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Autore: Pittrice88    12/04/2018    5 recensioni
-Vampirelock / Johnlock.- Ogni notte una figura misteriosa entra a Baker Street. Tra sogno e realtà. Tra la vita e la morte. [All'interno della raccolta Freddo (minilong di 4 capitoli completa)]
Possibile ooc
Genere: Dark, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Introduzione
Rieccomi con una nuova vampirelock, anzi, con la prima perte della mia nuova vampirelock.
La raccolta “Bleed” ha sempre avuto come protagonisti gl’incubi di John, questa one-shot però, seppur sulla tessa lunghezza d’onda, risulterà leggermente diversa dalle altre.
Questo si può considerare un lavoro su commissione, infatti Pri82 mi aveva espressamente chiesto una “vera vampirelock”.
Ecco cosa ne è venuto fuori.
 
 
FREDDO (parte 1)
Erano passati solo tre giorni dall’inspiegabile, almeno agli occhi di John Watson, suicidio di Sherlock Holmes. Il dottore non si dava pace, dilaniato dal dolore e dalla consapevolezza via via crescente di aver perso molto più che un amico.
Aveva passato quei giorni a vagare senza meta per Londra piangendo e pensando.
Di tornare a lavorare all’ambulatorio non se ne parlava. Trovava insopportabile il contatto con le persone.
Stare a casa era troppo doloroso. Troppi ricordi. Eppure ancora non aveva deciso di trasferirsi. Baker Street, nonostante tutto, era l’unico luogo che riusciva a farlo sentire se stesso.
Se le giornate scorrevano lente e difficili, la notte era anche peggio, per quello cercava di rincasare sempre il più tardi possibile. Come le sere precedenti arrivò al 221B attorno a mezzanotte. Aprì velocemente il portone in un gesto automatico, senza prestarvi particolare attenzione. Si chiuse la porta alle spalle spingendola appena col piede.
 
- John-
 
Al suono di quella voce improvvisa si spaventò talmente tanto che, per un attimo, pensò gli stesse per venire un infarto. Con un gesto automatico aveva estratto la pistola e ora la puntava tremante nella direzione della voce. Strano, la sua mano era sempre stata incredibilmente ferma, ma non quella volta. Il consulente investigativo lo fissava dal pianerottolo. John non riuscì a scorgere la figura intera essendo nascosto quasi completamente al di là della porta. Solo la testa sbucava, mostrando la folta chioma nera e due occhi che, dopo qualche secondo di panico, si rese conto esser i soliti acquamarina, ma molto più lucenti.
 
- Sei vivo? –
 
- Sembri più pazzo che sorpreso. – Aveva il tono della voce divertito, nonostante ciò, non accennava a uscire dall’appartamento, continuando a fissarlo con circospezione come un topolino dalla propria tana. Rendendosi conto di avere ancora l’arma impugnata rimise la sicura per poi posarla velocemente all’interno del Burberry. – Scusa, Sherlock… Io ti ho visto cadere. Non capisco. Eri morto, sono sicuro che eri morto. E poi mi hai spaventato, pensavo non ci fosse nessuno a casa. –
 
- Sicuramente non c’è anima viva qui-
 
- Continuo a non capire…- la voce tremante
 
- Vieni dentro. Ti spiegherò tutto-
 
John chiuse a chiave la porta alle sue spalle, percorse i 17 gradini e entrò nell’appartamento.
 
 
 
Le parole del consulente investigativo, risuonarono nell’aria per più di un quarto d’ora.
Gli spiegò tutto: Moriarty, il cecchino, la paura, la caduta, la morte… e la decisione di rinunciare alla propria anima pur di tornare dal suo dottore.
Un ombra si fece spazio sul viso di John, il cuore gli si stringeva in una morsa di dolore, mentre con forza d’animo deglutiva cercando di ricacciare indietro le lacrime che gli stavano iniziando a inumidire gli occhi blu. Non avrebbe pianto, non di nuovo, e soprattutto non aveva nessuna voglia di mostrarsi debole di fronte a Sherlock che ancora lo fissava senza capire cosa stesse succedendo di preciso. Poi John s’arrese e scoppiò in lacrime coprendosi il volto con le mani.
Senza aggiungere altro Sherlock sparì in camera da letto lasciando il dottore da solo in salotto.
John era a dir poco sconvolto.
Continuando a tremare si versò un bicchiere colmo di brandy che cacciò giù in un solo sorso. Non era il primo della giornata. Poi andò in bagno e si fece una doccia sperando che l’acqua bollente, combinata all’alcool, l’aiutasse a tranquillizzarsi.
 
