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Autore: Applepagly    04/03/2018    4 recensioni
Il riposo è solo un pretesto per nascondere un segreto, una festa è l’occasione per svelarlo. La battaglia è finita ma non è mai finita davvero, e il male non è fuori ma dentro le mura... inizia la ricerca di ciò in cui è difficile credere. Inizia la ricerca del bello.
Genere: Commedia, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bloom, Nuovo personaggio, Tecna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Merry-go-round'
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XV
 
Why would bliss make us blush
When it keeps us alive
Dinard, Iwan Rheon
 

Faragonda era sempre stata una delle più eccezionali fate in circolazione.
Addirittura, pareva che in gioventù lei ed altre sue coetanee avessero ideato incantesimi e sortilegi innovativi, filtri magici dalle proprietà strabilianti. La capacità di inventiva, insomma, non le era mai mancata; l’unico campo in cui la sua immaginazione sembrava venir meno erano le punizioni.
Sembrava infatti ormai decreto, in quella scuola, relegare a svolgere le pulizie quelle poche studentesse che avevano la malaugurata idea di combinare qualche guaio e farsi scoprire; proprio come nel caso delle Winx.
Quella volta, però, la preside aveva addirittura voluto che fossero le ragazze stesse a procurarsi il materiale necessario, nonostante la cittadina di Magix non fosse poi così fornita di negozi di detersivi e ramazze – per ovvie ragioni.
All’alba di quella tiepida domenica, le cinque fate e Looma si erano catapultate fuori dalla scuola alla ricerca dell’occorrente, nel disperato tentativo di rinvenire qualcosa. Tecna aveva subito scansionato il perimetro dell’intera metropoli, localizzando facilmente tre negozi di quello che aveva definito “arsenale” per far risplendere le scalinate del collegio.
A Flora e Bloom era toccato quello in periferia, in un qualche vicolo sperduto e piuttosto losco che, alle sette del mattino, non sembrava esattamente il luogo migliore in cui delle ragazze potessero trovarsi. Era poi curioso come quel negozietto sorgesse proprio in un’area tanto malfamata e come fosse uno dei pochi ad ergersi ancora intatto in mezzo a tanti edifici dalle finestre sprangate.
Guardandosi con circospezione, le due ragazze mossero qualche passo incerto in direzione di quel piccolo casolare dai mattoni rossi, aspettandosi di vedere qualche malfidente sbucare da un momento all’altro. Furono rapide ad infilarsi là dentro.
La signora che stava oltre al bancone non doveva avere meno di una sessantina d’anni, e pareva tuttavia una di quelle vecchine che Bloom aveva spesso visto nei film, quelle pronte a far pentire qualsiasi malintenzionato a suon di borsettate. Borbottò qualcosa a proposito di una delle sue assistenti, che era evidentemente in ritardo.
«La licenzierei in tronco, quella smorfiosetta… se solo non fosse l’unica in grado di tenere testa alla gente che si vede da queste parti» disse, più a se stessa che non alle clienti. «Andate sul retro; di fronte c’è una rimessa degli attrezzi tutta rovinata da quelle maledette pitture che a voi ragazzi piacciono tanto. Scegliete quello che meglio si adatta alle vostre esigenze… spero che non ruberete nulla. Normalmente è la mia assistente ad accertarsene…»
«Io prendo i detersivi, intanto» disse Flora all’altra.
Bloom annuì; si fece coraggio e si decise ad uscire di lì. La nonnetta aveva minimizzato un po’ la realtà delle cose: la rimessa – sempre che quella che si intravedeva in lontananza corrispondesse alla descrizione – era oltre un paio di edifici.
Okay… insomma, sono una fata. Posso difendermi.
Con uno scatto corse in direzione del capanno variopinto, l’adrenalina che le martellava il cuore e le orecchie; cercò di sbrigarsi ad aprire i diversi lucchetti con la chiave magica che la proprietaria le aveva lasciato, premendo immediatamente l’interruttore della luce come fu dentro.
Afferrò le prime cose che trovò, intenzionata a rimanere lì il meno possibile.
Ma tu guarda se qui ci dovevamo venire proprio io e Flora…
Con una serie di ramazze tra le braccia e le gambe, e diversi secchi che teneva a mo’ di borsette, si precipitò fuori e smanettò nuovamente con i lucchetti. La sua goffaggine era naturalmente amplificata dalla quantità di “arsenale” che aveva con sé.
