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Autore: Lala96    08/04/2018    0 recensioni
La vita di Nathaniel sembra scorrere tranquilla, nel nuovo liceo, quando il destino decide di ripresentargli, dopo diversi anni, una bambina della sua infanzia diventata una donna, Dominique.
La loro storia di fughe e di incontri, di dubbi e di certezze, alla continua ricerca di un equilibrio tra un passato che non può tornare e un futuro ancora da scrivere.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Dolcetta, Lysandro, Melody, Nathaniel, Rosalya
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta
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Bisognerebbe che l’estate si decidesse a finire entro il sette di settembre, pensò Nathaniel condividendo con tutti i suoi compagni di classe lo struggimento di dover restare seduti su quelle sedie e dietro quei banchi, invece di potersi sdraiare  sulla morbida erba del cortile. Faraize continuava imperterrito da un’ora a spiegare le tappe dell’ascesa e della caduta di Napoleone, quindi o nutriva una fiducia incondizionata nel potere fascinatore del sapere o evidentemente parlava anche lui come un disco registrato, col cervello sconnesso e il cuore su qualche margherita fuori della finestra. Decisamente, l’estate doveva finire prima. Non doveva dare loro quell’illusione di libertà, come se dovesse durare per sempre, per poi costringerli a rimanere in quattro pareti color tabacco a mala pena ingentiliti da una larga finestra, mentre fuori la vita continuava e l’unica cosa che penetrava nella classe era il caldo atroce. L’afa, anche nelle divise estive, era insopportabile, e benché da rappresentante degli studenti fosse tenuto a dare il buon esempio ai suoi colleghi avrebbe pagato qualsiasi cosa pur di poter sciogliere il nodo della cravatta e respirare un po’ di più : dalla finestra pure aperta passava a stento un filo d’aria che faceva venire nostalgia della spiaggia e delle vacanze estive e qualche studente meno disciplinato come Castiel, in fondo all’aula, o Ambre accanto alla cattedra, aveva già allentato i bottoni della camicia e si sventolava più o meno pigramente con un foglio degli appunti. Gli unici rumori, all’interno, erano il grattare delle matite sulla carta, il raspare e qualche fastidioso stridio di gessetto sulla lavagna, quando Faraize fissava qualche concetto, e la sua voce monotona e priva di colore. Fuori, il sole sembrava attutire non solo i colori, ma anche i rumori, come se oltre il muro di cinta che delimitava la serra, il cortile e le aree verdi del liceo il mondo non esistesse più, e l’edificio fosse una minuscola isola di mattoni rossi spersa nello spazio.


 Finalmente la campanella col suo suono festoso li liberò, lui e loro, da quel calvario di date e battaglie. Le cravatte si allentarono liberando colli e colletti, le pose sulle sedie si fecero meno rigide, l’ora di pranzo si manifestò sotto forma di un grande serpente di studenti e insegnanti che si snodò per il corridoio fino alla mensa.


In mensa Nathaniel aveva dovuto prendere l’abitudine di sedersi in un angolo della mensa, dove il vociare di tutta la scuola riunita si trasformava in un rombo quasi insopportabile, un ruggito che rendeva impossibile o quasi la conversazione. Da quell’angolo però poteva godere di una visuale completa di tutta la mensa, per fare rapporto poi nel pomeriggio dopo le lezioni alla preside degli indisciplinati, delle cattive condotte, delle assenze ingiustificate. Accanto a lui la presenza fissa di Melody che lo sogguardava con occhi pieni di mielosa ammirazione, quasi devozione. Non che la cosa gli dispiacesse eccessivamente, ma alla lunga lo asfissiava, e alla fine non poter parlare a causa del frastuono non lo infastidiva neppure.
Tutti i pranzi, masticava lentamente quello che un inserviente di mensa aveva coraggiosamente definito “cibo” e lasciava che il suo sguardo si posasse sull’oceano di vite davanti a lui. C’era l’angolo degli attaccabrighe, anzi gli angoli, perché gli attaccabrighe non sono mai da soli e non c’è verso che vadano d’accordo con gli altri. C’era l’angolo degli studiosi, e un mare magno di persone insipide, o tendenti all’indisciplina, o giustamente spensierate. Infine, il tavolo dei professori, accanto al loro, e loro due seduti a controllare la masticazione di lui, Melody, e quell’allegro movimento, lui.

