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Autore: ___Page    03/03/2018    2 recensioni
"Abbassò gli occhi sui foglietti che lo guardavano di rimando, minacciosi e giudicanti.
Si era infilato in un bel casino, non aveva la più pallida idea di come Perona avesse deciso di disporre i posti su quel tavolo. Inspirò profondamente per farsi coraggio.
«Ma sì, Ace. Così andrà sicuramente bene.»"
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*Fan Fiction partecipante al Crakc&Sfigaship's Day indetto dal Forum Fairy Piece*
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Liberamente ispirato al film "Se sposti un posto a tavola"
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Koala, Penguin, Portuguese D. Ace, Trafalgar Lamy, Trafalgar Law
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Se qualcuno avesse chiesto a Ace cos’avrebbe preferito fare piuttosto che rivivere di nuovo il momento in cui aveva finto gioia ed entusiasmo alla vista degli sposi che facevano il proprio trionfale ingresso al ricevimento, Ace avrebbe risposto “una colonscopia”.
Ragion per cui non si capacitava del fatto di essere davvero lì un’altra volta, a roteare ancora quello stupido tovagliolo, e di esserne, per giunta, sollevato se non felice.
D’altra parte, non poteva non sentirsi responsabile per come le cose erano andate al primo giro ed era certo di aver imparato abbastanza dai propri errori da aver posizionato i segnaposto in modo che, questa volta, tutto filasse liscio.
Che fosse il karma, l’universo, un qualche strano allineamento planetario non gli interessava. Ace era semplicemente grato di quella seconda chance e non l’avrebbe gettata alle ortiche.
Se doveva riprendersi Perona – e se la sarebbe ripresa – non lo avrebbe fatto a scapito di nessuno dei propri amici. Si sarebbe comportato da vero uomo e avrebbe fatto ciò che un vero uomo deve fare.
«Anche io trovo quel muro molto antipatico ma credo che tu l’abbia fissato con sfida abbastanza a lungo, se posso dire la mia»
La voce sempre allegra – sempre e comunque, in qualsiasi situazione – di Koala, lo riportò bruscamente alla realtà. Ace lanciò un’urgente occhiata al proprio braccio destro, per constatare, con immenso sollievo, che aveva fortunatamente abbassato il tovagliolo prima di perdersi nelle proprie considerazioni, e poi a Koala e al suo sorriso sempre solare, non importava quanto schifo potesse avere dentro. Per un momento, Ace fu tentato di dirigersi al tavolo, prendere Law per il colletto della camicia e obbligarlo a parlare con lei ma supponeva di aver già esaurito il suo bonus “casini causati da comportamenti impulsivi” almeno fino al prossimo anno. Così si impose di restare calmo, si infilò le mani in tasca – con tutto il tovagliolo – e scrollò le spalle.
«Come stai?» le chiese, prendendola in contropiede, per il tono dolce che aveva usato, per il calore che emanavano i suoi occhi o forse semplicemente per la domanda che sembrava assolutamente senza alcuna ragione d’essere. Ma Koala non aveva mai nascosto niente a Ace né aveva mai sentito il bisogno di farlo e così permise ai propri occhi di velarsi per un attimo soltanto e fece spallucce mentre rispondeva, sempre con il sorriso, il che rendeva tutto molto più doloroso e molto più sincero: «Sto. Andiamo al tavolo?»
Ace annuì deciso e si voltò senza nemmeno un’ultima occhiata a Perona, troppo preoccupato di ricontrollare un’altra volta ancora la nuova disposizione che aveva dato ai segnaposto. Tutto considerato, gli sembrava di aver fatto un bel lavoro.
Si era visto costretto a mettere Law e Koala praticamente uno di fronte all’altra – per quanto possibile su un tavolo rotondo – ma con l’accorgimento di tenersi lei accanto, così da mediare o distrarla se necessario. Doveva ammettere che forse un pochino il suo subconscio aveva fatto la propria parte quando aveva piazzato Law tra Sugar e una – ora lo sapeva con certezza – scocciata e incazzosa Bonney ma, d’altronde, non aveva avuto poi molte alternative. Per finire, la geniale mossa di separare con discrezione Bonney e Killer piazzando Lamy tra loro gli faceva venire voglia di darsi una pacca sulla spalla da solo.
«…chi espone fotografia ormai non espone altro.» stava raccontando Bonney tra un boccone e l’altro di pizzette che si era portata via di straforo dall’aperitivo a buffet, la conversazione già ben avviata.    
«Di che si parla?» chiese Koala, accomodandosi tra Pen e Ace, a cui questa volta non sfuggì la quasi impercettibile occhiata che l’amica aveva lanciato verso l’altra parte del tavolo.
Bonney fece un vano tentativo di rispondere a bocca piena ma decise che era meglio finire di masticare e mandare giù quando tutto quello che riuscì a produrre fu un inarticolato mugugno.
«Ehi ragazzi! Come sta andando?»
Una mano sottile e curata si posò sulla spalla di Ace, che drizzò le orecchie, colpito da qualcosa che non avrebbe saputo spiegare. La voce era più acuta, il tono quel pelo troppo entusiasta da superare la sottile linea che separava l’euforico dal forzato, le dita leggermente piegate come se volessero afferrare qualcosa.
Perona era nervosa. E questo era totalmente diverso dall’attitudine che aveva mostrato la prima volta, quando si era avvicinata per parlare con loro. Ed era anche totalmente inaspettato. Ace sollevò gli occhi su di lei, indagatore, e per un attimo si chiese se non stesse sognando.
Perona lo guardava di rimando con un’espressione praticamente identica a quella dipinta sul volto di Koala mentre si sedeva al tavolo, pochi istanti prima. Speranza, implorazione, una punta di sofferenza che era un balsamo e al contempo una stilettata per Ace. Odiava vederla così ma non poteva ignorare la voce nella propria testa che gli stava urlando, con tanto di accompagnamento musicale e fuochi d’artificio, che, nel giorno del suo matrimonio con l’impeccabile, perfetto, inattaccabile, sexy Robb Lucci, Perona cercava la sua attenzione. Perona cercava lui.
«Contenti dei posti?» domandò, parlando soprattutto con Lamy, seduta al centro di un fuoco incrociato. Poteva essere anche solo una sua impressione ma, nel momento in cui aveva interrotto il contatto visivo con lui, Ace aveva percepito la sua presa sulla propria spalla farsi più salda.
«Assolutamente» la rassicurò prontamente Lamy, spingendo tutti gli altri a confermare con dei cenni del capo più o meno convinti.
«Bene!» esclamò di nuovo Perona, sempre mezza ottava più su del suo tono normale. «Allora godetevi la festa! Ci vediamo dopo» aggiunse a voce più bassa, riportando gli occhi su Ace, che si dimenticò momentaneamente come respirare, come usare il proprio apparato fonatorio e anche che si stava praticamente dichiarando con lo sguardo alla sposa, davanti ad altre sei persone che non avrebbero fatto nessuna fatica ad accorgersene. Fortuna che almeno Killer era in fissa sul cellulare.
Sì, aveva decisamente tutte le intenzione di vederla, dopo e non per delle semplici congratulazioni. Se aveva interpretato bene quello che era appena successo – ed era piuttosto certo di averlo interpretato bene – significava che la palla era ancora in gioco e nella sua metà campo. La partita era ben lontana dal fischio di fine.  
Qualcosa lo colpì dritto sull’osso della gamba e Ace sobbalzò per la fitta ma anche e soprattutto perché non si era reso conto che la stava ancora seguendo con lo sguardo e che si trattava di uno sguardo tutt’altro che innocente. Si voltò piano verso il resto dei commensali al suo tavolo, curioso di scoprire chi avesse avuto l’accortezza di riportarlo sul pianeta terra prima che cominciasse a spogliare Perona con gli occhi davanti a tutti e mentre la sposa conversava con la zia quasi centenaria di Robb, per scoprire, non senza una certa sorpresa, che l’unico che lo stava fissando, impassibile ma in una posa alquanto eloquente, era Law.
Per fortuna gli altri avevano ripreso il discorso da dove era stato interrotto.
«… cosa va di più in questo periodo nel mondo della fotografia e gli stavo dicendo che non ho mai visto i nudi spopolare come quest’anno»
«Il che sarebbe anche positivo. A me piace cimentarmi nel nudo artistico. Il problema è che le ragazze non ci credono o non si fidano ed è difficile trovare qualcuna che posi senza veli senza chiederti una cifra assurda.» Ace registrò vagamente l’argomentazione di Pen, impegnato a trovare un modo per ringraziare Law del suo tempestivo intervento, senza usare comunicazione verbale né gesti troppo plateali.
«Io non avrei nessun problema a posare nuda»
Il tempo si fermò e ringraziare Law divenne l’ultimo dei pensieri di Ace mentre entrambi si giravano verso Koala che, contando anche Pen, si ritrovò puntati addosso tre paia di occhi e altrettante espressioni indecifrabili.
«Ragazzi non sono un fossile al museo di storia naturale» fece notare Koala, dopo alcuni istanti di stallo.
Ace scosse appena il capo e sbatté le palpebre un paio di volte. «Che hai detto, scusa?»
«Niente che giustifichi una reazione del genere, soprattutto da te» ribatté Koala, al colmo del divertimento, mentre si appoggiava allo schienale della sedia e incrociava le braccia sotto il seno. «O devo rinfrescarti la memoria sulla tua proposta per la raccolta di beneficenza di Natale di due anni fa?»
«Perché, che ha proposto?» chiese subito Bonney, sporgendosi in avanti e lanciando solo un’occhiata quietamente infastidita a Killer e al suo telefonino.
«Ha cercato di convincere tutti al Baratie a fare un calendario nudi. Zeff ha minacciato di mutilarlo» ridacchiò Koala senza staccare gli occhi da Ace.
«Ma che c’entra? Era per una buona causa quello!»
«Beh…» Koala si strinse nelle spalle. «…Pen è un aspirante fotografo squattrinato e senza un mecenate, può essere considerata una forma di beneficenza» argomentò prima di rendersi conto di cos’aveva detto e voltarsi con urgenza verso il diretto interessato. «Senza offesa, ovviamente Pen! Cioè io non…»
«No, no, nessuna offesa! Anzi! È un punto di vista molto interessante» la interruppe Pen, poggiando un braccio sul tavolo e voltandosi completamente verso di lei in quella che Ace aveva ribattezzato “la Mossa del Giaguaro”.
E a quanto pareva non era solo Ace ad averlo notato.
«Ehi ma secondo voi cosa dovrebbe essere “taglio di maiale con fiori di zucca e mantecatura filante?”» domandò Lamy di punto in bianco, appena un po’ nervosa, proprio nel momento in cui Law stringeva così forte la forchetta da venire colto da uno spasmo muscolare e picchiare la posata contro il piatto di ceramica.
«Un tentativo di farti pagare tanto un flan di verdure e prosciutto» rispose Bonney, rovistando alla ricerca di qualcosa nella propria borsa. «Kira, le hai prese tu le chiavi della macchina?»        
«Io vado in bagno» annunciò Law a nessuno in particolare, alzandosi bruscamente dalla sedia.
«Kira?»
«Altro vino?»
Un cameriere, spuntato fuori dal nulla, si avvicinò pericolosamente con la bottiglia la bicchiere di Sugar e un flash delle condizioni della ragazza sotto i fumi dell’alcool balenò nella mente di Ace. «No grazie, siamo a posto» declinò Ace con un sorriso forzato e tanto bastò quella distrazione per perdere del tutto il controllo su quanto stava succedendo.
«Killer! Santo cielo, non puoi staccarti un attimo da quel maledetto aggeggio e rispondermi?!»
Ace sgranò gli occhi spaesato. Cosa stava succedendo e come soprattutto?!
«Ragazzi ehi…» cominciò Ace, invano.
«Io vado da Perona» decise Lamy, senza dare il tempo a nessuno di controbattere.
Ace la osservò sconsolato allontanarsi e abbandonarlo da solo nel mezzo di quel casino, che poi si riduceva a Bonney che ringhiava contro uno spaesato Killer e totale zero supporto da parte di Koala e Pen, ancora presi dalla loro chiacchierata, apparentemente ignari della fuga di Law verso la toilette. Forse sarebbe potuto andare con lui ma non era certo che fosse una mossa saggia e tantomeno giusta nei confronti di Koala. 
Con un sospiro, si girò verso Sugar, che osservava il proprio bicchiere di vino, ora vuoto, con una certa insistenza, nonostante non avesse fiatato nemmeno mezza protesta quando Ace aveva allontanato il cameriere.
«Andiamo a ballare?» propose Ace senza troppo entusiasmo.
Sugar si voltò a squadrarlo con totale indifferenza. «Io non ballo» lo informò monocorde, prima di tornare a concentrarsi sul bicchiere.
Ace stette a guardarla ancora per un attimo, entrambe le sopracciglia sollevate. «Ah okay»
 

