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Autore: BlackSwan Whites    31/03/2018    3 recensioni
STORIA AD OC (ISCRIZIONI CHIUSE!)
Il mondo ha già conosciuto due grandi ere della pirateria; i sogni e le speranze di tanti uomini sono naufragati per sempre, mentre altri sono riusciti a realizzare le loro ambizioni.
Nella terza grande era della pirateria, spinta da una volontà d'acciaio, una ragazza decide di imbarcarsi per solcare i mari assieme ad altri che, come lei, hanno un sogno e degli ideali che difenderanno a costo della vita. E voi, siete pronti a seguirla?
Una ciurma, tante persone, ma una sola, grande avventura.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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UNA GRANDE AVVENTURA

 
 
Capitolo 9: Questioni d’onore (e di Marina)

Mark sbatté contrariato la porta della cella, sbuffando sonoramente; tuttavia, non appena questa chiudendosi produsse un forte boato metallico, si girò di scatto, sperando che il suo gesto non avesse attirato l’attenzione di qualche guardia.
Una volta congedata Greta, quando lui e il resto della ciurma non impegnata in creare diversivi erano entrati nell’edificio, avevano potuto constatare che l’ampio atrio d’ingresso era completamente desolato. Evidentemente, tutti i marine erano già confluiti verso i punti d’attacco, cioè l’altra sponda del lago (dove si trovava l’ala ovest del capannone) e i sotterranei, da cui si sentivano provenire grida di dolore e panico.
Pertanto, data la scarsità di sorveglianza, era sembrato abbastanza inutile che tutti loro si recassero di sopra, dove Naoaki aveva supposto si trovassero le celle; anzi, sarebbe stato molto più produttivo che la maggior parte andasse direttamente a dar manforte ad Alex e Kaith nei laboratori, dato che i due erano in inferiorità numerica.
Così, alla fine, era stato lui ad offrirsi volontario per andare a liberare Iris, Keyra e Diana: era uno che poteva passare più inosservato rispetto a Rey, e non se la sentiva di mandare avanti Mirage per un compito tanto rischioso. In più, da fuori, aveva notato un’ampia vetrata in fondo al corridoio del piano superiore, dalla quale avrebbe potuto dare un’occhiata anche alla situazione sull’altro lato, dove c’erano Greta ed Ellesmere.
Tuttavia, una volta giunto a destinazione, aveva ricevuto due sorprese: la prima, abbastanza piacevole, era che non c’era effettivamente alcun tipo di vigilanza alle prigioni. La seconda, però, era che non c’era una singola cella che fosse occupata, quindi con tutta probabilità le loro compagne erano già state prelevate e portate altrove, ammesso che non fossero riuscite a liberarsi per conto loro.
Si maledisse mentalmente per quel contrattempo. Se solo l’avesse saputo prima, avrebbe evitato quella inutile deviazione, risparmiando tempo e fatica. In ogni caso, non serviva a nulla piangere sul latte versato. Per quella giornata aveva già commesso abbastanza errori, in primis ubriacarsi alla festa degli aquiloni.
Non aveva mai retto granché l’alcool, pensò grattandosi la testa; anzi, non lo aveva mai retto per niente, e lo sapeva bene. Tuttavia, quando quelle due ragazze l’avevano invitato ad accompagnarsi a loro per una pinta, gli era parso estremamente scortese offrire loro un rifiuto… Al diavolo la sua galanteria, finiva ogni volta per cacciarlo nei guai.
In futuro, doveva smetterla di fare il cascamorto con qualsiasi essere umano di genere femminile. Se solo avesse trovato la donna giusta, magari lei sarebbe riuscita a redimerlo e a portarlo sulla retta via; ma erano tutte sue supposizioni, che difficilmente avrebbero potuto diventare qualcosa di più concreto rispetto a un mero sogno. Del resto, chi mai avrebbe voluto impegnarsi in una relazione stabile con un pirata, per di più con una taglia da 37 milioni di Berry sulla sua testa?
Si avviò lungo il corridoio, per dare uno sguardo a come le sue compagne se la stessero cavando prima di riunirsi al resto della ciurma. Da un po’, infatti, gli sembrava che gli scoppi dei fuochi artificiali della loro musicista di bordo avessero diminuito la loro frequenza, per poi cessare del tutto.
Si affacciò alla finestra, venendo investito dalla piena luce del primo pomeriggio che si rifletteva sulla sottostante superficie del lago. Greta stava transitando sopra le acque mediante una nuvola in tutto e per tutto simile a quella che aveva creato in precedenza, solo che stavolta assieme a lei c’era anche Ellesmere.
Dalla distanza non poteva dirlo con certezza, ma vista la quantità di soldati che giacevano sulla sponda, poteva supporre che entrambe fossero abbastanza provate dal combattimento. Sperava solo che le loro energie non venissero meno una volta tornate assieme agli altri, rendendole bersagli più facili. -Ottimo lavoro, ragazze- disse tra sé e sé, prima di voltarsi per riprendere la sua strada. Ora toccava a lui farsi valere; del resto, era l’unico che quel giorno non aveva ancora combinato nulla.
-Oh, ma guarda guarda cos’abbiamo qui!- Una voce alle sue spalle lo fece girare ancora più solertemente nella direzione in cui si doveva muovere. A metà corridoio stava un ragazzo che doveva avere un paio d’anni meno di lui, con i capelli corti di una insolita tonalità di verde scuro; mentre quello gli si avvicinava, non poté fare a meno di notare l’ancora più insolita colorazione dei suoi occhi, blu inframezzato da pagliuzze dorate. I vestiti informali, una maglia a maniche corte e un paio di calzoncini, lo facevano apparire decisamente fuori contesto in quel luogo. Non che un giovane qualsiasi avesse già di per sé un ruolo sensato nella prigione segreta di un laboratorio.
-Dovremmo conoscerci?- domandò il medico, squadrandolo da capo a piedi e intuendo che l’altro stava facendo lo stesso con lui. -No, non penso- gli rispose, infilandosi le mani in tasca. -Ma non ha importanza, tanto non avremo grandi occasioni di rivederci, dopo che avrò spedito te e i tuoi compagni in qualche cella di Impel Down. Sempre che non mi chiedano di presenziare alla vostra possibile esecuzione, avendovi catturati con le mie stesse mani-
Mark fremette di rabbia al sentire le sue parole. -Allora sei tu il tizio che ha fatto del male a Diana?- ringhiò, stringendo i pugni. -Fatto del male, che parolone… diciamo che le ho solo dato un piccolo assaggio di cosa succede a chi tradisce il Governo, tutto qui. E, tra l’altro, devo dire che mi sono anche divertito parecchio, era tanto che non mi capitava di torturare così qualcuno- aggiunse il verde, ghignando; la sua espressione ebbe l’unico effetto di far infuriare ancora di più il suo interlocutore. -In realtà ero venuto qui a cercare lei e le altre prigioniere, sai, volevo darle una seconda passata, ma a quanto pare ci sei solo tu… Mi sa che mi dovrò accontentare-
A quel punto non ci vide più dalla rabbia. Sentire le parole di quel sadico (non si poteva definire in altro modo una persona che godeva tanto della sofferenza altrui) aveva acceso in lui una scintilla omicida che non provava più da un lontano giorno di quattro anni prima. -Se provi a toccare ancora una volta una qualsiasi delle mie amiche- gli sputò contro, trattenendosi a stento dall’evocare immediatamente una catena e appenderlo al soffitto, -giuro quanto è vero che mi chiamo Mark L. Hellsing che ti ammazzo con le mie mani-
La reazione di Caleb alla minaccia fu completamente inaspettata. Il ragazzo sollevò un sopracciglio, sorpreso, poi scoppiò a ridere. -Hellsing? Cioè, mi vorresti dire che tu sei quel pivello che ha causato tutti quei problemi nella base del viceammiraglio Rashen? Beh, allora oggi è veramente il mio giorno fortunato, potrò vantarmi di aver preso due traditori in un colpo solo!-
Mark non pensava di poter superare il limite di rancore già raggiunto un momento prima, ma evidentemente si sbagliava. I suoi occhi verde chiaro sembravano essersi fatti più scuri, adombrati da una collera incontenibile, cosa che non sfuggì all’agente governativo. -Che c’è? Siamo suscettibili ad alcuni argomenti?- gli chiese con un finto tono innocente, guardandolo con sfida. -Io so tutto di quello che è successo alla sua base, anche se i pezzi grossi l’hanno taciuto alla popolazione civile. Una ciurma fuggita dalle prigioni che ha massacrato un intero plotone di soldati e impalato Rashen proprio il giorno della sua cerimonia d’investitura… Una bella montatura, niente da dire. Del resto, che dovevamo fare, dire a tutti che quella banda di pirati, in realtà, erano una persona sola, e per giunta un marine?-
La mascella del moro era talmente serrata che avrebbe potuto spaccarsi da un momento all’altro. Le parole di scherno che quell’insolente gli stava rivolgendo avevano portato la sua mente altrove.
 
