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Autore: Applepagly    25/04/2018    4 recensioni
Su Melody è risaputo: mai raccontare una leggenda, se essa è poco chiara. A furia di cercare il bello alle volte quasi ci si strozza!
Genere: Horror, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Merry-go-round'
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Lei era proprio come la ricordava nei suoi giorni migliori, quelli di quando aveva indossato quel vestito e lui l’aveva vista scendere per le gradinate della scuola. Bellissima, bagnata dal Sole, che si era riflesso sulla sua pelle lunare e che l’aveva fatta risplendere di luce propria, insieme a quella sua lunga treccia che si confondeva in mezzo a tanta luminosità.
Sorrideva, come aveva fatto allora; e lui le era andato in contro, sorridendo di rimando e facendola volteggiare per aria; una stella che ballava nel vento.
Memorie di quel giorno, quel giorno di festa in cui lui si era lasciato immortalare dalla destrezza di un amico con la macchina fotografica, ed aveva accettato che restasse un segno tangibile della sua allegria.
Ricordi di discorsi, di lei; dei discorsi che facevano insieme, senza sapere.
«Pensi che smettiamo di amare qualcuno, quando muore?» le aveva chiesto. «Se iniziamo ad amare qualcun altro, credi che smettiamo di amare la persona che è morta?»
«Tutto questo perché tuo padre vuole risposarsi?»
«No»
Forse un po’, in realtà.
«Credo che amare sia un po’ come… come suonare uno strumento musicale» gli aveva detto, dopo un po’. «Ci sono periodi in cui, per un motivo o per un altro, non puoi più dedicarti al tuo flauto, o al tuo sassofono, però… puoi riporlo nella sua custodia, in attesa del momento giusto per tirarlo fuori»
Chissà se lei aveva subodorato quello che sarebbe stato il suo destino. Ogni volta che ci ripensava, non poteva fare a meno di domandarselo.
«Intanto che resta lì non si rovina e, se davvero lo hai suonato con tutto te stesso, non perde valore ai tuoi occhi» aveva continuato. «Ma questo non significa che tu non possa suonare la chitarra o il violino, nel mentre. Tutti gli strumenti ti saranno utili, alla fine. Conoscendoli, potrai produrre una musica anche più bella di prima»
La ricordava così, con una delle ultime riflessioni che avevano condiviso. Quella sera stessa si erano amati per la prima volta e, in quegli istanti, lui aveva davvero avuto l’impressione che lei fosse stata un bellissimo strumento musicale, che riusciva a fare vibrare di un suono bellissimo al tatto; e viceversa.
E in quel sogno?
Era felice? Nelle sue memorie lo era stata; eppure, in quel momento, non lo sembrava più.
La piega perfetta delle sue labbra e dei suoi bei tratti di pesca si distorse, contorta dall’ira, dal rancore e dal disprezzo; tutto ciò che non le aveva mai visto in volto finché era stata in vita. E lo guardò con quegli occhi ora infuocati e, sputando le parole in una foga che gli lasciò assaporare tutto l’odio di lei, gli strinse le mani al collo.
In verità, più che di starsi strozzando, lui aveva avuto l’impressione di affogare; e l’aveva sentita urlare con voce dolorante, con la voce di chi vuole uccidere e soffre.
Forse lei non voleva che lui si dimenticasse. Forse non voleva che lui suonasse un altro strumento, che lui fosse felice, pensò prima di sentirsi svanire.
 
 
*
 
 
Spooks
#2 – Dawning of old misteries
 
 
Go lightly down your darkened way
Go lightly underground
I’ll be down there in another day
I won’t rest until you’re found
The Ground Beneath Her Feet, U2
 
 
«Come sarebbe a dire che non sai dove lei sia?» sbottò Tecna, incredula.
«Beh… mi aveva detto che andava in bagno e allora mi sono rimessa a dormire. Solo che non è più tornata, quindi non so dove sia!» replicò la bionda. «Non mi sembra tanto difficile, da capire!»
Musa scosse la testa, cercando di ricordare a se stessa ed all’amica con chi avessero a che fare. «Non ti è venuto in mente che, forse, sarebbe stato il caso di andare a cercarla una volta passati, che ne so, venti minuti?»
