mai giudicato, perciò Gilbert sentiva di potersi fidare ciecamente.

Quando infine decise di andare, salutò Matthew con un bacio sulle bende che coprivano la fronte e con la richiesta di mantenere segreto cos’era successo e soprattutto il loro rapporto, poi urlò qualche insulto a Francis dicendogli di poter tornare al suo posto e si affrettò ad uscire dall’infermeria e ad allontanarsi nella luce del mattino.
Non si accorse di essere osservato.

 

Quel giorno le attività delle squadre continuarono i lavori assegnati come se non fosse successo nulla. La squadra assegnata alla raccolta di viveri però era stata dimezzata dalla tragedia e faticava a trovare cibo per la partenza.
Feliks e Toris guardarono la colonna umana sfilare davanti i capannoni diretta verso l’esterno del campo con la speranza di trovare qualcosa di commestibile.
I due superstiti del dormitorio H3T4 erano stati esonerati dai loro compiti a causa delle ferite ed erano stati assegnati a mansioni più semplici e meno impegnative come l’infermeria o la cucina.
Ora capivano quant’era stato fortunato Francis ad essere assegnato in modo fisso a quei lavori.

Entrambi avevano riportato ferite leggere dal crollo. Erano stati dissotterrati abbracciati l’uno con l’altro e sconvolti, ma quasi illesi. Toris era ancora turbato a tutta la situazione, mentre Feliks sembrava non pensarci più, come se non fosse mai successo nulla. Il ragazzo polacco era più interessato a discutere con l’italiano su delle informazioni riguardo la partenza.

“Io non ci credo. Non è possibile che le guardie facciano tutti questi sforzi per poterci spostare e salvare la vita!”

“Ma Ludwig mi ha detto che…”

“Ah Ludwig! E’ già difficile credere che abbiate una sorta di relazione, figuriamoci credere all’idea che ci vogliano salvare dalle grinfie dei russi! Quelli ci portano nelle camere a gas, ve lo dico io!”

“Ve…. Ma non è vero…”

Toris si avvicinò ai lettini interessato. Da quando il giorno prima Feliciano era tornato al dormitorio urlando dalla felicità, erano successe così tante cose assurde che ormai il ragazzo bruno non sapeva più a cosa credere o meno. Quante probabilità c’erano che un prigioniero potesse iniziare una relazione sentimentale con una guardia?
Ma poi, quante probabilità c’erano che il dormitorio crollasse proprio quella notte? E che uscissero vivi? Perciò non poteva essere poi così incredibile l’idea che le guardie stessero trovando un qualsiasi modo per salvarli tutti… no?

Feliks però era seriamente convinto di ciò che diceva, mentre Feliciano non riusciva a controbattere e perdeva terreno e fiducia. Francis era impegnato a medicare un ferito qualche lettino più in là, cercando con parole dolci di convincere il pover’uomo a farsi cambiare le bende ormai incrostate alle ferite senza troppi capricci, perciò non partecipava alla discussione.
Matthew invece rimase in silenzio ad ascoltare i due discutere senza intervenire, ma Toris sapeva che se anche se lo avesse fatto, sarebbe rimasto ignorato e non sarebbe cambiato nulla.

“Io anche non mi fido dei tedeschi” Esordì attirando l’attenzione stupita di entrambi i ragazzi “Ma ho lavorato molto a contatto con il governo russo. Mi fido di loro, potrebbero davvero salvarci” Fissò i due ragazzi con uno sguardo serio.

Feliciano rimase a bocca aperta incredulo mentre Feliks non ci mise molto ad esplodere com’era il suo solito:

“Ma cosa dici Toris?? Il crollo ti ha danneggiato il cervello? Tu davvero ci stai suggerendo di consegnarci nelle mani dei russi? Quei sadici che portano soltanto dolore e miseria ovunque vadano!”

Toris notò che Feliks non era semplicemente sconvolto dalla sua affermazione come Feliciano. A differenza di quest’ultimo, il polacco sembrava più terrorizzato che incredulo. Toris ricordò la prima volta che incontrò Feliks nel dormitorio e di come, scambiandolo per russo, lo fece arrabbiare subendosi per quasi tutta la serata le sue filippiche. I polacchi non erano in buoni rapporti con i russi, questo era certo, ma Toris era anche certo che i russi avrebbero davvero potuto sconfiggere i tedeschi e salvarli tutti quanti.
Con un movimento improvviso afferrò le mani di Feliks e le strinse mentre fermava il suo sguardo in quello del polacco.

“Feliks fidati di me. I russi possono davvero salvarci, loro vogliono vedere la Germania capitolare tanto quanto noi. Ho lavorato per loro nella resistenza dei Paesi Baltici contro il giogo tedesco, loro vogliono liberarci da quei farabutti!”

Feliks rimase qualche istante a fissare lo sguardo risoluto di Toris a bocca aperta, non aveva mai visto il bruno così deciso e forte. Era una rivelazione che lo confuse e affascinò al tempo stesso. Riprendendosi, cercò di controbattere con la sua solita esuberanza.

“Liberarci? Toris, sono russi! Quelli non lo fanno per liberarci ma per assoggettarci a loro! Non vogliono aiutarci, vogliono conquistarci, loro vo-…”

“Che lo facciano allora! Meglio loro che i tedeschi! Con loro almeno non verremo trattati come degli schiavi senza dignità, con loro avremo un futuro!”

Toris lasciò le mani di Feliks e abbassò lo sguardo a terra, chinando leggermente la testa. Feliks pensò che Toris avesse capito che stava dicendo soltanto un mucchio di sciocchezze, ma dalle sue parole comprese che quello non era un segno di resa, anzi.

“Loro non sono dei mostri come pensi tu, Feliks. Sono i tedeschi i mostri! Loro ci stanno facendo questo! Io… io voglio essere trovato dai russi!”

Feliks rimase in silenzio non sapendo cosa dire, forse per la prima volta in tutta la sua vita. Si limitò a fissare l’amico con uno sguardo infelice sul volto. Feliciano, che per tutto il tempo era rimasto spettatore, cercò di dire la sua con poca convinzione:

“Ma… Ma Ludwig…. Ve…”

“Questi discorsi sono inutili!”

Tutti si girarono verso Francis che, lasciato il ferito, li raggiunse con pochi passi e uno sguardo piuttosto serio.

“È inutile discutere su chi sia migliore, su chi salverà chi o quale piano hanno in mente i tedeschi, tanto non lo sapremo mai. E inoltre a questo mondo nessuno fa nulla per niente, ricordatelo tesoro!” Toris abbassò lo sguardo irritato “Il nostro unico obbiettivo ora è cercare di sopravvivere, con chi non lo sapremo finché non sarà il momento. Tedeschi, russi, chiunque andrà bene, l’importante è continuare a vivere… e tornare a casa prima o poi!”

Poi appoggiò le mani sulle spalle dei ragazzi e sorrise.

 

Era quasi il tramonto quando Gilbert salì sul palchetto nella piazza del campo insieme a suo fratello. Sotto di loro le guardie li fissavano con gli occhi che riflettevano luce fioca del sole invernale.
Gilbert aveva in mano i rapporti stilati delle varie squadre stilati da quando avevano iniziato a lavorare per il trasferimento.
Non erano per niente promettenti, il malcontento era dilagante anche tra le guardie stesse.

Schiarendosi la gola, Gilbert iniziò a parlare al pubblico riguardo i rapporti che stringeva nella mano. Mentre parlava il suo sguardo vagava su tutta la folla cogliendo i segni di disagio, irritazione, ansia e rabbia delle guardie. Man mano che continuava, anche la sua preoccupazione aumentava in modo esponenziale.

Gilbert aveva notato che per tutto il giorno gruppi di guardie si riunivano a parlottare vicino i muri degli edifici con fare concitato, per poi azzittirsi o disperdersi nel momento in cui passava o si avvicinava. Tutti però lo fissavano insistentemente, senza che l’albino capisse il perché.
La pressione dell’arrivo imminente ed improvviso del nemico, il lavoro a cui erano stati sottoposti, la nottata passata in bianco a causa del crollo e l’evidente inadeguatezza dei mezzi di cui disponevano per sostenere una marcia forzata di varie settimane, aveva reso irrequiete le guardie.

Gilbert anche era piuttosto agitato. Dopo aver subito il duro colpo della lettera, esser quasi morto di dolore per il crollo del dormitorio e  aver passato la notte sveglio a controllare confini vuoti, l’albino cominciava a mostrare segni di cedimento. Il suo volto era provato e teso, il suo corpo affaticato e la sua voce non più squillante come al solito. Del vecchio Gilbert energico ed esuberante, restava soltanto una sorta di guscio vuoto, un’ombra debole e vacua.
Ludwig invece sembrava non mostrare segni di affaticamento o di ansia, anzi agli occhi di Gilbert il fratello perfetto sembrava anche più rilassato del solito. Si scoprì ad invidiarlo per questo.

 “Siccome i viveri non sono abbastanza per sostenere un viaggio simile, razioneremo il nostro cibo esattamente come quello dei prigionieri. Così facendo, a conti fatti, dovremmo riusci-“

“Cosa? Sei forse impazzito?”