«Ehi ragazzina, che ne diresti se ti dessi una mano?»
Una voce beffarda, maschile, la fece trasalire.
Si voltò, legnosa e macchinosa come un robottino, cercando di mantenere di fronte allo sconosciuto quella fierezza che tentava di ostentare dinnanzi al pericolo. Aveva davanti un ragazzo dal volto talmente luminoso e liscio che pareva quasi un metallo purissimo cesellato con la maestria di un artigiano; due occhi, profondi e scuri come niente che lei avesse mai visto prima, spiccavano in mezzo a tutto quel candore.
Ma chi era? E cosa ci faceva lì a quell’ora del mattino?
«Che ci fa, uno zuccherino come te, in un posto del genere?» le domandò.
«Potrei farti la stessa domanda» ribatté, esitante.
Quello rise e le tese una mano, offrendosi di aiutarla. Bloom fece un timido passo indietro; perché le unghie del ragazzo erano pregne di sangue e c’era qualcosa, nel suo sorriso, che non la confortava, non la confortava per nulla.
«Che c’è, lo zuccherino ha paura?» la prese in giro.
«Levati dai piedi»
Era stata una voce alle loro spalle, a dirlo.
Per qualche istante, la fata rimase con gli occhi fissi nel vuoto, persi nel tentativo di identificare quel timbro che aveva sentito tante volte e che, nonostante tutto, stentò a ricordare lì per lì. Si volse e tutto fu chiaro.
Non avrebbe saputo dire con esattezza cosa avesse provato in quel momento.
Un turbine di emozioni si erano affollate nelle regioni più remote del suo cuore e della sua mente; memorie di sofferenza che quella voce aveva impartito e che aveva anche subito. Memorie di uno sguardo glaciale ed impenetrabile, proprio come quello che la nuova venuta rivolgeva ora a quel ragazzo.
«Icy, vuoi unirti alla festa?»
«Levati dai piedi» gli ripeté, freddamente.
Come Bloom si specchiò in quegli occhi felini e vivi come la neve, qualcosa sembrò turbarli per una frazione di secondo. Non avrebbe mai più visto Icy, da quel momento in poi; eppure, per tutta la vita, non avrebbe potuto fare a meno di domandarsi che cosa avesse momentaneamente smosso l’animo della strega durante quell’incontro.
Sapeva che non era stata gratitudine, né niente che potesse considerarsi del tutto positivo; perché, nonostante quello che era accaduto tempo addietro, le Trix sarebbero sempre rimaste le Trix: meno legate ad una consistente fetta del loro passato, ma comunque ambiziose e con saldi – seppur contorti – principi, radicati nelle loro menti impenetrabili.
Quel contatto durò poco, e fu tuttavia sufficiente perché entrambe ne serbassero ricordo per sempre; come di un incontro casuale e, allo stesso tempo, in qualche modo provvidenziale perché ciascuna potesse finalmente chiudersi una porta alle spalle.
«Guarda che deliziosa ragazzina ho trovato lungo il mio cammino. Sembra talmente spaurita…» insistette il ragazzo.
Dovevano avere una certa confidenza, se lui si permetteva di infastidirla in quel modo con le sue chiacchiere e se Icy non provava l’impulso di renderlo una bellissima statua di ghiaccio.
«Va’ a lavarti quelle mani, invece di stare qui nel futile tentativo di adescare una mocciosa» replicò, senza battere ciglio.
Quello sbuffò. «Sai che mi sanguinano, quando fa freddo. Quando arrivi tu, poi, la temperatura si abbassa» cercò di fare un po’ di spirito.
La strega non lo guardò nemmeno, allontanandosi da loro.
«Ehi, Icy» la chiamò. «Penso che la megera licenzierà tua sorella; è in ritardo di nuovo»
Lei voltò il capo lentamente, assumendo un’espressione che quasi scalfiva il velo di indifferenza che era solita indossare. Sembrava un’occhiata quasi esasperata.
«Comunque, è stato un piacere, zuccherino» continuò, rivolgendosi a Bloom ed abbozzando uno strano inchino. «Potresti passare di qui più spesso»
Senz’altro.