 
 
Il sole splendeva alto sulla base governativa della città di Rida; era una giornata stupenda, l’ideale per lo svolgimento della solenne cerimonia che si sarebbe tenuta da lì a qualche minuto.
Il comandante Rashen, importante ufficiale che negli ultimi anni si era fatto coraggiosamente valere nella lotta alla pirateria, si stava sistemando la divisa nuova, che calzava a pennello sulla sua imponente figura. Ogni cosa doveva essere impeccabile, nel giorno del suo trionfo.
-Avanti- disse, sentendo dei colpetti sommessi alla porta del suo ufficio, mentre si infilava un paio di guanti candidi. Dall’uscio si affrettarono all’interno due giovani reclute marine. Uno dei due era biondo e dagli occhi nocciola, sulla ventina, mentre l’altro, appena quindicenne, aveva i capelli neri lucidi di gel e lo sguardo acquamarina; entrambi avevano un fisico slanciato ed asciutto. -Comandante!- esclamarono all’unisono, effettuando il saluto militare. Rashen ridacchiò tra sé e sé.
-Riposo, soldati- ordinò loro, -anche se immagino che dovrete abituarvi a chiamarmi “viceammiraglio” d’ora in poi. Del resto, era ora che i miei superiori si accorgessero del mio valore e ne dessero un pubblico riconoscimento!- Il ragazzo moro ebbe un fremito a sentire quell’ultima frase, ma fu abile a dissimularlo.
-Signore- prese la parola il suo collega, -abbiamo saputo che qualcuno si è introdotto qui stanotte, e volevamo esporle il nostro rammarico per quanto accaduto. Speriamo che non sia stato trafugato niente di valore, e vogliamo assicurarle che stiamo facendo ogni cosa in nostro potere per trovare il colpevole. Non appena avremo braccato quel vigliacco, gli assegneremo una pena esemplare!-
-Apprezzo il vostro impegno- lo liquidò il capitano, mal celando il nervosismo che lo aveva assalito al sentirsi ricordare di essere stato derubato come un pollo, -ma evidentemente, se siete qui a dirmi questo non state lavorando! Ora filate via, e vedete almeno di non fare tardi alla cerimonia, altrimenti sarete voi a subire una punizione che non scorderete facilmente!- Quel ruggito rabbioso portò il giovane ad annuire spaventato, prima di andarsene assieme all’altro, che non aveva proferito parola.
-Certo che non è di buon umore, per essere il centro dei festeggiamenti di oggi- si arrischiò a commentare, una volta che furono ben lontani. -Del resto, come dargli torto- continuò; -alcuni pettegolezzi dicevano che, assieme all’annuncio della sua nuova carica, gli fosse stato consegnato anche un frutto del diavolo, e che lui avesse intenzione di mangiarlo durante l’investitura. Chiunque sia stato a derubarlo, sicuramente farà buoni affari rivendendolo!- Vedendo che la recluta più giovane perseverava nel suo mutismo, gli appoggiò una mano sulla spalla con fare fraterno.
-Ascolta, Mark, mi dispiace molto per tuo padre, gli volevamo tutti bene. Tantissimi soldati di questa base gli devono la loro stessa vita, era un ottimo medico- gli disse. Il ragazzino scrollò le spalle. -Non avremmo potuto fare nulla, non avevamo i soldi per l’operazione che sarebbe stata necessaria a salvarlo- rispose. Il biondo lo guardò, colmo di rammarico. -Ma forse, se aveste chiesto al comandante, lui avrebbe potuto aiutarvi, prestandovi del denaro… voglio dire, non era nel suo interesse perdere il miglior dottore del suo avamposto, no?- provò a suggerirgli, nel tentativo di risollevarlo un pochino di morale. Mark scosse la testa, ricacciando indietro le lacrime. -Hai ragione, avrei potuto pensarci prima- concluse.
In realtà, ci aveva pensato. Non avrebbe mai lasciato che una stupida malattia gli portasse via suo padre, l’unica famiglia che aveva, senza lottare. Alcuni mesi prima, quando Alfred Hellsing, medico in carica alla base di Rida, aveva iniziato a dare segni di cedimento, lui, da bravo guaritore a sua volta (erano anni infatti che si preparava, studiando pesanti tomi ed affiancando il genitore almeno in infermeria), si era informato, e aveva scoperto che il morbo che l’aveva colpito era abbastanza raro, ma non incurabile. Tuttavia, le loro finanze erano limitate, e l’intervento necessario era decisamente fuori dalla loro portata.
Così Mark era andato direttamente da Rashen. Ricordava bene come l’aveva implorato in ginocchio di concedergli un prestito, che avrebbe ripagato centesimo per centesimo col proprio stipendio (pur essendo solo un quindicenne, infatti, si era già arruolato, del resto, essendo nato e cresciuto in quella base, non aveva molte alternative), anche se era consapevole che ci sarebbero voluti anni e anni. E ricordava ancora meglio il disprezzo con cui il comandante l’aveva osservato, prima di cacciarlo a male parole. -Come speri di ripagarmi, sciocco moccioso? Sei solo un incapace, un buono a nulla; non vali nemmeno un quarto di un marine, e non stento a credere che varresti ancora meno se seguissi le orme di tuo padre come medico!-
Quegli insulti l’avevano ferito nel profondo. Evidentemente, Rashen non contava che la vita di suo padre, che pure ne aveva salvate centinaia nel corso della carriera (compresa la sua stessa) non valesse una supplica e, men che meno, dei soldi. Così, proprio il giorno prima della cerimonia che avrebbe promosso di grado quell’avido miserabile, Alfred Hellsing era morto, consumato nel giro di due mesi da quella malattia che gli aveva inflitto fino all’ultimo atroci sofferenze, e Mark non aveva potuto fare altro se non osservarlo impotente, tenendolo per mano mentre spirava.
 