Gilbert alzò lo sguardo dal foglio, incredulo. Chi era quell’idiota che aveva il coraggio di interromperlo e rispondergli in quel modo?
Ma la voce non si fermò nonostante Gilbert fissasse la folla con uno sguardo omicida, e ben presto la voce di protesta fu accompagnata da altre urla e gesti di disapprovazione. Gilbert rimase confuso e incredulo per quello che stava vedendo, e anche Ludwig anche perse la sua compostezza rivelando confusione nel suo sguardo.
Le guardie che per anni erano state sotto il suo diretto comando rispettando una ferrea disciplina si stavano improvvisamente ribellando.

“SILENZIO! È un ordine!”

Ma i suoi sottoposti continuarono a protestare, parlottando tra di loro e urlando. Gilbert stava perdendo velocemente il controllo della situazione, qualcosa che non era mai successo da quando era diventato amministratore del campo.
Cosa stava succedendo? Perché all’improvviso i suoi sottoposti, che avevano sempre dimostrato rispetto per lui, all’improvviso non avevano più timore?
Forse ai loro occhi il fiero e feroce Gilbert ormai era diventato solo uno spaurito coniglio bianco?
Guardò incredulo il fratello che ricambiò lo sguardo stupito, per poi spostarlo nuovamente sulla folla. Nel caos che si stava creando, notò che soltanto Roderich non partecipava alla confusione generale ma anzi rimaneva in silenzio a fissarlo con quel suo sguardo irritante dietro le lenti.

I nervi di Gilbert non ci misero molto a saltare. La stanchezza, la paura, la preoccupazione e la rabbia che aveva accumulato in quegli ultimi giorni esplosero insieme rendendolo furioso.
Con lo sguardo iniettato di sangue e i denti scoperti in un ringhio feroce, l’albino estrasse velocemente la sua pistola e sparò un colpo in aria, per poi spostare subito la mira sulla folla.
Immediatamente tutte le guardie sotto il palchetto si azzittirono stupiti e impauriti.

“Silenzio maledetti bastardi! Non osate più disobbedirmi altrimenti vi mando al creatore all’istante!” Urlò a squarciagola spostando la pistola ovunque sulla folla.

Anche Ludwig era scioccato dalla reazione improvvisa del fratello e lo fissava con la bocca aperta, pallido come un lenzuolo, senza avere il coraggio di parlare.
Gilbert lanciò un lungo sguardo furioso alla folla, poi si mise a ridere in modo sguaiato mentre giocherellava con la pistola, puntando sempre alle guardie.

“Ke se se se. Bene, ora che ho ottenuto nuovamente la vostra attenzione, come stavo dicendo, razioneremo anche noi il cibo come i prigionieri… Se qualcuno non è d’accordo lo dica subito così gli sparo e non se ne parla più, ok? Non mi servono dei traditori nel mio campo!”

“Allora… se la metti così…”

La canna della pistola mirò alla persona che aveva appena avuto il coraggio di parlare prima che Gilbert lo guardasse direttamente. Con sua grande sorpresa e irritazione Roderich si fece largo tra le altre guardie e arrivò fin sotto il palchetto. Gilbert mirò esattamente al centro della fronte di quel pomposo aristocratico.

“Cosa cazzo stai facendo, Roderich? Non posso perdere tempo con te per le tue stronzate da aristocratico viziato! Torna al tuo posto!”
Ma Roderich non si mosse, anzi sostenne il suo sguardo con orgoglio e superbia. Gilbert avrebbe tanto voluto sparargli in quel momento per toglierselo dai piedi una volta per tutte, ma sapeva di non poterlo fare perché era protetto dal governo. Piuttosto sentì avvicinarsi al suo fianco Ludwig avvicinarsi agitato mentre notava che alcune guardie affiancavano Roderich con lo stesso sguardo di sfida.

“Dici che non ti servono dei traditori nel campo, quando sei tu il primo traditore in mezzo a noi”

Gilbert ebbe un sussulto.
La sua mano tremò per un secondo prima che la presa sul manico della pistola si irrigidisse e la canna si allineasse perfettamente alla fronte dell’austriaco. Stava per fare fuori quello stronzo, Gilbert stava davvero per sparargli in fronte, quando un urlo secco di Ludwig lo distrasse. Il ragazzo biondo lo afferrò per una spalla scuotendolo violentemente.

“No Gilbert! Sei impazzito?”

Gilbert non fece in tempo a guardare suo fratello negli occhi, Lo strofinio di qualcosa e molti click lo riportarono immediatamente a guardare oltre il palchetto. Le guardie che avevano affiancato Roderich avevano tutte estratto le loro pistole e le puntavano contro Gilbert e Ludwig nello stupore e nella confusione generale delle altre guardie.
Gilbert guardò tutte quelle canne vuote contro di lui e iniziò a sudare freddo. La presa sulla sua pistola vacillò.
Roderich sospirò e incrociò le braccia sul petto, più annoiato che altro.

“Ascoltami Gilbert, abbiamo giocato abbastanza, è ora che la verità venga a galla”

“Quale verità? Cosa cazzo stai dicendo?” Rispose d’impulso il giovane, ma l’avvicinarsi delle guardie con le pistole puntate su di lui gli fecero passare la voglia di parlare. Solo un po’.

“Sto dicendo che so tutto della lettera e dell’infermeria, Gilbert Beilschmidt, o meglio sappiamo tutto”

La gola di Gilbert si seccò istantaneamente mentre una vampata di sudore freddo gli percorse tutto il corpo. Cercò di deglutire mentre fissava in silenzio l’austriaco. Roderich notò il panico che si stava impadronendo di lui e continuò a parlare.

“Ho letto la lettera la sera in cui è arrivata. Ero stato disturbato da tutto il chiasso che avevate fatto ed ero venuto a rimproverarvi quando ho trovato l’ufficio vuoto e in uno stato pietoso. Aspettando il vostro ritorno per mettervi al corrente della mia irritazione, ho trovato la lettera sotto la scrivania. In realtà non sono stato molto sorpreso da quel comunicato, in fin dei conti me lo aspettavo. Quello che mi ha sorpreso invece è stato il tuo discorso il giorno dopo!”

Fece una pausa scuotendo la testa in segno di disprezzo. Le altre guardie si erano calmate e anche loro si erano avvicinate per capire cosa stesse succedendo. Gilbert notò che alcune di loro poggiavano la mano sulla fondina della pistola mentre pendevano dalle labbra di Roderich.
Il silenzio era quasi assoluto mentre gli ultimi raggi del pallido sole d’inverno illuminavano il campo innevato. Gilbert riusciva a sentire soltanto il pesante respiro del fratello, che come le altre guardie ora ascoltava concentrato l’austriaco.

“Abbandonare il campo portandosi dietro i prigionieri… Davvero Gilbert, cosa diavolo ti è passato per la testa? Perché vedete, la lettera ordinava di eliminare ogni prova del nostro operato qui; Perciò documenti… dormitori… fabbriche… prigionieri… tutto!

Un brusio si levò all’istante, le guardie cominciarono nuovamente a commentare tra di loro, ma questa volta la maggior parte estrasse la pistola e la puntò contro gli amministratori sul palchetto. Gilbert sentì il mondo crollargli addosso nel preciso istante in cui Roderich finì di parlare.
Era stato scoperto, e cosa peggiore era stato scoperto dai suoi sottoposti che lo stavano letteralmente processando su due piedi.
L’albino avrebbe voluto dire qualcosa per difendersi ma le parole non uscirono dalla gola riarsa. Tutto quello che riuscì a fare fu restare perfettamente immobile con gli occhi strabuzzati fissi sull’austriaco mentre il sudore gli colava sulla fronte cadaverica e sulle tempie fino al collo.
Ludwig anche non disse nulla e non si mosse, ma Gilbert sentì che la presa sulla spalla si strinse con forza.

“Inizialmente ho fatto finta di niente perché non avevo alcun interesse se salvavi o no quella feccia ambulante, ma non riuscivo a capire cosa ti avesse spinto a disobbedire a degli ordini diretti. Ma preferii farmi gli affari miei, inoltre non lo sapeva nessuno. Certo, potevo smascherarti fin da subito e farti uccidere sul posto, ma avrei guadagnato soltanto un’intera ritirata da organizzare. Davvero poco conveniente. Ma caro il mio scherzo della natura, ti sei tradito da solo quando dopo il turno di guardia sei andato a intrufolarti di nascosto nell’infermeria!
Forse credevi di essere solo, ma ti sbagliavi. Io e le altre guardie qui presenti ti abbiamo visto lasciare l’infermeria agitato. Perciò…” Anche lui estrasse la pistola puntandola al petto dell’albino “Da quando te la fai con quella sgualdrina di un francese? È per questo che hai tradito noi e il governo? È per questo che stai mettendo a rischio tutte le nostre vite con una fuga disperata mentre i russi potrebbero attaccare da un momento all’altro? Per salvare quello schifoso? Il perfetto Gilbert
Beilschmidt, così perfetto che crede di poter sfidare tutta l’ideologia nazista e farsela con un altro uomo sotto il nostro naso… Tu…”

Il volto di Roderich assunse un’espressione di rabbia e irritazione raccapricciante. Tutto il disgusto e disprezzo che provava in quel momento presero forma sul suo volto, per poi sparirono velocemente come erano arrivate. Il ragazzo bruno si rilassò e sorrise con fare superbo.