La fata vide la figura di Icy allontanarsi sempre più, fino a che non divenne solo un pallido puntino in mezzo agli edifici ancora immersi nell’ombra di un Sole che tardava a fare la propria comparsa.
 
Tecna sospirò e svoltò l’angolo, seguita dalle altre. Ormai conosceva il ripostiglio dove venivano conservate scope e quant’altro, perciò fungeva da guida.
Due punizioni collezionate nel giro di qualche mese.
Spero che non influiscano sulla valutazione finale…
«Che esagerata… alla fine non le abbiamo detto niente perché non c’era tempo. Sì, insomma…» sbuffò Musa. «E poi punire anche Looma mi sembra un’idiozia. Dopotutto lei non ha chissà quale colpa»
La diretta interessata abbozzò un sorriso, prendendo una scopa tra le mani. «Mi piace pulire e fare ordine… anche se non l’ho mai fatto, senza magia»
«A proposito di pulire… che fine ha fatto lo stanzone sotto Fonterossa che abbiamo usato per la festa?» chiese Bloom.
«Oh, non ci ho proprio pensato… non lo so. Non ne ho più parlato con i ragazzi, ma magari lo possiamo riutilizzare» considerò Looma. «Per ritrovarci tutti insieme»
«Ma questa volta niente feste o mostri, eh?» fece la fata del fuoco. «Potremmo usare i passaggi che collegano le tre scuole. Sarebbe un’idea carina»
«Per intanto penso che dovremmo occuparci di ramazze e sapone. Immagino sarà necessario spartirsi le aree di cui ci occuperemo» fece Tecna, chinandosi per afferrare un secchio. «Siamo in sei, perciò due potrebbero occuparsi dell’ala est, due della ovest e le ultime del cortile»
«Io in cortile!» esclamò subito Stella. «Almeno oggi c’è il Sole»
«Allora io nell’ala ovest, lontano da luci e rumori» borbottò Musa.
Bloom rise. «Davvero vuoi occuparti dei dormitori?»
L’altra si strinse nelle spalle, prendendo ramazza e bacinella e trascinandosi per le scale. «Vengo con te» fece Tecna. «A dopo»
«Chi viene con me, invece?» continuò la principessa, guardando sdegnata l’arsenale delle pulizie. «Flora, a te piacciono i fiori, no? Potresti occuparti di quelli»
Quella annuì, pur sapendo bene che, alla fine, si sarebbe dovuta occupare quasi dell’intero cortile – Stella avrebbe tentato di fare qualcosa all’inizio, ma poi si sarebbe stufata e avrebbe fatto appello al suo status di principessa.
«Hai molta dimestichezza con queste cose?» domandò Looma a Bloom, quando le altre si furono allontanate.
Lei annuì. «Sulla Terra si pulisce così. Alan e Sem non te lo hanno raccontato?» scherzò. «In un certo senso, alla fine è più gratificante»
«Credi che le abbiano mai fatte, le pulizie? Cioè, oltre a quando abbiamo sistemato il salone di Fonterossa» chiese, armandosi di scopa e buona volontà. «Che io ricordi, Al è tremendamente confusionario… è così fin da quando eravamo piccoli e l’unica volta che io l’abbia mai visto cercare di mettere in ordine qualcosa è stata per la festa»
Scelsero un corridoio e poi iniziarono. Looma se la cavava piuttosto bene, anche se non si era mai cimentata in nulla del genere, prima di allora.
«Com’erano, da piccoli?» si azzardò a domandare Bloom, dopo un po’.
«Simili a come li vedi adesso, per certi aspetti» rispose lei, fermandosi.
Si specchiò nella superficie limpida dell’acqua e, senza che nemmeno se ne accorgesse, un sorriso nostalgico prese rapidamente posto sul suo viso.
«Sem era abbastanza schivo anche allora. Parlava un po’ di più, forse… in realtà parla anche adesso, ma solo con le persone con cui ha assunto abbastanza confidenza; tipo te» continuò. «Sì, non guardarmi con quella faccia. Nemmeno con Vesela era così»
Un nome che aveva sentito spesso; ora un paragone. Non le piaceva.
«Forse con Vesela era diverso…» disse infatti.