«Oh, ma quante storie…» sbuffò Stella, buttandosi a peso morto sul letto di Brandon. «Non capisco perché vi stiate preoccupando tanto. Magari è andata a prendersi una boccata d’aria… a farsi un giro. Magari è andata da Sem, no?»
«Escludo la prima ipotesi, dal momento che minaccia di piovere da un momento all’altro; la seconda è forse la più plausibile, dato che la camera di Sem è attualmente occupata da altri quattro ragazzi e dubito possa ospitare qualcuno in più» considerò la fata della tecnologia.
Sospirò, prendendo posto accanto a Looma, che ancora faticava a svegliarsi del tutto. «Non credo che abbia deciso di farsi un giro… insomma, Bloom non conosce Fonterossa e rischierebbe solo di perdersi. Non è così stupida…»
Le altre ragazze si volsero a guardarla, con un’espressione che la diceva lunga.
«Stupida no, ma un po’ avventata sì…» disse Flora.
«Un po’ ficcanaso» annuì Musa.
«Del tutto irrazionale, quando si tratta di certe cose» affermò Tecna.
«Sì, sì, abbiamo capito…» borbottò Stella. «Sentite… per quanto Bloom sia sciocca ed impulsiva ed in cerca di grane, non penso sia stata così scema da trattenersi a lungo in giro. Avrà per forza incontrato qualcuno e si sarà dilungata»
«Hai detto bene» fece la fata della tecnologia, improvvisamente pensosa. «Potrebbe aver incontrato qualcuno»
Le altre la guardarono, stranite. La sua migliore amica sapeva bene che quando lei assumeva quel particolare cipiglio e stringeva le labbra all’inverosimile, la sua mente stava lavorando così prepotentemente che quasi si sarebbe potuto udire il clangore di quegli ingranaggi che lavoravano tanto complessamente.
«Potresti spiegare?» mugugnò la principessa, stancamente.
«È mia convinzione che sia successo qualcosa, questa notte» sospirò. «Penso che i nostri racconti abbiano riportato in vita delle memorie che non sarebbero dovute riaffiorare»
«Tradotto?» insistette la bionda.
«Tecna crede che abbiamo evocato qualcosa, una specie di spirito» spiegò Musa. «Quello che è successo là sotto… o altre cose che abbiamo percepito…»
«…Sarebbe opera di un fantasma?» impallidì Flora.
«Per quanto illogico e assurdo possa essere…» considerò Tecna. «Ormai non dovrei più meravigliarmene, comunque. Temo che Bloom possa essersi imbattuta nel “fantasma”»
In quel momento, Looma sgranò gli occhi, come se avesse avuto una qualche intuizione. Si alzò all’improvviso, cercando con fare frenetico le scarpe che aveva abbandonato sotto la scrivania della stanza.
«Dobbiamo sbrigarci» sussurrò, febbrilmente. «Non è solo Bloom, ad essere in pericolo!»
 
*
 
La stanza di Aibao era quanto di più bello Bloom avesse mai visto.
Le pareti erano tappezzate di fotografie di ogni tipo che, per qualche sorta di incantesimo che lui doveva avervi apposto, restavano seppiate fino a che qualcuno non le osservava, animandosi in quel momento di luci e colori reali.
Non condivideva la camera con nessuno, dal momento che il suo precedente coinquilino si era appena trasferito in un’altra scuola; ma, nello spiegarlo, il ragazzo non sembrava troppo dispiaciuto.
Mentre aspettavano che Sem si riprendesse e desse segni di vita dal letto su cui lo avevano lasciato, un po’ per smorzare la tensione e un po’ per passare il tempo, parlarono del più e del meno, di tutto.
Beh, in verità era Aibao, a parlare. La fata scoprì quella notte che, a discapito di ogni apparenza, lui non era affatto riservato come poteva sembrare di primo acchito e, anzi, avrebbe potuto fare concorrenza a quello che – presumibilmente – era il suo fidanzato.
Alan taceva, ascoltando senza sembrare tuttavia troppo coinvolto; e un po’ era grato che il tempismo della nanerottola le avesse imposto di trovarsi nel posto giusto al momento giusto. Certo, quella sciocca ragazzina non la smetteva di lasciare timide carezze sulla fronte di Sem; ma, forse, glielo avrebbe potuto concedere, almeno per quella nottata.