“L’amministrazione Beilschmidt finisce qui. Sei stato appena processato e dichiarato colpevole di alto tradimento ai danni del governo nazista e di sodomia dall’unanimità delle guardie che mi hanno eletto nuovo amministratore del campo. Perciò ora verrai giustiziato con disonore, feccia che non sei altro! Giustizieremo anche tuo fratello per complicità. Voi altri iniziate a prepararvi per la partenza, cercate di prendere tutto quello che trovate, soprattutto cibo e vetture. Per i prigionieri fate quello che vi pare, uccideteli pure, non m’interessa”

 

Gli istanti immediatamente successivi alle parole dell’austriaco furono percepiti da Gilbert in modo confuso, come se la sua vista fosse sdoppiata e al rallentatore, le sue orecchie percepivano i suoni in modo ovattato come sott’acqua.
Vide le restanti guardie puntare le pistole contro il palchetto mentre altre urlavano con forza parole che Gilbert non riusciva a comprendere.
Il suo corpo era rigido e immobile come un albero, non riusciva a muovere nessun muscolo mentre il sudore gli imperlava il volto. Gli occhi erano fissi e sgranati sulla folla mentre la mente era vuota e leggera.
Al suo fianco Ludwig mosse qualche passo in avanti. Di sfuggita vide che urlava qualcosa di rimando che però arrivò alle sue orecchie come un urlo lontano, come quasi un’eco urlato tra le montagne.
L’unica cosa che riusciva a sentire era il rumore del suo respiro, incerto e tremolante.
Questo era quello che si provava quando si stava per morire?

La distorsione del tempo finì quando Ludwig lo prese improvvisamente per un braccio e lo tirò con forza giù dal palchetto mentre alcuni colpi di pistola fendettero l’aria vicino al punto in cui si erano trovati pochi istanti prima.
I due ragazzi rovinarono sulla neve rotolando. Ludwig sentì un forte dolore sordo alla spalla sinistra, ma non vi prestò molta attenzione mentre si rialzava e rimetteva in piedi suo fratello strattonandolo per la giacca.
Da dietro il palchetto le guardie urlarono inferocite e iniziarono a sparpagliarsi.

“Prendete quei due bastardi traditori!”

“Abbiamo accatastato le provviste in quel magazzino! Le auto sono nel capannone affianco”

“Ho una tremenda voglia di ammazzare quei cani nei dormitori!”

Ludwig tirò Gilbert mentre iniziava a correre senza una precisa meta, ma con l’unico scopo di allontanarsi dalle guardie e di non essere sparato a vista. L’albino sembrava estremamente confuso ma corse a perdifiato seguendo il fratello in silenzio.
Dopo poco tempo Ludwig sentì dei passi dietro di loro correre affondando nella neve. Alcune guardie li stavano seguendo, e a giudicare dal rumore dei passi e del fiato corto, avevano proprio intenzione di raggiungerli.
Alcune grida e altre pallottole sibilarono nell’aria. Ludwig chinò la testa e corse più accovacciato possibile, sempre tirando il fratello per la giacca, che lo imitò.

Alcune pallottole fischiarono dietro di loro, mentre qualcuna si avvicinò pericolosamente alle orecchie del biondo. Spaventato, Ludwig si guardò intorno freneticamente in cerca di un nascondiglio e infine spinse bruscamente il fratello in un piccolo passaggio tra due edifici. Una volta dentro il vicolo, corsero ancora per qualche metro e raggiunsero una porta marrone scrostata, che per fortuna era aperta.
Con un gesto veloce Ludwig la aprì e vi spinse dentro l’albino, per poi entrare e richiuderla qualche istante prima che le altre guardie imboccassero il vicolo.
Chiudendo le sicure della vecchia porta, fece segno di fare silenzio all’altro e rimase in attesa ad ascoltare i rumori fuori.
La neve sul terreno era fresca e soffice e non era difficile lasciare impronte quando si camminava in giro, infatti nella loro corsa avevano lasciato molte impronte che finivano davanti quella porta. Una persona con un minimo di cervello si sarebbe sicuramente accorto che i due fuggiaschi erano entrati nella porta sul retro dell’edificio.
Ludwig sperò con tutto sé stesso che i loro inseguitori non fossero così acuti.

Il rumore dei passi in corsa si avvicinò in pochi istanti, che per Ludwig sembrarono un’eternità. Quando furono in prossimità della porta, il ragazzo trattenne il respiro mentre il suo cuore accelerava il battito per la paura.
Il rumore, accompagnato dal fiato grosso e da imprecazioni varie, non accennò a fermarsi e lentamente si allontanò così com’era arrivato. Ludwig lasciò andare il respiro trattenuto con un tremito, cercando di rilassare i suoi nervi.

Ora che avevano seminato i loro aggressori per qualche tempo potevano allentare un po’ la tensione, anche se non potevano abbassare la guardia.
Sospirando nuovamente, Ludwig si girò ad affrontare suo fratello. Gilbert sembrava un lenzuolo sgualcito: la sua carnagione era diventata tutt’un colore con i suoi capelli, sul suo volto si potevano distinguere soltanto le pupille rosse dei suoi strani occhi.
Probabilmente Ludwig non aveva mai visto suo fratello ridotto in quello stato.

Lo sguardo dell’albino era perso nel vuoto e le sue labbra tremavano, così come il resto del suo corpo. Era il ritratto perfetto del terrore. Ludwig avrebbe voluto aiutarlo dicendogli di non preoccuparsi, di rassicurarlo e consolarlo come spesso il fratello aveva fatto con lui quando era piccolo, ma la rabbia, lo sconcerto e le mille domande che si affollavano nella sua mente presero il sopravvento.
Afferrò il colletto della giacca di Gilbert e lo spinse contro il muro con forza. L’albino gemette stringendogli le braccia nel vano tentativo di fermarlo.

“Che cazzo significa tutto questo?” Ludwig avrebbe tanto voluto urlargli in faccia con tutta la sua forza, ma si limitò a parlare con una voce bassa e potente.
Gilbert lo guardò impaurito e boccheggiante. In effetti era la prima volta che Ludwig lo aggrediva in quel modo.

“Parla!” Tirandolo un pochino a sé, lo sbatté di nuovo con forza contro il muro facendolo gemere “Cos’è questa storia della lettera? Roderich dice il vero, hai davvero mentito?”

“S-si… si è vero, ho mentito…”

Ludwig digrignò i denti in un ringhio rabbioso. Una mano lasciò velocemente il colletto della giacca per dare un pugno ben assestato al volto dell’albino. Gilbert si accasciò da un lato mentre il suo labbro si spaccò e iniziò a sanguinare, ma la presa ferrea di Ludwig lo rimise in piedi contro al muro come prima.

“Bastardo… Io mi fidavo di te! Lurido traditore, ci hai quasi fatto ammazzare, e siamo condannati per sempre! Ti rendi conto di che cosa hai fatto?” Gli occhi ghiaccio erano iniettati di sangue “Perché non mi hai detto niente?”

“Io volevo tenderti fuori, volevo proteggerti…”

“E’ così che mi proteggi?” Quasi urlò il ragazzo biondo sbattendo nuovamente il fratello contro il muro “Non dicendomi nulla e facendomi quasi ammazzare come un criminale qualunque? E cos’è questa storia dell’infermeria? Da quand’è che te la fai con quel francese?”

A quelle parole Gilbert abbassò la testa in silenzio. I capelli chiari e canditi gli coprivano gran parte del viso, il sangue gli rigava il mento dal taglio sul labbro dove era stato colpito. Dopo qualche istante Gilbert sospirò scuotendo la testa e abbassò le spalle in un chiaro segno di sconfitta.

“No, non Francis… Matthew…”

Ludwig lasciò la presa sul colletto del fratello, sconvolto.
Tutto ciò era assurdo. Già il solo pensiero che Gilbert, fervente religioso e fanatico dell’ideologia nazista, fosse implicato in una relazione omosessuale era incredibile, figurarsi con il fragile e sensibile canadese che pochi mesi prima aveva tentato di uccidere.
Ludwig fece qualche passo indietro fissando il fratello con sgomento, portandosi una mano sulla bocca aperta.

“Assurdo…”

L’albino alzò la testa di scatto guardando il fratello dritto negli occhi. Aveva lo sguardo di una persona completamente distrutta, schiacciata da un peso troppo grande per lui, sconfitto e rassegnato. Del Gilbert arrogante e prepotente che conosceva e che aveva visto in tutto il suo splendore quando era appena arrivato al campo non era rimasto nulla se non l’aspetto.
Ludwig provò una forte pietà nei suoi confronti.

“In tutta la mia vita non c’è stata una sola persona che non mi abbia disprezzato e mi abbia amato per quello che sono, e non per quello che sono diventato. Nemmeno tu, che sei mio fratello minore e che ho amato quasi come ho amato me stesso. Eppure Matthew, che ho mortificato e seviziato in vari modi e che ho cercato di uccidere, non ha provato odio e disprezzo nei miei confronti, ma solo compassione”

 Ludwig rimase senza parole ad ascoltare il monologo del fratello. In tutta la sua vita Gilbert non si era mai confidato con lui con il cuore in mano come stava facendo in questo momento. Agli suoi occhi e a quelli di tutti gli altri Gilbert era una testa calda, violento e sadico, che riusciva a conquistare tutti gli obbiettivi che si prefiggeva e che affrontava gli ostacoli a testa alta, superandoli con pochi sforzi.
Ludwig non aveva mai pensato una singola volta che suo fratello potesse avere dei problemi e potesse soffrire per qualcosa.
Si vergognò di sé stesso e della sua stupidità.