L’altra scosse la testa, immergendo la scopa nel secchio. «So cosa pensi. Era diverso, certo; ma era diverso perché lei era diversa e non “migliore o peggiore”» fece. «Era un affetto diverso. Sem aveva bisogno di lei e delle sue sicurezze; aveva bisogno di ricevere… le cose sono diverse, per come siete»
Bloom tacque, sospirando impercettibilmente. Sollevò il tappeto che percorreva il corridoio, prendendo a spazzare anche lì.
«Alan, invece, era diverso, per certi aspetti» proseguì Looma, ridacchiando. «Parlava già molto, ma era più solare. Con il tempo e con quello che è successo si è inasprito un po’»
«E lo preferivi prima?» chiese la fulva, combattendo con la stupida stoffa rossa che non voleva schiodarsi dal pavimento.
La mora si concesse qualche istante per riflettere; lo preferiva per come era da bambino? «Non lo so. Non m’importa, in realtà» ammise, un po’ a malincuore.
Bloom abbassò lo sguardo e si scusò. Non avrebbe dovuto porre una domanda così indelicata. «Come faremmo, senza il suo sarcasmo?»
Risero entrambe, e lei l’abbracciò.
Non doveva essere facile convivere con la consapevolezza di non poter sperare nemmeno in un miracolo, di vedere la persona che si amava volare via da sotto i propri occhi, sospinta dall’affetto di qualcun altro.
Non era semplice per nessuno, specie per Looma; per il fatto di essere sempre stata accanto ad un amico per cui provava un bene così genuino, da accettare di essere sempre lì, anche quando si struggeva per un sentimento non corrisposto, o per la semplice scoperta di essere in qualche modo diverso.
Tuttavia, forse, lei avrebbe imparato a lasciarlo andare, proprio come lui stava facendo con quella sua amica di infanzia con cui trascorreva ore a ciarlare degli argomenti più disparati. Alan stava cambiando, stava comprendendo di non doversi etichettare come “strano” o “diverso” solo perché quella era l’idea che gli sciocchi avevano di lui.
Ne aveva avuto prova, no? Brandon non aveva mai cercato di allontanarlo solo in virtù di quello che non riusciva a corrispondere; non aveva mai tentato di perdere la sua amicizia soltanto perché non gli piacevano le ragazze. E così anche gli altri del gruppo.
Forse, il giorno in cui Alan avesse lasciato tutti i suoi dubbi, la sua amicizia con Looma si sarebbe evoluta e lui si sarebbe potuto rivelare di conforto per lei.
«Alla fine, quando siamo insieme, è lo stesso di prima più spesso di quando è con Sem. Mi chiedo come Aibao possa sopportare la sua acidità» rise. «Se a questo aggiungi la gelosia malcelata di Sem per il suo fratellino, quel ragazzo uscirà di testa. Ma forse ora il taciturno dei due gemelli ci darà un taglio… ha cose più importanti, a cui pensare»
«Del tipo?» fece Bloom, accingendosi a passare lungo i vetri uno straccio inumidito.
Ebbe appena il tempo di posarvi la mano, perché subito un rumore improvviso la fece indietreggiare per lo spavento ed incespicare tra i secchi d’acqua lì vicino. Li rovesciò e cadde a terra, i pantaloni fradici dalle ginocchia in giù e Looma che rideva.
Si massaggiò il fondoschiena e, appena si ripeté lo stesso suono di prima – che dedusse essere frutto dell’attrito di un sasso contro il vetro – s’alzò e, con fare minaccioso, spalancò la finestra.
Stava per ringhiare contro il malaugurato che aveva osato tanto, quando un sorriso da schiaffi ed un paio di occhi argentei e familiari le fecero dimenticare tutti i suoi propositi bellicosi.
«Bloom può scendere a giocare?»
 
Stella non amava prendersi il merito delle vittorie e… beh, in realtà lo amava eccome, specialmente in quei casi; ma doveva ugualmente riconoscere l’innata abilità della diretta interessata di non fare assolutamente nulla – nemmeno affannarsi dietro abiti e trucco, come faceva lei (posto che poi ne avesse davvero bisogno) – e riuscire ad attirare l’attenzione di un burbero e frigido ragazzo che, come la storia di Alfea insegnava, aveva respinto più di una mezza dozzina di ragazze, da che aveva iniziato a frequentare l’accademia di Fonterossa.