 
 
La parata militare in onore del neo viceammiraglio era stata grandiosa, così come il pomposo discorso che l’uomo si era preparato in seguito al giuramento. -Difenderò sempre la vita di tutti gli uomini, donne e bambini di questo mondo, perché ognuno ha diritto alla sicurezza e alla felicità!- erano state le sue ultime parole, prima di scendere dal palco accolto dagli applausi generali. Solo una persona, un soldato semplice, se ne stava immobile in mezzo alla folla, disgustato da tanta ipocrisia.
Camminando lentamente, Mark si fece strada fino al centro del capannello di gente che si era radunata intorno a Rashen per congratularsi con lui; nessuno parve accorgersi del suo avanzare, tanto erano coinvolti nei festeggiamenti, così in breve si ritrovò faccia a faccia con l’oggetto della sua ricerca. -Comandante!- lo chiamò, facendolo voltare nella sua direzione. In cambio, ricevette lo stesso sguardo sprezzante che già gli era stato rivolto tempo prima. -Evidentemente sei duro di comprendonio, soldato. Ora devi chiamarmi Viceammiraglio, ammesso che tu possa effettivamente rivolgerti a me!- lo rimproverò. Il ragazzo sostenne i suoi occhi senza batter ciglio. -Signore, volevo informarla che ho trovato il colpevole del furto di ieri sera nel suo ufficio- riferì. -Ottimo! Beh, allora che aspetti, portamelo, così che possa punirlo davanti a tutti!- replicò l’uomo, raggiante alla notizia.
-Non ce ne sarà bisogno. È già qui con noi- Le parole del giovane sottoposto lo lasciarono interdetto. Quel moccioso aveva un’aria di sfida che non gli piaceva per niente. Mark tese la mano destra, col palmo rivolto verso l’alto. Senza preavviso, ne fuoriuscì di scatto una catena dall’estremità affilata come una lama, che si allungò colpendo Rashen dritto al cuore. Si avvicinò all’uomo, ancora esterrefatto mentre la vita lo abbandonava, per potergli sussurrare qualcosa all’orecchio. -E adesso che non ha più un medico pronto a curarla, veda di salvarsi da solo, se ci riesce-
 
 
 
Strinse i pugni con ancora più determinazione, mentre i suoi occhi acquamarina sostituivano all’immagine del suo ex comandante morente quella ben più attuale di Caleb. -Quel farabutto meritava di morire. Non pensava che una vita potesse valere quanto le sue ricchezze, e così ha sperimentato sulla sua pelle cosa significa perdere un bene tanto prezioso. Come farai tu ora!- esclamò. Tutte le sofferenze che aveva causato a Diana dovevano essere punite. Magari non sarebbe arrivato ad ucciderlo, ma sicuramente non avrebbe avuto pietà nei suoi confronti, come lui non ne aveva avuta per la sua amica.
Dalla schiena gli eruppero tre lunghe catene nere, che si mossero verso l’agente; l’avrebbe prima immobilizzato, e poi l’avrebbe neutralizzato a suon di colpi più pesanti. L’avrebbe sicuramente colto di sorpresa, e in più era troppo vicino per schivare un attacco così fulmineo.
Invece, fu proprio Mark a rimanere spiazzato. Proprio quando le catene stavano per toccarlo, Caleb sparì nel nulla, producendo una specie di fischio, mentre quelle metalliche funi si richiudevano attorno all’aria. -Cerchi qualcosa?- Fece giusto in tempo a sentire la voce alle sue spalle, che un violento calcio lo scaraventò a terra. Il verde gli infilò un piede sotto le scapole, girandolo e posandogli poi trionfante il tacco della scarpa sul petto.
Il medico era sbigottito. Allora era vero quello che si diceva sulle tecniche di combattimento Rokushiki, pensò: chi le padroneggiava sviluppava riflessi sovrumani, raggiungendo velocità tali da rendersi invisibile. Afferrò con entrambe le mani la gamba che lo teneva bloccato, in modo da imprigionarla, e fece fuoriuscire una nuova catena, stavolta dalla spalla, con la punta a forma di lama, nel tentativo di ferire l’altro al torace; così, forse, avrebbe potuto sbalzarlo via e liberarsi. Ciò che accadde, però, lo sgomentò ancora maggiormente.
L’arma che aveva creato, infatti, anziché penetrare nella carne, rimbalzò contro di essa producendo un tonfo smorzato, quasi metallico. Ulteriore segno che il potere di quel ragazzino andava ben oltre quello di un agente governativo standard. -Non per vantarmi, ma la mia Tekkai è sempre stata di livello molto alto. O non convieni anche tu che indurire i muscoli a questi livelli sia notevole?- gli rinfacciò. Si stava letteralmente prendendo gioco di lui, perciò decise di tentare il tutto per tutto.
Si avvolse interamente con catene strette attorno a sé stesso, per poi allargarle di colpo; Caleb, colto alla sprovvista, fu sbalzato via, permettendogli così di rimettersi in piedi e correre verso di lui. Cominciò a mulinare i suoi “tentacoli” in ogni direzione, mentre le loro estremità divenivano rigide e pesanti sfere: muscoli induriti o no, un attacco di tale potenza gli doveva per forza far male. Tuttavia, per quanto rapidamente incalzasse, nessuno dei fendenti andava a segno: era come se la sagoma del nemico fosse sempre lì, ma non appena veniva raggiunta veniva anche trapassata tremolando, come fosse un’illusione.
-Allora proprio non la vuoi capire- gli disse l’altro, col respiro leggermente affannato; nonostante la netta preparazione fisica, almeno, anche lui sentiva la fatica. Con un gesto fluido, afferrò ogni catena che mirava a lui tra le mani, bloccandola e tendendola davanti a sé. -Non puoi vincere contro di me- e detto questo, fletté le braccia, spezzandole tutte.
Mark in quel momento si sentì morire. Lanciò un urlo lacerante, mentre il suo corpo veniva scosso da tremiti irrefrenabili. Il dolore era insopportabile, come se tutte le sue ossa si fossero frantumate in un unico istante. Non gli era mai successo che qualcuno riuscisse neanche a scalfire ciò che creava grazie ai poteri del frutto del diavolo che aveva rubato quattro anni prima, quel giorno a Rida; evidentemente, attacchi sferrati con l’haki dell’armatura o tecniche simili potevano invece danneggiarle.
Cadde a terra boccheggiando, mentre Caleb gli si avvicinava trionfante. -Non fai più tanto lo spavaldo adesso, eh?- infierì, calpestando uno dei tronconi di catena recisi. Poi gli sferrò un potente colpo nello stomaco, giusto per assicurarsi che non si rialzasse per un po’. -Sinceramente, pensavo che il massacratore di Rida fosse più forte- commentò, mentre lo sollevava da terra, caricandoselo in spalla. Il medico non si mosse, il male che provava ad ogni parte del corpo era talmente intenso da impedirgli anche solo di formulare un pensiero coerente, figuriamoci reagire a ciò che gli veniva fatto.
-Comunque, andrei volentieri avanti, ma purtroppo ho altro da fare, devo occuparmi dei tuoi compagni. Sappi che ho intenzione di farli fuori tutti, uno dopo l’altro- gli sussurrò sadicamente, mentre si avvicinavano al fondo del corridoio. -Ma guarda il lato positivo: almeno, tu non sarai lì a vederli morire. Ti è toccato l’onore di essere il primo- concluse, prima di scaraventarlo contro la finestra. Quella andò in mille pezzi, sfondata da un Mark completamente inerte, che non poteva fare altro se non lasciare che la gravità avesse la meglio, facendolo precipitare dritto nel lago.
 