“Quando ho letto quell’ordine del governo, ho avuto paura. Ho avuto paura di perdere l’unica persona al mondo che mi avesse capito e accettato per quello che sono… e ho avuto paura anche per te. Per questo ho deciso di mentire a tutti e di non uccidere i prigionieri… Io semplicemente non potevo”

Gilbert vide l’evidente domanda non pronunciata sul volto di Ludwig e sospirò.

“Non volevo che tu perdessi l’italiano”

Il volto di Ludwig sbiancò a quelle parole. Un’ondata di agitazione e di pensieri convulsi lo travolse mentre fissava stordito il fratello. Come aveva fatto capirlo? Aveva cercato di nascondere il suo interesse in tutti i modi possibili anche se ammetteva che le scuse per esser stato sotto la doccia più del dovuto erano piuttosto deboli.
Aprì la bocca per dire qualcosa, ma fu subito fermato dal fratello.

“Non provare a negare, è piuttosto palese. Ti conosco bene, sei mio fratello dopotutto, e posso dire con certezza di non averti mai visto così felice come adesso. Io non volevo farti soffrire, non volevo che tu tornassi il serio e imperscrutabile Ludwig d’acciaio senza un minimo di emozioni!”

Ludwig era senza parole.
Suo fratello aveva fatto tutto questo anche per proteggere lui e la sua felicità, aveva sfidato le autorità e tutto ciò in cui credeva anche per lui, lui che lo aveva ritenuto sempre un sadico nazista senza cuore, che aveva disprezzato ed evitato, e che ora aveva anche colpito e insultato.
Ludwig si sentì una carogna.

“Gilbert, io…”

Dall’esterno si sentirono alcune urla e dei colpi di pistola. Ludwig lasciò la frase a mezz’aria guardando la porta scrostata mentre i rumori venivano rimpiazzati da altre grida e colpi d’arma da fuoco.

“Stanno sparando sui prigionieri! Maledetti!” Esclamò il ragazzo biondo con rabbia.

“Dobbiamo trovare Matthew e il tuo amico prima che lo facciano loro” Rispose con urgenza Gilbert “Dov’erano l’ultima volta che gli hai visti?”

“All’infermeria, Feliciano non può ancora camminare”

“Dobbiamo raggiungerli subito, prima che lor-“

La sua frase fu completamente coperta dal fortissimo suono di una sirena che si diffuse in tutto il campo. Gilbert sgranò gli occhi mentre i suoi capelli si drizzarono sulla testa.
Ludwig non comprese bene il significato di quel suono e iniziò a guardarsi intorno mentre i rumori esterni furono completamente sopraffatti.
Infine guardò Gilbert con uno sguardo interrogativo.

“I russi… sono arrivati i russi”

 

Feliks e Toris si trovavano nelle cucine del campo quando il sole tramontò oltre l’orizzonte innevato, lasciando il posto alla notte gelida. I due erano stati mandati da Francis a prendere la cena per i malati dell’infermeria. Il campo aveva escogitato un modo astuto per fingere di curare quei poveri malcapitati: dividere l’unico pasto dei prigionieri in due volte per dare l’illusione di nutrire al meglio i malati. In realtà la quantità di cibo era la stessa dei prigionieri sani, ma era divisa in pranzo e cena. Feliks sorrise amaramente quando Francis lo informò della cosa, il campo era davvero un posto crudele.

I due amici entrarono nelle cucine dalla porta laterale sapendo che se avessero usato quella principale il cuoco e le altre guardie li avrebbero sgridati e puniti. Loro erano esseri inferiori, non umani, e pertanto dovevano strisciare nei vicoli e usare la porta di servizio, mentre tutti gli altri usavano quella principale. Francis aveva raccontato che alcune volte invece di passargli il cibo glielo avevano gettato addosso o per terra e poi costretto a ripulire tutto. Ovviamente i pavimenti erano luridi e nonostante ciò i loro secondini e il cuoco lo avevano costretto a servire quel cibo ugualmente. A Feliks rivoltava lo stomaco ogni qual volta vi pensava.

Le cucine erano stranamente vuote, un ambiente silenzioso e sinistro inghiottito dall’oscurità più totale. Feliks guardò Toris preoccupato e il ragazzo ricambiò il suo sguardo, per poi fare un passo avanti dentro la stanza.

“C’è… c’è qualcuno?” Chiese a gran voce, ma la stanza gli riportò il suo eco senza nessuna risposta.

Toris ritornò vicino all’amico con fare agitato.

“Non sembra ci sia qualcuno, cosa facciamo? Forse il cibo per i malati è stato appoggiato da qualche parte e dobbiamo soltanto prenderlo”

“Non ne sono sicuro, Toris. Non voglio mettere le mani da nessuna parte, non so se ci è permesso entrare e prendere il cibo. Non ho bisogno di una punizione”

“Torniamo da Francis, saprà cosa fare… magari possiamo stare noi con i malati mentre lui viene a prendere da mangiare”

L’idea piacque molto a Feliks, che sorrise all’amico. I due si chiusero la porta dietro di sé mentre il freddo della notte cominciava a farsi sentire con leggere folate di vento, e si avviarono verso l’infermeria. Per fortuna aveva smesso di nevicare da un po’, Feliks non voleva ritrovarsi sotto o anche vicino a un altro edificio sul punto di crollare.
La neve però era soffice e alta sul terreno e i due osservarono come le loro scarpe semi distrutte affondavano fino alla caviglia in quella coltre bianca.

“Sai, questo mi ricorda molto la Polonia. Io abitavo nella periferia di Varsavia, l’inverno era sempre molto innevato”

“Feliks ti ricordo che io sono lituano, la neve da me cade il doppio di quella in Polonia!”

“Non è vero!” Rispose mettendo il broncio.

Continuarono a discutere sulla quantità della neve nei loro rispettivi paesi finché non sentirono degli spari seguiti da una moltitudine di urla. Il sangue di Feliks si gelò all’istante, mentre Toris trattenne il respiro, sconvolto.
Erano arrivati quasi alla fine del vicolo che dava sul cortile davanti l’infermeria, quando un gruppo di persone corse velocemente davanti l’apertura della stradina. Feliks riuscì a vedere di sfuggita che i colori dei vestiti del gruppo erano uguali ai loro. Dopo pochi istanti un altro gruppo di guardie corse nello spiazzo, alcune inseguendo i malcapitati, altre fermandosi e prendendo la mira con le loro pistole.

Con delle urla agghiaccianti le guardie fecero fuoco. Due, tre, cinque, otto colpi furono sparati dalle varie pistole. Feliks rimase immobile, con il cuore che minacciava di uscirgli dal petto per il terrore, mentre le urla doloranti e agonizzanti del gruppo che fuggiva gli riempivano le orecchie. Le guardie davanti a loro ridevano e si asciugavano la fronte sudata mentre alcune di loro imprecavano e lanciavano insulti vari.

Toris era terrorizzato più di Feliks, ma non ebbe il suo stesso sangue freddo. Fece qualche passo indietro mentre si copriva la bocca lanciando un grido soffocato. Avevano appena ucciso un gruppo di prigionieri senza batter ciglio, e ridevano come indemoniati. Le sue più grandi paure si stavano trasformando in realtà; le guardie stavano uccidendo i prigionieri, erano spacciati.

Feliks tentò di fermare il ragazzo prima che potesse tradirli con qualsiasi tipo di rumore, ma non fece in tempo. Afferrò il suo braccio nel momento in cui una guardia si voltò a guardare nel vicolo, attirato dai rumori di Toris, notandoli e indicandoli con un sorriso sadico.

“Lì ce ne sono altri due!” Esclamò attirando l’attenzione delle altre guardie “Quelli sono miei, li ho visti prima io!”

Le altre guardie risero e parlottarono ma lasciarono che quella che li aveva notati per primo si avvicinasse al vicolo e alzasse la pistola contro di loro.
Feliks sentì una scarica d’adrenalina in tutto il corpo quando vide la canna ancora fumante della pistola puntargli contro.

“Corri… CORRI!” Urlò a Toris mentre si girava e lo trascinava con sé correndo verso il fondo del vicolo, accompagnato dalle risate della guardia.

Il suo cuore pulsava nelle orecchie, tutto intorno a lui si curvò ai bordi della sua visuale diventando scuro, eppure continuò a correre e a trascinare con sé l’amico che incespicava nella neve.

La guardia puntò Feliks alla nuca. Stava per premere il grilletto quando l’altoparlante, che si trovava esattamente sulla sua testa attaccato al muro, improvvisamente iniziò a suonare con un allarme fortissimo. La guardia fu spaventata dall’improvviso suono e sbagliò mira.

Feliks sentì il proiettile volargli sopra la testa nonostante il suono assordante della sirena e cercò di correre più velocemente, svoltando a destra oltre il vicolo e continuando senza una meta a correre, trascinandosi dietro il lituano.
Erano entrati in una delle strade principali del campo. La strada era larga abbastanza da far passare contemporaneamente due carri armati affiancati ed era fiancheggiata dagli edifici nella sua totale lunghezza, da dove spuntavano dei lampioni che illuminavano tutto il percorso. All’estremità della strada si poteva vedere il cancello d’entrata del campo, illuminato da grossi fari, e i campi sterminati fin oltre l’orizzonte.