Distese le gambe, seduta com’era lungo il bordo di un’aiuola che Flora stava innaffiando. «I miei piani riescono sempre alla perfezione» annuì a se stessa, stiracchiandosi.
L’altra sbuffò appena, lanciandole un’occhiata seccata che, ovviamente, la principessa ignorò. «I tuoi piani prevedono anche di darmi una mano?» fece, senza però sperarci troppo.
Infatti quella scacciò la sua proposta agitando la mano. «La mia mente ha lavorato troppo e ha speso tutte le sue energie nella progettazione di quest’affare, per potersi affaccendare con queste cose da popolani»
«Popolana o no, sei in punizione anche tu. E poi non ti serve il cervello, per rastrellare le foglie» fece notare.
«Oh, come sei noiosa, Flora… lasciami ammirare la scena in serenità. Dopotutto, il merito è anche mio» sorrise, scorgendo in lontananza Bloom, che attraversava il cortile con fare incerto.
Conosceva i suoi polli, e sapeva che quell’espressione imbarazzata nascondeva solo un grande sorriso che la sua amica non voleva lasciar andare.
Stella era contenta dal profondo del suo cuore.
Ricordava bene quando, il giorno in cui Bloom era scomparsa da Magix e le loro vite avevano assistito alla morte di altri, lei aveva domandato a se stessa come fosse possibile ritrovare la serenità dopo tanta sofferenza.
Si era chiesta se quella fata un po’ impacciata e timida sarebbe mai riuscita a vivere con la stessa spensieratezza di un tempo. La principessa non aveva mai voluto appiopparle un fidanzato o qualcosa del genere, perché sapeva che non lo avrebbe voluto e che, soprattutto, non le sarebbe stato necessario.
Non aveva mai voluto che Bloom trovasse l’amore della sua vita o sciocchezze simili solo perché aveva perso qualcuno di caro. Avrebbe solo desiderato che riuscisse ad affrontare le giornate come prima, come avrebbe fatto una qualsiasi ragazza che sospirava per una cotta, per i compiti in classe andati male, per un litigio con un’amica.
A lei più che a chiunque altro aveva augurato di ritrovare tutto questo; ed ora – ora che Sem era lì e che stavano seduti all’ombra, parlottando tra loro, immersi in un mondo che non apparteneva a nessun altro – sapeva di esserci riuscita.
Certo, forse non le era riuscito di soddisfare tutti i suoi buoni propositi; come cercare di riallacciare un qualche tipo di rapporto civile con Alan… ma, dopotutto, forse le cose stavano bene così. Forse, pensò, non era possibile risultare simpatici a tutti.
Però era soddisfatta. Adorava il lieto fine.
«Adoro il lieto fine» disse infatti a Flora.
«Se davvero adora il lieto fine, signorina Stella, farebbe bene a mettersi al lavoro, invece di stare qui a cincischiare» la fece sobbalzare la voce della vecchia megera. «Deduco che lo stesso valga per la signorina Bloom. La punizione non dev’essere stata abbastanza dura, se prova l’irrefrenabile impulso di affrontare con negligenza i suoi doveri per conversare con un allievo di Fonterossa»
Stella rivolse una linguaccia a Griselda non appena l’ispettrice si voltò; e Flora rise.
Sì; adorava il lieto fine.
 
«E anche oggi è andato…» annuì Musa, stremata.
Le luci improvvisamente cupe ed il venticello sottile che s’insinuava attraverso le fessure delle finestre erano messaggeri della giornata ormai volata alle loro spalle. Una lunga domenica massacrante, così come massacranti si prospettavano i giorni a seguire.
Per di più, il compito di Galateo si era rivelato un disastro; aveva risposto peggio alle domande per cui pensava di essersi preparata. Paradossalmente, Bloom aveva ottenuto risultati migliori pur avendo studiato poco e niente.
Sbuffò tra sé e sé pensando che, oltre alle settimane che avrebbero trascorso in punizione, si sarebbero aggiunte le nottate insonni nel tentativo di colmare le lacune in quella stupida materia.