§
 

L’uscita della seconda portata aveva fatto il miracolo. Ace ci aveva messo un po’ a capire che quello strano suono che sentiva era in realtà Bonney che aveva smesso di sbraitare. Cercare di capire come lei e Killer fossero passati dal prendersi a parole a tornare a farsi ognuno gli affari propri, come se nulla fosse successo, era diventato l’ultimo dei pensieri di Ace quando Law era finalmente tornato dal bagno, saltando a piè pari la pausa sorbetto.
Con una manovra tattica, frutto di un raro momento di illuminazione divina che già aveva dimenticato e non si sarebbe ripresentato facilmente, Ace era riuscito a far scalare metà tavolo di una sedia e aveva suggerito a Sugar di prendere posto accanto a Killer, così che almeno Lamy potesse conversare con qualcuno visto che l’informatico era lì presente solo con il proprio corpo fisico e Bonney stava annegando il nervoso nel cibo – o forse aveva semplicemente fame –.
Certo, così facendo ora c’era solo lui a separare Law da Koala ma non era come se la sua migliore amica avesse interesse a considerare il marito poco più di una macchia sulla tovaglia. Qualunque cosa Pen le stesse raccontando doveva essere davvero molto interessante perché Koala non gli staccava gli occhi di dosso. E se non avesse saputo che Koala lo stava facendo di proposito e non avesse pensato che Law alla fin fine se lo meritava, Ace sarebbe anche intervenuto per alleggerire almeno un po’ la tensione che il chirurgo emanava a scariche, ogni volta che Koala si lasciava scappare una risata per una qualche affermazione di Pen.
Ma per quanto Ace pensasse che Law se l’era cercata, per quando la sua lealtà andasse a Koala, per quanto di fronte a un’eventuale definitiva rottura di ogni qualsivoglia rapporto civile tra loro avrebbe scelto sempre e comunque e senza esitazione Koala, Ace voleva bene anche a Law, gli dispiaceva vederlo così ed egoisticamente iniziava anche ad annoiarsi.
Ignorare Perona non si stava rivelando affatto impegnativo come aveva creduto. Era incredibile quanto la sua esistenza finisse con l’essere piatta e vuota senza di lei.
«E allora» si svaccò sulla sedia, girandosi verso Law che si riscosse dal fissare un punto nel vuoto poco sopra la spalla di Pen. «Come va al lavoro? Ishley come sta?»
Law corrugò le sopracciglia sorpreso. «Non sapevo la conoscessi»
«Oh beh, sai, solo di vista» recuperò in corner Ace.
«Sta bene comunque. E al lavoro sempre il solito. A te?» gli rigirò la domanda, lanciando uno sguardo in tralice a Koala che si era un po’ irrigidita sulla sedia e non sembrava più così totalmente assorbita da Pen ora.
Ace inarcò la schiena all’indietro e portò casualmente le mani a intrecciarsi sulla nuca, liberando ancora di più la visuale di Law su sua moglie. «Tutto regolare. Mi è venuta un’idea per una variante della salsa hollandaise ma non so se è una cosa geniale o una totale boiata»  
«Avresti dovuto approfittare di questo pranzo per provarla» commentò Law con una punta di sadismo e un sopracciglio alzato.
«Hai ragione! Ma avrei dovuto farlo di nascosto e per quanto io sia un cuoco eccezionale sarei riuscito a prepararne abbastanza solo per un quarto della sala»
«Avresti potuto chiedere aiuto a Sanji»
Fu il turno di Ace di sollevare un sopracciglio. «Ma l’ingrediente segreto che voglio aggiungerci non è sangue»
Forse Ace aveva bevuto più di quanto credesse, forse aveva le allucinazione, forse era solo molto stanco ma era piuttosto certo di aver visto, per una frazione di secondo, un sorriso divertito piegare le labbra di Law che però tornò subito a ghignare con noncuranza e si guardò intorno allungando il collo. «Dio, quanta gente. Non capisco come facciano a conoscerli davvero tutti»
«Facile. Non li conoscono. Ma Robb usa il criterio “prima l’apparenza, poi la sostanza” e non voleva rischiare di offendere nessuno fino alla quinta cerchia di amici. Non oso immaginare cosa sia stato per Perona organizzare tutto quanto» aggiunse sovrappensiero. Ci mise un po’ ad accorgersi che Law lo stava ora guardando apertamente, in un rigoroso silenzio pregno di infinite insinuazioni. «Beh comunque sicuramente a lei andava bene così, non sto dicendo che la tratta male o che…»
«Che tu la tratteresti sicuramente meglio?» non lo lasciò finire il chirurgo, tornando a sollevare il sopracciglio.
Ace tamburellò con le dita sul tavolo. Non aveva senso nascondere l’ovvio, men che meno a lui che lo aveva colto in flagrante poco prima dell’inizio del pranzo al tavolo, eppure l’istinto di conservazione gli stava urlando a gran voce di svicolare e cambiare argomento. Fosse stato anche solo per coerenza con il proprio piano di fingere che non gliene importasse poi più di tanto, o fosse che non aveva ancora superato emotivamente il casino che aveva combinato la prima volta proprio con la sorella del suo interlocutore, sentiva che quello non era un argomento da affrontare in quel momento e con lui.
Ma per evitare che Law continuasse a insinuare e ironizzare al riguardo, doveva per forza toccare un nervo scoperto e non aveva importanza se ciò che stava per dire equivaleva a un suicidio morale. E così Ace sorrise cospiratore, conscio che di lì a un secondo Law lo avrebbe probabilmente disprezzato con ogni fibra del proprio corpo e per colpa di qualcosa che nemmeno pensava davvero.  
«È una di quelle situazioni in cui mi verrebbe voglia di lanciare un allarme bomba e vedere cosa succede»
Se al posto di Law ci fossero stati Sabo, Marco e Izou, Ace sapeva che quella frase avrebbe dato il via a tutta una serie di congetture a scopo puramente intrattenitivo che si sarebbero di certo concluse con una qualche battuta a sfondo sessuale da parte di Izou. Ma al posto di Law non c’erano Sabo né Marco né Izou. Al posto di Law c’era Law che, come previsto, socchiuse gli occhi lasciando trasparire più rimprovero di quel che avrebbe voluto.
«Questa è decisamente…»
«…la cosa più idiota che ti abbia mai sentito dire, Ace!»
Per la seconda volta nel giro di neanche due ore, Ace si trovò a voltarsi, sorpreso e in simultanea con Law, verso la propria migliore amica, che lo fissava con contrariata incredulità e un’espressione che voleva chiaramente dire “ma cosa ti prende?”.
A dirla tutta, in una situazione normale, ci sarebbe stato di che sorprendersi. Koala era abituata alle sue stronzate, si era fatta le ossa con tutti i casini che Ace aveva combinato negli anni dell’adolescenza e, sì,  in genere gli dava corda o rispondeva con sarcasmo, senza prendere più di tanto sul serio le parole poco pensate che troppo spesso uscivano dalla sua bocca. Tuttavia quella era ben lontana dall’essere una situazione normale. Perché persino la sua peggiore trovata in quarta liceo non aveva messo a repentaglio l’incolumità di nessuno a parte la propria, perché anche solo pensare di fare una cosa del genere al matrimonio di una persona per tutti loro importante come Perona suonava parecchio come un abominio – nonché come una condanna a morte certa –, ma soprattutto perché lei e Law dopo mesi si erano finalmente ritrovati per un attimo sulla stessa lunghezza d’onda e perché, a meno che non fosse tutto un inganno della sua fervida immaginazione, visti da fuori erano sembrati proprio due genitori alle prese con un figlio fin troppo impegnativo.     
Oh e, certo, anche perché si supponeva che Koala fosse troppo impegnata a divertirsi con Pen per sentire anche solo una parola della loro conversazione.
Non che Pen fosse offeso o turbato dalla cosa. Semmai aveva tutta l’aria di voler diventare invisibile e non era certo il solo. Eccezion fatta per Bonney, che soffriva di un problema di curiosità quasi patologico, Killer, che tanto era già come se non ci fosse e Sugar, che non sembrava essere in grado di provare nulla se non noia, tutti i presenti al tavolo si sentirono come se li avessero sorpresi nel bel mezzo della loro intimità per una buona manciata di secondi, che coincise precisamente con il tempo necessario a Law e Koala per staccarsi gli occhi di dosso l’un l’altra.
Poi, così com’era iniziato, senza preavviso e senza fatica, l’incantesimo si spezzò, Law estrasse il proprio cercapersone, Koala ritenne improvvisamente fondamentale esaminare con estrema cura la tovaglia e Ace ravanò dentro il proprio cervello, per vedere se era rimasto ancora qualcosa che potesse dire che non suonasse totalmente inopportuno o totalmente idiota.
Scambiò un’occhiata con Lamy e Pen, che prontamente riprese a parlare da dove si era interrotto, rivolgendosi a tutti, e tutti finsero di sapere esattamente di cosa si stesse parlando con il solo e preciso intento di trarre Koala d’impaccio, mentre Law continuava a smanettare sul cercapersone con crescente fastidio, fino ad arrivare a scuoterlo e attirare miracolosamente l’attenzione di Killer.
 «Amico, che succede? Non funziona?»
«Non prende» digrignò Law tra i denti mentre sollevava il cicalino per cercare un po’ di campo.
«Cibooooooo!!!»
L’effetto doppler aveva sempre affascinato molto Ace. Era stato l’unico argomento di fisica in cui avesse mai preso un voto che non fosse una sufficienza stringata. Ciò che più lo affascinava di quel fenomeno, era come suo fratello minore riuscisse a esserne un lampante esempio. Ma quello che di certo non aveva notato la prima volta, complice la diversa prospettiva che aveva avuto dalla pista da ballo, era che Rufy avesse raggiunto così rapidamente il loro tavolo. Quando capì cosa stava per succedere, era già troppo tardi per intervenire e fu con la più sconsolata impotenza che Ace lo osservò far volare il cercapersone di Law a terra, pestarlo con un piede e dare una spallata a un cameriere che rovesciò inavvertitamente della panna addosso a Bonney.
Law osservò a iridi sbiancate ciò che restava del cicalino e Ace si preparò a intervenire casomai il chirurgo avesse attentato in qualsiasi modo all’incolumità di suo fratello che, per un qualche motivo, si era fermato ad esaminare il danno appena combinato, senza ovviamente rendersi conto che era stato lui a combinarlo.
«Ehi Torao. È tuo questo affare? C’è il tuo nome sopra» considerò, grattandosi la nuca.
Omicida, Law sollevò lentamente gli occhi su di lui. «Continua a correre verso il buffet dei dolci se hai cara la vita, Rufy-ya» mormorò con spaventosa calma.
Rufy sbatté le palpebre perplesso un paio di volte prima di fare spallucce e allontanarsi con un incurante: «Okay» lasciando Law a raccogliere quel che restava del proprio cercapersone. A maniche rimboccate, Law si mise a cercare di riassemblare i pezzi, con un impegno che Ace era certo di aver profuso, in tutta la sua vita, solo quando da bambino giocava con il Geomag, e con la mascella così contratta dalla tensione da far temere che rischiasse una paresi.
«Sei reperibile?»
La domanda arrivò così lieve e dolce che, per quanto fosse stato convinto che ormai non si sarebbe più potuto stupire di nulla quel giorno, Ace si stupì eccome. Perché Koala sembrava sinceramente interessata e preoccupata e aveva la sua tipica espressione di lieve sofferenza di quando sapeva che non era in suo potere fare star meglio chi amava. E Ace era certo che se Law era riuscito a sentirla, nonostante avesse appena bisbigliato, e aveva smesso di trafficare con il cercapersone, era solo e soltanto perché era stata la sua voce a raggiungere le sue orecchie.
Per alcuni istanti, il tempo per Law e Koala di perdere di nuovo completamente il senso della realtà solo perché si stavano finalmente guardando di nuovo dritti in faccia, Ace pensò di averci preso in pieno con le sue manovre da stratega nell’organizzare e riorganizzare il tavolo.
Ma poi, puntuale come la pioggia alla prima grigliata estiva, Law ebbe l’infelice idea di aprire bocca e rispondere alla domanda, infrangendo l’attimo e i sogni di gloria di Ace.
«No ma non si sa mai. Potrebbero avere bisogno di me»
Il sorriso si congelò sul viso di Koala e un lampo attraversò i suoi occhi, improvvisamente spenti e rassegnati. «Sì, lo immaginavo» mormorò a nessuno in particolare, prima di alzarsi dal tavolo e rivolgere un educato cenno con il capo a tutti i presenti. «Scusate, io vado al bagno»
«Aspettami, vengo anch’io!» Bonney si affrettò a seguirla.
Law e Killer stavano ancora trafficando imperterriti con i propri aggeggi elettronici.
 

