Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
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Autore: Swetty_Kookie    11/04/2018    1 recensioni
Jeon Jeongguk, un normale ragazzo che lavora in un semplice bar, farà l'incontro di un misterioso ragazzo, che sconvolgerà la sua vita per sette giorni.
[...]
«Stavo cercando di scrivere una lista di cose da fare. Anche se non so quante cose si potrebbero fare in una settimana.»
|TaeKook| - (Storia presente su wattpad)
Genere: Angst, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Kim Taehyung/ V
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Quel mercoledì mattina lavoravo. Dopo esserci separati, tornati a Seoul non mi avevi più parlato e non mi avevi più telefonato. Nemmeno un messaggio.

Non capivo ancora perché mi sentivo così vuoto senza la tua presenza, e pur di aspettare una tua telefonata, finì col passare più tempo al telefono, aspettando anche solo un messaggio , che a servire i clienti. Beccandomi irrimediabilmente una strigliata da parte del capo.

Fare il turno serale. Ecco qual era stata la mia punizione per colpa tua. Anche se colpa tua fondamentalmente non era, o forse non del tutto. La colpa l'avrei dovuta dare a me stesso, per la mia mente troppo influenzata da te, dalla tua non presenza in quel momento.

«Sono felice che tu sia qui, Jungkook. Il mercoledì vengono gli artisti di strada ad esibirsi, ed oggi ne verrà uno molto famoso. Straboccherà di gente! Ed io mi sono appena ripreso.» mi sorrideva Jimin, ma io non avevo trovato mai così fastidioso fare un turno di lavoro.

Volevo scriverti per sapere che fine avessi fatto, ma non ero io a doverti cercare. Eri tu a doverlo fare! Ma involontariamente le mie mani erano già sul mio telefono, sulla tua chat vuota.

Mi facevi arrabbiare, ma volevo scriverti lo stesso. Mi destabilizzavi troppo. Così per non morire logorato dalla curiosità, o per meglio dire preoccupazione, che molto presto sarebbe diventata ossessione, ti scrissi un semplice "Come stai?"

Non immaginavo una tua risposta immediata, ed infatti, la tua risposta non arrivò subito come speravo. Fino a quando i primi clienti non entrarono, ed io fui costretto ad abbandonare il telefono dietro il bancone. Non sapendo che dopo quelli che per te furono dieci minuti, per me furono ore, giunse la tua risposta:

"Mi devi una cena ricordi! Ti aspetto tra un'ora, questo è il mio indirizzo xxx"

Quando lessi il tuo messaggio era l'una di notte. Erano passate esattamente quattro ore da quando me l'avevi inviato, ed io l'avevo visto solo dopo essermi cambiato dopo una serata di lavoro intensa. La gente era venuta numerosa nel locale, per vedere un ballerino soprannominato J-Hope, ed in effetti era davvero bravo. Ed avrei avuto la possibilità di conoscerlo a fine serata, se solo non avessi lasciato tutto e fossi corso da te.

Non avevo pensato che avresti potuto non aspettarmi, che saresti potuto andare a dormire. Solo dopo essermi trovato di fronte la porta del tuo appartamento mi porsi queste domande.

Ma ormai ero lì. Busserò solo una volta, mi ero ripromesso.

Ma sorprendentemente tu apristi la porta dopo nemmeno due tocchi.

Mi apristi sorridendo, avevi dei pantaloni della tuta grigi così come il tuo cardigan. Il sorriso quadrato contrastava con gli occhi arrossati e gonfi. Non volevo pensare che tu avessi pianto per colpa mia, anche se probabilmente era proprio quello il motivo. Mi misi in testa che avevi sonno, ed avevi bisogno di dormire, per giustificare i tuoi occhi.

Non volevo illudermi.

«Finalmente ti sei fatto vivo! Lo sai per quanto ho aspettato? Per colpa tua il cibo si è tutto raffreddato!»

Ti guardai spaesato. Non eri arrabbiato?

«Mi dispiace, ero a lavoro ed ho letto solo dieci minuti fa il tuo messaggio.» dissi entrando per la prima volta in casa tua. Era ordinata, vuota. Non c'era nessun quadro od oggetti personali. Come se fosse pronta per essere lasciata.