«Riflettevo…» iniziò Tecna. «Cosa credi che ne sarà, del nucleo? Dei nuclei» domandò. «Gli spiriti che erano imprigionati nell’uno e nell’altro sono morti e liberi, ma… non mi convince e non-»
«Tecna» la interruppe. «So che ormai è l’abitudine e che è difficile fare altrimenti, ma… almeno per oggi, non ti martoriare. Ci penseremo dopo»
Ripose ramazza e secchio, comprimendosi poi lo stomaco appena lo sentì lamentarsi.
«Forse dovresti… distrarti un po’. Chiedere a qualche ragazzo di uscire, magari. Non per forza Timmy, se non ti piace. Anzi, credo che dovresti dirglielo… penso che si faccia molti castelli per aria» continuò. «Oppure potremmo uscire con le altre»
«Forse hai ragione, dopotutto» ammise, chinando il capo. «Vado un attimo in camera»
«Non scendi a cena?» le chiese.
Scosse brevemente la testa, massaggiandosi poi le tempie. «Forse tra un po’. Prima credo che farò una cosa. Una telefonata»
«Chiedi a qualche ragazzo di uscire?» domandò, allontanandosi.
L’altra si concesse qualche istante per riflettere. «Non nella tradizionale accezione del verbo “uscire”»
Musa sospirò, sorridendo. Si strinse nelle spalle, percorrendo le rampe di scale.
Ora Tecna era sola.
La sua migliore amica aveva detto bene: era arrivato il momento di distrarsi e, allo stesso tempo, assumersi le proprie responsabilità.
Non perse un minuto; nella penombra della stanza che divideva con l’altra, chiamò il cellulare con un incantesimo. Con le mani che tremavano, cercò il suo numero di telefono in rubrica e si concesse un profondo respiro agitato prima di digitare il numero.
In un attimo, la mente proiettò immagini dell’estate precedente, e si immerse per qualche istante nel nostalgico ricordo di quelle brevi e forti emozioni che aveva provato nello spazio di pochi giorni. Attese con il cuore in gola; perché, anche se ormai lo considerava un capitolo chiuso, aveva bisogno di sapere e di parlare.
«Pronto?» era un tono piacevolmente sorpreso, il suo; le era quasi sembrato di sentirlo sorridere e sospirare dall’altro capo del telefono. «Tecna?»
«Ciao, Brandon. Vorrai scusarmi se ti disturbo a quest’ora…» iniziò, richiamando tutte le nozioni che conosceva circa i convenevoli che si supponeva tirasse in ballo in quelle occasioni. «Stavi… cenando?»
«A dire il vero no» udì un clangore metallico fare da sottofondo alla voce del ragazzo. «Sono di ritorno dalla stalla dei draghi. E tu?»
«Noi… abbiamo concluso la nostra prima dose di pulizie, per oggi»
Brandon rise. «Oh, Stella mi aveva detto che Faragonda non ha fantasia, ma non pensavo fino a questo punto… sarai stanca» fece. «E anche preoccupata»
Tecna si accigliò. «Preoccupata?»
«Non mi hai mai telefonato, prima d’ora. Hai bisogno di qualcosa?» ah, ora capiva.
Dopotutto, era vero: quando mai, a parte che per il Soldì, l’aveva contattato o gli aveva rivolto la parola per qualcosa che non avesse a che fare con ricerche e quant’altro? Sgranò gli occhi, forse capendo per la prima volta come interpretare quella strana sfumatura che Brandon – come molti altri – sfoggiavano quando parlavano con lei e le facevano notare alcuni dettagli.
Era delusione.
«Mi dispiace» ammise.
«Ti dispiace?» ridacchiò lui. «E di cosa?»
Di non essere capace di comportarmi come chiunque altro e di dare l’impressione di essere così fredda. Sono davvero così insensibile?
«In effetti, avrei bisogno di qualcosa» cambiò discorso, avvertendo la propria determinazione venir meno. «Vorrei che mi ascoltassi»
Brandon tacque, non capendo il perché di quella richiesta. Non era sempre funzionato così, tra loro?
«E vorrei che non ne parlassi con Stella. Glielo dirò io stessa» continuò.
«Okay…» c’erano molte cose che non capiva, di Tecna.
In verità, erano molte le cose che Tecna stessa non capiva di sé. In primo luogo, non comprendeva che cosa l’avesse spinta a compiere qualcosa che, in un momento meno irrazionale di quello, avrebbe senz’altro riconosciuto come una follia vera e propria.
