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Autore: BlackSwan Whites    03/03/2018    4 recensioni
STORIA AD OC (ISCRIZIONI CHIUSE!)
Il mondo ha già conosciuto due grandi ere della pirateria; i sogni e le speranze di tanti uomini sono naufragati per sempre, mentre altri sono riusciti a realizzare le loro ambizioni.
Nella terza grande era della pirateria, spinta da una volontà d'acciaio, una ragazza decide di imbarcarsi per solcare i mari assieme ad altri che, come lei, hanno un sogno e degli ideali che difenderanno a costo della vita. E voi, siete pronti a seguirla?
Una ciurma, tante persone, ma una sola, grande avventura.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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UNA GRANDE AVVENTURA



Capitolo 8: Fronti molteplici
 
-Iris, è inutile, smettila- disse Keyra rassegnata alla compagna, che si era scagliata per l’ennesima volta contro la porta della cella tentando, con scarsi successi, di sfondarla. Per quanto fosse dotata di una buona forza fisica, sarebbe stato improbabile per la diciottenne riuscire a vincere la resistenza di uno spesso strato di metallo, anzi, di un doppio strato di metallo, forse anche triplo; quasi certamente infatti si trovavano in una cella rinforzata, lo si poteva intuire dal suono smorzato prodotto dai colpi.
-Tirateci fuori di qui, bastardi!- urlò il capitano, ricevendo come risposta solo il rimbombo della sua voce nel corridoio. Un sospiro frustrato le uscì dalle labbra, mentre si accasciava sfinita contro la parete. La stanchezza provocatale dai numerosi attacchi alla porta veniva notevolmente amplificata dalle manette di agalmatolite che si era ritrovata ai polsi al suo risveglio. Tali manette erano state applicate anche a Keyra, anche se su di lei la sostanza non aveva effetti, escluso quello di limitarne i movimenti delle braccia.
Sollevò la testa. Si sentiva come un uccello in gabbia, e soprattutto era arrabbiata con sé stessa per come si era lasciata catturare facilmente. -Non riusciresti a sfruttare i tuoi poteri per uscire? Che ne so, puoi provare a fondere la porta col fuoco…- suggerì alla compagna, rivolgendole uno sguardo supplichevole.
Quella scosse la testa. Purtroppo, il calore delle fiamme che la sua magia le permetteva di generare non si avvicinava neanche lontanamente a quello necessario per liquefare il metallo. Se solo avesse potuto manipolare anche il magma, come l’uomo che l’aveva catturata e costretta a subire soprusi a non finire… Maledisse mentalmente Akainu, mordendosi il labbro.
-Mmmmmh… No!- gridò Iris dopo qualche istante, sbattendo la fronte contro il freddo metallo. -Devo assolutamente uscire! Diana ha bisogno di aiuto!- continuò, riprendendo a dare colpi disperati a quella stupida parete che la separava dalla libertà.
L’urlo dell’amica le era arrivato come un riecheggio lontano, ma potente. Un urlo di dolore autentico e bruciante, capace di divorare tanto chi lo udiva quanto chi l’aveva emesso. In più, la vedetta aveva una sopportazione altissima: se era arrivata a gridare così, significava che era veramente al limite.
-Iris- le sussurrò Keyra, accostandolesi ed appoggiandole una mano sulla spalla. La mora si fermò, tremando vistosamente a causa del misto di frustrazione e spossatezza. Lentamente si voltò a fissarla, con lo sguardo chiaro velato di lacrime.
In quel momento la cuoca si sentì più che mai fiera di avere scelto quella stramba ragazza come capitano. I suoi valori erano autentici e si manifestavano chiaramente ora. Erano lì, rinchiuse in una cella, senza sapere cosa sarebbe stato di loro; eppure, lei non si curava di sé stessa, ma di un’amica in pericolo, e questo le faceva onore. Non solo la Marina, ma anche molta gente si sbagliava: non tutti i pirati erano malvagi e senza scrupoli, e lei ne era la prova vivente.
-Iris- ripeté, -per il momento non possiamo fare nulla-. -No! Mai! Non dobbiamo arrenderci!- esclamò di nuovo l’altra, facendo per rimettersi a prendere a testate la porta. -Aspetta un attimo!- la bloccò a quel punto, prendendole la faccia tra le mani per costringerla a puntare di nuovo gli occhi nei suoi; trasse poi un respiro profondo.
-Io non sto affatto dicendo di arrenderci- cominciò, guardandola con severità. -Arrendersi non ha senso ed è ingiusto, oltre che un atteggiamento da codardi. Sto soltanto considerando che ora come ora non siamo in grado di agire. Non sappiamo come liberarci e, anche ammesso che ci riuscissimo, non sapremmo dove trovare Diana. Dunque, direi di rimanere qui e cercare di elaborare un piano d’azione, prima di buttarci a capofitto in qualcosa per cui potremmo non essere pronte-
La mora si morse il labbro, torturandoselo qualche istante con i denti prima di annuire poco convinta. Non era nelle sue intenzioni rimanere bloccata lì, ma purtroppo Keyra aveva ragione, attualmente non avevano altra possibilità. -Speriamo almeno che gli altri stiano bene…- sussurrò tra sé e sé.
Avevano lasciato il resto della ciurma quando erano andate a casa con Shia, perciò in teoria loro non sapevano del loro essersi recate al laboratorio. Ciò era da una parte un bene, perché impediva che venissero a loro volta coinvolti nella mischia in un eventuale tentativo di salvarle; dall’altra, tuttavia, li poneva in una condizione di rischio anche maggiore, dato che molto probabilmente erano già dei bersagli individuati.
Quando Shiro e gli scienziati le avevano attaccate, le avevano chiamate per nome. Qualcuno sapeva della loro presenza sull’isola: di conseguenza, erano tutti potenzialmente in pericolo.
Strinse i denti. Non restava che da attendere pazientemente un’occasione qualsiasi per liberarsi, in modo da coglierla al volo quando si fosse presentata.
 
 
 