«E insomma… Looma ha visto qualcosa?» disse Aibao, ad un certo punto.
«Qualcuno» lo corresse il biondo, come rianimandosi. «Mi duole ammetterlo ma… credo di averlo visto anch’io»
«All’improvviso hai poteri magici anche tu?» fece l’altro.
«No, scemo» sospirò, abbozzando un sorriso.
Bloom si accigliò. Era piuttosto inusuale vedere Alan così docile.
«Looma ha visto chi ha fatto questo a Sem» spiegò. «Io ho visto… qualcun altro»
«Intendi la voce che ha parlato prima, nel bagno?» intervenne la ragazza.
Quello annuì, volgendo lo sguardo verso il fratello. Si chiese se potesse sentirli, ascoltare i loro discorsi.
«Quando sei andata a cercare Aibao, io… l’ho intravista. E ho riconosciuto la sua voce, anche se aveva qualcosa di un po’ diverso» raccontò. «Non so perché sia qui, però»
Si alzò, lasciando vagare gli occhi per tutta quella miriade di istantanee che facevano bella mostra di sé per tutta la stanza. Ne individuò una, e quella subito riprese vita.
Sorrise e, con cautela, sfilò la puntina che la teneva affissa alla parete.
La mente tornò a quel giorno – curiosamente era stata una giornata di primavera, proprio come in quel momento – in cui la fotografia era stata scattata. La lasciò tra le mani di Bloom; perché Aiabao aveva già capito tutto.
La tessera ritraeva tre figure che lei riconobbe subito, e che accolse con un sorriso che, lì per lì, non comprese a cosa fosse dovuto.
Congelato in una risata, c’era il Sem due anni prima; il viso più morbido, gli occhi un po’ più luminosi ed un’espressione che gli aveva visto in volto forse una sola volta da che si conoscevano. Vicino a lui c’erano Alan e Looma, probabilmente impegnati in una qualche chiacchierata.
La foto doveva essere il ricordo di una festa o di un momento ugualmente felice, perché nessuno, in mezzo a quella marmaglia che faceva da sfondo ai suoi amici, sembrava distante da quella gioia che Bloom poté percepire anche così, filtrata dalla mano di Aibao e dal tempo.
La sua attenzione, però, fu quasi subito catturata dalla ragazza che sorrideva a Sem.
Era abbastanza sicura di non conoscerla. Forse l’aveva vista qualche volta, a scuola.
La bellezza di lei la colpì nel profondo, come la luce del giorno quando ci si risveglia; come la luce che lei sembrava emanare in quel sorriso sereno e fermo, che pareva scaturire dalla risata dello Specialista che le stava accanto.
Tutto, in lei, evocava una sorta di purezza e di freschezza che la fulva non avrebbe mai saputo attribuire a qualcosa nello specifico; non a quel chiaro vestito che si confondeva con la sua pelle alabastrina, non a quei lunghi capelli di vaniglia intrecciati o a quei suoi occhi piccoli, franchi e verdi.
All’improvviso la colse il suo nome, il suono di quella parola.
Vesela.
Quella con la targhetta bianca e lilla, quella con la grafia tonda e bassa. La fidanzata di Sem, portata via dalla follia.
L’aveva immaginata spesso e, comunque, la sua immaginazione non era mai riuscita a concepirla in tutta quella sua squisitezza.
«Lei è…» iniziò, tacendo immediatamente dopo.
Quel suo sguardo aveva qualcosa di estremamente magnetico, dal quale Bloom rimase turbata. O forse si stava solo lasciando trascinare dal momento?
Alan fece per dire qualcosa, ma un’occhiata di Aibao fu abbastanza perché capisse di dover tacere. La nanerottola sembrava così assorta.
È la prima volta che la vedi? La prima volta che riesci a dare un nome a quella ragazza che chissà quante volte avrai incontrato, a scuola?
Chissà che genere di effetto doveva farle. Vedere qualcuno che aveva amato la persona che, forse, anche lei avrebbe amato… vederlo, sapere che aveva fatto tanto per quella stessa persona…
Sapere che era morto. Sapere che la ragazza nella foto era morta.