Toris cercò di liberarsi dalla presa dell’amico tirando in senso contrario, completamente terrorizzato dall’esser usciti in un posto così ampio e completamente privo di ripari.

“Feliks! Feliks dobbiamo nasconderci!” Urlò a squarciagola, ma il ragazzo non lo ascoltò mentre correva in mezzo alla strada cercando di dar fondo a tutte le sue energie.

Improvvisamente il polacco si fermò strattonando Toris per i vestiti e facendolo slittare sulla neve e cadere sul fondoschiena. Confuso, Toris guardò prima il suo amico, che sembrava sul punto di svenire, poi davanti a sé.
L’ultima parte di strada che li divideva dal cancello principale era disseminata di corpi esanimi accasciati in larghe pozze di sangue che coloravano in modo macabro la neve. Toris si portò una mano alla bocca e cercò di reprimere il fortissimo senso di vomito che lo stava assalendo.

“S-sono… loro sono… le guardie li hanno uccisi tutti…!” Balbettò in evidente stato di shock.

Ma quello che stava guardando Feliks con puro terrore non erano i morti a terra, bensì lo schieramento di persone dall’altra parte del cancello, seguite sullo sfondo da enormi veicoli dai lunghi cannoni. Alzò una mano tremante e indicò nella loro direzione.

“Sono arrivati…. Non abbiamo via di scampo…”

Finalmente Toris levò lo sguardo dai cadaveri in favore dell’esercito russo che si affollava davanti il cancello. I soldati, tutti avvolti in lunghi cappotti e strani elmetti, si stavano allontanando per lasciar passare uno dei carri armati che seguivano il loro schieramento. Con dei suoni secchi di ingranaggi, il carro armato abbassò il cannone fino a metà altezza del cancello, esplodendo un colpo.
Il boato fu fortissimo. Feliks e Toris videro il cancello sventrarsi a causa del colpo e pezzi di ferro volare ovunque e cadere tra i corpi a terra.
Immediatamente i soldati russi circondarono il carro armato e superarono il cancello appena violato sciamando nel campo come delle formiche impazzite.

La paura in Feliks ebbe il sopravvento e riuscì a sbloccare il corpo del povero ragazzo. Velocemente alzò l’amico tirandolo dalla presa che non aveva mai lasciato, e iniziò a correre verso un vicolo laterale alla strada tra due fabbriche.

“Cosa stai facendo? Feliks fermati! I russi sono arrivati, i russi possono salvarci!”

“Io non voglio morire!”

Era evidente che il polacco aveva perso il suo sangue freddo e si trovava nel panico totale, non riuscendo più a ragionare a mente lucida. Imboccarono il vicolo e Toris ne approfittò per liberarsi dalla sua presa. Con una mano afferrò l’angolo del muro dell’edificio e tirò con tutte le forze che gli erano rimaste. Il tessuto lurido scivolò dalla mano di Feliks che sorpreso si fermò e si girò a fronteggiare il compagno.

“Toris, sei impazzito?” Urlò con gli occhi che quasi uscivano fuori dalle orbite. Aveva il fiato corto e i suoi capelli erano un completo disastro, mentre le guance emaciate erano rosse dallo sforzo.
Il cuore di Toris divenne pesante nel guardarlo.

“No, tu sei impazzito. I russi sono venuti a salvarci e tu vuoi scappare con il rischio di essere ucciso dai tedesch-“

“Trovati!”

La guardia che avevano seminato pochi istanti prima spinse violentemente Toris nel vicolo facendolo cadere su Feliks. I due rotolarono nella neve, ma cercarono di rialzarsi guardando con paura la guardia, che intanto entrava lentamente nel vicolo.

“No, no, restate lì fermi. Quei bastardi comunisti sono arrivati alla fine, non c’è più tempo, ma non me ne vado senza prima aver ucciso qualcuno di voi animali”

La canna della pistola fu nuovamente puntata verso di loro, ma questa volta mirava alla fronte di Toris.

“Tu sarai il primo” Disse con una smorfia che alterava il suo volto in modo orribile. Sembrava completamente impazzito.

Toris non riusciva a distogliere lo sguardo dall’arma nella sua mano che rifletteva la luce dell’unico lampione del vicolo. Sentì Feliks aggrapparsi a lui e stringere la presa nel disperato tentativo di trovare conforto, ma Toris sapeva che ormai non ci sarebbe stato più conforto per loro, solo un gelido vicolo pieno di neve dove i loro corpi sarebbero marciti per sempre.
Sentì le lacrime bagnargli gli occhi e minacciare di cadere sulle sue guance. Di tutti i modi possibili di morire che aveva immaginato, questo era di sicuro uno dei più atroci. Si diceva che guardando la morte in faccia si poteva vedere velocemente tutta la propria vita scorrere davanti agli occhi, ma l’unica cosa che Toris riusciva a vedere in quel momento era la guardia che, con una smorfia disumana sul volto, premeva il grilletto.

Il suono dello sparo aggredì le sue orecchie mentre sentiva improvvisamente un forte dolore bruciante sulla sua spalla. Si portò una mano sulla ferita a bruciapelo mentre vide, senza capire il perché, la guardia tedesca inginocchiarsi di peso sulla neve e poi crollare a terra, la sua pistola scivolare vicino i due prigionieri. In pochi istanti sotto il corpo dell’uomo si formò un piccolo rigagnolo di sangue fumante.

Dietro di lui alcuni uomini dai lunghi giubbotti puntavano il fucile contro di loro e urlavano frasi in russo. Toris conosceva bene il russo, e sospettava che anche Feliks lo conoscesse, ma quegli uomini parlavano con uno strano accento e con parole mai sentite prima, probabilmente in un dialetto sconosciuto ai più.
I soldati russi fecero qualche passo verso di loro e incitarono i prigionieri con i loro fucili a rispondere, ma i due non riuscirono a capire nulla e rimasero immobili a fissarli terrorizzati.
Il sollievo di Toris per esser stato salvato dall’imminente morte fu offuscato dal vedere quei soldati inferociti che sbraitavano contro di loro e li minacciavano con i fucili. Stava cominciando a perdere le speranze di essere salvato quando i soldati si fermarono improvvisamente, probabilmente realizzando di non essere capiti, e si misero a parlottare tra di loro abbassando i fucili.

Feliks mantenne il suo volto terrorizzato e la sua posa immobile, ma Toris sentì le sue prese allentarsi sul suo corpo.
Dopo qualche istante a parlottare, alcuni soldati uscirono dal vicolo mentre altri si interessarono al cadavere della guardia, girandolo sulla schiena con lo stivale e frugando tra i suoi vestiti. Nel frattempo, uno di loro si avvicinò lentamente ai due ragazzi con un mezzo sorriso sul volto severo.

“Non abbiate paura, siamo venuti a salvarvi” Disse con un russo comprensibile.

Toris lasciò sfuggirsi un gemito mentre Feliks iniziò a piangere poggiando il volto sulla spalla del ragazzo.

Davanti al vicolo apparve un grosso carro armato che si fermò esattamente davanti l’entrata. Toris lo guardò da sopra la spalla del soldato russo, sgomento. Aveva visto molti carri armati durante le sue operazioni nei Paesi Baltici, ma nessuno era grande e impressionante come quello.
Il rumore fece girare i soldati incuriositi verso il veicolo, alcuni di loro lo salutarono esultanti per aver ucciso un altro nazista.
Il portellone superiore del carro armato si aprì con un forte rumore e dalle sue viscere comparve la testa e il busto di un ragazzo dal naso incredibilmente grande e dai capelli chiari, coperti quasi totalmente da un colbacco. Il ragazzo uscì quasi del tutto dal portellone, poi si sistemò un’estremità della sciarpa che si era srotolata dal suo collo e mise una mano nella tasca mentre guardava direttamente ai due prigionieri.
La luce del lampione creava uno strano gioco di ombre sul volto del ragazzo, ma questo non fermò Toris dal pensare che quel russo era forse la cosa più bella che avesse visto da quando era stato internato in quell’orribile posto.
Sperava che non fosse l’ultima.

Il russo guardò il pezzo di carta e poi i prigionieri, poi si sporse leggermente mentre urlava con il suo forte accento.

“Sei tu Toris Laurinaitis?”

La sua voce era dolce ma decisa, ricordava vagamente quella di Matthew, ma il suo tono era monotono, come se avesse dovuto ripetere quella frase molte volte.
Le guance di Toris si rigarono di lacrime mentre la presa di Feliks si stringeva su di lui.
Era salvo, anzi erano salvi.
Il ragazzo bruno chinò la testa gemendo forte e abbracciando il compagno mentre il russo scendeva dal carro armato e si faceva largo tra i compagni con un sorriso sul volto.

Ivan si fermò davanti i prigionieri e si inginocchiò poggiando una mano sulla testa di Toris e accarezzandogli i capelli con dolcezza.

“Due ragazzi della resistenza baltica mi hanno chiesto di trovarti. Ha davvero dei buoni amici, дорогой (caro)!”

E così il principe russo, sul suo bel cavallo armato, riuscì a salvare la principessa lituana, rinchiusa nel castello di concentramento, dalle grinfie del drago nazista.