Uscito dalla doccia si infilò al volo l’accappatoio, passò una mano sullo specchio appannato e iniziò a radersi.
La porta si spalancò lenta alle sue spalle e il consulente investigativo entrò in bagno, silenzioso, senza chiedere il permesso, come d’altronde aveva sempre fatto.
 
John si girò, dandogli le spalle socchiuse gli occhi, soffermandosi ancora per qualche secondo sul proprio riflesso – Perché mi fissi? Non è che se non ti vedo nello specchio allora non mi accorgo di come mi stai guardando!– Con gesti veloci si strinse di più l’accappatoio, cercando di nascondere il più possibile il proprio corpo, più per vergogna che per pudore. Non gli piaceva l’idea che lui potesse osservare per troppo tempo le sue cicatrici.
 
– Mi piaci-
 
- Hai forse sbattuto la testa cadendo dal Bart’s?-

- Mi piaci già da molto prima di lanciarmi da lassù…-
 
- Dovevi per forza aspettare di morire per dirmelo?-
 
- Stai tremando. Non è da te. Hai paura di me o di ciò che accadrà?-

Non seppe rispondere. Se ne rimase a guardare lo specchio, le dita ancora strette sul cotone bianco. Aveva paura di quello che stava frullando nel suo cervello. Con timore si chiedeva quanto ci fosse effettivamente di Sherlock nell’essere che aveva di fronte. Sherlock che aveva deciso di sacrificare ogni cosa per lui. Il suo migliore amico, ma evidentemente molto di più.
Sentiva una strana pressione allo stomaco, come quando doveva dare gli esami all’università. Quando si girò a guardarlo la sensazione aumentò. Era ricoperto da testa a piedi di sangue, ma questo non riusciva a rendere il suo aspetto meno meraviglioso: aveva la pelle chiarissima, i muscoli asciutti gli ricordavano una divinità greca mentre i capelli neri, leggermente più lunghi di come se li ricordasse, esaltavano il color acquamarina degli occhi che lo fissavano con una tale intensità da fargli partire un brivido che gli percorse tutta la schiena.
- Potrei quasi pensare che t’importi di me… - sorrise nel tentativo di allentare la tensione, ma lui gli si avvicinò, più serio che mai. Il sorriso gli scomparve dal viso mentre il cuore accelerava di fronte alla figura del vampiro, sempre più pericolosamente vicino.
 
– Non scherzare mai con me. Ti ho donato la mia vita terrena e ora ho tutta l’eternità per te –
 
L’idea che Sherlock, un vampiro creatosi per salvargli la vita, pensasse a lui nel suo futuro, da una parte lo spaventava a morte, dall’altra parte però lo faceva sentire quasi felice, o più che altro onorato, della cosa.

- Ora preferirei andare a sdraiarmi. Non mi sento più molto bene, ha ricominciato a girarmi la testa, quindi se non ti spiace, vorrei andare a letto. –
 
Si avviò silenziosamente verso la porta del bagno, abbassò la maniglia per passare, ma con un colpo secco lui la richiuse. In un attimo si era spostato dietro di lui, bloccandogli i movimenti con il proprio corpo, il braccio teso sopra la sua testa a tenere bloccata l’uscita. Di nuovo talmente vicini da sentire quanto fosse freddo il corpo di Sherlock e con sconcerto si rese conto che non gli dispiaceva per nulla quel contatto, che stranamente quasi gli sembrava bollente. Gli balenò per la testa di voltarsi e sprofondare tra le sue braccia, in quella stretta che gli sembrava così confortevole, ma non lo fece. Qualcosa gli stava colando sul collo, scivolando nelle pieghe dell’accappatoio. Erano i capelli del vampiro che gocciolavano sangue, ed essendo i due così vicini le goccioline scarlatte finivano sul dottore, come lieve pioggia.
 