Era stato un gesto impulsivo, non premeditato; una decisione su cui avrebbe riflettuto a lungo, in altre occasioni.
Eppure, le parole di Musa avevano innescato uno strano meccanismo, e quella scelta avventata le permise di liberarsi una volta per tutte da un fardello che, forse, le avrebbe impedito di trovare quella spensieratezza di cui sentiva il bisogno.
Quella sera fu in grado di spiegarsi, di trovare le parole e così di aprire il suo cuore e rivelare a Brandon tutto ciò che le era passato per la testa ai giorni della loro missione; e quella liberazione le permise di chiudere la telefonata con un sorriso, serena.
Quella sera, Tecna conobbe lo Charmix e, con esso, la meraviglia e l’incanto di quella splendida magia che era la genuinità, il saper esprimere ciò che si aveva dentro senza freni, senza esitazioni.
Conobbe la stessa bellezza che aveva investito Musa, poco tempo prima, quando le era riuscito di rompere quella barriera di silenzio. Talvolta si sorprendeva di quanto fossero simili per molti aspetti.
E ne era segretamente contenta, perché era l’unica che riuscisse a comprendere un po’ di più. Per il breve periodo in cui non si erano parlate, aveva avvertito un perenne groppo alla gola e la consapevolezza di aver lasciato indietro qualcosa di importante.
Si domandava se anche per lei fosse stato lo stesso.
Quando si decise a scendere nella sala grande, molto più tardi, non poté fare a meno di nascondere il largo sorriso che le illuminava il volto.
Alcuni tavoli erano già sgomberi, ed individuò le sue amiche più facilmente. Come Flora la vide, le fece cenno di raggiungerle.
«Ma dov’eri finita?» chiesero.
«Avevo un’importante telefonata da fare» tagliò corto, senza smettere di sorridere.
«Cavolo, dev’essere stata sensazionale, se sei di quest’umore. Ma avete visto la sua faccia?» commentò Stella, incredula.
«Forse è solo contenta di aver evitato la purea di rose» sospirò Bloom. «Pesante da digerire»
Chiacchierarono e, per tutto il tempo, quella luce non smise di illuminare il viso di Tecna. Un clima di ristorata serenità andava via via consolidandosi e, mentre masticava, anche la fata della musica provava l’inconscio impulso di sorridere.
Ricordava quella giornata di mesi prima quando, dopo essere stata a Fonterossa, il vento aveva sussurrato al suo orecchio e le aveva promesso tutto ciò che poi, in fin dei conti, si era realizzato.
Aveva promesso novità, inquietudini e spensieratezze. Le aveva promesso la possibilità di trovare una giostra il cui premio corrispondesse allo sforzo, una giostra con cui potesse baloccarsi.
Quella giostra, in realtà, Musa l’aveva sempre avuta; era solo stata troppo cieca per accorgersene; ma quello che il racconto di Bloom aveva sortito in lei era stato così totalizzante e forte da rianimare la sua capacità di vedere la meraviglia e le bellezze.
Tutte quelle cose che le avrebbero permesso di sopportare i momenti infelici, le tristezze, la rabbia. Lo aveva sempre saputo, no?
Talvolta, cercare il bello in maniera ostinata fa dimenticare di averlo sotto gli occhi, come nel suo caso; altre volte, come per quell’anima sottratta a se stessa ed imprigionata per secoli in un nucleo, si ha ben chiaro quel che si ama, ma si sceglie il mezzo sbagliato per ottenerlo.
Non era stato lo stesso per le Trix, per Icy? Non aveva agito solo in virtù di quello che l’avrebbe fatta sentire viva?
Non era finita, a differenza di quello che dicevano le ragazze.
Musa sapeva perfettamente – come Tecna, che già prendeva in considerazione ogni eventualità – che altri pericoli si sarebbero presentati, prima o poi, ed altre insidie avrebbero forse approfittato di un loro momento di debolezza per instillare i semi della discordia.
Sapeva bene che altri avrebbero perso di vista la loro bellezza, o avrebbero abbracciato i mezzi errati per raggiungerla; ma non poteva che augurare loro di ritrovarla.