 

Dopo aver sentito la sirena dare l’allarme, Ludwig si era diviso da Gilbert per precipitarsi all’infermeria e portare in salvo il maggior numero di persone, primo tra tutti Feliciano. Avrebbe tanto voluto che Gilbert lo seguisse per non perderlo di vista in un momento tanto critico, ma Gilbert aveva insistito di dover prendere alcune cose importanti nel suo ufficio, tra cui uno zaino pieno di vettovaglie e Gilbird. Il ragionamento dell’albino non era sbagliato, era impossibile sopravvivere tra la neve nel paesaggio prussiano senza il necessario, ma Ludwig temeva di non rivederlo mai più.
Dopo il confronto di pochi attimi prima, il tedesco biondo aveva improvvisamente rivalutato suo fratello. Certo, tutte le cose malvagie che aveva commesso non potevano esser cancellate in un attimo con qualche parola ben pesata, ma Ludwig sentì che dopo aver scoperto il piano di Gilbert i suoi sentimenti verso i lui erano cambiati.
Insomma, non lo riteneva più un bastardo senz’anima, e aveva cominciato ad accettare nuovamente i sentimenti d’amore fraterno che per molto tempo aveva represso.

Fortunatamente, nel seminare i loro inseguitori, i due fratelli erano entrati nella porta sul retro del dormitorio dell’amministrazione del campo. Facendo molta attenzione, Gilbert sarebbe riuscito facilmente a passare inosservato e a raggiungere il suo ufficio in poco tempo. Lo stesso non si poteva dire di Ludwig, che dovette appiattirsi ai muri e guardarsi intorno continuamente con la pistola in mano mentre percorreva i vicoli e gli spiazzali per raggiungere l’infermeria. Purtroppo, aveva visto molti prigionieri a terra morti sotto i colpi delle guardie, alcuni erano stati addirittura calciati o trascinati in giro per gioco.
Quello scempio fece montare una forte rabbia in Ludwig.

Quando arrivò all’infermeria scoprì con orrore che la porta era stata sfondata con un calcio. Lentamente entrò dentro puntando la pistola davanti a sé pronto a far fuoco al minimo cenno di pericolo.
L’infermeria era vuota e tetra, non una luce illuminava le stanze silenziose. Qualcosa filtrava dalla finestra che dava sulla stanza dei malati, ma invece di aiutare la vista dava un aspetto lugubre e malsano al luogo. Dopo una rapida occhiata in giro, Ludwig raggiunse i lettini dei malati, facendo una macabra quanto orribile scoperta: sui lettini lerci dell’infermeria i malati giacevano inermi con evidenti ferite d’arma da fuoco sul corpo. Il sangue di alcuni di loro aveva macchiato non solo i letti ma perfino il pavimento.

Ludwig si portò una mano alla bocca mentre represse un coniato di vomito, ma la sua forza di volontà non fu abbastanza forte. Si accasciò a terra mentre svuotava lo stomaco e riversava il suo contenuto a terra. Quella scena avrebbe potuto impressionare chiunque.

Cercando di riprendersi dallo shock e dal dolore, il ragazzo biondo si rialzò e controllò i lettini. Erano tutti morti di recente, i loro corpi erano ancora caldi. Ma ciò che interessava Ludwig era vedere se tra le vittime c’erano Feliciano e Matthew.

Con suo grande sollievo, non trovò né loro né Francis. Probabilmente erano riusciti a scappare prima dell’arrivo dei soldati, anche se non capiva come, soprattutto perché Feliciano aveva una gamba rotta e non poteva camminare.
Si guardò ancora qualche secondo attorno a sé per cercare di capire come quei tre erano riusciti a salvarsi, quando vide la porta della stanza del medico aperta, e all’interno la finestra spalancata.
Ecco come.

Ludwig raggiunse la finestra e guardò fuori. Da quel punto riusciva a vedere il perimetro del campo che si estendeva oltre gli edifici, ma soprattutto riusciva a vedere delle impronte sulla neve. In tutto erano quattro, due leggere mentre altre due molto profonde.

“Qualcuno sta portando sulla schiena Feliciano. Devo trovarli immediatamente, sono un bersaglio troppo facile da colpire!” Pensò il tedesco mentre si lanciava fuori dalla finestra e iniziava a correre seguendo le impronte.

La sua deduzione si rivelò giusta, infatti non dovette correre molto per trovare i tre ragazzi cercare di scappare seguendo il perimetro per raggiungere una delle uscite che dava sui campi. In un altro contesto Ludwig avrebbe ammesso che quella visione era davvero comica, con Francis che cercava di correre barcollando pericolosamente a causa del peso di Feliciano che portava sulle spalle, e che evidentemente il suo corpo stremato mal sopportava, mentre teneva per mano un Matthew ancora senza occhiali e cieco come una talpa.
Sarebbe stato davvero divertente da vedere in un circo, ma lì in mezzo alla neve, tra gli edifici di un campo di concentramento e con delle guardie che sparavano a chiunque gli capitasse sotto tiro, quello spettacolo feriva l’anima.

Francis si girò di scatto sentendo i suoi passi sulla neve, rischiando di cadere all’indietro trasportato dal peso dell’italiano.

“Ludwig!” Esclamò Feliciano in lacrime “Ve… cosa sta succedendo?”

“Abbiamo sentito la sirena suonare e improvvisamente le guardie hanno iniziato a inseguire i prigionieri ovunque e a sparargli contro. Siamo riusciti a scappare dalla stanza del medico prima che aprissero la porta a calci… Mon dieu!”

“Tutti quei poverini che sono rimasti lì… loro sono tutti…”

Ludwig provò pietà per il povero canadese che si asciugava l’occhio sano, gonfio e arrossato, dalle lacrime di dolore.

“Non potevate salvarli, è già una fortuna che siete ancora vivi. Aspetta Francis, ti aiuto a trasportare Feliciano”

Il francese non accennò a fermarsi mentre avvistava la porta laterale del perimetro.

“Non abbiamo tempo, non preoccuparti. Se proprio vuoi aiutarmi, prendi Matthew”

Francis lasciò la mano del canadese e si sistemò meglio l’amico sulla schiena tenendogli le gambe con entrambe le mani. Dopo un attimo di esitazione, Ludwig prese la mano di Matthew e continuò a camminare a passo svelto al fianco ai prigionieri.

“Ludwig” Disse d’un tratto Francis con un’evidente segno di sforzo nella voce “La sirena… sono arrivati, vero?”

Non ricevendo una risposta da parte del tedesco, Francis imprecò in francese e non fece altre domande. Al suo posto invece parlò Feliciano.

“Ve, perché le guardie ci vogliono uccidere? Forse Feliks aveva ragione. Chissà dove sono, se sono riusciti a scappare… ve…”

Ludwig stava per rispondergli con una spiegazione vaga, almeno per rassicurarlo quanto bastava per non vederlo in quello stato, quando dei passi e delle urla provenienti da un vicolo alla loro destra attirarono la loro attenzione.
Subito Ludwig estrasse la pistola e la puntò contro l’uomo che correva verso di loro, per poi abbassarla qualche istante dopo accorgendosi, con una buona dose di sollievo, che si trattava di suo fratello Gilbert.
L’albino correva a perdifiato con un grosso zaino sulle spalle, tenendo la pistola in una mano e con l’altra reggendo il povero, grasso Gilbird sulla testa. I suoi vestiti e il volto erano macchiati di sangue.

“Vi ho trovati! Matthew, stai bene?” Chiese rivolgendo subito la sua attenzione al canadese, quasi ignorando gli altri.

Matthew arrossì e annuì con un timido sorriso. Francis sorrise a sua volta distogliendo lo sguardo per far finta di non sapere nulla mentre Feliciano aggrottò la fronte nella confusione più totale. Ludwig invece non riusciva a distogliere lo sguardo dalle macchie di sangue.

“Sei ferito?”

“No, hanno cercato di fermarmi… ma non ci sono riusciti perché sono troppo furbo. Nessuno può fermarmi!” Ammiccò verso Matthew mentre sorrideva come un bambino davanti un vassoio di dolcetti.

Ludwig però non sorrise come gli altri, con lui quella recita non funzionava. Poteva vedere perfettamente l’ansia e la paura nello sguardo del fratello, il volto pallido e tirato, le mani che tremavano in modo incontrollato, il sudore che ammantava il collo e le tempie rendendo appiccicosi i suoi capelli.

Continuarono a muoversi insieme, anche se Francis e Feliciano rallentavano tutto il gruppo. Ad un certo punto, Gilbert si mise dietro di loro e iniziò a spingerli premendo sul fondoschiena di Feliciano, nella speranza di velocizzare la loro corsa. Ludwig sentì una scintilla di gelosia, ma dovette resistere perché era per il loro bene, inoltre non gli era sfuggito lo sguardo velenoso che Gilbert gli aveva lanciato nel vedere la sua mano stringere quella di Matthew.

La porta ormai era a un centinaio di metri, Francis poteva vedere che era ancora chiusa e in perfette condizioni. Sperava vivamente che Gilbert avesse con sé le chiavi del lucchetto che bloccava la sua apertura, altrimenti da loro salvezza quella porta si sarebbe trasformata in rovina.
Il francese già pregustava la libertà. Avrebbero dovuto soffrire il freddo e la fame nel paesaggio spoglio e inospitale prussiano, ma una volta raggiunto il primo centro abitato, Francis si sarebbe dileguato per non essere catturato nuovamente. Rispetto a Feliciano e Matthew, che potevano godere della protezione di quei due tedeschi, Francis era scoperto e non poteva permettersi di essere catturato e internato nuovamente, non dopo aver sofferto tanto per tornare libero.
Lui doveva tornare in Inghilterra.