 
 
L’oscurità iniziava ad invadergli la periferia del campo visivo. L’impatto con la superficie gelida dell’acqua gli aveva regalato una nuova fitta lancinante a tutto il corpo, prima di iniziare ad affondare inesorabilmente, trascinato verso il basso dal potere devastante del frutto del diavolo che aveva ingerito.
Dentro di sé, però, più che dolore, sentiva paura. La minaccia che Caleb aveva rivolto a tutti i suoi amici era più viva che mai nei suoi pensieri, sempre meno coerenti man mano che l’aria cominciava a scarseggiare nei polmoni; ma purtroppo, lui non poteva far niente per aiutarli, nemmeno avvisarli; non li aveva neanche salutati. Si concesse di pensare un’ultima volta a loro, la sua nuova famiglia, prima di svenire.
Eppure…
-Non avere paura, Mark, sto arrivando a salvarti!- Buffo, gli era quasi parso di sentire una voce pronunciare quelle parole. Un movimento spostò l’acqua, mentre qualcosa gli passava accanto; pur nella fioca luce che filtrava dalla superficie sempre più lontana, colse il bagliore iridescente e squamoso della coda di un grosso pesce.
Sorrise. Allora era vera la leggenda secondo cui un marinaio, prima di annegare, sentiva le sirene chiamarlo. Qualcos’altro, dalla consistenza morbida e filiforme, gli sfiorò una guancia. Un’alga, probabilmente. O forse capelli… -Ci sono qui io- fu l’ultima frase che credette di sentire, prima che l’acqua gli invadesse i polmoni, facendogli perdere definitivamente i sensi.
 
 
 