«Capisco, però mi sa che adesso dovremmo mangiare qualcos'altro. Sto morendo di fame!»

Mi facesti strada per il piccolo corridoio sul quale si affacciavano due porte, che presupposi fossero il bagno e la tua stanza da letto, visto che alla fine del piccolo corridoio c'era il tavolo seguito da una piccola cucina, e sulla sinistra della stanza era presente un piccolo divano ed una televisione. Una libreria vuota accanto.

«Avresti dovuto mangiare quando hai visto che non ti rispondevo. Sarei anche potuto non venire.»

«Sei venuto però, quindi ho fatto bene. Anche se adesso il riso è tutto asciutto e freddo.»

Guardai la tavola imbandita, due ciotole di riso ai vari poli del tavolo e dei contorni tipicamente coreani al centro. Un pranzo semplice, ma che comunque mi sarebbe dispiaciuto buttare.

Ti guardai mentre prendevi le ciotole di riso per buttarle nella spazzatura.

«No, aspetta!- ti dissi. Non volevo che lo buttassi. Avevi impiegato tempo per cucinarlo –Lo mangio io.»

«Ma è freddo.» mi dicesti scettico.

«Non m'importa.» lo ripresi tra le mani, sedendomi sulla sedia, prendendo le bacchette dal tavolo, iniziando letteralmente a divorare il riso. Non era buono, ma ero un bravo attore.

«Avremmo potuto ordinare d'asporto.» dicesti sedendoti di fronte a me, con la testa poggiata al palmo della mano.

«Sarebbe stato uno spreco.» mi servii da solo, e tu iniziasti a mangiare lo stesso, insieme a me.

Dopo quella cena fredda, passammo qualche minuto in silenzio, interrotto solo da un tuo starnuto.

Mi voltai verso di te, notando le tue guance particolarmente arrossate, e quando mi notasti, sorridesti «E' stato bello stare sotto la pioggia, ma sono cagionevole di salute, quindi oggi ho avuto un po' di febbre.»

«Allora dovresti metterti a letto.» negasti con la testa.

«Ho trovato qualche film da vedere.» ti guardai contrariato.

«Non se ne parla, devi andare a letto. Abbiamo altri giorni per poter guardare un film!» non volevo alzare la voce di due toni. Ma io ero stato preoccupato per te tutto il giorno, e sapere che tu fossi stato da solo con la febbre, chiuso qua dentro, mi faceva arrabbiare. Avresti dovuto avvisarmi, allora.

«No, il resto della settimana è già organizzato. Andremo a vedere il tramonto, andremo a fare un viaggio—»

«Sai che esistono anche altre settimane? Sembra che tu debba andartene da un momento all'altro.» volevo solo che tu ti rimettessi.

«In questa settimana voglio fare queste cose, del resto non m'importa!- ti eri alzato anche tu, urlando leggermente –E poi dovresti davvero smetterla di preoccuparti per me! Non ti ho chiesto di farmi da baby sitter, ma semplicemente di farmi compagnia per il resto della settimana!»

Ti guardai infuriato. Volevo davvero prenderti a pugni. Io mi preoccupavo per te, ma a te semplicemente servivo per accompagnarti, per svolgere quei punti che ti eri scritto in quel blocchetto.

«Certo che sei davvero ridicolo!» quando mi arrabbiavo sapevo dire cose davvero crudeli. Ed anche quella volta non fui da meno.

«Pensi che giri tutto intono a te, per caso?» ti chiesi retorico, mentre mi facevo più vicino, mentre tu rimanevi sul posto, ed anche se avessi voluto muoverti non avresti potuto, visto che il divano dietro di te ti avrebbe bloccato.

«Chi ti credi di essere per entrare nella mia vita e stravolgermela, solo perché tu devi fare delle cose stupidissime in una settimana?!» ancora non parlavi, ma non mi sarei fermato lì.

«Pretendi di essere accompagnato ovunque, ma devo essere sempre io a cercarti. Ti faccio delle domande e non mi rispondi!'Ti senti tanto importante e ti senti in diritto di ignorarmi e fare quello che vuoi?»