Le sue speranze morirono alla vista dei giubbotti lunghi e dei fucili dei soldati russi, che si raggrupparono velocemente davanti la porta cercando di aprirla strattonandola con forza nella speranza che il lucchetto cedesse per il freddo.  
Si fermarono bruscamente a quella vista, Matthew che non capiva il perché di quel brusco arresto poiché non riusciva a vedere nulla a quella distanza.
Ludwig cercò lo sguardo di Gilbert nel panico più totale, se quel gruppo di soldati li avesse visti non avrebbero esitato a fucilarli un solo istante. L’albino ricambiò il suo sguardo con altrettanta preoccupazione mentre lasciava la presa su Feliciano, poi annuì leggermente. Immediatamente Ludwig tirò la mano di Matthew e cominciò a correre sulle loro stesse orme verso l’infermeria da dove erano venuti, mentre Gilbert tirava Francis per farlo girare e muovere, e ricominciava a spingere su Feliciano con più forza.

Non ci volle molto tempo prima che dei soldati russi, attirati dai rumori di passi sulla neve, li notassero e cominciassero a urlare e corrergli dietro. Feliciano, che non doveva stare attento a dove mettere i piedi, si girò per dare una sbirciatina alle sue spalle, cominciando a piangere quando vide i soldati russi alle loro calcagna imbracciare il fucile.

“Vi prego, non sparate, non voglio morire!!” Urlò in preda al panico, aggrappandosi alla testa di Francis con forza e chinandosi il più possibile nel vano tentativo di rendersi meno visibile.

Il rumore del calpestio sulla neve e le urla in russo riempirono le orecchie di Ludwig che, in preda al panico, correva al massimo delle sue capacità con gli occhi sgranati, tirandosi dietro il canadese che cercava disperatamente di stargli dietro, distanziando gradualmente gli altri.
Alcuni colpi di fucile fendettero l’aria facendo urlare dal panico l’italiano e dando un incentivo in più agli altri per correre.
Nella sua mente Gilbert ripeteva come un mantra tutte le preghiere che conosceva.

Improvvisamente sia le urla sia il rumore dei passi cessarono all’unisono, lasciando che tornasse il silenzio. I fuggitivi si voltarono varie volte per cercare di capire cos’era successo senza rallentare la loro andatura.
Ludwig vide Feliciano guardare oltre le sue spalle e allentare la presa sulla testa di Francis, mentre dietro di loro due soldati si staccavano dal gruppo e alzavano i fucili contro di loro.
A quella vista, il suo corpo divenne improvvisamente leggero e la sua mente si svuotò completamente, mentre la consapevolezza della sua fine occupava tutto il suo pensiero.

Uno dei fucili fu puntato su di lui, mentre l’altro fu puntato su Gilbert, che intanto si era fermato e allontanato di qualche passo dai due prigionieri, alzando le mani in segno di resa.
Il cuore di Ludwig affondò nel vederlo arrendersi, significava che era davvero tutto finito, che non avevano più scampo e che dovevano sperare nella pietà del nemico. Ma quei fucili puntati su di loro davvero non avevano nulla di pietoso.
Comunque, la speranza era l’ultima a morire, perciò Ludwig emulò suo fratello e, lasciando la mano di Matthew e facendo qualche passo lontano da lui, alzò le mani sulla testa.

Un uomo si fece largo dal gruppo di soldati, affiancando quei due che imbracciavano il fucile. Il suo volto era bruciato dal freddo e severo, gli occhi chiari che potevano scrutare direttamente dentro l’anima, mentre una mascella forte delineava il viso che sfoggiava un naso rotto.
Il soldato urlò qualcosa con voce tonante, poi fece un gesto inequivocabile.

Ludwig sentì il proiettile passare con un sibilo a pochi centimetri dal suo braccio sinistro, andando a conficcarsi nel muro di un edificio a centinaia di metri di distanza dietro di lui.
Gilbert invece non fu così fortunato.
Senza nemmeno emettere un suono, l’albino fu scaraventato all’indietro dalla forza del proiettile, finendo di schiena sulla neve. Gilbird rotolò nella neve a pochi passi dalla sua testa.

La vista di Ludwig si macchiò di giallo e di nero mentre il suo corpo era scosso da una vampata di sudore freddo. La sua testa girava vorticosamente, gli mancava il fiato, le orecchie erano piene delle urla stridule di Feliciano e di quelle concitate di Francis, seguite dall’urlo disumano e ben udibile di Matthew.
Corse e si inginocchiò di peso accanto al corpo del fratello, guardandolo come se fosse la prima volta nella sua vita, mentre Francis cercava di spingere Matthew nel lato opposto per continuare a scappare nonostante il rifiuto categorico del ragazzo di lasciare Gilbert in quello stato, e i russi che li raggiungevano esultanti.

Quando si avvicinò, Gilbert era ancora cosciente. Il suo sguardo spento e stanco si posò lentamente su di lui mentre si sforzava di sorridere nonostante il dolore. Dalla sua spalla usciva una grande quantità di sangue che ben presto macchiò i vestiti e la neve sottostante. Il foro di entrata del proiettile era grande quanto una moneta da un marco e così profondo che Ludwig poteva quasi vedere l’osso e le articolazioni.
Gli occhi di Ludwig si riempirono di lacrime.

Gilbert prese una boccata d’aria, che gli costò una sofferenza atroce:

“Piangi come… una femminuccia? Non… ti si addice… sai?”

“Gilbert” Ludwig cercò di trattenere le lacrime nei suoi occhi azzurri “Per favore, cerca di resistere, l’infermeria non è lontana, posso…”

Ludwig fu interrotto dalla risata di Gilbert che si trasformò in un rantolo.

“Non dire cazzate… piuttosto… prenditi cura di te… di Matthew… Gilbird…”

Le lacrime cominciarono a scivolare dagli occhi di Ludwig, rigandogli le guance e cadendo dal mento e dal naso sui vestiti di suo fratello. Gilbert abbozzò un sorriso tremante e sofferto mentre alzava con sforzo la mano per raggiungere il volto di Ludwig, non riuscendovi a causa delle forze che lo stavano lasciando. Prontamente, il fratello la prese tra le sue e se la portò al volto, baciandogli le dita.
Intanto i russi li avevano circondati e puntavano i fucili contro di loro, pronti a sparare a qualunque movimento brusco, ma notando i gradi delle divise dei due tedeschi e capendo che potevano essere prigionieri molto utili, rispettarono il momento sforzandosi di tacere. Alcuni di loro invece si avvicinarono a Gilbird, che intanto pigolava tra la neve. Dopo un breve parlottare sommesso, uno di loro lo raccolse per un’ala e lo infilò in un tascone del suo giubbotto.

Ludwig gemette piano mentre piangeva come non aveva fatto mai nella sua vita. La sua vista era completamente offuscata dalle lacrime, ma cercò in ogni modo di focalizzare l’immagine del volto di suo fratello. Tirò su col naso un paio di volte mentre il respiro di Gilbert diventava sempre più lento e interrotto da rantoli e gemiti.

Un detto popolare diceva che si riusciva ad apprezzare qualcosa soltanto quando la si perdeva, Ludwig conosceva bene quel proverbio, ma non aveva mai capito fino in fondo cosa si potesse provare nel perdere qualcosa e capirne il valore soltanto a tragedia compiuta.
Ora purtroppo era in grado di capirlo.
Con il passaggio dall’infanzia all’adolescenza, con lo sviluppare dei propri gusti, dei propri pensieri e ragionamenti, Ludwig era finito da amare il fratello a odiarlo con tutto sé stesso. Non aveva mai sopportato il suo comportamento, il suo agire, perfino il suo aspetto. Aveva sempre cercato di non essere quello che invece lui era, allontanandosi da lui e disprezzando qualunque cosa gli fosse collegata. I sentimenti d’amore verso suo fratello erano stati brutalmente soffocati a favore di quelli di odio e disprezzo.
Ludwig credeva di averli eliminati per sempre, invece esistevano ancora e in quel momento erano più forti che mai, e chiedevano di essere espressi a gran voce.

“Ti prego, non lasciarmi…. Ho ancora bisogno di te… Gil…”

Lo sguardo di Gilbert assunse un’espressione scioccata. I suoi occhi si inumidirono mentre i bordi delle labbra si alzavano in un sorriso dolce. Una singola lacrima scivolò via percorrendogli il volto pallido.

“Erano anni… che non… mi… chiamavi…. cos…ì…”

Le pesanti palpebre di Gilbert si chiusero mentre il braccio alzato cadeva senza forza nelle mani di Ludwig. Il ragazzo biondo lanciò un urlo disperato mentre si chinava sul corpo del fratello, piangendo e stringendolo con fare convulsivo.

 

Quando il corpo di Gilbert cadde a terra colpito dal proiettile, Francis non provò gioia e soddisfazione come aveva sempre pensato, ma tristezza. Dire che aveva immaginato le morti più atroci per quella guardia dall’animo nero era poco, ma in quel momento non riusciva davvero a provare odio nei suoi confronti, e davvero non sapeva il motivo. Forse aveva aiutato il fatto che negli ultimi mesi era stato meno bastardo e più umano nei loro confronti, o forse era il pensiero che quel farabutto era riuscito a cambiare in meglio grazie all’amore che provava per Matthew.
Qualsiasi fosse il motivo, Francis non ci mise molto a realizzare che la loro unica possibilità di uscire dal campo vivi era morta con lui.