§
 

Jewellry Bonney era una donna con ferree convinzioni e ben delineate priorità nella vita.
Il buongusto veniva prima soldi.
Il sesso veniva prima del buongusto.
Il cibo veniva prima del sesso o, al massimo, in contemporanea, che era poi come dire che il cibo veniva prima di tutto – o al massimo in contemporanea con il sesso –.
Per questo quando il proiettile di panna si era schiantato sul suo esposto decolleté, schizzando sul vestito e sul reggiseno di pizzo che faceva capolino dallo scollo del suo elegante abito in un ricercato gioco di vedo non vedo, che lei riusciva a far risultare chic e per niente volgare, il suo primo pensiero non era stato ripulirsi con cura per non fare figuracce ma ripulirsi in fretta per non perdersi il buffet di dolci.
Purtroppo si era presto accorta che con il tovagliolo stava solo facendo più danni e che, o si dava una mossa ad andare in bagno prima di macchiarsi fino alla punta delle scarpe, o il buffet di dolci se lo sarebbe solo potuto sognare quella notte.
Non che a lei importasse più di tanto presentarsi davanti al cameriere con l’aspetto di una che avesse appena fatto la lotta nella panna ma teneva troppo a sua cugina per rischiare di farle fare una figuraccia nel giorno più importante della sua vita. Anche se sarebbe stata la prima ed ultima volta che avrebbe dato la priorità al buongusto.
Certo nessuno vedendola in quel momento avrebbe pensato che quello fosse la sua effettiva intenzione. Dare priorità al buon gusto. Non chinata sul lavandino a quel modo, con il seno che rischiava di trasbordare dal reggiseno, mentre tentava di lavare in qualche modo la macchia senza bagnare vestito e lingerie più dello strettamente necessario, operazione alquanto complicata persino per una donna di mondo e piena di risorse come lei.
Avendo potuto togliere il tutto, sarebbe stato decisamente più facile.
Il pensiero del buffet di dolci che attendeva e, nell’attesa, veniva preso d’assalto e progressivamente svuotato da Rufy e i suoi amici, le fecero accarezzare seriamente l’idea. Sollevandosi appena dal lavabo, Bonney si guardò intorno furtiva e si mise in attento ascolto. Non sembrava che in bagno ci fosse nessuno, a parte Koala che scelse proprio quel momento per uscire dal cubicolo centrale.
«Tutto bene, Bonney? Serve aiuto?» domandò, mentre si avvicinava per sciacquarsi le mani nel lavandino accanto al suo.
«Se conosci un modo per far diventare impermeabili tessuti che non lo sono» commentò caustica come sempre. Koala sorrise, abituata all’indole dell’amica, e non si pose nemmeno il problema di risponderle.
Sfilò un ospite di morbido cotone bianco dal piccolo cestino di vimini posto di fianco al lavabo e si tamponò le mani, realizzando solo in quel momento di avere fissi addosso gli occhi viola di Bonney.
«Che… che c’è?» chiese incerta Koala, lanciando un’occhiata oltre la propria spalla, giusto per scongiurare il dubbio che qualcun altro fosse silenziosamente entrato nelle toilette e Bonney non ce l’avesse con lei.
Ma non c’era nessuno e sì, Bonney ce l’aveva precisamente e indubbiamente con lei. «Che sta succedendo tra te e Pen oggi?» Bonney socchiuse gli occhi indagatrice e portò le mani sui fianchi e poco ci mancò che Koala si strozzasse con la propria saliva.
«Di che stai parlando?» rise mentre si grattava la punta del naso, come sempre quand’era nervosa.
«Oh andiamo. A me puoi dirlo Kay-Kay» la sgomitò Bonney. «Non ci sarebbe niente di male se volessi divertirti un po’ visto come sono andate le cose ultimamente e posso anche affermare che nonostante il matrimonio non hai affatto perso il buongusto»
Che, ricordiamolo, veniva prima dei soldi.
«Che poi con quel paio di occhiate che Pen ti ha lanciato prima mentre parlavate io non sarei nemmeno stata a pensarci troppo, chi che fosse il soggetto» 
Perché il sesso veniva prima del buongusto.
«Ad ogni modo, devo darmi una mossa o dovrò accapigliarmi con qualcuno per assaggiare i dolci del buffet»
Senza dimenticare che il cibo veniva prima di tutto.
«Bonney?» la richiamò piano Koala, squadrandola quasi con cautela. «Sei sicura che va tutto bene?»
«Perché?» ribatté la rosa con un lieve sobbalzo, quasi che Koala la stesse minacciando con una fiamma ossidrica.
«Non ti sentivo parlare così da prima di Killer. O meglio non riferendoti a te stessa» proseguì indefessa Koala.
«Si beh. Ultimamente alcune cose tra me e Killer sono tornate come quando erano prima di me e Killer. Ma senza quei pochi vantaggi che c’erano prima di me e Killer» chiarì ulteriormente, il tono infastidito, pungente, acido.
Sembrava avesse parlato per enigmi ma per Koala il quadro non sarebbe potuto essere più chiaro.
«Hai già provato a sedurlo?» chiese, conoscendo le svariate tecniche che Bonney era capace di mettere in pista per ottenere ciò che voleva – sesso o cibo nella stragrande maggioranza dei casi – e immaginando però già la riposta.
Bonney schioccò la lingua, contrariata. «Sì ma dopo il terzo tentativo ho concluso che era inutile, dal momento che non stacca la testa da quel cellulare del c…» si morse la lingua, prima di entrare definitivamente in modalità camionista. Era il matrimonio di Perona, doveva tenere bene a mente che era il matrimonio della sua adorata cuginetta e che non voleva assolutamente rischiare di rovinare quel giorno in alcun modo o avrebbe sbroccato del tutto. «Ma non stavamo parlando di me, in ogni caso. E non è a me che è stato proposto di posare nuda, o sbaglio?»
Koala sentì le guance scaldarsi ma sostenne senza una piega lo sguardo dell’amica. «Sei fuori strada. Lo ha detto solo per gioco»
«A me sembrava serio» insistette Bonney con un sorriso di scherno.
«Non penso di essere la sua prima scelta in ogni caso»
«Koala, io so che Law è Law e catalizza la tua attenzione persino quando gli volti le spalle ma non puoi non esserti accorta di come Pen ti guardava»
«Bonney, sai benissimo come la penso al riguardo»
«Sì ma è solo sesso! Che importanza ha? È sano sesso, senza implicazioni o coinvolgimenti o casini sentimentali! Potete divertirvi e poi tornare ai vostri obbiettivi di sempre e nessuno di certo si farà male per questo, viste le vostre situazioni! Anzi! Ci sono ottime probabilità che possa farvi nient’alto che bene e come effetto collaterale potresti anche avere un ruolo determinante nel decollo della carriera di Pen. Non vorresti essere la prima musa di un futuro grande artista?»
«Ma ti prego!» scoppiò a ridere Koala, scuotendo appena il capo, prima di sporgersi verso di lei con una tranquillità che nessun altro avrebbe saputo esibire dopo aver appena ricevuto una paternale sulla propria vita sessuale nel bagno del ristorante del ricevimento di un matrimonio. «Bonney io non dico di non avere i miei casini ma, credimi, c’è qualcuno in questa stanza che ha davvero bisogno di un po’ di sano sesso per stare meglio e non sono io. E proiettare la cosa su di me non è una soluzione purtroppo» argomentò con quel suo essere così adorabilmente ragionevole, senza nemmeno una punta di saccenza, che ti faceva venire voglia di abbracciarla stretta e farle lo sgambetto al tempo stesso.
Bonney la fissò senza dire niente e in fondo non c’era niente da dire. Koala aveva ragione e sapeva di averla così come lo sapeva Bonney. E comunque lei doveva concentrarsi su come ripulire la macchia.
«Ti aspetto?» si offrì Koala, sapendo di essere entrata in territorio pericoloso ma pronta ad affrontare le conseguenze del proprio eccesso di onestà in nome della loro amicizia. Per fortuna Bonney teneva a Koala tanto quanto Koala teneva a Bonney.
«Nah, tranquilla» minimizzò con una scrollata di spalle. «Risolvo qui e arrivo, torna pure dagli altri»
«D’accordo» acconsentì Koala, avviandosi alla porta solo per fermarsi, colta da un pensiero improvviso. «Ah dimenticavo. Stai benissimo così!»
«Oh» Bonney sbatté le palpebre, presa in contropiede. Credeva che nessuno se ne sarebbe accorto ormai. «Grazie» aggiunse, scrollando le spalle e chinandosi nuovamente sul lavandino mentre Koala lasciava la toilette.
Sperare di eliminare la macchia era utopia e Bonney si dannò l’anima per aver scelto un abito di un colore tanto appariscente, su cui l’alone biancastro faceva bella mostra di sé. Anche se, certo, l’unica che avrebbe potuto sporcarsi di panna senza darlo a vedere sarebbe potuta essere la sposa quel giorno ed era un’evenienza a cui Bonney preferiva non pensare nemmeno.
Avrebbe potuto girare in dentro verso la fodera lo scollo dell’abito se solo avesse avuto un reggiseno più neutro e non di pizzo magari, oppure avrebbe potuto nascondere la chiazza con i capelli. Certo, se solo…   
«Sicura che non ti serve una mano?»
Presa in contropiede, Bonney si sollevò di scatto. Una prosperosa ragazza mora, infilata dentro un abito porpora che la fasciava come un guanto, la osservava con una mano sul bordo del lavabo e uno sguardo talmente seducente che Bonney non si rese conto di avere il proprio seno ancora stretto nella mano opposta, come se lo stesse soppesando.  
Rimase immobile mentre la ragazza la squadrava con così tanto apprezzamento da farla sentire nuda senza che la cosa la imbarazzasse minimamente.
«Se hai bisogno di me, sarei più che felice di aiutarti.» proseguì la ragazza, avanzando di un passo verso di lei.
Bonney boccheggiò, domandandosi cosa le prendesse all’improvviso. Non che fosse un segreto per nessuno che fosse bisessuale e nemmeno era la prima volta che una donna lo capiva con una semplice occhiata e ci provava con lei, ma da che conosceva Killer non le era mai più capitato di sentirsi così attratta da qualcun altro che non fosse lui, quale che fosse il suo sesso.
Sesso.
Era quello il problema. Bonney non faceva sesso da circa… da almeno… da… da… da troppo tempo perché il suo cervello fosse in grado di mantenersi lucido di fronte a tanto ben di dio, così generosamente esposto e offerto apposta per lei. Pietrificata, le permise di avvicinarsi ancora e un fremito la scosse quando la mano della ragazza si intrufolò tra la coppa di pizzo e il suo seno, in un finto intento di esaminare la macchia di panna.
Merda!
«Mmmmmmh»
Bonney deglutì pesantemente. Doveva trovare qualcosa su cui concentrarsi che la riportasse in fretta alla realtà.
«Non sembra una macchia facile da eliminare»
 