-Beh, ragazzi, direi che qui abbiamo finito!- esclamò Iris, mentre riponeva i due kunai che aveva usato fino a quel momento nella loro tasca. Effettivamente, dei soldati a guardia del laboratorio, non c’era più traccia. O meglio, nessuno di loro era più in condizioni di nuocere in alcun modo. -Complimenti a tutti, vi siete fatti valere!- si congratulò poi, osservando il gruppo con sguardo fiero e soddisfatto.
In effetti, la ciurma aveva combattuto in maniera esemplare, con una coordinazione perfetta. Ogni volta che qualcuno rischiava di essere colpito, magari a tradimento mentre era già impegnato a dare battaglia, un compagno o una compagna intervenivano sempre prontamente in sua difesa. Del resto, essere parte di una squadra voleva anche dire sapersi proteggersi a vicenda, e loro ci riuscivano alla perfezione: come li aveva definiti prima Naoaki, erano un meccanismo delicato, in cui ogni ingranaggio si incastrava con gli altri per dare vita ad azioni perfette come quella che si era appena conclusa.
-Aaah, sono esausto! Non sono proprio fatto per questo genere di cose!- si lamentò Shiro. Il giovane ricercatore, che aveva tanto insistito per affiancare la banda di pirati nell’attacco per liberare il laboratorio dalla Marina, era sdraiato a terra, col petto che si alzava e si abbassava freneticamente nel disperato tentativo di riprendere fiato. -Te l’avevo detto di farti da parte- commentò Rey, guardandolo storto. Sotto sotto, però, il vicecapitano provava rispetto per quel ragazzo dai capelli rossi. Non si era affatto rivelato un peso, come credeva in un primo momento; aveva anzi dato parecchio filo da torcere alle guardie, attaccando e difendendosi con i suoi ventagli taglienti.
Nel frattempo, anche gli altri si stavano riposando, e intanto coglievano l’occasione per scambiare due parole o, in alcuni casi, per punzecchiarsi come al solito. -Ehi, Alex, scusa la domanda- intervenne Diana, che era tornata completamente in forma umana e si stava rifacendo la coda di cavallo. -Mh?- mugugnò la studiosa, mentre ripuliva la lama di uno dei suoi coltelli prima di riporlo nel fodero. -Che hai fatto alla maglietta?- le chiese, indicandole la schiena scoperta. La mora arrossì violentemente, imbarazzata. Si era completamente dimenticata del piccolo incidente che le era capitato nel tunnel di aerazione, rovinando il suo bell’indumento. -Niente- si affrettò a rispondere, scrollando le spalle a disagio. -Devono avermi colpita mentre lottavamo-
I suoi tentativi di imbastire una scusa credibile furono interrotti da una fragorosa risata, seguita da una serie di colpi di tosse atti a mascherarla. -No, perché sai, te ne stai andando in giro mezza nuda, praticamente…- continuò imperterrita la vedetta, poco convinta dalla risposta. Se uno squarcio del genere fosse stato provocato da un attacco, non le si sarebbe solo rotta la maglietta, ma si sarebbe anche ritrovata affettata in due. -Tu che ridi tanto ne sai qualcosa?- si rivolse quindi a Kaith, che non la smetteva di sghignazzare. Il ragazzo prese una boccata d’aria, indeciso su cosa raccontare. Per caso intercettò uno sguardo rivoltogli dalla sua compagna di incursione: se gli occhi di ghiaccio della giovane donna avessero potuto parlare, avrebbero detto circa: “Pondera bene le tue parole, perché in caso contrario potresti arrivare a rimpiangere alcune parti del tuo corpo particolarmente vitali”.
-A… Assolutamente no!- esclamò, prima di soffocare l’ennesimo attacco di ilarità che lo stava cogliendo. Diana si sistemò gli occhiali, mentre il solito ciuffo le ricadeva sull’occhio sinistro, un po’ meno gonfio di prima. -Bah, voi due non me la raccontate giusta… Ma non voglio sapere che avete combinato- concluse, girandosi e incamminandosi verso il grosso del gruppo. Alex, invece, si avvicinò a Kaith.
-Ti avverto, Sawamura- gli disse, puntando il coltello in direzione del suo petto, -prova a raccontare a qualcuno la verità, facendomi fare la figura dell’idiota, e ti garantisco che scoprirò i tuoi peggiori incubi e li renderò talmente reali che mi implorerai di ucciderti, invece che farteli vivere anche solo un minuto-
Gli occhi color sangue di lui sostennero i suoi senza battere ciglio. -Dovrebbe essere una minaccia?- la provocò, sollevando un sopracciglio. -Sappi che c’è solo una cosa al mondo di cui ho paura, e non verrò certo a dirla a te, ho visto quello che sei capace di fare alla gente. E comunque stai tranquilla, il tuo segreto è al sicuro- le sorrise malevolo, prima di seguire Diana e riunirsi al resto della ciurma.
-Dunque ora che facciamo?- domandò Mirage, grattandosi un orecchio. Il caos della battaglia accendeva la sua forza animale, è vero, ma anche il suo delicato udito di tigre ne risentiva, quindi ora aveva un po’ di mal di testa. -Mark avrebbe dovuto già essere qui, non trovando nessuno nelle celle- considerò Keyra, con fare pensoso. -Lascia perdere, si sarà fermato a bere un bicchierino lungo la strada…- rispose ironicamente Kaith; allo sguardo interrogativo della ragazza, tuttavia, si ricordò che né lei, né Iris, né Diana erano a conoscenza della performance da delirium tremens messa in atto dal loro medico di bordo alla festa del paese, perciò si limitò a liquidare tutto con un “è una storia lunga”. -Vorrà dire che andremo a cercarlo- propose Iris, facendo per dirigersi verso l’ingresso della sala sotterranea.
-Aspetta, Iris!- Era stato Naoaki a parlare. -Che c’è?- chiese il capitano, inclinando un pochino la testa di lato. Non capiva: se qualcuno era rimasto indietro, dovevano andare a prenderlo, no? -Non è tanto l’assenza di Mark che mi preoccupa- spiegò il cecchino, -quanto quella di Greta ed Ellesmere. Avrebbero dovuto già essere qui, contando che Greta può attraversare l’acqua del lago con le sue nuvole e…-
-Figo! Quindi Greta sa volare, proprio come te, Kahir!- Il falco pigolò offeso, lanciando un’occhiataccia alla sua “sorella non piumata”: un po’ perché odiava essere paragonato agli umani, che erano esseri così goffi e poco eleganti; un po’ perché stava ascoltando la spiegazione della situazione, e lei l’aveva interrotta sul più bello. -Scusa, Nao, vai pure avanti- fece la mora, passandosi una mano nei capelli con un sorriso tirato.
-Dicevo- riprese Naoaki, dopo un sospiro rassegnato, -contando la rapidità con cui possono spostarsi, mi sembra strano che non siano già arrivate. Il che mi fa pensare che abbiano incontrato dei contrattempi strada facendo- concluse. -Che genere di contrattempi?- lo interrogò Rey, che aveva subito drizzato le orecchie al sentire che forse i loro guai non erano ancora finiti. -Caleb-
Entrambi si voltarono nella direzione di Shiro, che si era intanto messo a sedere. Un brivido percorse tutti i presenti nella sala, dal primo all’ultimo. Era vero: nella foga del combattimento, nessuno aveva notato l’assenza dell’agente, che a quel punto poteva essere ovunque. -Mi aveva chiesto di portargli le prigioniere, ma io invece le ho liberate e nel contempo abbiamo sentito un gran trambusto dall’esterno…- spiegò il ricercatore. -… ovvero il diversivo di Ellesmere sull’altra sponda del lago- finì la frase per lui Naoaki, annuendo.
-Oh, no…- gemette il rosso, prendendosi la testa tra le mani. Allo sguardo interrogativo ricevuto in risposta, ritenne opportuno spiegarsi. -Hai detto che le vostre compagne si trovavano sull’altra riva, giusto?- Ad un nuovo cenno d’assenso, continuò il suo discorso, sistemandosi la visiera del cappellino in quello che doveva essere un suo tic nervoso. -C’è un passaggio, subito fuori da questa sala, che consente di raggiungere velocemente l’esterno, sia l’ingresso principale, sia l’ala ovest, cioè quella sulla sponda opposta del lago. L’abbiamo creato come via di fuga estrema, nel caso in cui qualche esperimento fosse finito particolarmente male. Se le vostre amiche erano lì, è probabile che non solo buona parte della sorveglianza sia confluita in quel luogo per fermarle, ma che anche Caleb sia andato a dare manforte. Vedete, quando assieme abbiamo catturato Diana, mi ha spiegato che il suo piano prevedeva di usarla come esca per attirarvi tutti qui, in modo che lui potesse prendervi più facilmente-
Naoaki corrugò la fronte, pensoso. Se quell’Ayr era davvero il brillante stratega che si era dimostrato fino a quel momento, allora l’ipotesi fatta da Shiro era molto più che plausibile. Aspettandosi un’incursione diretta nel laboratorio per liberare Diana, il loro attacco su più fronti doveva averlo inizialmente destabilizzato, ma una volta realizzata la loro divisione in sottogruppi, probabilmente aveva scelto di sfruttare a proprio vantaggio la situazione, giocando d’anticipo e buttandosi sui singoli (o, in questo caso, sulla coppia) piuttosto che sullo schieramento completo. Si maledisse mentalmente per non aver pensato a questo risvolto negativo del suo piano.
-Shiro- richiamò il rosso, assicurandosi di avere la sua attenzione, -ci puoi condurre al passaggio? Forse siamo ancora in tempo per andare in soccorso di Greta ed Ellesmere. Caleb è un agente esperto, e se le voci che ho sentito sul conto della CP9 sono fondate non dovrebbe avere difficoltà a fronteggiare anche due di noi contemporaneamente; se però lo raggiungiamo tutti, lo metteremo in difficoltà- Il ricercatore annuì. -Allora non perdiamo altro tempo! Facci strada, uomo del vento!- esclamò Iris, facendo sorridere tutti per il soprannome che gli aveva appioppato.
-Ma Iris, e Mark?- intervenne Diana. -A lui penseremo dopo, tanto se scenderà qua sotto si accorgerà che non ci siamo e tornerà fuori ad aspettarci- la liquidò Alex, gelida. Se qualcuno era in pericolo, dovevano recarsi ad aiutarlo immediatamente, non potevano permettersi di aspettare chi rimaneva indietro. -Concordo con lei, Dia, Mark non è stupido, saprà cosa fare- confermò Iris, prima di avviarsi dietro a Shiro verso l’uscita, seguita ad uno ad uno dal resto del gruppo.
La vedetta si mordicchiò il labbro, contrariata. Non se la sentiva di lasciare neanche un solo compagno, anche perché la faccenda non le piaceva affatto; lei era al corrente di quanto Caleb potesse essere efferato nel perseguire i suoi scopi (e le contusioni di cui era ricoperta ne erano una chiara testimonianza), quindi ogni pezzo di ciurma che perdevano lungo la strada diventava una potenziale vittima in più.
Lanciò un ultimo sguardo al campo di battaglia, poi si diresse anche lei alla porta del laboratorio. Sperava che tutta quella faccenda terminasse presto e, soprattutto, che finisse bene. Mentre varcava la soglia sentì qualcuno toccarle una spalla e, girandosi, si trovò a specchiarsi negli occhi azzurri di Shiro. -Ce la farete, vedrai. Siete dei tipi tosti, tu sopra tutti- la rassicurò bonariamente. Lei lo guardò incerta, poi, preso un respiro profondo, gli espose in breve il suo dubbio circa le azioni dell’agente governativo ancora latitante. -E Shiro- concluse, sempre con lo sguardo del ragazzo fisso sul suo volto, -so che vorrai ammazzarmi, alla fine della giornata, ma avrei bisogno che mi facessi un ultimo favore-
 