Mentre Ludwig lanciava urla disperate e si gettava sul corpo del fratello e Feliciano gridava terrorizzato per lui, il suo unico pensiero fu di salvare la pelle. Cercò di sovrastare quella cacofonia di rumori con la sua voce, urlando ai suoi due compagni di scappare nella speranza di poter approfittare della distrazione dei soldati russi per svignarsela, ma l’urlo di Matthew lo azzittì e contemporaneamente lo fece rabbrividire.
Il giovane canadese era famoso per la sua voce dolce e delicata, così delicata da risultare quasi impossibile da udire, inoltre il suo stesso aspetto lo aiutava il più delle volte a passare inosservato. Era davvero perfetto per lo spionaggio sul campo, Francis lo aveva sempre pensato.
Ma quell’urlo gli ferì le orecchie con una forza tale che difficilmente avrebbe potuto dimenticarlo.

Non aveva idea di come Matthew fosse riuscito a vedere o a capire cosa stesse succedendo, ma dal suo comportamento Francis dedusse che Matthew sapeva che Gilbert era stato colpito, sapeva che il suo amato stava per morire. Il ragazzo cercò di raggiungere Gilbert, ma fu prontamente bloccato dal corpo di Francis, mentre Feliciano lo tirava per la maglia e per i capelli.
Nonostante ciò Matthew sembrava una furia, urlava e si dimenava come sotto tortura, l’occhio buono che piangeva ininterrottamente.

Francis dovette appellarsi a tutta la sua forza di volontà per raccogliere le forze e scontrarsi con il canadese. Matthew finì a terra di peso mentre Feliciano rimase con una sua ciocca di capelli biondi in mano.

“Smettila, stupide, non abbiamo tempo da perdere. Vuoi forse morire?”

Matthew si alzò lentamente, sconvolto dai singhiozzi. Guardò il volto di Francis rosso dalla rabbia e dal panico, poi lo spostò su Gilbert che intanto alzava una mano verso suo fratello. Doveva essere davvero una grandissima sofferenza dover perdere il proprio fratello in quel modo e vederlo morire sentendosi impotente. Quel pensiero gli riportò alla mente il sorriso smagliante di suo fratello Alfred, il giorno che lo aveva salutato prima di imbarcarsi per prendere parte all’operazione di spionaggio in Francia, non sapendo che quella sarebbe stata l’ultima volta che lo avrebbe visto.
Voleva davvero rivedere il suo amato fratello.
Quel pensiero bastò per farlo rialzare, ma non sarebbe stato più lo stesso Matthew.

Lanciò un ultimo sguardo verso Ludwig e Gilbert, assistendo alla sofferenza del tedesco biondo nel vedere suo fratello morire, soffrendo lui stesso nel vedere la persona che aveva amato esalare l’ultimo respiro.
Si asciugò l’occhio con la manica sfibrata della maglia e diede la mano a Francis che iniziò ad allontanarsi velocemente da quel luogo.
Pochi istanti dopo tre soldati russi notarono i loro spostamenti e si precipitarono a sbarrargli la strada. I loro sguardi erano duri e freddi, ma non puntarono i fucili contro di loro, anzi se li misero sulle spalle e si avvicinarono di qualche passo.

Il cuore di Francis minacciava di esplodere.
Non avevano più speranze, non erano riusciti a scappare e ora erano in mano ai soldati russi. Francis voleva piangere, era così vicino alla libertà, invece ora dalla prigionia tedesca sarebbe passato a quella russa, più crudele.
Il suo pensiero andò al suo Arthur che era rimasto in Inghilterra solo e ad aspettarlo, ma con una fitta di dolore realizzò che non riusciva a ricordare più la maggior parte dei dettagli del suo volto.
Ormai non aveva più niente.

Preso dal panico, indietreggiò velocemente quando vide il soldato avvicinarsi, ma si sbilanciò e cadde all’indietro finendo su Feliciano che urlò di dolore tenendosi la gamba steccata tra le mani. Ben presto però l’italiano cercò di avvicinarsi il più possibile a lui, preda anch’egli del terrore. Matthew invece rimase fermo dov’era, non sapendo assolutamente cosa fare.

Il soldato, un ragazzo dai capelli scuri e dagli occhi chiari, disse alcune parole nella sua lingua offrendo una mano a Francis mentre si avvicinava. I tre prigionieri rimasero a fissarlo immobili e pieni di paura. Il ragazzo ripeté le parole più lentamente e scandendo ogni lettera, ma ebbe lo stesso risultato. Sospirando, ritrasse la mano e chiamò verso il gruppo di soldati che accerchiavano il corpo di Gilbert. Un altro soldato rispose alla sua chiamata e si staccò dai suoi compagni per raggiungerlo.
Dopo un breve scambio di parole, il soldato appena arrivato si girò verso di loro e con un inglese molto stentato disse:

“Noi salvare. Voi liberi”

Dopo un momento di stallo, Francis nascose il volto tra le mani e iniziò a singhiozzare. Matthew sentì le gambe deboli e cadde in ginocchio, il suo sguardo perso nel vuoto mentre l’occhio si inumidiva nuovamente.
Soltanto Feliciano, che non conosceva né il russo né l’inglese, non riuscì a capire cosa stesse succedendo. Si guardò intorno preso dal panico.

“Francis… cosa succede?” Infine, chiese sussurrando, senza perdere di vista i soldati russi davanti a loro.

“Finalmente… quest’incubo è finito!”

 

Ludwig strinse il corpo del fratello a sé come un polpo la sua preda.
Non voleva lasciarlo per nessun motivo, non voleva accettare il fatto che il suo tanto amato e odiato fratello fosse morto. I suoi gemiti di dolore riempirono l’aria, ma i soldati russi non furono disposti a concedergli altro tempo.
Uno dei soldati che lo stavano accerchiando, lo stesso con il naso rotto che prima aveva ordinato di sparare, disse alcune parole in russo e i soldati si mossero. Due di loro andarono dietro il tedesco e cercarono di afferrarlo per tirarlo via, ma lui resistette aggrappandosi al fratello e poggiando con forza la testa sul suo petto.

“NO! NO! Lasciatemi! Non voglio abbandonarlo!” Gridò a pieni polmoni anche se i russi non potevano capire una sola parola di quello che diceva.

Fu in quel momento che lo sentì.
Il cuore di Gilbert, anche se debolmente, batteva ancora, il che significava che suo fratello non era ancora morto.
Quella rivelazione sconvolse a tal punto il ragazzo che i soldati riuscirono finalmente ad agguantarlo per le braccia e tirarlo via per renderlo prigioniero. Ludwig si riprese subito e cercò di divincolarsi in ogni modo possibile, scalciando e puntando i piedi a terra, mentre urlava contro le guardie che intanto si accostavano al corpo dell’albino.

“E’ ancora vivo! Aiutatelo, vi prego! Lui… gnh… lui è ancora vivo!”

 

Nel 1945 si concluse la Seconda Guerra Mondiale con la resa della Germania, dopo la caduta di Berlino, e la resa del Giappone, dopo lo sgancio delle due bombe nucleari.  Nel novembre dello stesso anno si tennero i processi di Norimberga, volti a giudicare e condannare coloro che si erano macchiati di vari crimini contro l’umanità e la pace comune.

Per le atrocità compiute come amministratore del campo di concentramento nel territorio prussiano, Gilbert Beilschmidt venne condannato a 17 anni di reclusione.
Per aver compiuto gli stessi crimini ma in minore intensità, Ludwig Beilschmidt venne condannato a 10 anni di reclusione, da scontare in un carcere differente da quello del fratello.

Nel 1952 Berlino Est e Berlino Ovest, i due blocchi che nacquero dalla divisione della città da parte delle forze occidentali e della Russia, chiusero la frontiera non permettendo più ai tedeschi di poter circolare liberamente tra “le due città”.
Nel 1961 fu costruito il muro di Berlino, che di fatto divise fisicamente in due la città.

I due fratelli Beilschmidt non ebbero la possibilità di ricongiungersi.


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Note dell'Autore
Innanzitutto mi scuso per il fortissimo ritardo della pubblicazione, ho avuto problemi a livello universitario e a livello di salute che non mi hanno permesso di completare prima il capitolo.
Come avete potuto vedere, in questo capitolo accadono moltissime cose, non è stato molto semplice da scrivere per me che sono alle prime armi x'D
Comunque sia spero vi sia piaciuto nonostante la lunghezza esagerata e tutti gli errori che possono esserci (nonostante io controlli scrupolosamente ogni capitolo prima della pubblicazione, qualcosa mi sfugge sempre x'D).
Il prossimo capitolo sarà l'ultimo, siamo quasi arrivati alla fine del nostro percorso :)
Spero che questa ff vi sia piaciuta e vi abbia divertito, fatto soffrire, interessato come l'ho ha fatto con me ^^
E credo davvero che riceverò una bella denuncia per abusi e maltrattamenti dai legali di Prussia x'D
Come sempre, aspetto le recensioni *-*
A presto!
   
 
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