I dolci. Il buffet di dolci la aspettava di là e…
«Ah io… io dovrei…»
Killer! Anche Killer la stava aspettando – beh più o meno – e doveva sbrigarsi a tornare da lui.
«Sono certa che sarebbe più semplice se togliessi il vestito»
Bonney aprì la bocca per rispondere, non sapeva nemmeno lei come, ma qualcosa le impedì di parlare, qualcosa di molto morbido e giusto appena un po’ appiccicoso di rossetto.
Si sentì sbilanciare in avanti e istintivamente portò le mani sui fianchi della mora dando la priorità al non perdere l’equilibrio e rovinare a terra. Sapeva esattamente cosa fare subito dopo. Staccarsi da lei e uscire dal bagno, panna o non panna. Eppure, nonostante il suo perfetto e impeccabile piano, qualcosa dovette andare storto nel collegamento cervello-corpo perché, prima di rendersene conto, le sue labbra si erano modellate alla perfezione contro quelle della sconosciuta e Bonney stava rispondendo al bacio con ben più trasporto di quel che avrebbe potuto giustificare con un momentaneo attimo di distrazione.
Non aveva idea di quanto tempo fosse passato prima che il suo cervello si sbloccasse e si mettesse a urlarle di smettere e tornare di là, tornare da…
«Bonney?!»
Killer.
Persino nella totale confusione in cui i suoi sensi si trovavano in quel momento, Bonney era assolutamente certa  di non aver mai sentito il proprio nome pronunciato con tanto shock. Ed era assolutamente certa di non aver mai sentito parlare Killer con tanto shock.
Ancora annebbiata si girò di scatto verso di lui, fermo sulla porta del bagno, occhi sgranati e postura rigida, lasciandogli libera visuale sulla giovane mora, fonte di tanto scompiglio. Se possibile, gli occhi di Killer si fecero ancora più tondi e una luce indecifrabile glieli attraversò per un momento.
«Cosa… cosa stavi facendo?» balbettò, spostando lo sguardo da Bonney alla ragazza, alla ragazza a Bonney.
E in quello stesso momento, Bonney credette di avere identificato senza fallo quella luce e avere la perfetta via di fuga a portata di mano, senza ovviamente nessuna intenzione di farsela sfuggire.
«Ehi!» lo salutò con tranquillità. La mascella di Killer scattò come una tenaglia. «Lei è… ecco…» tentennò, girandosi verso la giovane che non sembrava minimamente imbarazzata da quanto appena accaduto. «Una delle invitate di Robb» recuperò colta da improvvisa illuminazione. Era certa non c’entrasse con Perona. «E sai, stavo pensando…» scivolò verso di lui, nuovamente padrona della situazione. «… che forse potremmo fare la sua conoscenza insieme»
Coprì la poca distanza che ancora la separava da Killer e posò una mano a palmo pieno sul suo petto, accarezzandolo con desiderio. Si sollevò sulle punte per fermare le proprie labbra a pochi centimetri  da quelle di Killer.
«Che ne dici?» soffiò seducente.
Il viso di Killer sembrava scolpito nella roccia. Con una freddezza di cui Bonney non avrebbe creduto capace nemmeno Law, Killer la afferrò per le spalle e la allontanò da sé con un gesto secco .
«Dico che puoi andare al diavolo» rispose con lo stesso volume di voce ma un tono decisamente raggelante che restituì a Bonney tutta la sua perduta lucidità in un decimo di secondo.
Incapace di parlare, incredula per quel che aveva appena sentito, Bonney lo fissò voltarle le spalle e uscire come una furia dal bagno, finché qualcosa dentro di lei scattò.
«Kira!»
No! Non era così che doveva andare!
Lo inseguì, rischiando di incespicare nei tacchi. Lo affiancò veloce, implorandolo inutilmente con lo sguardo. Killer non sembrava minimamente intenzionato a guardarla e Bonney avrebbe potuto giurare che quello che aveva appena sentito fosse un picco di panico.
«Kira, ascolta! Non è come sembra!»
«E com’è che sembra, sentiamo» ribatté Killer, lapidario.
Una fitta attraversò il petto di Bonney quando cercò di respirare. «Io… Io… è stato un incidente! Lei mi ha baciato e io…»
«Hai risposto» concluse Killer, con un tono a metà tra il sofferente e lo sprezzante.
Bonney sgranò appena gli occhi.
«Sì ma… non…»
Perché la faceva tanto lunga?
«Killer andiamo!»
Era stato solo un bacio. Non significava niente per lei!
«Ho solo perso per un attimo il controllo e poi era una donna, non…»
«E allora, Bonney?! È meno grave?! Siccome hai baciato un’altra donna allora non è successo niente?!» tuonò Killer, fermandosi finalmente, per fortuna ancora abbastanza lontano dalla festa per rischiare di attirare l’attenzione di qualcuno. «Ma ti rendi conto almeno di cos’hai fatto?»
Sempre più scioccata, gli occhi sempre più sgranati, Bonney boccheggiò alla ricerca di un pensiero sensato tra tutti quelli che si stavano ammassando nel suo cranio.
«Killer... t-tu… tu non mi guardi e non mi tocchi da settimane!» esplose alla fine Bonney.
Killer trattenne il fiato e squadrò la mascella, prima di puntarle contro il dito. «Non rigirare la frittata ora!»
«Non rigiro niente, è la verità! Sei sempre attaccato a quel fottuto telefonino, non ti accorgi di niente, non ti accorgi di me! Cos’avrei dovuto fare?»
«Magari dirmi che ti mancavano le mie attenzioni invece di lanciarti tra le braccia della prima sconosciuta interessata a provarci con te!» ringhiò il biondo, facendola indietreggiare di mezzo passo.
Non lo aveva mai visto così. Così arrabbiato, così ferito. Così fumante di gelosia.
Bonney non credeva fosse in grado di provare così tanta gelosia, non visti i suoi trascorsi, e, soprattutto, non per lei. Non pensava di valere così tante emozioni, non credeva di essere tanto importante per lui. Non lo aveva mai capito prima di quel momento ma se ne rese conto in quell’istante e nello stesso istante si rese anche conto che la cosa era del tutto reciproca.
«Okay, d’accordo, ho sbagliato!» concesse, sollevando entrambe le mani in segno di resa. «Ma come ti ho detto è stato un incidente. Non possiamo semplicemente cancellare gli ultimi dieci minuti e ricominciare? Oh andiamo cos’è quella faccia, Killer? Sai benissimo che sarebbe potuto succedere anche a te!» aggiunse senza pensare, obnubilata dal panico e dalla fame.
Killer sgranò gli occhi e indurì così tanto la mascella che Bonney temette di vedere i suoi denti saltare e schizzargli fuori dalla bocca. Quando parlò di nuovo, il ringhio che uscì dalle sue labbra era così distorto che Bonney quasi si stupì di essere riuscita a capire.
«Io non lo avrei mai fatto, Non avrei mai potuto. E mi ero illuso che fosse lo stesso anche per te» le vomitò in faccia prima di girare di nuovo i tacchi e riprendere ad allontanarsi, questa volta fermamente deciso a non farsi raggiungere.
Non che Bonney fosse più in grado di farlo. Pietrificata, lo osservò allontanarsi senza riuscire a muovere un solo muscolo, schiacciata dal peso di ciò che aveva appena fatto e dalla consapevolezza delle conseguenze che avrebbe portato con sé.
Fu come restare sospesa in un limbo in cui era impossibile muoversi, parlare o anche solo pensare finché Killer non sparì dalla sua vista, inghiottito dalla folla, riportandola di nuovo alla realtà. Di nuovo capace di muoversi, Bonney portò una mano sullo stomaco.
Per la prima volta, non aveva fame.
 

§
 

Ace non smetteva mai di stupirsi per quanto il tempo scorresse veloce quando c’era di mezzo una festa, che fosse attesa o temuta. Tanti mesi spesi a organizzare una giornata che sembrava durata il tempo di un alito di vento.
Anche quella volta, il tempo era volato, per quanto ovviamente possa volare una giornata che si è già vissuta una prima volta. Ace si era reso pienamente conto di quanto tempo fosse trascorso solo quando aveva realizzato che ormai era fine giornata e non si era dedicato quasi per niente a Perona, se non durante il buffet di dolci e giusto un ballo con lei verso metà pomeriggio. Comunque non aveva sprecato tempo a maledirsi per questo, perché aveva l’ormai assodata certezza che Perona era ancora perdutamente sua e non aveva dubbi sulle futuri evoluzioni del matrimonio da cui si accingeva a prendere congedo ma ci avrebbe pensato nei giorni a seguire.  
In quel preciso momento le preoccupazioni di Ace vertevano su ben altre questioni. Tanto per cominciare avrebbe voluto capire cosa diamine fosse andato storto quella volta tra Bonney e Killer perché, nonostante i suoi sforzi e le sue attente manovre, la coppia di amici era finita come la prima volta anche se a ruoli invertiti. Killer sembrava pronto a rendere giustizia al proprio nome e Ace non ricordava di aver mai visto Bonney tanto abbacchiata. Avrebbe voluto rincorrerli mentre si dirigevano verso la macchina per chiedere loro cosa fosse successo in modo da aggiustare ancor meglio il tiro ma, una volta tanto, decise di non dare retta ai suoi impulsi istintivi e ragionare. Tanto per cominciare, non aveva assolutamente in programma di rivivere tutto di nuovo e, in secondo luogo, era abbastanza adulto da rendersi conto che, forse, la loro relazione era arrivata alla fine della corsa.
D’altra parte, la vita non era un film ed era normale che succedesse. Anche se certo questo valeva per gli altri, non per lui e Perona. Lui e Perona erano una storia a sé.
In secondo luogo, appurato che per loro non poteva fare niente, Ace avrebbe davvero tanto voluto capire che fine avesse fatto Koala.
«Tu hai visto che fine ha fatto Koala?» chiese, senza nemmeno girarsi verso la propria interlocutrice che, per tutta risposta, si strinse nelle spalle, realizzando solo dopo che Ace non la stava guardando.
«Nessuna idea» decise di rispondere anche a parole Sugar, il tono monocorde come sempre.
Appoggiato con una spalla allo stipite, la cravatta allentata e le mani in tasca, Ace continuò a scandagliare attentamente il parcheggio ma non sembrava esserci traccia della sua migliore amica. Escludeva che fosse ancora dentro dal momento che si era accorto della sua assenza perché i suoi effetti personali erano spariti dal tavolo e dalla sedia. Non che fosse preoccupato per la sua incolumità. Koala sapeva cavarsela e, anzi, Ace si augurava che nessun malintenzionato avesse mai la brillante idea di prendersela con lei se teneva alla propria vita.
Di certo, però, non poteva negare di essere preoccupato per lei, non dopo aver assistito al progressivo infossarsi del suo umore, dal buffet di dolci in poi. In realtà a un certo punto l’aveva persa del tutto, dopo essersi convinto di averla intravista all’open bar – situazione impossibile visto che per Koala una lattina di birra era il massimo di alcool che fosse disposta a introdursi in corpo – e poi più niente finché non si era appunto accorto che il suo coprispalle e la sua pochette erano scomparsi, circa un quarto d’ora prima.
Nulla di strano, in realtà, visto che se ne stavano andando tutti. Anche Pen era già partito ma Ace avrebbe voluto salutarla, accertarsi un’ultima volta del suo stato d’animo, darle appuntamento per lunedì al lavoro, per ricordarle, in un raro slancio di discrezione, che la vita andava avanti e che lui per lei ci sarebbe sempre stato.
«Ehi, tutto bene?»
Una voce lo riportò bruscamente alla realtà e Ace si voltò verso Lamy, anche lei chiaramente pronta per tornare a casa.
«Sì. Cercavo solo di capire dov’è finita Koala»
Lamy sgranò appena gli occhi per una frazione di secondo, troppo breve perché Ace potesse notarlo e intuire che, forse, Lamy sapeva effettivamente dove fosse finita Koala o avesse qualche indizio per sentirsi di avanzare una qualche plausibile ipotesi al riguardo.
«Beh ecco…» cominciò ma si zittì quando intravide con la coda dell’occhio Law avvicinarsi con il suo passo ampio e calmo. «Ehi! Pronti per andare?» chiese conferma e Law rispose con un cenno del capo. Si rigirò verso Ace e gli posò una mano sul braccio. «Sicuro che sia tutto a posto?» chiese di nuovo, riuscendo finalmente a catalizzare la sua totale attenzione.
Ace la studiò per un attimo e si rese conto che Lamy quella sera sarebbe tornata a casa propria e che nessun coglione le avrebbe spezzato il cuore da lì a quattro settimane e si sentì finalmente e pienamente, anche se solo per pochi istanti, bene.
«Sì. Decisamente è tutto molto a posto» confermò con un radioso sorriso, che prese per un momento Lamy in contropiede – nonostante non ci fosse proprio niente di strano nel vederlo sorridere – prima di contagiarla.
«Bene!» annuì con rinnovato entusiasmo. «Per caso ti serve un passaggio?»
Ace negò con il capo proprio mentre Law li raggiungeva. «Ho la mia macchina. Ma grazie lo stesso» aggiunse, rivolto a entrambi.
«Se posso, ne approfitto io» s’intromise Sugar.
Lamy si girò prontamente verso di lei e le passò un braccio intorno alle spalle. «Ma ovvio che sì! Hai già salutato Perona?»
«Già fatto sì»
«Allora andiamo» le incitò Law, stanco e impaziente di andarsene a casa. «Ci si vede Ace»
«Buonanotte amico. Mademoiselles» rispose sfilando solo un attimo la mano dalla tasca, per poi riaffossarcela subito.
Osservò la Submarine gialla di Law uscire scricchiolando dal dedalo di auto che ancora affollavano lo spazio vuoto fuori dalla villa prima di rimettersi dritto e, con un sospiro, avviarsi per tornarsene a sua volta a casa.
Non aveva più nessun motivo per trattenersi oltre.
Tranne quella risata, la sola capace di rivoltarlo dentro come un terremoto e illuminare anche la più nera delle giornate. Ace si immobilizzò con un piede già sul primo gradino e si girò di scatto, proprio mentre Perona appariva sulla porta, sottobraccio a Nami e Zoro e il tempo smise di scorrere.
Si fissarono per quelli che sarebbero potuti essere tre secondi come cinque ore, prima che Perona sorridesse e dicesse qualcosa a fratello e cognata, qualcosa che Ace non riuscì a capire perché il suo cervello lo aveva momentaneamente abbandonato.
O forse si trattava di un abbandono definitivo, almeno Ace lo temette quando si accorse che Perona gli stava andando incontro e che sì, erano soli.
«Te ne stavi andando senza nemmeno salutare la sposa?» domandò Perona con finto rimprovero, portando le mani ai fianchi nel fermarsi a pochi centimetri da lui.
Lentamente, Ace tolse il piede dal gradino, si voltò completamente e riportò le mani in tasca con un sorriso strafottente. «Guarda che ti sbagli. Ho salutato Robb prima di venire via»
Perona socchiuse gli occhi ma fallì nel restare seria di fronte alla battuta che, in teoria, avrebbe dovuto indignarla. Con un sorriso sul volto per cui cercò di incolpare il troppo vino, gli tirò uno schiaffo sul braccio ma ottenne solo di ridacchiare quando Ace sbuffò una risata a sua volta.
Il silenzio era palpabile attorno a loro, rotto solo dai lontani rumori della festa ancora in corso e dal piacevole zampillare dell’acqua nella fontana. Con il cielo limpido di quella sera e l’odore di estate nell’aria, per un attimo entrambi si ritrovarono catapultati indietro a quella notte, la notte più emozionante e felice delle loro vite.
La notte in cui per la prima volta gliel’aveva detto. Sempre un passo avanti a lui, sempre così eccezionale.
«Ace…»
«Sì?» la incitò subito, avvicinandosi di un altro passo a lei.
«Riguardo a stamattina io…»
«Perona non ha senso parlare di stamattina» la fermò senza troppe cerimonie. Doveva cogliere l’attimo, non poteva sprecare una simile occasione. «Parlami di adesso»
Perona sgranò gli occhi e deglutì a vuoto, conscia del pericolo che stava correndo, pronta a scappare se solo Ace non fosse stato così bravo a leggerle dentro e non avesse saputo esattamente come intervenire. Rapido, le posò una mano sulla guancia, incatenando i loro sguardi, imprigionandola nel suo calore e obbligandola a restare lì, con lui.
«Dillo» la implorò sottovoce e Perona si sentì morire.
«Ace non p…» provò a rispondere ma le parole si trasformarono in un mugugno sconnesso quando Ace si piegò per avventarsi sulle sue labbra.
Impreparata a quell’attacco, Perona non riuscì a reagire come avrebbe dovuto e si arrese a ciò che tutto il suo essere voleva. Rispose con trasporto, aggrappata ai baveri della sua camicia, quasi che fosse questione di vita o di morte, finché Ace non pose fine al bacio, costringendoli entrambi a tornare in quel mondo in cui lei non gli apparteneva. 
«Non ci riesco» soffiò sulle sue labbra, le braccia ancora avvolte intorno ai suoi fianchi e alla sua schiena. Non c’era traccia di rassegnazione o dolore nella sua voce. Solo la ferma convinzione di qualcuno che prendeva coscienza di una grande verità che non si poteva in alcun modo confutare.
«Ace…» cominciò Perona, con l’intenzione di chiedergli di lasciarla andare. Ma aveva bevuto abbastanza da riuscire a fare per un attimo finto che quello non fosse il suo matrimonio con un altro e le braccia di Ace erano così calde. «C-cosa non riesci?» domandò, resistendo a malapena all’impulso di posare una mano sulla sua guancia.
Non doveva, non poteva. Se erano arrivati a quel momento, a quella situazione c’era un motivo e non doveva dimenticarlo.  
«A rinunciare a te. So che è sbagliato ma non posso» continuò Ace, premendo la propria fronte contro la sua e chiudendo gli occhi. «Io non posso rinunciare a te» ripeté prima di farsi violenza per lasciarla e dirigersi una volta per tutte verso la propria auto, senza voltarsi indietro, lasciandola lì, imbambolata e persa, a guardarlo andare via.  
  