Non importavano gli sforzi che avrebbero dovuto fare per contrastare quel buio che, presto o tardi, si sarebbe nuovamente abbattuto su di loro; l’oscurità, forse, cercava solo un po’ di luce, dopotutto. Lei avrebbe fatto di tutto, per darle ciò che cercava, ciò che amava.
Non era finita, non sarebbe mai finita; ma ora, ora che era seduta a quel tavolo e che aveva ritrovato quello a cui aveva anelato, sapeva che quella bellezza le avrebbe dato la forza.
Quella bellezza avrebbe salvato il mondo.
 

 
And before we lie in our beds
To ponder what we should have said
To call up our demons for tests
Can we love what’s in between
Dinard, Iwan Rheon
 
Insomma, quest’ultimo è più breve ed è stato difficile, da scrivere.
Non so se si capisca. Anzi, non so se l’intero significato della storia si capisca.
Non lo so. Non sono un granché ad esprimermi, ma sono abbastanza contenta del risultato finale! Questa storia me la trascino dietro da… quasi un anno esatto.
L’avevo iniziata nei freddi giorni di febbraio, mi sembra; e paesaggi, posti e riflessioni dei personaggi erano un po’ i miei in un momento buio. Ma poi, con il passare del tempo e con una dose di buona volontà, quel momento è finito per me come per Musa e le altre.
Forse ricomincerà sia per me, sia per loro; ma un modo per venirne fuori e trarne il meglio c’è sempre, no?
Non so se si capisca, ma sono davvero felice di averla terminata, di averle dedicato parte del mio tempo; e sono felice che anche chi ha letto o chi è passato di qui per caso lo abbia fatto.
I vari estratti di canzoni che sono comparsi qui sono frammenti di ciò che ascoltavo nei bei momenti ed in quelli brutti. Beh, in realtà, i primi sei capitoli alla loro prima fase di stesura hanno avuto la colonna sonora di “The Danish Girl” come sottofondo; era abbastanza tormentata!
Che dire? Mi mancherà molto scrivere delle Winx in questo modo.
In verità ho in cantiere una cosuccia come cappello conclusivo della serie, ma vediamo come va!
Per ora sono solo più che soddisfatta e grata a chiunque sia giunto fin qui o anche solo alla prima riga del primo capitolo. Anzi, è giunto il momento dei ringraziamenti!
Un grazie grandissimo va a Morredson che, non si capisce bene perché, ha sempre la forza di starmi dietro anche quando scrivo castronerie. Grazie Red, e spero che tu non me ne voglia per le quantità di zucchero che sono presenti ogni volta che compaiono Bloom e Sem, o Stella e Brandon.
Poi c’è la pappardella, fatina carina che già solo per il nome squisito meriterebbe un premio e che fin dal primo momento ha shippato come non mai la pel di carota ed il frigido, e che non sopporta Hedy almeno quanto non la sopporto io (ma, ehi, i personaggi Mary Sue servono anche a questo)!
Grazie anche a Tressa, che io associo sempre ad una specie di Icy materna e comprensiva (lo so che sembra un paradosso, ma penso sia dovuto alla tua immagine profilo, con quel sorrisetto della nostra strega dei ghiacci). Anche tu, proprio non capisco con che voglia legga certe cose…
Un ringraziamento a Lady Choc, regina del cioccolato che conosce il gioco delle Winx per Play Station 2 e che come me capisce bene quanto, in tutta la sua bruttezza e la quantità inenarrabile di bug, quel videogioco fosse semplicemente perfetto!
Ultima ma non ultima (gli ultimi saranno i primi, insomma), giunge Mary Rosemary. Beh, penso che non ti ringrazierò mai abbastanza per tutto quanto (oltre all’henné fuhuhuh), per la pazienza e la voglia, per le interessanti conversazioni su quanto la nostra pelle sembri quella di un neonato, su quanto Sky faccia schifo e per i preziosi aneddoti sui nostri amici e conoscenti puzzosi e/o disperati. Grazie, Rosmarina.
Grazie a tutti quelli che hanno inserito questo scempio giunto al termine tra le seguite e le preferite, grazie a chi ha letto e anche a chi magari ha subito chiuso la pagina schifato. Insomma, vi capisco perfettamente.
Grazie di cuore a tutti voi!
Applepagly
  
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