 
 
 
Greta aveva il fiato corto, mentre varcava la soglia dell’edificio correndo all’impazzata. Praticamente, era da una mezz’ora buona che non si concedeva un attimo di pausa, e la stanchezza cominciava a farsi sentire. Dopo essere arrivata sulla sponda opposta del lago, infatti, si era affiancata ad Ellesmere per fronteggiare l’esercito che si era parato loro davanti.
La sua compagna, man mano che la battaglia procedeva, constatando che gli aggressori non demordevano, aveva tentato in ogni modo di tenerli il più lontano possibile da sé: aveva sparato alcuni petardi fumogeni nella loro direzione per confonderli ed impedirgli di avvicinarsi troppo, mentre li colpiva a gruppi con attacchi esplosivi, ma così facendo si era trovata completamente accerchiata, con alle spalle lo specchio d’acqua a tagliarle ogni via di fuga. Per fortuna, a quel punto era arrivata lei a cavallo della sua nuvola di vapore, e prese le sue due pistole aveva iniziato ad incalzare a sua volta. Quando il fronte si era ulteriormente ristretto, tuttavia, aveva preferito convertirsi ad attacchi a corto raggio.
In breve, entrambe le ragazze avevano trovato il modo di coordinarsi nella lotta: la rossa teneva a distanza tutti gli avversari che riusciva grazie al suo potere pirotecnico, e se qualcuno riusciva a superare la guardia stava alla navigatrice farlo fuori, afferrandolo ed immobilizzandolo con la frusta per poi finirlo a colpi di spada. Ci era voluto parecchio, ma alla fine erano riuscite a sopraffare tutti i marine.
A quel punto non restava che tornare dal resto della ciurma, sperando che anche loro se la stessero cavando bene con l’attacco al laboratorio. A giudicare dal fatto che nessun altro soldato era giunto contro di loro come rinforzo, probabilmente gli stavano dando filo da torcere a sufficienza.
Per fare più rapidamente, la navigatrice aveva evocato una nuova nuvola solida che permettesse loro di attraversare indenni l’acqua anziché fare il giro da terra; in più, durante un attimo di distrazione, Ellesmere era stata ferita da un fendente nemico a una gamba e, per quanto il taglio non fosse eccessivamente profondo, le causava abbastanza dolore e le rendeva i movimenti più difficoltosi e meno veloci, per quanto lei tentasse di non darlo a vedere.
Così, una volta giunte sulla riva principale, quando aveva ripreso a correre, aveva in poco tempo distanziato l’amica, e ora che stava entrando nel laboratorio si accorgeva di non essere nemmeno più in grado di vederla alle sue spalle. Non diede però troppo peso alla cosa: non c’era alcuna sorveglianza esterna che potesse nuocerle, e se anche qualcuno fosse provenuto dall’interno dell’edificio per attaccarle avrebbe dovuto prima fare i conti con lei.
Dopo aver dato una rapida occhiata in giro nell’atrio, si concesse un minuto per riprendere almeno un minimo di fiato. Del resto, era talmente spossata, al momento, che se anche si fosse trovata nel mezzo della battaglia con il resto della ciurma sarebbe stata di poco aiuto, anzi si sarebbe inutilmente messa in pericolo. Ripulì le canne delle pistole, le ricaricò e lucidò la lama della spada, preparando le armi ad un nuovo giro. L’adrenalina che era scemata durante la pausa le stava già tornando in circolo.
Si stava avviando verso l’imboccatura del corridoio dall’altra parte dello stanzone, l’unica direzione possibile per addentrarsi più a fondo nell’edificio, quando proprio dall’apertura emerse una figura solitaria. Non si trattava né di un ricercatore né di un soldato, ma di un ragazzo dai capelli verdi e dall’aria annoiata, a giudicare dalla camminata lenta e con le mani in tasca. Strinse i denti: assomigliava parecchio, per atteggiamento, a uno di quei tanti bastardi che avevano reso la sua vita un inferno, nell’isola su cui era cresciuta. Motivo in più per non abbassare la guardia.
Anche a lui, comunque, la sua presenza estranea in quel luogo non passò inosservata. -Salve!- le gridò per farsi sentire. -Bella giornata, eh?- domandò, con fare gioviale, mentre continuava ad avvicinarsi sempre con estrema tranquillità. In quel momento, Greta ripensò agli avvertimenti di Naoaki riguardo al misterioso stratega che c’era dietro al rapimento di Diana, e lo identificò con quel tipo. La mano le si strinse ancora di più sull’elsa della spada: se fosse stato necessario difendersi o attaccare, non si sarebbe lasciata cogliere alla sprovvista, anche se doveva ammettere che l’aspetto del suo interlocutore era abbastanza da pivello. Decise così di testare le sue reazioni alle provocazioni.
-Immagino che tu sia quello che si chiama Caliban Aire, giusto?- lo chiamò con aria di sfida, estraendo un paio di centimetri di lama dal fodero. -A dire il vero mi chiamo Caleb Ayr, ma non so chi mi abbia presentato a te, perché non credo di averti mai vista- fece lui, grattandosi la testa con espressione confusa. Decisamente un pivello, pensò la giovane. Non ci avrebbe messo molto a farlo fuori; a quanto pare, il loro cecchino di bordo aveva un po’ sopravvalutato l’avversario che si era trovato di fronte. Non a caso era un uomo, pensò con disprezzo.
-Poco male, possiamo presentarci adesso. Greta Mia, navigatrice professionista- gli rispose, sorridendo di rimando e iniziando a sua volta a procedere in direzione dell’altro, togliendo anche la mano dall’arma. Le era venuta voglia di prenderlo un po’ in giro prima di metterlo ko. Del resto, era talmente idiota che valeva la pena divertirsi a sue spese. -Oh, adesso mi ricordo! È tutto più chiaro, grazie mille!- esclamò allora Caleb, battendosi una mano sulla fronte. Questa volta fu lei a sollevare un sopracciglio. -Ovverosia?- gli chiese, vagamente stranita.
Per tutta risposta, il verde si limitò a coprire la distanza che li separava con un paio di ampie falcate, il che stupì notevolmente la navigatrice, dato che si tra loro si estendeva ancora mezza stanza buona. Primo segnale che, forse, le stava sfuggendo qualche dettaglio importante.
-Sei una dei visitatori che stavamo aspettando al laboratorio per la giornata di oggi! Meno male, sono felice di vedere che non sei in ritardo! Pronta ad iniziare il giro turistico?- la accolse, inclinando le labbra in un sorriso sghembo. Ok, decisamente la situazione cominciava a scapparle di mano. O aveva a che fare seriamente con un imbecille totale, oppure non era lei a prendere per i fondelli lui, ma il contrario. -Perché, aspettavate altre persone?- domandò, cercando di ignorare un brivido d’allarme alla schiena.
-Certo! Una è arrivata abbastanza presto, e infatti l’abbiamo accolta al meglio delle nostre capacità, le ho mostrato tutto quello che ho potuto nel tempo che ci è stato concesso- spiegò, ghignando. -L’altro invece è stato abbastanza una sorpresa, non mi aspettavo di trovarlo a gironzolare per i corridoi senza una guida. Poverino, aveva un’aria così confusa e sperduta… Speriamo che il bagno nel lago gli abbia schiarito un po’ le idee-
Un nuovo tremito, più intenso del precedente, le scosse le spalle. Si mandò a quel paese per aver bellamente ignorato gli avvertimenti di Naoaki circa la pericolosità del nemico, e ancora di più per essere stata così stupida da sottovalutarlo. Si morse il labbro prima di rompere il silenzio in qualche maniera, ma lui l’anticipò. -Direi di finirla col teatrino, che ne dici? Però converrai con me che, se non mi avessero preso nella CP9, avrei avuto una promettente carriera da attore. Ah, per la cronaca, dubito che Mark, si chiamava così, giusto?, sapesse nuotare-