§
 

Koala aveva provato poche volte quella spiacevole sensazione nota con il nome di “post-sbornia” eppure era fra le esperienze che meglio aveva memorizzato e meglio le riusciva spiegare.
Era come se una colonia di lemmings stesse costruendo un fortino nel suo cervello, come se una classe di futuri barman acrobatici stesse shakerando cocktail  a base di succhi gastrici direttamente nel suo stomaco, come se qualcuno le avesse ricoperto la lingua di carta assorbente mentre dormiva.
Non ne valeva la pena, di questo Koala aveva conferma ogni infelice volta che pensava bene di alzare troppo il gomito, ma se lo aveva fatto doveva essere capitato per un qualche motivo. Quella mattina, mentre si metteva a sedere nel letto, le dita immerse tra i capelli scarmigliati e i palmi premuti sulle tempie, Koala stava appunto cercando di ricordare quale fosse stato l’evento o il susseguirsi di eventi che l’avevano portata a quel punto. Ricordava poco o niente della sera prima, anzi a dirla tutta non aveva presente nemmeno che giorno fosse quello.
Sperava vivamente di non dover andare a lavorare o, nel caso, quantomeno di non essere in ritardo, perché aveva la netta sensazione che un qualunque movimento brusco le sarebbe costato la perdita per implosione di uno dei suoi due emisferi cerebrali e avrebbe probabilmente innescato un processo di peristalsi inversa, che le avrebbe concesso la rara occasione di rivedere tutto ciò che aveva ingurgitato di solido e liquido nelle ultime dodici ore.
Lentamente abbassò un braccio e si voltò verso il comodino, appurando con sommo sollievo che aveva il giorno libero e che aveva quindi tutto il tempo per riprendersi da quella tortura autoinflitta. Si sdraiò per un attimo nel letto, senza nemmeno provare a ricordare cosa fosse successo il giorno appena trascorso, e prese un profondo respiro, cercando di riordinare le idee e abbozzare un piano d’azione che senz’altro prevedeva un caffè e un paio di aspirine.
Rimase immobile per un paio di minuti prima di sentirsi abbastanza sicura da alzarsi e avventurarsi con cautela in cucina. La moca già gorgogliava sul fornello spento e bollente e Koala si affrettò a recuperare una tazza dalla dispensa e versarsi una dose di quella medicina liquida. Appoggiata di schiena al piano in finto marmo, aggrappata alla tazza con entrambi le mani e gli occhi chiusi, assaporò la bevanda calda che scendeva lungo la sua gola, sanando il senso di nausea e stringendo i suoi vasi cerebrali. Okay, non era stato il migliore inizio di giornata ma c’erano buone probabilità che migliorasse e diventasse quantomeno decente entro l’ora di pranzo. Anche se, certo, il solo pensiero di mandare giù qualcosa di solido non era particolarmente allettante con tutto quello che aveva mangiato al matrimonio.
Il matrimonio. Ecco dov’era stata il giorno precedente. Al matrimonio di Perona e Robb, era lì che si era sbronzata anche se continuava a sfuggirle il motivo. Era poco plausibile che i dolci fossero così pessimi da spingerla a un gesto tanto avventato ma non era nemmeno da escludere completamente. Anche se certo quella pasta sfoglia sarebbe volata fuori dal Baratie direttamente dalla finestra se le fosse venuto in mente di presentarla a Zeff.
Difficile dire se fosse stato il ricordo della pasta sfoglia incriminata o il semplice pensare a del cibo ma un moto di nausea più violento la scosse e, in uno slancio di sopravvivenza, si precipitò verso il bagno. Stava già per afferrare la maniglia e spalancare la porta che un suono inaspettato la colse così impreparata da far dimenticare al suo corpo in cosa stava per cimentarsi.
Il suono dello sciacquone.
Improvvisamente più sveglia e più lucida e con la mano ancora tesa verso il pomello, Koala indietreggiò di un passo. Di colpo si rese conto che la moca piena di caffè fumante non poteva esserci arrivata da sola, sul fornello, e, il cuore in gola e gli occhi spalancati, fece appello a tutte le proprie energie residue per cercare di ricordare qualcosa, qualsiasi cosa della sera precedente.
Non era tornata a casa da sola, quello era chiaro.
A meno che non avesse beccato l’unico malintenzionato gentile e beneducato.
Lanciò un’occhiata verso il mobile dell’ingresso. Sulla piccola mensola bassa, accanto alla scultura in legno di un tigrotto acciambellato, le chiavi della sua macchina spuntavano dal portaoggetti decorato a mano. Ergo, aveva guidato in quelle discutibili condizioni, una cosa così poco da lei da lasciarle più di un legittimo dubbio, nonostante l’evidenza degli indizi.
A meno che…
Un pensiero improvviso la colse e il cuore le perse un battito. Perché c’era la possibilità che qualcuno avesse riportato a casa sia lei che la macchina e c’erano solo due persone che avrebbero osato mettersi alla guida del suo macinino e poi fermarsi a casa sua a dormire senza un esplicito invito a restare.
Uno perché la considerava una sorella.
L’altro perché, in un passato per niente remoto, quella era stata anche casa sua.
Koala trattenne il fiato, osservando l’ombra dietro il vetro zigrinato farsi sempre più grande e vicina. Nervosa, picchiò le unghie contro la coscia e realizzò che aveva addosso solo una maglietta troppo corta ma non aveva importanza.
Non aveva importanza perché se era davvero Law non era niente che non avesse già visto e doveva, doveva per forza essere lui. Un lieve cigolio a ricordarle che doveva oliare la porta.
«Cosa…»
Fu come se qualcuno avesse aperto una diga nella sua testa e uno tsunami di ricordi la travolse quando riconobbe Pen, sfatto e malconcio quanto lei, fissarla di rimando dalla porta del bagno con espressione colpevole.
Tutto improvvisamente aveva senso, soprattutto essersi messa alla guida nonostante l’ubriachezza. Aveva senso, per quanto fosse stato incosciente, pur di scappare via, lontano da Law, dalla sua freddezza e dalla sua indifferenza. Quello che non aveva senso era che Pen fosse andato con lei e che fosse rimasto tutta la notte. E non perché Koala non capisse cosa significava. Se una cosa le era ben chiara, era precisamente quella.
«Koala senti non… non è così grave!» provò a tranquillizzarla Pen, lo shock ben visibile sul volto di entrambi. «Possiamo dimenticarcene, può restare tra noi, non devono saperlo per forza gli altri!»
Koala si passò una mano tra i capelli, cercando di organizzare i pensieri e valutare la situazione con oggettività.
«S-sì hai ragione…» bisbigliò prendendo un profondo respiro. «Eravamo ubriachi, non ci ricordiamo nemmeno cosa sia successo!» esitò un istante, lanciando un’occhiata quasi implorante all’amico. «Giusto?»
Ti prego. Ti prego!
Se Pen ricordava anche solo qualcosa di quella notte non sarebbe mai più stato lo stesso tra loro e, soprattutto, sarebbe diventato importante. E non poteva assolutamente diventare importante.
«Assolutamente niente» confermò Pen con un energico e plateale cenno del capo che, lo avesse fatto lei, sarebbe dovuta correre a vomitare un attimo dopo.  «E a-anzi guarda! Ho già bevuto il caffè, se puoi prestarmi un asciugamano mi sciacquo e me ne vado subito!»
Koala aprì e richiuse la bocca un paio di volte, incerta. Se avesse seguito l’istinto avrebbe cercato di dissuaderlo, lo avrebbe invitato a fermarsi a pranzo, perché era generosa per natura – a volte troppo – e per dimostrare a se stessa che le cose tra loro erano davvero come sempre. Ma nonostante i fumi del doposbornia, la voce della ragione riuscì a farsi strada nelle sua mente e Koala si rese conto, anche se le dispiaceva, anche se voleva a Pen un bene dell’anima e aveva intenzione di non permettere a quell’incidente di percorso di rovinare la loro amicizia, che, sì, in quel momento, quella mattina, era decisamente meglio se Pen se ne andava il prima possibile.
«Certo. Te ne recupero uno sub…»
Un rumore proveniente dall’ingresso la raggelò a metà della frase. Un rumore che somigliava terribilmente a delle chiavi nella toppa. C’era solo una persona oltre a lei in possesso di una copia delle chiavi di quella casa. E quella persona, sfortunatamente, non era Ace.
No, ti prego. No!
Più tardi quel giorno Koala avrebbe vagliato più e più volte tutte le possibili strade che avrebbe potuto percorrere per evitare l’irreparabile. Spingere Pen in bagno e allontanare Law dalla zona pericolosa con una tirata su come si permetteva di entrare così in una casa che lui stesso aveva consapevolmente scelto di non considerare più sua. Scappare e fingere di essersi appena alzata e di non avere idea di cosa Pen facesse lì, per poi lasciar intendere che l’aveva solo riportata a casa perché non facesse stupidi incidenti. Simulare una sessione fotografica improvvisata e far presente a Law che non aveva alcuna voce in capitolo, cercando al contempo di captare qualche sprazzo di gelosia.
Sì, più tardi Koala avrebbe scoperto una quantità di risorse e idee inaspettate per far fronte a una situazione del genere ma in quel momento tutto ciò che Koala riuscì a fare fu fissare la porta che si apriva e Law che entrava in casa. Purtroppo imitata da Pen.
L’uscio si richiuse sordo alle sue spalle mentre Law sollevava il capo e si immobilizzava a sua volta, spostando gli occhi dall’uno all’altra. Un brevissimo lampo di sorpresa attraversò il suo viso, sostituito subito da un’espressione di gelida e pacata furia che Koala aveva visto una volta soltanto in precedenza, la sera in cui Law aveva mandato a ramengo freddezza, apatia e reputazione e aveva dichiarato davanti a mezza comitiva che Koala era di sua proprietà, di fronte agli insistenti tentativi di sedurla di quel cretino di Yonji. Solo, Koala era piuttosto certa che l’esito, quella volta, non sarebbe stato piacevole come allora. Proprio per niente.
«Che sta succedendo?»
«Ehi Law! Amico!» Pen decise di tentare con la “mossa del giaguaro” applicata agli amici e/o a situazioni difficili e imbarazzanti.
«Che cazzo sta succedendo?»
Pen lanciò un’occhiata a Koala e prese un profondo respiro per farsi coraggio prima di uscire in corridoio e muovere qualche passo verso Law. «Ascolta, so cosa stai pensando ma non è come sembra. Se ti siedi per un secondo e ci lasci spiegare…»
«Non è come sembra» ripeté Law, avanzando con una faccia a metà tra l’omicida e lo scettico. «Sai cosa sembra, Pen? Sembra che tu ti sia portato a letto mia moglie. Allora sei ancora sicuro che non sia come sembra?»
Ai margini del proprio campo visivo, Pen vide Koala sobbalzare e irrigidirsi. Ammutolita e pietrificata, non assomigliava nemmeno un po’ alla Koala che conosceva e indurì la mascella, nervoso. Di tutte le situazioni complicate e schifose in cui si fosse mai trovato, quella era decisamente la peggiore.
Sapeva di avere torto e di non avere voce in capitolo ma neanche Law aveva poi tanto ragione. E solo il pensiero che era una situazione troppo intima e delicata lo stava aiutando a trattenersi dal combattere una battaglia non sua.
Nemmeno il pensiero dell’amicizia sua e di Law sarebbe bastato, altrimenti, non dopo come lui si era comportato. Nemmeno il pensiero che prendendo una posizione non avrebbe più potuto nemmeno sperare di…
«Ti ho fatto una domanda, Pen»
Pen tornò alla realtà e riprese il filo del discorso in un battibaleno. «Perché non ci sediamo in cucina? C’è del caffè pronto e…»
«Davvero? C’è del caffè pronto? E chi lo ha preparato?» lo interruppe di nuovo Law, con uno sguardo che avrebbe potuto congelare l’inferno. Pen sostenne il suo sguardo, le labbra strette. «Quindi, ricapitolando, hai passato la notte a casa mia, insieme a mia moglie, e stamattina hai anche preparato del caffè nella mia cucina dove mi hai appena invitato ad accomodarmi ma non è assolutamente come sembra, giusto? Ora immagino che farai anche una doccia nel mio bagno, usando i miei asciugamani e…»
«Adesso basta!!!»
Se un semplice grido avesse potuto far crollare un palazzo, Pen era certo che a quell’ora si sarebbe trovato sotto un cumulo di macerie. Sia lui che Law si girarono di scatto verso Koala, che fissava suo marito con le lacrime agli occhi e un’espressione di sofferente ira.
«Come ti permetti?! Con che… coraggio e faccia tosta, con che… con che cuore ti permetti di dire certe cose, Law??» lo aggredì senza muovere un muscolo, la voce instabile e distorta. Socchiuse gli occhi, sembrava quasi disgustata. «La tua cucina? La tua casa? Tornano a essere tue solo quando ti fa comodo!»
Qualunque altro uomo sarebbe rimasto zitto. Lo sapeva Pen, lo sapeva Koala e lo sapeva anche Law. Qualunque altro uomo sarebbe rimasto zitto perché per quanto nessuno di loro fosse in quel momento pulito e inattaccabile, sapevano tutti chi era stato a passare il segno.
Ma Law non era un uomo qualunque e anche questo lo sapevano bene tutti e tre.
«Vuoi anche avere ragione» la accusò con voce calma e fredda.
«No! So benissimo di essere in torto, non è questo il punto!» reagì Koala, muovendosi verso di lui. «Ma questo non cambia il fatto che sei stato tu ad andartene, a lasciarmi e a chiedere il divorzio! Tu sei scappato a gambe levate dall’altra parte quando ti ho chiesto di affrontare il problema, perché per me non era finita, non era nemmeno vicina alla fine!» proseguì, ormai un fiume in piena di parole non dette e lacrime. «Te ne sei andato e sai cosa? Questa non è più la tua casa, quella non è più la tua cucina e quello non è più il tuo bagno e cosa io faccio sotto questo tetto non sono più affari tuoi. E a scanso di altri equivoci…»
Pen sentì lo stomaco rivoltarsi, piuttosto certo di avere intuito cosa Koala stava per fare. E se già assistere a quello sfogo era stato orribile, l’idea di assistere anche a quello era quasi intollerabile. Ma non c’erano posti dove nascondersi per davvero dalla tragedia che stava devastando le vite di due dei suoi più cari amici e così Pen rimase dov’era, osservando impotente Koala che apriva il cassetto del mobile dell’ingresso, estraeva un plico di fogli e una penna, poneva tre firme sulle ultime tre pagine e poi si girava per tendere il plico a Law.
«Ora non sono più nemmeno tua moglie»   
Law non era certo il tipo da far trasparire le proprie emozioni e in questo era praticamente infallibile. Ragion per cui Pen non si rese subito conto che, per la prima volta in vita sua, riusciva a leggere Law come un libro aperto. Per la prima volta in tanti anni, Pen lo guardava e non aveva dubbi. Non aveva dubbi che Law fosse sconvolto, non aveva dubbi che la rabbia che emanava fosse per se stesso e non certo perché Koala aveva alla fine fatto ciò che lui le aveva chiesto, non aveva dubbi che Law quei fogli non volesse prenderli e che, anzi, avrebbe volentieri continuato a fare finta che non esistessero affatto.
Ma Pen lo conosceva abbastanza da non avere dubbi nemmeno riguardo a come Law si sarebbe comportato, nonostante fosse esattamente l’opposto di ciò che desiderava. E così, con una sempre più ardente speranza che il pavimento lo inghiottisse, Pen lo guardò afferrare con mani tremanti le carte del divorzio, lanciare un’ultima devastata occhiata alla sua ex casa e alla sua ex moglie e andarsene, sbattendosi la porta alle spalle, senza una parola.
Il silenzio che seguì gli ferì le orecchie e Pen attese una manciata di secondi prima di azzardarsi a parlare di nuovo. Koala non si era mossa, ancora ferma nell’ingresso con gli occhi puntati al pavimento e le braccia strette attorno al torace in un solitario abbraccio. I suoi occhi erano di nuovo asciutti, dopo che aveva ricacciato indietro le lacrime senza versarne nemmeno una.
«Koala…» chiamò con cautela. «Posso fare qualcosa?»
Un attimo ancora di assoluto silenzio prima che Koala sollevasse il capo e, gli occhi pieni di vuoto e il viso privo di vita, mormorasse con voce spenta: «Lasciami sola. Per favore»
Abbacchiato, Pen prese un profondo respiro e si affrettò a recuperare i propri effetti personali per poi avviarsi alla porta. Si fermò un istante accanto a lei e sollevò una mano per stringerle una spalla, ripensandoci un attimo dopo.
«Grazie del caffè» le disse prima di uscire e chiudere la porta con delicatezza.
Koala serrò le palpebre e le labbra, decisa a non cedere al pianto.
Niente sarebbe stato mai più come prima.
 