-È il piano più idiota che potessimo scegliere- bofonchiò Alex contrariata, appiattendosi contro la parete per poter avanzare con maggior facilità nell’angusto passaggio. -Taci e non fermarti, altrimenti sarò costretto a passarti sopra- le fece di rimando Kaith.
Effettivamente la situazione non era delle più confortevoli. Al momento, i due stavano strisciando all’interno degli stretti condotti di metallo che, come aveva intuito Naoaki, servivano per l’areazione dei laboratori sotterranei.
Nell’avvicinarsi al grande “capannone centrale”, come avevano ribattezzato il corpo principale dell’edificio, avevano infatti notato che nel terreno erano presenti numerose piastre circolari e metalliche; sollevandone una, avevano rivelato l’accesso ad una sorta di tubatura che scendeva obliquamente ad una profondità indefinibile a causa della distanza. Era stato a quel punto che il cecchino di bordo aveva ideato una strategia per entrare di nascosto.
Nel complesso, la studiosa doveva ammettere che lo schema secondo cui avevano deciso di agire era ben progettato. Lei e Kaith si sarebbero introdotti nella struttura, giungendo direttamente nel suo nucleo, ed avrebbero attaccato (cercando, come stabilito assieme agli altri, di evitare gli scienziati nei limiti del possibile). In questo modo, avrebbero attirato la maggior parte del personale e delle guardie su di sé, liberando la strada al resto del gruppo, che sarebbe così andato ai piani superiori per liberare le compagne prigioniere; una volta fatto ciò, si sarebbero ritrovati tutti nei laboratori, per poi andarsene per sempre da quel dannato luogo.
La scelta era ricaduta su di loro perché, essendo dotati di poteri legati al buio e all’oscurità, erano anche i più adatti a creare diversivi. Tuttavia, nell’opinione della ragazza, per quanto ben organizzati potessero essere, quel piano aveva un che di scontato. Andiamo, entrare dalle tubature? Anche uno stupido ci sarebbe potuto arrivare… Motivo per il quale dovevano prestare molta più attenzione a non farsi scoprire.
Ad un tratto, senza preavviso, un sussulto la portò a sbattere contro il condotto, producendo per fortuna un rumore abbastanza smorzato; riuscì a soffocare in un gemito l’urlo di sorpresa.
Si voltò allarmata, cercando con le dita il fodero del coltello appena acquistato, che le pendeva ora in vita a fianco dell’altra arma che già possedeva. Era pronta a difendersi.
Qualcosa le aveva infatti bloccato la spalla sinistra, strattonandola indietro. -Kaith!- bisbigliò, cercando di richiamare l’attenzione del compagno per verificarne la presenza. Se qualcuno o qualcosa li aveva attaccati da dietro e in maniera così repentina e silenziosa, probabilmente lui era già bello che andato.
-Alex, ma che ti salta in mente? Vedi di non fare rumore!- le rispose l’altro, palesemente irritato. -Qualcosa mi ha afferrato, scemo! Pensavo che magari ti avessero già fatto fuori, anche se probabilmente sarebbe stato un bene, vista la situazione-
Si interruppe un attimo, pensierosa. -Aspetta un attimo… Se ci sei solo tu… Perché mi hai preso il braccio? Vuoi far saltare tutto e farci scoprire?- gli ringhiò contro, senza nemmeno voltarsi a guardarlo.
-Ehi, geniaccia, io non ti ho preso proprio niente. Se ti degnassi di controllare prima di sparare idiozie, magari eviteresti figuracce come questa in futuro- aggiunse lui, altrettanto innervosito.
Con un sonoro sibilo, la mora si girò indietro. Il ragazzo stava a circa un metro e mezzo di distanza da lei, dunque era decisamente fuori dalla sua portata. Ciò che le aveva impedito di avanzare non era altro che un piccolo pannello sconnesso, che al suo passaggio aveva intrappolato un lembo della lunga maglia che indossava. Man mano che era proseguita, il tessuto si era teso come un elastico, per poi bloccarsi una volta arrivato al limite, immobilizzandola.
-Oh, al diavolo!- esclamò, dando uno strattone deciso per liberarsi. Pessima scelta, dato che l’indumento si strappò in due, lasciandole la schiena completamente scoperta. -Ti sembra il momento di fare striptease?- commentò ironicamente Kaith, guadagnandosi l’ennesimo sibilo da parte della compagna.
-Cerca di non indugiare troppo, o ti cavo gli occhi- lo minacciò, riprendendo ad avanzare. Era grata che il buio parziale celasse il rossore che si faceva strada sulle sue guance. -Oh, tranquilla, non è il mio genere di spettacolo preferito- la rassicurò. -Probabilmente Mark avrebbe gradito di più-
Un soffocato “problemi tuoi” lo liquidò definitivamente. In effetti, però, il ragazzo doveva ammettere che Alex non era niente male, almeno per i suoi standard: non era troppo magra (come invece buona parte delle altre della ciurma) e nemmeno eccessivamente formosa, ma la pelle e gli occhi chiarissimi erano in perfetta antitesi con la capigliatura, nera e corta, ed erano valorizzati ancora maggiormente dalla sua predilezione per vestiti dalle tinte scure; in più, le due zanne che le spuntavano dal labbro superiore, simili ai venefici denti di una vipera, che a molti sarebbero sembrate sinistre, esercitavano secondo lui un potere magnetico e attrattivo.
Aggrottò un po’ la fronte, tuttavia, nel notare (nonostante la fioca luce presente nel tunnel) un segno obliquo su quella pelle candida, circa all’altezza dei reni, che le attraversava la schiena da parte a parte. A giudicare da com’era ben marcata, quella cicatrice doveva derivare da una ferita abbastanza profonda.
Per un istante fu tentato di domandargliene la causa, ma decise di evitare di sollevare l’argomento per non irritarla ulteriormente. Ci sarebbe stato tempo in seguito per le spiegazioni, mentre al momento, dopotutto, si disse maliziosamente, un’occhiata in più del dovuto ad altri dettagli, avendone la possibilità, non guastava affatto.
 
 
 