Nathaniel non la guardava mai. Si limitava a immaginarla, a disegnare un’immagine di lei nella sua mente. Non tanto per immaginare chissà cosa, ma quanto per rimediare alla noia di quelle giornate, come quella, in cui gli attaccabrighe non avevano voglia di attaccare briga, gli studiosi diventavano improvvisamente chiacchieroni e nessuno aveva voglia di fare qualcosa di straordinario. Non doveva essere una brutta ragazza. Il viso era carino, anche se niente di straordinario, forse troppo standardizzato ecco. Il corpo doveva essere bello, non l’avesse perennemente nascosto sotto una divisa impeccabile che non lo valorizzava affatto. Quasi avrebbe preferito lavorare con una ribelle come Rosalya o Castiel, che regolarmente dimenticavano un capo della divisa o direttamente non la indossavano proprio: almeno avrebbe avuto qualcosa da guardare.


La mensa era piacevolmente fresca, quel pomeriggio, e questo mitigava almeno in parte la noia mortale di una giornata morta. Nessuno faceva nulla di particolare. Il chiacchiericcio era anzi più tenue del solito, molti si perdevano in fantasticherie, i più raccontavano delle appena trascorse vacanze. Essendo solo martedì, nessuno faceva piani per il weekend.


Poi un vento diverso, un vento che gli riportava ricordi di estati passate, entrò in mensa sotto la forma di una ragazza senza divisa e con un fascicolo in mano. I capelli erano castano rossicci, a stento trattenuti in due trecce quasi sciolte. Due grandi occhi grigi spalancati salutarono con un cenno del capo e una risata splendente l’agitarsi festoso di Rosalya sulla sedia, mentre con passo allegro e deciso, come chi non ha nulla da temere nella vita e nemmeno se n’è mai preoccupato, la nuova arrivata si avvicinava a lei, la baciava quasi appassionatamente sull’orlo della guancia, appena dopo le labbra, le diceva qualcosa e poi si sollevava a guardarsi intorno.
Dopo tutto quello che improvvisamente gli era scoppiato nel cuore, in un istante, Nathaniel quasi non si accorse che la ragazza era davanti a lui, sorridente. Ma dovette passare almeno un minuto prima che Nathaniel potesse tornare alla realtà, dopo che il tempo lo aveva portato per un attimo indietro

Indietro a un’epoca di feste di paese, di canti di cicale e di grilli, di corse per i prati e di lucciole nelle notti gentili e piene di stelle. A corse in bicicletta, bagni nel fiume, spettacoli di cinematografo seduto per terra con Ambre in braccio alla mamma. E una manina leggera, non quella di Ambre, che lo tirava verso di sé per trascinarlo nelle acqua tranquille e un po’ limacciose del ruscello, con un sorriso birichino disturbato da un filo di argento, un naso un poco schiacciato e due occhioni troppo grandi, ridicoli come quelli di un fumetto di Topolino, che ridevano come la persona che li portava.

Fu tramite quegli occhi grigi, che ora lo guardavano apparentemente senza interesse e in educata attesa, che il passato prese per mano il presente.

E Nathaniel tornò ai giorni nostri, in un assolato giorno di settembre, all’ora di pranzo, seduto in mensa mentre una ragazza di cui non aveva bisogno di leggere il fascicolo per ricordare il nome gli domandava
“Sei tu Nathaniel, il rappresentante degli studenti?”
   
 
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