§
 

Il matrimonio portava tanti cambiamenti.
Perona se l’era sentito ripetere spesso, dalle più svariate persone ma non ci aveva mai dato troppo peso. Suonava molto come una frase fatta, quella saggezza popolare spiccia che nove volte su dieci ci azzeccava ma che spesso riguardo i rapporti uomo-donna era lontana dalla realtà, quanto lo era l’epoca in cui la frase fatta in questione era nata rispetto all’anno corrente.
Da donna moderna, emancipata e indipendente del ventunesimo secolo qual era, sapeva che non sarebbe bastato un anello al dito per cambiare la percezione di sé e quella serata ne era la prova.  Anche se le era sembrato poco carino lasciare suo marito a casa da solo, non aveva esitato un istante, quando Lamy l’aveva avvisata di essere bloccata a casa con l’influenza, a proporre di migrare nel suo minuscolo appartamento  per la serata tra donne del terzo giovedì del mese anziché farlo a casa propria come da precedenti accordi e su suo suggerimento, giust’appunto per non lasciare Robb a casa da solo.
Non che non avrebbe trovato da fare. Si sarebbe di sicuro dedicato ai propri francobolli, con in sottofondo un CD di musica classica o in videoconferenza su Dial con Jabura, Paulie e Kaku. Insomma, per quella sera poteva benissimo fare a meno di lei, a differenza delle sue amiche. Che fosse per ragioni fisiche o emotive, su cinque che erano solo lei e Sugar stavano bene.
Allungò una tazza di infuso all’arancia con un pizzico di echinacea a Koala che, raggomitolata nella poltrona concava, ci mise qualche secondo ad accorgersene e accettare la bevanda con un sorriso tirato.    
«Santo Roger, Bonney. Ma come fai a mangiare sempre così?» domandò Lamy, mezzo sdraiata sul divano e avvolta nella coperta dalla anche in giù, leggermente disgustata dalla voracità dell’amica, complice anche il senso di nausea che l’attanagliava.
«È il nervoso» ribatté prontamente Bonney, ingurgitando uno dietro l’altro i biscotti che Sugar aveva loro offerto. «Mi fa bruciare a mille»
«Quasi quasi ti invidio. Io oggi non sono riuscita a mangiare niente»
«Ma che hai fatto? Colpo d’aria?» chiese Perona, versando una tazza di infuso anche e soprattutto a lei.
Lamy si strinse nelle spalle. «I bambini hanno iniziato ad ammalarsi all’asilo e me la sono fatta a piedi anche se covavo già qualcosa. Penso di aver preso freddo ed è scoppiata. Grazie» sorbì un po’ di tisana calda prima di aggiungere. «Dovrei davvero valutare di prendere una macchina ma mi conosco, poi la userei solo quando sono a rischio influenza»
«Mai valutato di fare il vaccino?» intervenne Bonney. «Voglio dire, potresti addirittura fartelo fare da tuo fratello. A proposito, come sta?» chiese senza accorgersi che Koala si era accartocciata ancora di più sulla poltrona.
Purtroppo, Bonney non era nota per avere molti filtri e se c’era in giro del cibo gustoso o anche solo commestibile si straniava così tanto che, a volte, sembrava anche lenta di comprendonio, sebbene fosse una delle donne più intelligenti che Perona conoscesse. Ciò nonostante, Perona fece ugualmente un tentativo, schiarendosi la gola con più discrezione possibile, attirando effettivamente l’attenzione della cugina ma senza ottenere l’effetto desiderato.
«Che c’è?» chiese Bonney, stranita.
«Oh nulla. La gola un po’ secca. Ehi ma con Killer poi hai risolto?» decise di dirottare prontamente la conversazione su un altro argomento, il primo che le venne in mente, sempre spinoso ma di certo meno dolente dell’ormai ufficializzato divorzio di Law e Koala.
«Macché. Ancora si rifiuta di parlarmi e si ostina a stare da Kidd. Sta davvero esagerando»
Perona, Lamy e Sugar si scambiarono una serie di occhiate l’una con l’altra. Tutte lo pensavano da giorni ma nessuna aveva voluto dirlo, confidando nell’intelligenza dell’amica. Bonney però non sembrava voler capire e fare finta di niente non era più un’opzione.
«Bonney…» azzardò Lamy, soppesando cautamente le parole. «Hai… mmmh… valutato la possibilità che forse Killer non stia solo facendo i capricci ma abbia deciso di… ecco… rompere con te?»
Bonney si bloccò con una manciata di biscotti a mezz’aria e sgranò gli occhi viola, giusto il tempo per recuperare il proprio autocontrollo. «Perché dovrebbe?» domandò a bocca d nuovo piena.
«Forse perché ti ha beccata a limonare con la cugina di Robb» commentò monocorde Sugar.
«Sì ma…» si fermò per deglutire. «È di Killer che parliamo! Lui è di larghe vedute, prima di me era un casanova della peggior specie. Lo sapevate che non andava mai due volte con la stessa ma teneva i numeri di tutte in caso di emergenza, se un qualche sabato rischiava di andare in bianco?!»
«E quindi?» sempre impassibile, Sugar.
«E quindi non ha alcun senso! Tanto per cominciare è stato un bacio accidentale e per di più con una donna. È il bue che dice cornuto all’asino! Non capisco perché la faccia tanto lunga»
Perona, Sugar e Lamy si scambiarono un’altra occhiata.
Era difficile far vedere a Bonney quello che a loro appariva evidente perché in realtà nemmeno loro avevano alcuna prova che le ragioni di Killer fossero quelle di qualsiasi altro comune mortale.
Intanto Killer era tutto strano, niente a che vedere con qualsiasi altro comune mortale e per stare con Bonney era, d’altra parte, imprescindibile. E poi Bonney lo conosceva come le proprie tasche; se era tanto incredula per la piega che gli eventi stavano prendendo forse davvero la reazione di Killer esulava da ciò che per loro era normalità. Da un paio di commenti di Bonney cominciavano anche a sospettare che avessero avuto, in passato, delle esperienze a tre.
«È perché hai tradito la sua fiducia»
Quattro paia di occhi si posarono su Koala che con quel commento apriva ufficialmente bocca per la prima volta nell’arco della serata.
«Non ha alcuna importanza se è stato un incidente o se assomiglia a qualcosa che avete già fatto. Non è la stessa cosa, perché hai tradito la sua fiducia. Non hai più ragione di quanta ne abbia lui, perché hai tradito la sua fiducia. E non è questione di  fedeltà ma di lealtà. Non te l’ha chiesto lui di essergli leale, lo hai scelto tu, glielo hai promesso e non sei stata capace di mantenerlo» proseguì impietosa e insensibile. «Tu credi che non sia grave, forse addirittura che se lo sia meritato ma fermati un attimo a pensare, come ti sentiresti al suo posto? Anche se non lo amassi più o se lui non amasse più te, credi davvero che farebbe meno male? Credi davvero che sarebbe giusto?! Perché se è così, Bonney, hai bisogno di un corroborante bagno nella realtà e di aprire gli occhi e renderti conto che lui può averti anche rovinato la vita o spezzato il cuore ma stavolta sei tu quella che ha torto marcio!» concluse con molta più veemenza di quel che avrebbe voluto, realizzando solo in quel momento ciò che aveva detto e quanto si era fatta trascinare.
Scottata dalle sue stesse parole, spostò gli occhi da Sugar, impassibile, a Bonney, incredula, passando per Perona, sconvolta, per posarli solo alla fine su Lamy, che la fissava con un misto di sofferenza, dispiacere e affetto, troppo difficile da tollerare anche per lei. Sapeva. Era evidente che Lamy sapeva, sapeva ogni cosa e la colpa riprese a pulsare dolorosamente nel petto di Koala.
Improvvisamente nervosa come una belva in gabbia, Koala si dimenò per districarsi dai suoi stessi arti e si infilò al volo le scarpe. Non avrebbe retto un altro minuto senza poter stare da sola con se stessa. «Io devo andare. Scusate, non posso fermarmi» balbettò rapida, infilando il trench mezza stagione. «Perona grazie per la tisana e Lamy… riguardati, okay? Buonanotte» le salutò senza voltarsi indietro una seconda volta mentre raggiungeva la porta e con decisione lasciava l’appartamento della sua ormai ex cognata.
Per dieci secondi abbondanti non si sentì volare una mosca, finché Bonney non ruppe il silenzio, ricominciando a sgranocchiare i biscotti e chiedendo: «Ma che è successo?» gli occhi ancora fissi sulla porta d’ingresso.
Lamy prese un profondo respiro mentre avvicinava la tazza alle labbra. «Credo avesse bisogno di sfogarsi. Perona che hai?» chiese poi, notando l’espressione dell’amica, un misto di panico e preoccupazione.
«C-come? Ah no, niente. È… tutto sotto controllo» sorrise tirata e incassò l’occhiata scettica di Lamy.
Tornarono a immergersi nel silenzio per un po’, ognuna immersa nelle proprie riflessioni,
«Comunque…» ancora una volta, fu Bonney la prima a riprendere la parola. «Voi non pensate che  abbia ragione, vero? Dico, riguardo Killer e me. Giusto?» 
Perona e Lamy si affrettarono a prendere una lunga sorsata di infuso, foss’anche solo per guadagnare un paio di istanti e trovare una risposta adeguata che, però, come spesso accade, si rivelò essere nientemeno che la più diretta di tutte, quel genere di risposta che solo Sugar avrebbe potuto esternare senza farsi scrupoli.
«Killer ti ha lasciato, Bonney. E ora allunga i biscotti che a vederti mangiare così mi è venuta fame»
 