Dopo che ebbe fatto ruotare la chiave nella serratura la porta della cella si aprì con lentezza esasperante, cigolando sugli stipiti.
Shiro la richiuse alle sue spalle, avvicinandosi al centro della stanza. Caleb l’aveva mandato a prelevare la prigioniera per portargliela: a quanto pare, voleva farle altre domande, non avendo ottenuto risposte soddisfacenti dal loro precedente colloquio.
La ragazza era stesa a terra su un fianco, probabilmente stava dormendo. -Andiamo, Instar, svegliati- le disse con fermezza, scuotendola; non ottenendo risposta, le afferrò una spalla per girarla nella sua direzione. Quando però si fu voltata, ciò che vide gli fece gelare il sangue. -Che c’è, sei venuto a infierire anche tu?- gli chiese sarcasticamente Diana, con una smorfia che tentava di essere un sorriso beffardo.
La faccia della ragazza era spaventosa. Oltre ad un vistoso bozzo sulla fronte, l’occhio sinistro era contornato da un alone violaceo, così come gli zigomi; l’occhio destro invece era arrossato, e talmente gonfio che andava quasi a toccare la lente degli occhiali, che le stavano storti. Dal naso le scendeva un rivolo di sangue rappreso, che andava a fermarsi sul labbro, anch’esso rigonfio, dove spiccavano tra l’altro due tagli rossi, uno laterale e l’altro al centro; quest’ultimo doveva esserselo inferta da sola mordendosi, a giudicare dal segno dei denti, oppure… Shiro non osava nemmeno pensare all’altra possibilità. Trattenne un conato di repulsione istantaneo, girandosi di scatto dall’altra parte.
-Cos’è, siamo sensibili alla violenza?- rincarò la dose lei con amarezza. -Invece dovresti guardare bene, così ti rimarrà un promemoria di quello che ti succederà il giorno che Caleb Ayr deciderà che non gli stai più simpatico-
Il ragazzo era troppo sconcertato per rispondere. Tutta quella violenza era semplicemente immotivata; tra l’altro, prendersela così con una ragazza ammanettata ed inerme, anche se era una criminale, risultava abbastanza spregevole. -Ma perché…- cominciò, prendendosi la testa tra le mani per provare a tranquillizzarsi.
-Perché l’ha fatto, dici? Non saprei, forse perché è un sadico bastardo senza un’anima che si diverte a torturare e distruggere le persone psicofisicamente?- ipotizzò la mora, trattenendo un gemito quando si mise seduta per guardarlo meglio. Si sentiva come se le costole le fluttuassero liberamente nel torace, anziché essere tenute insieme.
-Quando l’ho conosciuto non era così!- sbottò lui, cercando di convincersi che ciò che stava vivendo non era tutto un maledetto incubo, ma una amara verità. -Sono anni che ho familiarità con Caleb, all’inizio era una persona completamente diversa. Ci eravamo conosciuti per caso, io stavo viaggiando per cercare qualcuno disposto a finanziare le ricerche mie e dei miei colleghi su come ricavare energia dai tornado e lui, essendo ben inserito nella Marina anche se era solo un ragazzino, si è offerto di portare avanti la mia causa-
-All’inizio la gente ti mostra sempre solo il lato di sé che puoi apprezzare, poi però ti rifila le fregature peggiori- considerò Diana. L’altro continuò imperterrito il suo monologo, come se non l’avesse nemmeno sentita.
-In poco tempo riuscì a convincere i suoi superiori a darmi del denaro per cominciare a condurre esperimenti. Il problema è che c’era un cavillo di fondo, che mi fu spiegato solo una volta tornato a Kaze e discusso con il team di studiosi miei colleghi. I fondi non erano stati stanziati per la ricerca su come ricavare energia dalle tempeste di vento, ma per trovare il modo di sfruttarle per produrre armi-
-E ti pareva…- bofonchiò l’altra. Sapeva bene che, quando la Marina o il Governo incentivavano dei progetti, c’era sempre di mezzo un possibile impiego dei ritrovati in campo militare. -Ovviamente tutti noi abbiamo protestato- spiegò il giovane. -Non era nostra intenzione assecondare le loro richieste, anche se ciò avesse comportato la restituzione dei soldi che avevano stanziato per noi. Non volevamo assolutamente collaborare a creare potenziali strumenti di distruzione di massa-. Si prese tra pollice ed indice l’attaccatura del naso, chiudendo gli occhi. -È già abbastanza difficile pensare che una volta all’anno la nostra isola sia devastata dai tornado per cause naturali, e che ogni volta che ciò accade, per quanto ci prepariamo per poter contenere i danni, dobbiamo sempre lavorare sodo per ricostruire ciò che viene distrutto. Ma sapere che qualcuno potrebbe scatenare a comando quelle tempeste, tenendo sotto scacco intere regioni…- Scosse la testa, cercando di scacciare i pensieri molesti. Aveva iniziato a tremare, prima quasi impercettibilmente, poi in modo sempre più violento. -Spregevole, lo so- commentò Diana, che nel frattempo cercava sia di ascoltare il racconto del ragazzo, sia di riprendersi dal dolore, che forse cominciava a darle qualche attimo di tregua. -Ma ehi, che ci vuoi fare, il Governo è fatto così. Si ragiona secondo il principio del... Aspetta, com’era? “Per mantenere la pace bisogna usare la guerra”?- domandò più a sé stessa, cercando di ricordarsi alcune cose che le raccontava suo padre riguardo i principi morali da seguire. Era una ferita aperta ripensare a quanto quegli insegnamenti, da lui sempre rigidamente rispettati, l’avessero condotto alla morte. -Beh, quello che è- concluse poi, alzando le spalle e provocandosi una stilettata alle scapole. Ma quale tregua, fa ancora un male cane.
Constatando che Shiro non aveva più aperto bocca, ma se ne rimaneva seduto a terra accanto a lei, sempre scosso da tremori, gli domandò: -Ti senti poco bene, per caso?- Non ricevendo risposta stavolta fu lei ad avvicinarglisi, e si accorse solo allora delle lacrime che gli solcavano il viso. -L’isola… le armi… il Governo…- cominciò a balbettare il rosso, ma le sue frasi erano sconnesse e intervallate a singhiozzi. Normalmente la vedetta avrebbe considerato la scena decisamente patetica, ma per qualche motivo sconosciuto non stavolta.
Anzi, no. Non era un motivo sconosciuto: sapeva benissimo perché era incapace di trovare lo stato di quel ragazzo pietoso. Perché anche lui, proprio come lei, era una vittima della Marina e del Governo Mondiale. Come anche i suoi genitori. Come Iris e Keyra. Come tutti i ricercatori di Kaze. E come tantissime altre persone in tutto il mondo che, per paura e bisogno di protezione, si ritrovavano alla completa mercé di un manipolo di persone pronte a tutto pur di sfruttare le loro debolezze per costringerli ad agire contro il loro volere, come tanti servi obbedienti.
Se avesse avuto le mani libere dalle manette, ne avrebbe tesa una e l’avrebbe appoggiata sulla spalla del ragazzo in un gesto di solidarietà, ma purtroppo non aveva questa possibilità, perciò gli diede un colpetto sul braccio con il lato sano (o meglio, con quello meno contuso) della testa.
-Ascolta, Shiro… ti chiami così, giusto?- chiese con cautela. Quello si limitò ad annuire debolmente, sempre in mezzo alle lacrime, il volto nascosto tra le mani. La giovane continuò. -Tu e i tuoi colleghi non avete fatto nulla di male. Siete stati costretti a collaborare, altrimenti la Marina sarebbe arrivata qui e avrebbe raso al suolo tutta l’isola. Non avete nulla di cui farvi colpa, anzi, il vostro comportamento è ammirevole. Avete messo da parte i vostri progetti pur di salvare la vostra gente, e questo vi fa onore-
-E… E tu come… Fai a sapere… Che… Minacciavano di distruggere Kaze?- le chiese il ricercatore, sollevando un poco la faccia per guardarla. I suoi occhi azzurri sembravano uno specchio d’acqua, letteralmente, talmente erano pieni di lacrime. Diana gli sorrise, anche se probabilmente ciò che ottenne fu una mezza smorfia per via del gonfiore deforme del suo viso. -So come lavora la Cipher Pol, perché come Caleb, anch’io ne facevo parte- confessò, riportando alla luce dopo tanto tempo quel macigno che si portava sulla coscienza.
-È anche per questo che ho deciso di diventare un pirata- aggiunse, sotto lo sguardo incredulo di Shiro, che nel frattempo iniziava a calmarsi un poco. Evidentemente, la notizia che anche lei era stata un agente governativo aveva distratto la sua mente dai rimorsi. In più, una delle qualità nascoste di Diana era proprio quella di essere in grado di tranquillizzare le persone semplicemente parlandoci. Era vero, la diplomazia non era in genere il suo forte, e alle volte i suoi metodi potevano risultare molto diretti e decisamente poco ortodossi (non per niente era stata un agente segreto), ma alla fine riuscivano sempre nel loro intento “rilassante”.
-Se chi ci comanda sono un gruppo di corrotti, che ci obbligano all’obbedienza con la forza della minaccia, solo per fare i propri interessi, allora è meglio essere un fuorilegge- concluse il suo discorso, richiudendosi dunque nel silenzio in attesa di una eventuale reazione dell’altro, positiva o negativa.
Quello si alzò un po’ la visiera del berretto, passandosi una mano sulla faccia per asciugare anche le ultime tracce del pianto. La ragazza aveva ragione al cento per cento: aveva agito sotto le intimidazioni di morte e distruzione dei superiori, cioè del Governo, ma agire per chi detiene il potere non sempre significa agire secondo giustizia. La guardò attentamente, imprimendosi nella mente ogni singolo livido, ogni ferita che riusciva a scorgere sul suo corpo. “È questa la giustizia, Shiro?” si domandò all’interno propria mente. “Accanirsi su qualcuno di inerme in maniera tanto efferata per il puro gusto di farlo? Tenere in scacco un’intera comunità solo per arricchirsi e saziare la propria sete di dominio sul mondo? Io non credo proprio”.
Prese un respiro profondo, poi si alzò in piedi, facendo leva con le mani sulle ginocchia per aiutarsi. -Diana- richiamò l’attenzione della giovane, che alzò la testa di scatto. -Adesso ti devo portare da Caleb- disse con tono perentorio, sotto lo sguardo avvilito della vedetta. Dunque il discorso e lo sfogo non erano serviti a nulla, pensò in cuor suo, mentre già si preparava ad un secondo round di pestaggi.
Tuttavia, si dovette ricredere non appena vide l’espressione del ragazzo. Aveva un sorriso sghembo, stranamente dolce, ma, a suo modo, determinato. Indecifrabile ed inquietante, decisamente, ma in un senso vagamente positivo. Lui si inginocchiò nuovamente, per poterla fissare dritta attraverso le lenti degli occhiali. -Ma prima…- aggiunse, facendo scivolare una mano dietro la sua schiena ed attirandosela più vicino, come se volesse abbracciarla. Diana roteò gli occhi al cielo, innervosita da quella “manifestazione d’affetto”. Si preparò a tirargli una testata, incurante del male che avrebbe fatto a sé stessa (se lo meritava, c’era poco da fare), ma si bloccò non appena sentì qualcosa cadere pesantemente a terra dietro di lei. Tornò a guardare il rosso, sgranando gli occhi. Quello mantenne l’espressione divertita. -Che c’è? Non vorrai mica andare a salutare un vecchio amico e presentarti in manette, vero?-
 