Greta sgranò gli occhi, come se un lampo l’avesse folgorata sul posto. Mark… Il lago… Allora anche il medico, per qualche ragione, doveva essersi separato dal resto del gruppo, e per un malaugurato caso si era imbattuto nell’agente; poi, probabilmente, si era lasciato ingannare (come lei poco prima, del resto) dal suo aspetto da inetto, ed era pertanto stato sopraffatto. Ma lei, ora che aveva visto le cose come stavano, non sarebbe stata così sprovveduta da lasciarsi sconfiggere. -Sì, sono d’accordo con te- esalò a denti stretti. Quella faccenda doveva concludersi, e subito. Estrasse fulminea una pistola dalla custodia, puntandola dritta alla testa del ragazzo. -Basta col teatrino- e fece fuoco.
Il colpo attraversò la fronte del giovane, proseguendo indisturbato la sua corsa a mezz’aria. O meglio, attraversò solamente l’aria, perché quello che era Caleb sparì nel nulla non appena la pallottola l’ebbe toccato, tremolando leggermente e producendo un fischio come di una lama che tagli l’aria a velocità supersonica. La navigatrice si guardò intorno allarmata, alla ricerca di un nemico che sembrava essersi reso invisibile.
-Non sei molto corretta, mi pare- Si voltò e sparò, ma di nuovo andò a vuoto. Eppure era convintissima di aver sentito la voce a pochi centimetri dal suo orecchio destro. -Colpire a tradimento uno che stava solo scambiando due chiacchiere con te…- Per la terza volta ruotò su sé stessa, stavolta sul lato sinistro, ma non c’era verso di capire da che parte si trovasse il suo avversario. Un inaspettato calcio da dietro le fece piegare il ginocchio destro, perdendo l’equilibrio. Nel contempo, una mano la afferrò per i capelli, sollevandole la testa per impedirle di andare a sbattere contro il pavimento.
-Non dovresti giocare con le pistole, potresti fare male a qualcuno- le sussurrò Caleb all’orecchio, causandole un brivido. Stava per girarsi e tirargli un pugno, sfruttando la vicinanza dei loro volti, ma lui fu più rapido, assestandole uno schiaffo che riecheggiò come una frustata nel silenzio dell’atrio. -Dimmi, ti hanno mai sparato? Sai cosa si prova?- le domandò, mantenendo il suo tono provocatorio. -Se la risposta è no, lascia che te lo mostri-
La sensazione che qualcosa le stesse perforando la spalla, unita a un dolore intensissimo, la investì senza alcun segnale di preavviso. Lanciò un grido, un po’ per la sorpresa, ma soprattutto per il bruciore: era veramente come se qualcuno l’avesse colpita con un proiettile. Eppure era convinta che il verde non avesse alcuna arma con sé…
L’agente la voltò nella sua direzione, in modo che potesse guardarlo negli occhi. -Capito, adesso? O vuoi un altro assaggio?- chiese, e senza nemmeno attendere una risposta, sollevò la mano destra, puntandole contro l’indice, e scattò in avanti come se volesse sferrarle un pugno. Il dito le penetrò diretto nella carne, esattamente sul lato opposto al primo attacco; se si fosse vista dall’esterno avrebbe potuto constatare la presenza di un foro quasi continuo che le attraversava tutta la spalla. Questa volta trattenne l’urlo, ma non poté impedirsi di gemere sommessamente, soprattutto mentre l’altro ritraeva il dito, ora tinto di scarlatto.
-Mirabile, non trovi?- la interrogò Caleb, sempre tenendola per i capelli, mentre ammirava il flusso di sangue che sgorgava costantemente dalla ferita che le aveva inferto. -Alla CP9 chiamiamo questa tecnica Shigan, il “dito pistola”. Vuoi che ti spieghi il perché del suo nome, o ci arrivi da sola?- la schernì. -Vai al diavolo!- gli ringhiò contro Greta rabbiosamente. Il modo in cui quel tipo si stava facendo beffe di lei, credendosi superiore solo perché sapeva usare un paio di tecniche particolari, la mandava letteralmente in bestia.
Ignorando il male che provava, con la mano sinistra (dato che, probabilmente a causa del colpo subito, non riusciva a muovere la destra) afferrò la frusta e la fece schioccare verso l’alto, colpendo l’avversario al viso. Quello, stupito, mollò la presa, liberandola. Senza perdere tempo ruotò sul ginocchio puntato a terra e scattò in piedi, avvinghiando la frusta alla caviglia di Caleb, e dando uno strattone deciso lo spedì a terra, avvicinandosi nel contempo per assestargli un calcio che gli impedisse di contrattaccare nell’immediato.
Il giovane, tuttavia, si piegò all’indietro, dimostrando una flessibilità impressionante (la sua schiena formava un cerchio quasi perfetto) e, facendo leva sulle mani, eseguì una ruota, rimettendosi in piedi. La frusta che aveva ancora agganciata alla gamba trascinò con sé la navigatrice, facendole perdere parzialmente l’equilibrio. Poi, afferrata l’arma a due mani, fu lui a tirare bruscamente, sbilanciando del tutto la sua avversaria. Una rapida falcata e un potente colpo allo stomaco fecero il resto.
Greta era a terra, boccheggiando a causa del colpo appena subito. -Ma bene- le sputò contro Caleb, mentre le tirava qualche calcio giusto per assicurarsi che non reagisse per un po’, -allora qualcuno nella vostra ciurma vale il mio tempo, a quanto pare. Non sei male come combattente, devo riconoscerlo- La ragazza non parlava, troppo concentrata a cercare di raccogliere le poche energie che le rimanevano nel disperato tentativo di proteggersi. -Comunque, mi dispiace informarti che è il momento di farla finita. La tua taglia dice “viva o morta”, e la corte ha appena deciso per la tua condanna alla fucilazione-
Chinatosi per raggiungerla, la prese per la gola, sollevandola in alto; lei non poté che lasciarlo fare, tutta la forza che aveva (e che si era già per buona parte consumata nella lotta contro l’esercito di marine a fianco di Ellesmere) era completamente esaurita. Senza esitare un istante, il giovane agente sollevò il dito, puntandolo verso il suo petto, all’altezza del cuore. -Guardami in faccia- le ordinò. Gli occhi azzurri di lei, che cominciavano a velarsi per la carenza di ossigeno mista al dolore per le ferite riportate, si piantarono in quelli blu e dorati di lui; la sferzata che gli aveva inflitto prima gli aveva aperto un taglio sullo zigomo, da cui colava un rivoletto di sangue. Quando il liquido scarlatto gli raggiunse l’angolo della bocca, percependo la sensazione umida, lo leccò via, saggiando la sua stessa carne con un’espressione di disappunto sul viso. -Due fatti, altri nove da fare- esalò, prima di caricare il braccio per colpirla.
Tuttavia, non raggiunse mai il suo bersaglio. Nell’esatto istante in cui il colpo mortale scattava, qualcosa che proveniva dal suo fianco lo colpì con forza inaudita, scagliandolo lontano fino a colpire una parete della stanza in cui si trovavano. Greta cadde in ginocchio, tossendo convulsamente mentre l’aria a lungo negata dallo strangolamento le tornava a circolare nei polmoni, facendoli bruciare. Si voltò nella direzione da cui era stato sferrato l’attacco al suo avversario, ma non vide nessuno.
Poté però udire chiaramente un fischio, simile in tutto e per tutto a quello prodotto da Caleb quando si spostava a velocità supersonica, e colse di sfuggita una figura passarle davanti, talmente rapida da risultare quasi invisibile. Qualcuno si stava dirigendo verso il punto in cui Caleb era stato spedito, ma non riusciva a vedere chi, i suoi movimenti erano troppo lesti. In ogni caso, nella confusione, le parve di notare un solo particolare: una camicia arancione a quadri.
 