I tuoi occhi lucidi erano un chiaro segnale, che era arrivato il momento di smetterla, che non avrei dovuto continuare. Ma non mi diedi ascolto «E poi che roba è: correre sotto la pioggia, guardare il tramonto, fare l'amore..- scoppiai a ridergli in faccia –Cosa sei una femminuccia per caso?» ti guardavo con occhi derisori.

«Aish... ma non fartene una colpa, tranquillo.- ti poggiai una mano sulla spalla –Non è colpa tua. E' solo colpa mia.» annui con la testa, per dare ragione a me stesso. Ti vidi deglutire, i tuoi occhi si erano riempiti di lacrime, che non facesti ancora uscire però «Non so perché ho dato retta ad uno spostato come te.» mi allontani, riprendendo il giaccone rimettendomelo.

«Dimmi la verità, sei uscito da un manicomio e hai solo una settimana prima che ti vengano a riprendere per riportarti dentro?» fu lì che probabilmente esagerai.

Mi spingesti verso la porta d'ingresso e con una voce strozzata mi dicesti «Vattene Jeon Jeongguk, hai parlato anche abbastanza!» fu solo quando mi ritrovai fuori dal tuo appartamento che mi resi conto della cazzata che avevo fatto. Ma era troppo tardi.

«Dovevo immaginarmi che eri esattamente come tutti gli altri.» riuscì a sentire solo flebilmente quella frase, seguita da dei singhiozzi mal trattenuti.

Mi sarei preso a pugni da solo. Non era mia intenzione quella di ferirti, ma quel giorno mi sentì così arrabbiato con te, che non riuscii a trattenermi.

Pensavo che la mia rabbia fosse dovuta al tuo apparente egocentrismo, ai tuoi modi infantili, a quegli stupidi punti che proprio di fronte a me avevi scritto.

Non potevo immaginare che fosse dovuta alla paura. La paura di non poterti più rivedere. Perché ogni volta che dicevi la frase 'fino alla fine della settimana' una strana sensazione mi attanagliava il petto.

Dove anrdai? Non ti vedrò mai più?

Queste erano le domande perenni che continuavo a farmi. Ma ancora mi ostinavo a non voler accettare il fatto che tu, in qualche modo, con i tuoi occhi scuri, mi avessi stregato.

Mi avevi già reso dipendente da te, ed io non volevo essere dipendete da te. Perché avevo paura. Come potevo dipendere da una persona che ha esplicitamente dichiarato che dalla settimana prossima non potremmo più vederci? Come potevo innamorarmi di una persona senza nemmeno conoscerla realmente.

Ed allora inconsciamente ti avevo riferito quelle parole per paura. Perché la mia mente pensava che sarebbe stato meglio separarsi prima da te. Ma il cuore mi diceva che era con te che dovevo stare. Anche se tu, esattamente il giorno prima, mi avevi severamente vietato di provare amore per te.

E per una volta scelsi il cuore. E non ti ascoltai.

Guardai la porta di fronte a me, ed estrassi il cellulare dalla tasca.

"Mi dispiace." ti scrissi.

Sentì dal tuo appartamento il tuo cellulare suonare, e così scrissi ancora "Sono ancora qua fuori."

La tua risposta mi arrivò, non come la speravo io, ma arrivò "Vattene."

"Domani chiedo un giorno libero. Andiamo dove vuoi, anche se per me dovresti riposare ancora."

Ormai mi ero già perso. Ormai ero già con te, perennemente nei miei pensieri, nella mia testa, ed anche se non volevo ammetterlo e non capivo cosa fosse, me ne fregai. Volevo vederti. Ed allora ti avrei visto.

Era amore? Mi rifiutavo di crederlo. Non potevo credere che uno come me, si fosse innamorato a prima vista. Ma forse sì, era amore.

"Ti ho già detto di andartene."

"Domani passo a prenderti io. Se vuoi vedere le stelle e un bel tramonto, so io dove portarti."

"Inizi ad essere inquietante. Vattene prima che chiami la polizia."

Sorrisi, per poi scendere le scale scrivendo un "A domani."

Non mi giunse una risposta, ma sapevo che ti avrei rivisto il giorno dopo.

   
 
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