 
 
Rey trattenne un ringhio, mentre si nascondeva meglio dietro a una delle prese d’aria del terreno circostanti il laboratorio. Aspettare non rientrava decisamente nelle sue corde: lui era più il tipo da “entriamo, uccidiamo tutti e ce ne andiamo”. Naoaki, però, era stato categorico riguardo al piano da seguire, e il vicecapitano lo trovava così ben studiato che non se l’era sentita di contestare; anche perché, se veramente stavano per avere a che fare con un agente segreto governativo, sferrare un attacco diretto era impensabile. Sarebbe stato come consegnarsi su un piatto d’argento alla Marina, pronti per la galera o, più probabilmente, per il patibolo.
Lanciò uno sguardo distratto agli altri. Si trovavano tutti in posizioni simili alla sua, rintanati dietro quei grossi cilindri metallici che avevano la funzione di rifornire di aria le sale sotterranee per la ricerca. Gli unici che mancavano all’appello erano Alex e Kaith, che sarebbero penetrati direttamente nel piano interrato della struttura, ed Ellesmere. La ragazza, infatti, aveva avuto l’idea aggiuntiva (ed accettata di buon grado dal cecchino come integrazione della sua strategia) di separarsi dal grosso del gruppo e girare attorno all’edificio. Lì, grazie ai suoi fuochi artificiali, avrebbe attirato l’attenzione delle guardie, che per inseguirla avrebbero lasciato scoperta l’entrata principale, permettendo così agli altri di introdursi nel cuore del laboratorio. Sarebbero stati poi gli altri due “infiltrati” a creare ulteriori diversivi, di modo che il resto della ciurma si recasse nelle celle ai piani superiori per liberare Iris, Keyra e Diana mentre la sorveglianza confluiva su di loro. Per concludere in bellezza, il ritrovo era previsto proprio nelle sale sotterranee, dove tutti assieme avrebbero neutralizzato ogni singolo marine che gli si fosse parato davanti.
Un piano eccellente, non c’era che dire. Rey si volse verso il loro stratega di bordo, un paio di prese più avanti rispetto a lui. Era intento a lucidare una delle sue pistole, per ingannare il tempo in attesa di dare inizio all’incursione; del resto, come aveva ripetuto più e più volte, era necessario che si coordinassero in maniera impeccabile per evitare di correre rischi inutili.
Lanciò un’occhiata anche a tutti gli altri membri della ciurma, per assicurarsi che fossero vigili e pronti a scattare al minimo pericolo o, semplicemente, al minimo segnale di cambiamento. Mirage stava appoggiata su un fianco, giocherellando distrattamente con un filo che penzolava dal bordo del suo cappotto. Mark era seduto con la schiena contro la parete di uno dei cilindri metallici, a ginocchia piegate, massaggiandosi vigorosamente le tempie per scacciare anche gli ultimi fumi della sbornia e facendo voto personale di non toccare una singola goccia d’alcool per almeno un mesetto. Greta, invece… Gli occhi neri del ragazzo si spalancarono di scatto, mentre le sue gambe si contraevano in uno spasmo involontario.
Il movimento non sfuggì al cecchino, che gli si rivolse con un’espressione interrogativa sul volto. Cercando di tenere il volume della voce il più basso possibile, anche se erano ben lontani dalla portata d’orecchio delle guardie, gli domandò: -Dov’è Greta?- Il compagno posò a terra l’arma che fino a un attimo prima era stata il centro delle sue attenzioni, issandosi sui palmi delle mani per dare un’occhiata attorno. Constatata l’assenza della navigatrice, chiuse un attimo gli occhi, portandosi una mano alla fronte. Quella nevrotica gli avrebbe causato non pochi problemi, oggi o in futuro, se lo sentiva.
-Eccola lì!- La voce sottile di Mirage li richiamò entrambi. La tigre, che aveva sentito grazie ai suoi sensi felini la loro conversazione, indicava un punto molto vicino al lago. A dire il vero, ciò che si poteva notare era solo l’addensarsi di una strana nebbiolina in quell’area, il che attirò non solo la loro attenzione, ma anche effettivamente quella delle sentinelle all’ingresso, che si diedero di gomito a vicenda prima di avvicinarsi alla zona interessata. Appena si furono approssimati abbastanza, il vapore, come fosse un essere senziente, balzò loro addosso, afferrandoli letteralmente e soffocandoli prima che avessero l’opportunità di gridare per rivelare la loro difficoltà.
-Comunque io sarei qui- commentò acidamente Greta, sbucando da circa cinque prese d’aria più avanti. -Mi sembrava il caso di cominciare a fare qualcosa- si giustificò, quando sentì su di sé gli sguardi infuriati di tutti e quattro i suoi compagni, Mirage compresa. -L’idea del “piano come un meccanismo delicato” proprio non ti entra in testa, eh? Ognuno di noi deve cooperare con gli altri solo quando è il suo momento, come ingranaggi che si incastrano a dovere, altrimenti rischia di saltare tutto!- sibilò Naoaki. Lo scorpione che aveva tatuato sull’occhio contrasse la coda a causa della sua espressione accigliata. -Mi stavo annoiando, aspettare è troppo…- ribatté la giovane, coi capelli multicolori che oscillavano al vento perenne, ma fu interrotta da un forte fischio proveniente dall’altro lato dell’edificio.
Uno scoppio, seguito da un bagliore rosso e verde, segnalò a tutti quello che stava accadendo: evidentemente, Ellesmere aveva iniziato ad attuare la sua “parte del meccanismo”, come l’aveva appena definita l’inventore di quella delicata macchina in persona. Un’altra esplosione, questa volta blu e gialla, ottenne l’effetto che tutti speravano. In un attimo, dalla struttura cominciarono a defluire una decina abbondante di marine, avvolti in uniformi bianche, vagamente simili a dei camici da laboratorio, tutti diretti verso l’origine di quel caos.
Mark ebbe un tuffo al cuore nel pensare ciò che sarebbe potuto succedere alla loro compagna. Certo, lei era forte e abile nell’usare i suoi poteri, ma era così minuta, e i soldati erano così tanti… -Andiamo, ragazzi, tocca a noi!- La voce di Naoaki lo richiamò: adesso toccava a loro mettere in funzione il resto del meccanismo. Una volta constatata la totale assenza di guardie all’ingresso, grazie all’haki dell’osservazione, il moro aveva infatti dato il via libera all’incursione. Si alzarono tutti in piedi, iniziando a correre in direzione della porta.
Il medico di bordo si bloccò un attimo, incerto sul da farsi. Adesso, poteva vedere chiaramente, sull’altra sponda del lago, Ellesmere che si dava da fare, fronteggiando tre marine contemporaneamente. -Mark, muoviti!- lo incalzò Rey, che nel frattempo aveva già un piede all’interno dell’edificio. La sua smania di combattere, unita alla preoccupazione per Iris, Keyra e Diana, lo ponevano naturalmente in prima fila nell’attacco. Il pensiero di quello che potevano aver fatto alle sue amiche, poi, lo mandava letteralmente in bestia. Sentiva già il cerbero che era in lui risvegliarsi, ringhiando cupamente nel profondo delle sue viscere in attesa di ottenere il via libera di sfogarsi.
-Entrate voi, io vado a dare manforte ad Ellesmere, ha bisogno di aiuto- affermò il medico, lisciandosi l’accenno di barba che gli incorniciava il mento. Quella piccola furia pirotecnica, per quanto forte, non era in grado di tenere testa ad una guarnigione così fornita da sola.
Stava per scattare in direzione opposta, quando Greta lo afferrò per un braccio. -No, non arriveresti mai in tempo per aiutarla, ti toccherebbe fare tutto il giro del perimetro per raggiungerla. Ci penso io- Anche se il suo sguardo rimaneva, al solito, glaciale e vuoto, il suo tono di voce lasciava intuire che il suo intento era quello di rassicurare. La navigatrice, sempre col volto sferzato dalle trecce, evocò una piccola nuvola di vapore solidificato e ci saltò sopra, poi la mosse rapidamente in modo da sorvolare l’acqua. Così facendo, avrebbe potuto attraversare la superficie del lago molto rapidamente, raggiungendo la musicista di bordo ed offrendole il suo appoggio nel combattimento.
Il ragazzo sostenne gli occhi dell’altra, poi annuì convinto. -Fai attenzione- aggiunse a mezza voce, senza sapere se si stesse rivolgendo maggiormente a lei o alla ben più lontana Ellesmere. Questa volta fu Mirage ad appoggiargli una mano alla spalla, per quanto la sua altezza di una ventina di centimetri inferiore glielo rendesse difficoltoso. -Stai tranquillo, Mark- lo incoraggiò la tigre, -vedrai che saranno di ritorno in men che non si dica-
Lo spero, pensò lui; poi seguì i suoi compagni all’interno della struttura, non prima di aver lanciato un’ultima occhiata a quella macchietta rossa e bianca che combatteva sull’altra riva del lago.
 