§
 

Cucinare gli faceva bene. Cucinare era uno dei motivi per cui si alzava dal letto la mattina. Cucinare riusciva a mettergli un sorriso in volto anche quando tutto girava male e c’era solo un’altra cosa al mondo che lo facesse sentire così bene.    
Per questo motivo, da cinque giorni, sedici ore e quarantasette minuti girava veleggiando, con un sorriso idiota stampato in faccia, ovvero da quando Perona gli aveva scritto su Whattsapp lunedì sera e avevano ricominciato a sentirsi come i primi tempi. Ogni istante libero, al mattino per il buongiorno, ogni sera per la buonanotte. Come due sciocchi innamorati senza speranza e Ace era certo di essere finito nell’anticamera del Paradiso.
Non era solo una sua proiezione mentale. Era il modo in cui Perona gli parlava, era che lo cercava senza aspettare sempre che fosse lui a scrivere per primo, era il tono che usava quelle sporadiche occasioni in cui gli inviava un vocale. A Ace sembrava di essere tornato a sei anni prima e nulla avrebbe potuto spezzare il suo ottimismo o il suo buonumore. Presto o tardi, Perona sarebbe tornata tra le sue braccia, ne era certo almeno quanto era certo di saper preparare l’hollaindaise a occhi chiusi.
«Ace? Cosa stai…»
«Cren, chef!» rispose prontamente, voltandosi verso Zeff, il vasetto del cren stretto in mano senza vergogna o timore ma, anzi, con orgoglio.
Zeff socchiuse gli occhi e si accarezzò la barba intrecciata. «Come facevi a sapere cosa stavo per chiederti?» indagò e Ace si congelò per un momento. Era già la seconda volta che si tradiva per eccesso di zelo, doveva darsi una regolata. Se si fosse lasciato sfuggire qualcosa di troppo rischiava di venire internato.
Era piuttosto sicuro che nessuno, tranne forse Koala, avrebbe creduto che stava rivivendo per la seconda volta quelle settimane e che una montagna di cose erano cambiate solo per come lui aveva sistemato dei segnaposto al matrimonio della sua ex storica.
«Intuito, chef» rispose ridacchiando, come sempre quando era nervoso, e ostentando sicurezza. Ostentare sicurezza era la chiave per interagire con Zeff. E infatti era grazie alla sua sfrontatezza se riusciva a sopravvivere in quella cucina senza mai farsi sbattere fuori nonostante fosse, come Koala non si stufava mai di ricordargli, “un concentrato di idee senza capo né coda che ogni tanto, tra un pisolino e l’altro, si rivelavano buone ma venivano poi puntualmente rovinate dalla sua innata stupidità”.  Gli scaldava sempre il cuore rendersi conto di quanto Koala gli volesse bene.
«Perché stai mettendo il cren nell’hollaindaise
Ancora sorridente, Ace soppesò attento il tono usato da Zeff. Non sembrava preludio a una delle sue sessioni di bastonamento, non aveva l’aria di ritenerlo un deficiente come capitava la maggior parte del tempo e, nonostante gli occhi ancora socchiusi con fare sospettoso, Ace avrebbe giurato di aver colto una scintilla di curiosità nel suo sguardo.
E dal momento che non era cosa di tutti i giorni suscitare la curiosità di un così grande chef, Ace ci tenne ad assumere un’espressione seria e professionale prima di rispondere: «È una variante che mi è venuta in mente stanotte, chef. Cren al posto della cayenna»
Zeff riprese ad accarezzarsi la barba con la mano libera dal bastone, che usava come supporto quando non indossava il tutore per la gamba poliomielitica, riflettendo in silenzio. Ace trattenne il fiato.
«Quando hai finito portamene un cucchiaio da assaggiare con lo scarto di maiale. Sei molto creativo in questi giorni Ace, cerca di approfittarne ma non strafare» si raccomandò Zeff e gli strinse una spalla prima di allontanarsi, lasciandolo lì pietrificato per una manciata di secondi.
Poi la consapevolezza di quanto appena successo scese su di lui come una spolverata di zucchero a velo sulla torta margherita e una scarica di adrenalina gli riattivò il cervello.
Santo Roger, era successo davvero?! Zeff gli aveva stretto la spalla?!
Che aveva mai fatto di così buono nella sua vita precedente perché tutto andasse così a gonfie vele?!
«Koala hai visto?!» esclamò, troppo euforico per riuscire a trattenersi. «Zeff mi ha…» ma le parole gli morirono in gola.
Ace aveva avuto sempre ben chiaro che, più in alto sei, più forte è il colpo quando cadi ma non gli era mai capitato prima di fare da ottomila piedi al suolo in così poco. Persino quando aveva rotto con Perona aveva avuto tempo di attutire la caduta, perché se lo aspettava. Ma ricordare così di colpo che le cose non andavano affatto a gonfie vele gli fece male due volte perché com’era possibile che se ne fosse dimenticato?
Come aveva potuto asserire, sebbene solo nella sua testa, che nulla avrebbe potuto rovinare il suo ottimismo e il suo buonumore quando una delle tre donne più importanti della sua vita versava in quelle condizioni?
Koala temperava il cioccolato con la stessa eleganza con cui la neve ricopriva Raftel a dicembre ed era uno spettacolo vederla maneggiare la spatola come un’artista circense, dare forma alla materia densa e calda. Ma tutto l’insieme perdeva improvvisamente vita se Koala non sorrideva e Koala non sorrideva da quasi tre settimane e vederla temperare il cioccolato, triturare le mandole, impastare la frolla o decorare con piccoli fiori blu la terra al cacao in quello stato era una sofferenza.
Eppure Ace non riusciva a staccarle gli occhi di dosso e Koala, nel giro di un minuto e mezzo, cominciò a sentirsi osservata abbastanza da sollevare il capo per indagare chi ce l’avesse con lei. Ace non lo avrebbe mai creduto possibile ma il cuore gli si strinse ancora di più quando Koala gli sorrise con affetto, accentuando ulteriormente il contrasto con la tristezza che regnava ormai sovrana nei suoi occhi viola.
«Che succede?»
Ace deglutì a vuoto. Buona parte – praticamente tutto – dell’entusiasmo per il gesto di stima di Zeff era scomparso ma sapeva di non poterle rispondere con ciò che davvero pensava in quel momento, a meno di non volerle dare il colpo di grazia. Era piuttosto certo che Koala fosse consapevole di essere uno straccio e, in un raro slancio di empatia e logicità, Ace rifletté che farle presente che pure un cieco se ne sarebbe accorto non fosse di alcun aiuto. Così sorrise docilmente e portò una mano alla nuca.
«Zeff mi ha appena dato una pacca sulla spalla»
Koala sgranò appena gli occhi ma quello che avrebbe fatto se il suo stato d’animo fosse stato quello della vera Koala – urlare, abbracciarlo di getto sporcandolo di cioccolato, scompigliargli i capelli fino a bruciargli i neuroni – lo fece solo nella testa di Ace. La Koala fisica davanti a lui – che era purtroppo la vera Koala di quel particolare momento delle loro vite –, invece, rimase composta, tornò a sorridere e riprese in mano la spatola del cioccolato.
«A quale colpo di genio si deve un tale onore?»
«Beh ecco» tentennò Ace, improvvisamente conscio che senza lo spirito di osservazione di Koala nella precedente versione di quelle settimane non avrebbe mai potuto mettere a segno un simile strike. Ma non poteva dirglielo e in fondo distrarla anche solo per poco era uno dei mille modi in cui l’avrebbe ringraziata. «Ho provato una var… Koala attenta!!!»
 

§
 

«Dov’è?! Porca miseria!!» imprecò in preda al panico, abbattendo metà del contenuto dell’armadietto del primo soccorso alla ricerca del ghiaccio istantaneo. La situazione era ben lungi dall’essere di vita o di morte ma tutto ciò a cui Ace riusciva a pensare era che la sua migliore amica aveva afferrato il pentolino bollente a mano nuda perché lui l’aveva distratta.
E se le fosse rimasta la cicatrice? E se l’avesse menomata per sempre? E se non avesse più potuto essere chef pâtissier per causa sua?
«Ace prova ad aprire anche l’altra anta, che ne dici?» propose Koala, mordendo tra i denti un mugugno mentre lasciava scorrere l’acqua ghiacciata sul palmo destro arrossato e tumefatto. Ace si fermò per un istante e le lanciò un’occhiata da sopra la spalla, prima di sbloccarsi e fare come il suo cervello esterno aveva appena suggerito, trovando con sollievo immediatamente ciò che stava cercando. Afferrò bruscamente la bomboletta azzurra e la agitò vigorosamente mentre raggiungeva in poche falcate il lavello a cui Koala si teneva aggrappata con la mano sana.
Senza una parola, Koala chiuse il rubinetto e offrì il palmo a Ace che spruzzò il ghiaccio istantaneo senza tante cerimonie e attese qualche secondo prima di sollevare gli occhi su di lei per chiederle se andasse almeno un po’ meglio. Purtroppo, Ace non fece in tempo nemmeno a porre la domanda che aveva già trovato la propria risposta negli occhi carichi di lacrime e nelle guance bagnate di Koala.
Ace trattenne il fiato mentre una nuova ondata di panico gli inondava il cranio. «Koala? Ti fa così male?»
Rovinata. Le aveva rovinato la carriera, lo sapeva! Dannazione!
Ace aveva già avuto prova negli anni di quel fenomeno per cui quando le cose vanno bene il tempo vola mentre quando vanno male magicamente il bastardo si dilata, ma gli istanti di silenzio che seguirono in quel frangente furono tra i più lunghi della sua vita. Certo mai avrebbe scommesso, riuscendo infine a decifrare cosa la sua migliore amica stesse dicendo tra i singhiozzi, che avrebbe preferito che il silenzio continuasse.
«Io… io ho r-rovinato t… tutto…»
Ace sbatté le palpebre un paio di volte. «Come?» soffiò incredulo.
«È s-tata… colpa mia… tut… tutta colpa m-mia…»
Un moto di rabbia lo scosse. Sapeva benissimo di cosa stava parlando, sapeva perché stava piangendo ma aveva cercato di trovare un altro motivo, per un qualche strano meccanismo di egoistica autodifesa. Perché era raro vedere Koala piangere e sapeva, per esperienza, che più si teneva dentro le cose più era dura quando crollava e Koala si era tenuta dentro tutto per quasi quattro settimane.
Non che Ace avesse alcuna intenzione di tirarsi indietro o avrebbe anche solo potuto contemplare di farlo ma nessuno lo avrebbe biasimato per non essere riuscito ad arginare per un attimo il desiderio di non doverla vedere mai più in quelle condizioni.
«Koala ma che stai dicendo?» chiese mentre la afferrava delicatamente dalle spalle. «Tu non hai fatto niente di sbagliato»
«Sì invece!»
«No!» insistette Ace, alzando il tono. «Nella situazione in cui eravate, in cui siete stati per mesi, cosa si aspettava? Che ti votassi a lui per sempre? Non è stata colpa tua, anzi! Dopo come si è comportato, avresti potuto voltare pagina molto prima e invece hai anche aspettato, hai cercato di dargli un’altra chance ma lui ha continuato per la sua strada e ora non può pretendere di…»
«Era Pen, Ace!» esplose Koala, troppo al limite per riuscire a tenersi dentro quel segreto che si era ripromessa di non svelare a nessuno. Ma non poteva farcela, non con Ace. Non con il suo migliore amico.
Si aggrappò alle sua braccia, incurante del dolore al palmo, ignara dell’espressione scioccata ma non certo giudicante – non avrebbe mai, mai potuto giudicarla o abbandonarla o remarle contro – di Ace. «Era Pen, sono andata a letto con Pen, capisci?! Non importa quanto Law possa aver sbagliato, non importa se lo ha voluto lui, ho fatto una cosa… una cosa così… E ho rovinato ogni cosa anche per Pen per una stupida bravata da ubriaca! A lui che non c’entrava niente!» riuscì a sfogarsi prima che un nuovo scroscio di singhiozzi la bloccasse.
Confuso più che mai, Ace cerco di trovare un senso alle sue parole. «Per Pen?» domandò così piano da non essere nemmeno certo che Koala l’avesse sentito. «Koala, che signif…»
La porta che collegava il cucinino alla cucina principale si spalancò con un potente tonfo, spinta direttamente dalla stampella di Zeff. Austero e imponente, lo chef avanzò di qualche passo, osservò per una manciata di secondi la propria sottoposta devastata e poi si girò deciso verso Ace.
«Accompagnala in ospedale. Ci vorrà un po’, perciò giornata libera» ordinò, senza possibilità di replica, prima di tornarsene in cucina e non lasciare a Ace nemmeno il tempo di ringraziarlo.
 