 

 

Angolo dell’autrice
 

Incredibile ma vero, ecco qua un altro capitolo in tempi abbastanza ragionevoli. Motivo? Particolare ispirazione e tempo a sufficienza per scrivere. Non abituatevi troppo, però, temo che la cosa non sia destinata a durare. In particolare, credo che la prossima puntata arriverà tra un po’, dato che in questo mese ho tre esami parziali da preparare e quindi i miei momenti liberi si ridurranno drasticamente. Spero solo che “Questioni d’onore (e di Marina)” sia all’altezza.
E a proposito del capitolo… che ne pensate? Personalmente, io non ne sono convinta al cento percento. Ho puntato molto sul passato di Mark (che riprenderò probabilmente tra due capitoli o addirittura nel prossimo per precisare un paio di dettagli). Siate sinceri, non ve l’aspettavate che anche lui fosse un marine, vero? Beh, poco importa, dato che ormai l’abbiamo perso. Facciamo un minuto di silenzio per il nostro medico di bordo affogato miseramente in un lago.

No, stavo scherzando, non sono così crudele da uccidere un personaggio, soprattutto se è utile e mi sta simpatico. Chiunque tra l’altro avesse ipotesi riguardo a chi o cosa abbia visto mentre sprofondava nelle gelide acque (che espressione poetica… oggi la mia vena artistica ha preso il sopravvento ^-^”) può esprimerle liberamente, sono curiosa di conoscere le vostre teorie ;)
Non ho dato molto spazio al grosso della ciurma, e forse è per questo che il capitolo non mi piace moltissimo. Oltre che su Mark, mi sono focalizzata parecchio su Caleb, a costo di sembrare incoerente sul personaggio. Mi spiego meglio: come avete potuto notare, nel combattere con Mark è stato abbastanza diretto, ha cercato di provocarlo per fargli abbassare la guardia (del resto, quando ci si arrabbia si è anche meno lucidi) e difatti l’ha battuto facilmente. Con Greta, invece, fa la figura dell’imbecille, almeno all’inizio… So che questo pare non avere il minimo senso, ma volevo far emergere proprio le sue capacità di “trasformista”. In un caso usa la provocazione diretta, nell’altro invece fa in modo che l’avversario lo sottovaluti, e come tattica funziona abbastanza bene, finché qualcuno non lo interrompe prima che possa far fuori Greta. Oh, e ho anche cercato di rendere il suo innato sadismo. Non so, ditemi voi cosa ne pensate.
Anche per oggi è tutto, ora passiamo la linea al meteo: si prevedono pubblicazioni variabili a termine da definirsi, con possibilità di sporadici combattimenti all’ultimo sangue. Buona Pasqua a tutti e alla prossima!
 
Swan

 
  
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