 
 
Sia Iris che Keyra si erano appisolate, stanche di essere imprigionate senza possibilità di fuga. La prima, esaurite le energie nei suoi tentativi di sfondare la porta, se ne stava sdraiata ai piedi del muro con gli occhi chiusi; tuttavia, si poteva notare come il suo sonnecchiare non fosse tranquillo, perché periodicamente la sua faccia si contraeva in spasmi e le mani le si stringevano a pugno, come se stesse lottando contro qualcuno o qualcosa. Sicuramente, l’agalmatolite che le bloccava i polsi era complice di quella sofferenza.
Keyra, da parte sua, era appoggiata con la schiena alla parete, le ginocchia portate al petto. Anche le sue palpebre si stavano facendo pesanti, se non altro per la noia dell’attesa che accadesse qualcosa, qualsiasi cosa. Se prima, quando aveva discusso col capitano, era certa che da un momento all’altro i loro amici sarebbero arrivati a liberarle, ora non ne era più tanto sicura. O meglio, non del fatto che gli altri non si fossero già adoperati per tirarle fuori di lì, quanto del tempo che ciò avrebbe richiesto.
Il suo calo di attenzione la portò quasi a non notare un leggero scricchiolio proveniente da un lato della cella, che imputò ai rumori di assestamento dovuti ai colpi che Iris aveva sferrato prima alla porta. Invece, il suono era dovuto proprio all’apertura di quest’ultima.
Una lama di luce andò a rischiarare l’interno in penombra della stanza, allargandosi lentamente; evidentemente, chiunque stesse entrando si stava muovendo con cautela, del resto si stava avvicinando a due ragazze che, per quanto ammanettate e vagamente provate, non erano da sottovalutare, soprattutto contando la loro ferma volontà di andarsene da quel luogo alla prima occasione.
La guardia riaccostò la porta, senza tuttavia richiuderla a chiave, il che era strano, indubbiamente. Keyra, risvegliandosi un po’ dal torpore in cui era caduta, diede un colpetto a Iris per richiamarne l’attenzione. -Cosa succede?!- scattò come una molla il capitano, mettendosi a sedere e guardandosi a destra e a sinistra freneticamente. Non appena notò la figura che era giunta a far loro compagnia, si lanciò nella sua direzione.
-Va tutto ben…- aveva iniziato a dire il nuovo arrivato, ma il fiato gli si mozzò in gola quando una prepotente testata da parte della mora, che si era alzata in piedi e lo aveva caricato con violenza, lo raggiunse dritto allo stomaco. Successivamente, nel momento in cui lei (per quanto limitata nei movimenti dalle manette) lo afferrò per la gola, sbattendolo contro il muro, il cappellino che portava sulla testa gli cadde, rivelando il volto traumatizzato di Shiro.
-Oh, ma guarda chi si rivede, il nostro beneamato ricercatore- disse la cuoca, avvicinandosi a sua volta al ragazzo e rivolgendogli uno sguardo raggelante. -Cos’è, sei venuto per rincarare la dose?- gli domandò, senza smettere di fissarlo. Era tentata di sferrargli un pugno, tanto Iris lo teneva ancora inchiodato alla parete, senza dargli possibilità di fuga; anzi, la sua presa ferrea gli consentiva a malapena di respirare. -Che hai fatto a Diana, stronzo?- gli ringhiò contro il capitano, avvicinando il volto a quello del ragazzo ed intensificando la stretta. Lui provò a rispondere, ma gli uscirono solo alcuni schiocchi soffocati. Sentiva le forze che lo abbandonavano rapidamente, come quando poche ore prima era stato Caleb a strangolarlo. Evidentemente la gente ce l’aveva col suo collo, quel giorno. Stava per perdere i sensi, quando una voce proveniente dal corridoio li fece voltare tutti.
-Iris, lascialo stare, è con noi- disse Diana, facendo capolino dall’uscio sotto lo sguardo incredulo delle compagne. -E tu, Keyra, non rubarmi le battute- aggiunse rivolta all’altra, ridacchiando leggermente. -Dia!- gridò Iris, lasciando cadere a terra il malcapitato per correre incontro all’amica. -Oh… non hai proprio una bella cera- commentò, dopo averla vista in faccia. Effettivamente, il volto della vedetta era ancora pesantemente tumefatto, ma forse il gonfiore stava iniziando a calare. Anche Keyra, vedendo il suo stato, fu tentata di tirare un calcio al possibile responsabile del pestaggio, che stava ancora boccheggiando sul pavimento e non si era mosso di un centimetro, ma si trattenne. Loro erano persone migliori dei loro aguzzini, e non si sarebbero certo messe ad infierire su un indifeso. E poi, l’occhialuta aveva detto che era un alleato, quindi non aveva senso colpirlo.
-Sono stata peggio- disse, scrollando le spalle, mentre il solito ciuffo ribelle le ricadeva sull’occhio sinistro. Nel contempo, si sentirono un fischio e uno scoppio, come provenienti da molto lontano. Sembrava quasi che qualcuno avesse fatto esplodere un petardo. Un secondo colpo fu seguito da un suono molto più vicino, che sembrava provenire da sotto di loro. Un suono decisamente strano, una specie di sibilo, come il frusciare del vento mescolato con le onde di marea che si infrangevano sulla spiaggia, seguito da urla concitate. Evidentemente, stava accadendo qualcosa nei sotterranei.
-Che… sta succedendo?- domandò Shiro, che nel frattempo si stava riprendendo dallo shock. Pur avendo un minimo di capacità in combattimento era uno scienziato, dannazione, non era fatto per questo genere di cose! Per tutta risposta, il quadrato di luce che penetrava dalla finestrella sopra di loro si oscurò, mentre un grido stridulo attirò la loro attenzione. Qualche secondo, e con un fragore di vetri infranti un ammasso di piume marroni e blu piombò in mezzo a loro.
-Kahir!- esclamò Iris, allungando le mani ad accarezzare il falco, che le strofinò affettuosamente il becco sulle gambe. -Ah, giusto, me ne stavo quasi dimenticando- intervenne Diana, battendosi una mano sulla fronte con finta teatralità. Nel frattempo, Shiro stava armeggiando con un mazzo di chiavi per trovare quelle delle manette. -Queste sono vostre, ragazze!- disse la vedetta, tendendo loro la tasca dei kunai del capitano ed Angel, l’enorme spada della cuoca. -Io mi sono già attrezzata- aggiunse, poggiando una mano sul manico della sua katana. Il falco tuono le si avvicinò, tendendole qualcosa che teneva nella zampa: il suo ciondolo, il simbolo della promessa di vendetta fatta ai genitori prima che morissero e che ancora non era stata mantenuta. Se tutto fosse andato per il meglio, quel giorno avrebbero finalmente ottenuto giustizia, se lo sentiva.
-Del resto, come mi ha detto una volta una persona, “non vorrai mica andare a salutare un vecchio amico e presentarti disarmata, vero?”- parafrasò quello che le aveva detto Shiro prima, stringendo la collana tra le mani prima di riallacciarsela e facendo l’occhiolino al giovane, che da parte sua arrossì lievemente. Iris e Keyra si guardarono in faccia, sbigottite, senza capire come quei due potessero aver instaurato una tale complicità dopo che il ragazzo le aveva gettate tutte in gattabuia. -Tu ci devi un bel po’ di spiegazioni, Dia- fece Iris, socchiudendo gli occhi nel tentativo di imbastire uno sguardo intimidatorio, mentre si affrettavano lungo il corridoio.
 