§
 

Gli ospedali non gli piacevano. Odoravano di garze sterili, tristezza e patate bollite con troppo poco sale.
Ancor meno degli ospedali gli piaceva l’attesa negli ospedali ma il pronto soccorso era pieno, la ferita di Koala relativamente grave e, di conseguenza, le probabilità di cavarsela in fretta decisamente poche. Il fatto era che più restavano bloccati lì più aumentava il rischio concreto di incontri indesiderati e anche se Ace temeva che non avrebbe cavato un ragno dal buco sapeva di dover almeno tentare per il bene di Koala.     
Mortalmente serio si avvicinò al banco dell’accettazione dove una giovane infermiera era impegnata a riordinare un plico di carte talmente consistente che a lui veniva mal di testa solo a guardarle, figuriamoci catalogarle. Solo, non era la giovane infermiera che si era aspettato.
Niente lunghi capelli fluenti e scuri, niente lentiggini, niente occhi densi. A meno che non avesse fatto una plastica e una tinta dal colore discutibile, Ishley non era dove Ace si era aspettato di trovarla.
«Posso aiutarla?» domandò l’inaspettata infermiera, dal taglio corto e sbarazzino e i capelli di una punta di verde piuttosto particolare, quando si accorse di lui.
«Uh? Ah, ehhh…» mugugnò Ace, guardandosi un attimo ancora intorno prima di sporgersi con fare confidenziale verso la ragazzo sul cui badge campeggiava il nome Kaymie. «A-a dire il vero io cercavo Ishley» sussurrò sottovoce.
«Qualcuno ha bisogno di me?» intervenne una voce inaspettata, dolce ma autoritaria, chiaramente di fretta eppure attenta.
Ace si voltò prontamente, solo per ritrovarsi di fronte proprio colei che stava cercando. «Ishley!»
L’infermiera, un flacone di fisiologica in una mano e una cartella nell’altra, corrugò le sopracciglia perplessa. «Ci conosciamo?»
Ace si irrigidì e si maledisse mentalmente. «Per sentito dire, sono un amico di Marco» recuperò al volo, ringraziando non sapeva nemmeno lui chi per quell’improvvisa illuminazione.
«Uhm» Ishley sollevò entrambe le sopracciglia e si avvicinò al bancone per tendere la cartella a Kaymie. «Come mai mi cercavi?» chiese, scettica.
«Mi serve un favore» Ace andò dritto al sodo e lanciò poi una fugace occhiata verso Koala. Non è che avesse proprio del tempo da perdere. «O meglio, alla mia amica serve un favore. So che c’è un ordine da seguire ma è una situazione d’emergenza»
«Oh. Ma davvero?» ironizzò Ishley, portando la mano e la bottiglia di fisiologica ai fianchi. «E si tratta di un’emergenza che richiede un intervento più immediato del trauma cranico di cui si sta occupando il dottor Beckamnn o del bambino dalla spalla lussata affidato al dottor Akagami o ancora della…»
«…pericardiocentesi d’urgenza che sta eseguendo la dottoressa Shirop. No» la interruppe Ace. «Non è al livello di nessuna di queste emergenze ma basta che qualcuno la medichi in fretta! Ha un’ustione di secondo grado al palmo destro! Va bene anche uno studente!»
Ishley lo fissò a occhi sgranati una manciata di secondi, mentre Kaymie spostava lo sguardo dall’uno all’altra come se seguisse una partita di ping pong.
«Senti…» riprese Ishley, più dura. «…io non so chi tu sia e come tu faccia a sapere di cosa ci stiamo occupando al momento qui ma io non sono proprio il tipo da fare favoritismi perciò tu e la tua amica potete mettervi il cuore in pace e aspet…»
«È Koala!» esclamò alla fine Ace, zittendo di nuovo la giovane infermiera, che sgranò gli occhi colta alla sprovvista, e questa volta una muta comunicazione passò tra loro. Kaymie ricominciò a spostare lo sguardo da uno all’altra e Ace temette di aver fatto una stronzata ancora più grande quando finalmente Ishley prese un profondo respiro prima di rivolgersi a Kaymie, senza però staccare gli occhi da Ace. «Kaymie, cercami la cartella di Koala Surebo, per favore. Io intanto avviso il dottor Newgate. Non dirlo a nessuno, liberiamo l’ambulatorio in cinque minuti»
Ace le sorrise e sillabò un grazie a fior di labbra a cui Ishley rispose con un cenno del capo e un sorriso un po’ malinconico, prima di allontanarsi per andare a cercare Marco. Ace la guardò allontanarsi qualche istante ed espirò sollevato, per poi staccarsi a sua volta dal bancone con l’intento di tornare da Koala, proprio nel momento in cui la tasca dei suoi pantaloni prendeva a vibrare a intermittenza.
Ace estrasse il cellulare e rispose senza nemmeno guardare il nome sullo schermo. «Pronto?»
«Ace…»
Il cuore gli perse un paio di battiti. «Perona?» Da quando avevano ricominciato a sentirsi, era la prima volta che lo chiamava. Era la prima volta dal matrimonio che sentiva di nuovo la sua voce. «Ciao! Come… Come stai?» chiese, dominando a stento l’emozione nella voce.
Il silenzio gli rispose dall’altro capo del filo, così a lungo che per un attimo Ace temette fosse caduta la linea.
«Sì io… io sto… p-più o meno.»
Ace perse un altro battito nel riconoscere la conversazione e l’esatto tono spezzato e sofferente di Perona. Forse il momento della verità stava finalmente per arrivare. Era certo che anche la prima volta Perona volesse lasciare Robb ma che non fosse pronta. Ora però le cose stavano diversamente e se si giocava bene le sue carte Perona sarebbe tornata tra le sua braccia, una volta per tutte perché, finisse il mondo seduta stante, non l’avrebbe lasciata andare mai più. 
Cauto, Ace prese un profondo respiro. «È successo qualcosa?» domandò e attese.
Attese che Perona lo pregasse di incontrarla, che gli aprisse il suo cuore fin dove poteva, fin dove si sentiva abbastanza sicura per farlo e questa volta Ace non avrebbe esitato, l’avrebbe incontrata, avrebbe avuto fiducia in lei, non avrebbe dubitato della sua intenzione di lasciare davvero Robb per tornare da lui, non questa volta. Questa volta sarebbe andata com’era giusto che andasse, questa volta…
«Ti chiamavo per dirti che non possiamo sentirci più»
Ace si chiese se per caso il soffitto del pronto soccorso non gli fosse appena crollato in testa perché non riusciva a spiegare il fischio nelle orecchie, le gambe mozzate e il dolore dilaniante al petto.
«Ace, ci sei ancora?»
Non un tentennamento, non un’esitazione. A parte un palpabile dispiacere nella sua voce non c’era un solo spiraglio che potesse fargli sperare che quello di Perona fosse un ultimo disperato tentativo di salvare il proprio matrimonio ormai sull’orlo del baratro. Ciò che sembrava invece – e probabilmente era – era la ferma decisione di una donna sposata di tenere fede alla promessa fatta all’uomo con cui aveva scelto di passare il resto dei propri giorni.
«Sono qui» articolò a fatica Ace.
«Io… ho sbagliato Ace. Ho sbagliato la mattina del matrimonio e ho sbagliato di nuovo a cercarti. Ho sbagliato e tu non meriti tutto questo ma io devo a Robb la mia lealtà, capisci? Perché… perché io ho scelto di essergli leale, lui non me lo ha mai chiesto, non lo ha mai preteso ma quando ho accettato di sposarlo io ho anche accetto di essergli fedele e leale. E se ho fallito in un verso voglio invece riuscire nell’altro. Ma non posso essergli leale se tu sei nella mia vita perciò… P-perciò noi non possiamo più sentirci né… né vederci. Mai più»
Di nuovo silenzio, di nuovo una fitta atroce al petto.
«Mi dispiace Ace. Stai bene e… b-buona fortuna per tutto»
Ace non avrebbe saputo dire per quanto tempo era rimasto con il cellulare attaccato all’orecchio prima di riuscire finalmente ad abbassare il braccio e cominciare a metabolizzare davvero cos’era appena accaduto, ancora fermo immobile in mezzo alla sala d’aspetto del pronto soccorso. Lo sguardo puntato nel vuoto, cercò di capire, di trovare un senso a quelle parole che in nessun ordine riuscivano ad acquisirne uno. Qualcosa di fastidiosamente umido gli pizzicò l’angolo interno degli occhi mentre, suo malgrado, faceva un mentale punto della situazione.
Killer e Bonney si erano lasciati lo stesso, Koala aveva divorziato, non si faceva viva con le amiche da giorni, a suo dire aveva rovinato la vita a Pen ed era l’ombra di se stessa, e lui… lui aveva perso Perona. L’aveva persa davvero perché, se ne rese conto solo in quel momento, non dipendeva più da lui, non c’era più niente a cui non rinunciare.
Strinse i pugni così forte da rischiare di crepare lo schermo del cellulare. Dio, faceva così male!
«Ace?»
Sollevò di scatto la testa quando Koala lo chiamò dall’imbocco del corridoio dove si trovavano ordinatamente disposti gli ambulatori. La mano fasciata, l’espressione preoccupata e tesa.
«Che succede?» domandò, facendogli realizzare che stava piangendo.
Chiuse gli occhi e chinò il capo, deciso a lottare contro i singhiozzi, a ricacciare indietro le lacrime.
«Amico, ti senti bene?»
Ace sollevò il capo di scattò e sgranò gli occhi.
Non era possibile!
Non era possibile eppure davanti a lui non c’era più Koala ma Pen. Pen coi capelli se possibile ancora più disordinati dei suoi e senza la sua inseparabile Reflex al collo, che lo fissava a pochi passi di distanza. Il cuore a mille e le gambe tremanti, Ace riabbassò lo sguardo sulle proprie mani che spuntavano dai polsini inamidati di un’impeccabile camicia bianca coperta da una giacca scura e stringevano quattro segnaposti a testa.
Law, Killer, Lamy, Sugar.
Ace, Pen, Bonney, Koala.
Smise per un attimo di respirare mentre il sollievo lo travolgeva, drenandogli quasi tutto il sangue dal cervello, poi prese un profondo respiro per recuperare tutto l’autocontrollo che poteva.
«Okay» soffiò abbastanza piano da non farsi sentire da Pen. «Riproviamo un’altra volta»
 
     
 
 
 
 
 
 
 
 
 
    
 
 
 
   
 
    
        
         
 
 
 
 
 
 
 
  
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