– Per quale motivo non posso andare a sdraiarmi? –
 
- Perché… - gli passò un dito sul collo, pulendolo dal rivolo di sangue – nella stanza al piano di sopra c’è quello che resta della mia cena. Non ti sei domandato da dove provenisse questo sangue? – Al dottore quasi sembrò di udire il rumore di denti che masticavano e il suono del risucchio. Si figurò l’immagine di Sherlock che gli tastava la carne e se lo immaginò mentre gli si avventava addosso.
Fantastico, pensò, era chiuso in casa con due cadaveri, uno a pezzi e uno pronto a mangiarlo.
Rabbrividì e indietreggiò istintivamente, andando a sbattere contro di lui che, con il braccio libero, l’afferrò per la vita, stringendolo di più a sé. Si chinò e appoggiò il mento nell’incavo del suo collo.
 
– Io non ho nessuna intenzione di farti del male, ma tu, mio dolce Watson, non scordare mai che cosa sono diventato per te. –
 
Poi il vampiro si spostò lasciando che John andasse a dormire nella stanza accanto.
 
Nel cuore della notte si svegliò di soprassalto. Non che fino a quel momento avesse dormito bene, ma la brutta sensazione di essere osservato lo destò bruscamente.
La stanza era immersa nella più totale oscurità, eppure il dottore poté chiaramente distinguere due occhi azzurrissimi che lo fissavano dall’alto.
Istintivamente John accese la luce.
Mai si sarebbe aspettato di vedere quel insolito spettacolo che gli fece sobbalzare il cuore nel petto: in piedi sul soffitto, a testa in giù in mezzo alla stanza, Sherlock lo osservava attentamente con le braccia conserte. La gravità non sembrava toccarlo, i capelli erano perfettamente al loro posto, e anche gli abiti non si erano spostati minimamente.
 
-Cosa diamine stai facendo?! -
 
- Veglio su di te. Non volevo spaventarti…scusa John. Non pensavo di farti questo effetto... –
 
- Ma sei serio? Dico, ti sei visto? Te ne stai lì, appeso come un pipistrello, a guardarmi come fossi un piatto di spezzatino – la voce di John tremava, ma aveva una nota aggressiva nel tono.
Ora l’uomo se ne stava seduto sul letto con fare cupo.
 
- John…sono sempre io… -
 
Gli occhi gli si riempirono di lacrime, ma invece di scorrergli lungo le guance iniziarono a fluttuare nella stanza come per magia in mille goccioline azzurre.
-Dai scendi da lì – A quella richiesta il vampiro roteò su se stesso e lentamente si posò al piedi del letto. Il medico si alzò e andò ad abbracciarlo –perdonami, sono stato uno stronzo – gli accarezzò con mano leggera i capelli – non piangere… - poi tirandolo verso il letto dal posino della camicia lo fece accomodare – puoi vegliare su di me anche standomi accanto -. Si stesero uno vicino all’altro, John sotto il piumone, Sherlock fuori dalle coperte.
 
- John, spegni pure la luce, riposati. Per me non è un problema, vedo al buio –
 
Il medico era confuso e spaventato. Si sentiva in colpa nei confronti di Sherlock. Il consulente investigativo gli voleva bene? Sicuramente sì. Ma poteva provare qualcosa nella sua condizione attuale? Le lacrime suggerivano che anche la risposta alla seconda domanda fosse affermativa, seppur il dubbio nella mente di John non svanisse del tutto.
Quando il dottore riprese sonno il vampiro lo cinse in un abbraccio protettivo. Il suo John.
 
Poi venne l’alba. Al suo risveglio il medico non trovò traccia di Sherlock nell'appartamento.  
 
…continua…
 

 
   
 
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