 
 
-Non uccidermi, ti prego!- urlò terrorizzato il marine, strisciando indietro sui palmi, mentre il demone che lo aveva gettato a terra gli si avvicinava ghignando. Le fauci dell’essere, gialle, affilate e macchiate di sangue rappreso, emanavano un odore pestilenziale di carne in putrefazione, in grado di paralizzare anche un soldato dai nervi d’acciaio, figurarsi un semplice sottoposto. Un suono gutturale iniziò ad uscire dalla gola della creatura, per poi crescere di intensità fino a trasformarsi in una vera e propria risata agghiacciante. Tese un lungo artiglio verso il volto ormai cinereo dell’uomo, passandolo lentamente sulla sua guancia in una mortale carezza. Il buio della stanza lo avvolse definitivamente, mentre quella lama d’osso gli perforava il cranio, portandolo a gridare un’ultima volta.
-Non ti sembra di esagerare un po’ con le torture mentali, Alex?- domandò una voce in mezzo alle ombre, rivolgendosi al punto in cui si trovava il demone. -Macché, il buio accende le mie fantasie, devo trovare un modo di sfogarle!- rispose una seconda voce, stavolta femminile, seguita da una risata in tutto e per tutto simile a quella appena udita dallo sventurato marine, che ora giaceva immobile per via del terrore e del dolore immaginario alla testa.
Kaith emise uno sbuffo esasperato: la sua compagna di ciurma aveva una mente davvero perversa. Si chiedeva come facesse anche solo a concepire delle illusioni così dolorose e terrificanti, e quasi si sentiva in colpa di darle una mano a scatenare appieno il potere del frutto Night-Night. Quasi, però. In fondo, c’era qualcosa di affascinante nelle sue capacità e nella sua immaginazione, per quanto deviata e anticonvenzionale.
Per un attimo, gli venne da chiedersi se, quando ideava nuovi metodi per straziare il subconscio delle sue vittime, non si ispirasse ad incubi che faceva lei stessa, ma scacciò quel pensiero. Nessuno poteva aver vissuto esperienze così traumatizzanti da generare simili mostri nel sonno, si disse, mentre udiva un altro marine che implorava un mostro senza occhi e dalle dieci bocche, non meglio definito, di non cibarsi delle sue carni.
Il combattimento non andava avanti da molto, ma era chiaro che i due pirati, pur essendo in netta inferiorità numerica, potevano contare su due vantaggi: il fattore sorpresa e i loro poteri devastanti. Una volta giunti alla fine del tunnel di aerazione, avevano spalancato la grata che lo chiudeva, sbucando da una parete laterale e atterrando dritti in mezzo a un gruppo di ricercatori in abiti color sabbia. Questi si erano subito allontanati spaventati, mentre un altro gruppo, in camici bianchi, si dirigeva precipitosamente verso di loro. All’altezza del petto, si notava che portavano cucito sui vestiti il simbolo della Marina.
Come già avevano fatto quando si erano trovati a fronteggiare i cacciatori di taglie sull’isola disabitata, avevano poi combinato le loro azioni per far sì che Alex potesse attivare il proprio potere. Kaith aveva disteso le mani avanti a sé, concentrandosi; rapidamente, una specie di denso fumo nero aveva iniziato a sgorgare dai palmi, sibilando proprio come se si trattasse di un gas in espansione. Prima che i soldati potessero fuggire da quella inquietante sostanza potenzialmente venefica, ne erano stati completamente inghiottiti, e ben presto si erano ritrovati immersi nell’oscurità più assoluta. Era stato allora che la studiosa di bordo aveva iniziato a tormentarli con visioni raccapriccianti, riempiendo in breve la sala delle loro urla straziate.
Nel frattempo, i colleghi dei marine avevano circondato l’area di diffusione di quella nebbia scura, preparandosi ad attaccare qualsiasi cosa ne fosse sbucata. I gemiti dei loro compagni intrappolati li spaventavano, ma non si sarebbero arresi senza combattere: del resto, il loro compito era sorvegliare gli scienziati per controllare che svolgessero effettivamente il lavoro per cui venivano pagati, cioè sviluppare armi a base di vento, e che qualunque estraneo non autorizzato ad entrare nei laboratori fosse neutralizzato.
Dopo un po’, il buio iniziò a diradarsi, rivelando una decina di soldati a terra scossi dalle convulsioni, ancora preda degli incubi, e i due pirati in piedi in assetto di combattimento. -Ehi, Kaith, che ti prende? Perché hai smesso di produrre oscurità?- gli chiese la mora, sistemandosi gli occhiali. Non avendo più a disposizione le condizioni per usare il potere del frutto del diavolo, sarebbe stata costretta a combattere effettivamente; non che le dispiacesse (il nuovo coltello che aveva acquistato urgeva un collaudo), ma potendo scegliere ne avrebbe fatto a meno, perché così si sarebbe stancata maggiormente.
Il carpentiere scosse la testa. -Ho esaurito le energie- spiegò, corrugando la fronte. Il frutto che aveva mangiato apparteneva ad una categoria di paramisha piuttosto rara, il Rage-Rage, e consentiva di accumulare una quantità pressoché infinita di rabbia nel proprio corpo, per poi convertirla in un ben preciso elemento, nel suo caso l’oscurità; tuttavia, se le “scorte” di rancore andavano calando, i suoi attacchi diventavano sempre meno potenti e duraturi. In genere non ne faceva largo uso, si limitava a creare dei proiettili di ombra compressa con cui colpire i nemici, ma la tecnica ad area che utilizzava assieme alla sua compagna, per quanto utile, richiedeva molte più forze.
-Vuoi un incentivo ad arrabbiarti?- gli domandò sarcasticamente l’altra, alzando il pugno nella sua direzione. Le guardie, intanto, avevano già estratto delle specie di grossi ventagli, dai bordi affilati e presumibilmente rinforzati con un qualche tipo di metallo, preparandosi ad attaccare gli intrusi. -Non è così semplice la faccenda!- ribatté contrariato, stringendo i denti e fissandola in cagnesco, mentre da dietro la schiena estraeva la falce che di solito teneva nascosta sotto la sua giacca di pelle, pronta ad ogni evenienza. Con quell’arma in pugno, in aggiunta agli occhi sanguigni e alla cicatrice tra gli occhi, sembrava veramente un legionario dell’armata delle tenebre.
-Non credo che ce ne sarà bisogno, comunque!- Un’esclamazione fece voltare tutti verso l’ingresso del laboratorio, dal quale stavano irrompendo in fretta e furia quattro persone. Un fruscio sopra le loro teste portò un paio di soldati ad alzare lo sguardo, per poi venire accecati da una potente scarica elettrica, che li fulminò anche sul posto. Nel frattempo, Keyra, Diana, Shiro e, soprattutto, Iris, si muovevano rapidamente verso il centro della stanza, dove stava avendo luogo il combattimento.
-Bentornata tra noi, capitano!- la accolse Kaith, accompagnato anche da un cenno del capo di Alex, che intanto aveva estratto entrambi i suoi coltelli in attesa di una qualsiasi mossa da parte degli avversari. -Guardate, hanno preso in ostaggio un ricercatore!- avvisò uno di loro, indicando Shiro. Il ragazzo coi capelli rossi, da parte sua, aveva un’espressione che faceva pensare a tutto tranne che a un sequestro di persona. Anche i suoi colleghi, al vederlo così poco spaventato, gli rivolsero parecchi sguardi interrogativi.
-Sequestrato un corno! Lui adesso sta con noi!- replicò Diana, parandosi di fronte al gruppo, proprio tra i due schieramenti. Successivamente, rivolgendosi a tutti gli altri scienziati, aggiunse: -Da oggi non dovrete più sottostare agli ordini di questa gente, che vi ha solo manipolati per costringervi a servire i loro progetti bellici! Sarete liberi di continuare le vostre ricerche con scopi pacifici!-
Il capannello rimasto di uomini in camice da laboratorio si scambiò qualche occhiata perplessa. Tra di loro vi era anche Andrea, che cercò conferma di quanto detto dalla vedetta negli occhi di Shiro; il giovane gli rispose con un sorriso traverso, annuendo convinto. Nel medesimo istante, fecero il proprio ingresso nella sala anche Mirage, Rey e Naoaki. -Bene, pare proprio che siamo arrivati nel momento più opportuno- commentò il cecchino, sistemandosi meglio il cappellino sulla testa. Effettivamente, coi due schieramenti pronti ad affrontarsi, la loro comparsa sembrava proprio calcolata al secondo. -Merito del tuo piano, Naoaki, complimenti- si congratulò il vicecapitano, tirandogli una pacca sulla spalla. -Bravo- aggiunse Mirage, anche se il suo complimento era quasi un sussurro.
-Direi che ci siamo quasi tutti- fece Iris, contando i membri della squadra, -quindi, se questi gentili signori non hanno niente da ribattere, li inviterei a togliere il disturbo e a lasciar lavorare in santa pace i ricercatori, lasciando libera Kaze dalla loro presenza molesta- La mascella di tutti i presenti sfiorò terra non appena ebbe terminato la frase. Perfino Kahir pigolò interdetto. Cioè, stava veramente domandando cortesemente alla Marina di andarsene?
Una delle guardie, preso coraggio, avanzò di un passo, stringendo maggiormente la sua arma. -Non prenderemo mai ordini da un gruppo di pirati!- esclamò. -I risultati del progetto sulle armi a vento sono straordinari, e non abbandoneremo tutto ora solo perché voi fuorilegge ci minacciate, anzi, vi daremo un assaggio di quello che questi celeri servi del Governo hanno saputo creare!- aggiunse, seguito da un ruggito di approvazione dei suoi compagni.
I ricercatori, al sentirsi definire “servi del Governo”, ebbero un istintivo tremito, dovuto a un misto di repulsione per il termine e timore residuo per tutte le minacce che avevano subito nel corso degli anni da parte di quegli uomini se non fossero sottostati ai loro ordini. Paura che, però, andava scemando rapidamente, soprattutto vedendo che il più giovane e talentuoso di loro si era schierato assieme ai pirati.
-Andrea, prendi i dati delle sperimentazioni e porta tutti fuori di qui- ordinò proprio quest’ultimo, che poi era Shiro, calcandosi meglio la visiera del cappello sul capo e scostando un lembo del mantello, rivelando una serie di sfere di vetro simili a quella con cui aveva attaccato Iris e Keyra.
Il collega gli fece un cenno affermativo e, seguito dagli altri, cominciò a correre verso l’uscita. -Che pensi di fare, scusami?- gli domandò Rey, mentre il rosso si scrocchiava le dita. -Vi do una mano a proteggere la mia isola, che domande! La vostra amica Diana mi ha aperto gli occhi su un bel po’ di cose- gli rispose lui, sfoderando un sorriso a trentadue denti colmo di determinazione, almeno nelle sue intenzioni. Il vicecapitano scosse impercettibilmente la testa. -Guarda che potrebbe essere pericoloso…- lo avvisò, ma l’altro non volle sentire ragioni, continuando a tessere le lodi della loro occhialuta vedetta.
Rey diede un’occhiata alla ragazza. La sua pelle era tinta di varie sfumature bluastre in più punti, ma lei non sembrava darci molto peso; anzi, le placche ossee da armadillo della sua forma ibrida le stavano già coprendo le braccia e la fronte, mentre le unghie si allungavano preparandola al combattimento. Tuttavia, non gli sfuggì una passeggera smorfia di dolore che le attraversò il viso. Dovevano averle dato una bella scarica di botte, pensò, sentendo la rabbia montare dentro di sé.
Anche lui iniziò a trasformarsi nella sua forma ibrida: due teste canine dagli occhi neri gli spuntarono dai lati del collo, mentre la sua statura aumentava in maniera imponente; dalle mani gli spuntarono artigli affilati come rasoi, mentre un ringhio si faceva strada nella sua gola. Lo scontro stava per avere inizio, e lui ne era impaziente.
Fu un marine a lanciarsi all’attacco per primo, mulinando il ventaglio gigante che portava con sé e scagliando una lama di vento verso Keyra, che la parò abilmente con Angel. In un attimo, la sottile ed invisibile linea che separava i due schieramenti fu spezzata, mentre la ciurma si lanciava all’arrembaggio, accompagnata da Shiro.
Il ragazzo non se la cavava affatto male in combattimento: aveva infatti estratto a sua volta un ventaglio bordeaux scuro, di un colore molto simile ai suoi capelli, e si stava dando da fare con quello, prevalentemente usandolo come scudo contro i colpi avversari. Quando però notò che un consistente gruppo gli si stava avvicinando, probabilmente per punire il suo manifesto tradimento, decise di sfruttare una delle tante armi che avevano sviluppato al laboratorio nel corso degli anni.
Da sotto il mantello prese un secondo ventaglio e una sfera di vetro, che scagliò a terra con forza. Questa, rompendosi, sprigionò una serie di raffiche di vento talmente violente da colpire i soldati proprio come una pioggia di lame affilate, ferendoli; Shiro, dal canto suo, non subì invece il minimo danno, poiché si era fatto scudo con entrambi i ventagli contemporaneamente. -Notevole- commentò Diana, avvicinandoglisi mentre menava un fendente contro un altro marine, -hai creato una tecnica difensiva efficace quasi quanto la mia “Defence Ball”… Credo che la chiamerò “Scudo della Vongola Bivalve”!- L’altro rise di gusto alla battuta, prima di rimettersi in assetto di combattimento. Non potevano permettersi distrazioni.
Intanto, anche il resto della ciurma si stava dando da fare. -Ehi, Nao- richiamò l’attenzione Keyra, mentre evocava un vortice per scacciare due nemici che l’avevano attaccata (del resto, come si disse, chi di aria ferisce…). Il cecchino, che stava colpendo in maniera estremamente precisa ogni avversario che gli capitava a tiro con le sue fidate pistole, le fece cenno che la stava ascoltando. -Dove sono Greta, Ellesmere e Mark?-
-Dovrebbero arrivare a momenti- rispose, sparando un colpo a un soldato che tentava di colpire Mirage, già occupata in un altro attacco. -Le ragazze hanno creato un diversivo sull’altra sponda del lago per permetterci di entrare inosservati, mentre Alex e Kaith ci sgomberavano la strada qui sotto- aggiunse, indicando i due impegnati a darsi da fare nel combattimento, chi coi coltelli e chi con la falce. -Mark invece era andato di sopra per liberare te, Iris e Diana, dato che supponevamo vi avessero imprigionate, ma quando troverà le celle vuote ci raggiungerà-
-Va bene- concluse la bionda, tornando a concentrarsi sulla lotta. Non sembrava particolarmente ardua, pur essendo pochi potevano vincere facilmente. Tuttavia, essendo così coinvolti, nessuno si era accorto che dallo scenario di battaglia mancava un tassello fondamentale, di nome Caleb Ayr.

 

 

Angolo dell’autrice (rediviva che a confronto Di Caprio è un novellino)
 
Ragazzi e ragazze, sono imperdonabile e lo so.
Quando dicevo che non avrei pubblicato con regolarità, immagino che nessuno di voi si aspettasse che sparissi per più di tre anni… Devo confessare che non era mia intenzione, e per questo mi scuso dal più profondo del cuore. Mi scuso perché avevo detto di tenere a questa storia, ma il lungo silenzio potrebbe far pensare che in realtà fosse solo un modo per guadagnarmi la vostra fiducia. Beh, non è così. Io tengo veramente a questa storia, e spero che il mio ritorno ve lo dimostri, ammesso che decidiate di seguirmi ancora. Mi appello però alla vostra comprensione, perché sono stati tre anni veramente difficili per me per vari motivi.
In primis, la scuola. Dicono che il triennio di liceo è impegnativo e non mentono, perché tra compiti e studio non ho più avuto un attimo di respiro; ho pure dovuto abbandonare lo sport che facevo, quindi… Ma immagino che chi c’è ancora dentro sappia cosa ho passato ^-^” E per la cronaca, l’esame di maturità non è così brutto come lo dipingono. Adesso che mi sono unita al dorato mondo degli universitari pendolari, mi sono accorta che durante i trasferimenti, intervallato allo studio, si ha molto tempo per riflettere e ricordarsi di cose che si erano lasciate in sospeso. Try to guess what I’m referring to ;)
In seconda sede, mi sono successe parecchie cose a livello personale, ma sinceramente ve le risparmio. Delusioni da parte di persone che credevo amiche, tracolli emotivi, uno stato di semi apatia da emarginazione… Cose di routine, diciamo, ma ehi, che ci volete fare, è la vita. Diciamo solo che scrivere non rientrava tra i miei primi pensieri.
E per finire, il terzo, cruciale punto: la mancanza di ispirazione. Qui mi sento di dover precisare una cosa, però. A parte essermi un po’ incasinata con la trama della storia (e questo capitolo lo dimostra), ho avuto un vero e proprio blocco dello scrittore, del tipo che sapevo cosa doveva succedere nella vicenda, ma quando provavo a scriverlo non sapevo come farlo succedere, e così la bozza di questo capitolo fino all’inizio dell’incontro tra Diana e Shiro è rimasta a prender polvere per tutto questo tempo. Qualche tempo fa, però, mi è tornata voglia quantomeno di rileggere la storia (ogni tanto mi piace revisionare i miei lavori), e nel contempo ho ricevuto una recensione e un messaggio da parte di Keyra Hanako D Hono (la “madre” di Keyra XD), che mi domandava mie notizie. Devo ringraziare la persona in questione, perché è stata la spinta decisiva di cui avevo bisogno, quindi il capitolo lo dedico a lei.
 
Chiusa la parentesi pateticamente emotiva di spiegazioni, passiamo alla storia… Ok, mi sono incasinata la vita, ma penso che il nome del capitolo, “Fronti molteplici”, parlasse già chiaro. Se non bastavano i tre scenari già aperti (Diana da una parte, Iris e Keyra da un’altra, il resto della ciurma in una terza), se ne sono aperti altri tre (Kaith e Alex, Ellesmere e Greta, e Mark per conto suo… tra l’altro, secondo voi perché non è ancora tornato? Si accettano ipotesi…). Ma tranquilli, ho la situazione perfettamente sotto controllo… Almeno credo ^-^”
Allora… Direi che ho finito. Mi scuso ancora e cercherò di essere più regolare nell’aggiornare, o almeno di non sparire per altri tre anni. Se vorrete ancora seguirmi, vi sarei grata se mi lasciaste un parere, del resto è passato tanto di quel tempo dall’ultima volta che ho messo piede su EFP che saranno cambiate parecchie cose, o magari no. Un saluto a tutti e arrivederci (non dico “a presto” perché porta male),
 
Swan
 
P.S. (giuro che è l’ultima cosa): volevo chiedervi il permesso, eventualmente, di pubblicare questa storia anche su Wattpad. Per chi non lo conoscesse, è una piattaforma online per libri di ogni genere, un po’ più ampia di EFP. Vi domando l’autorizzazione, anziché prendere iniziative personali, perché comunque questa storia l’avete fatta anche voi, in quanto detentori dei diritti per i vostri personaggi. Perciò fatemi sapere! ;)
  
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