«Pensi che sia stata lei?» chiese la tappetta.
«A parlarci? Sicuramente» le rispose. «A farci questi simpatici scherzi? Non penso. Perché avrebbe dovuto?»
La pel di carota sospirò, facendo lavorare quel suo buffo cervello con manie da investigatore. «Non lo so… potrebbe aver avuto le sue ragioni»
Sta seriamente pensando che quella pover’anima possa aver fatto una cosa del genere a mio fratello? D’accordo, capisco la rivalità, ma…
«Senti, ovviamente non hai idea di chi e di come Vesela fosse, ma ti garantisco che “rancorosa” non rientra per nulla tra le parole con cui la si sarebbe potuta definire. Perciò, se anche ci fosse un qualche motivo per cui qualcuno possa volere morto o tumefatto Sem, beh, certamente non sarebbe lei a volerlo» disse, un po’ risentito.
Quella sembrò ponderare attentamente le sue parole; ma non doveva essere troppo convinta, perché assunse quella sua odiosa espressione di quando la sua testardaggine le impediva di riconoscere di aver torto.
«E poi… che diamine, lo amava!» sbraitò in conclusione.
«Abbassa la voce, Al» lo riprese l’altro ragazzo.
«So che… lo amava» mormorò Bloom, trovando difficile dire una cosa del genere. «Però… beh, hai presenti tutte le leggende metropolitane su spiriti di defunti che infestano i loro cari per qualcosa che hanno fatto?»
«Oh, mio-» sbraitò il biondo. «Stai seriamente paragonando tutta questa situazione a quelle storielle idiote?»
«Tutta questa situazione è iniziata quando abbiamo cominciato a raccontare le “storielle idiote”!»
«Quando hai iniziato a raccontare le storielle idiote!»
«Abbassate la voce!» sbuffò Aibao.
«Come preferisci! In ogni caso, mi sembra evidente che l’intera faccenda abbia a che fare con quei racconti!» continuò lei imperterrita.
Alan sospirò esasperato, costretto a capitolare. Quanto era insopportabile, quella marmocchia!
Pretendeva sempre di avere ragione!
Si buttò sul letto dove stava seduto l’altro Specialista, affondando la faccia nel cuscino.
«E va bene» mugugnò, tra le piaghe della federa. «Ce li ho presenti, quelli spiriti. Va’ avanti»
«Beh… Vesela potrebbe essere uno di quelli. Forse ce l’ha con Sem per qualche motivo e ha pensato di… tormentarlo?» tentò.
Dal giaciglio di Alan provenne un borbottio sconsolato. Perché quella ragazza sapeva dire solo idiozie?
«Bloom… è trascorso quasi un anno, da quando… da quando se n’è andata. Se avesse voluto fargliela pagare per qualcosa… avrebbe potuto farlo molto prima» fortuna che c’era Aibao, a far ragionare quella testa di legno. «Perché pensi che abbia deciso di farlo proprio ora? E, soprattutto, perché siete entrambi convinti che sia un fantasma?»
«Diamine, Aibao!» disse l’altro. «So ancora riconoscere la voce di un’amica!»
«Forse è ritornata qui sotto forma di spirito per… delle questioni irrisolte. Almeno, sulla Terra si dice così» fece Bloom. «Mia sorella…»
Sospirò. Certo, non sapeva con certezza le ragioni per cui, le volte in cui aveva incontrato Dafne, lei fosse rimasta incorporea; però era abbastanza sicura del fatto che, anche da defunta, una parte di lei fosse rimasta in quel mondo sotto quella forma.
«Anche lei era un fantasma. Forse aveva ancora qualcosa da fare» riprese. «Forse è lo stesso per Vesela… e forse quel qualcosa è…»
«Non esiste!» insistette Alan. «Non Vesela!»
«Non puoi esserne sicuro!»
«Nemmeno tu!»
«Smettetela!»
All’improvviso, la porta della stanza cigolò piano, lasciandoli tutti e tre con il fiato sospeso. L’ingresso era immerso nella penombra e, per qualche istante, nulla si mosse.
Un passo si fece vicino, e Bloom strinse le nocche fino a farle sbiancare, pronta a scagliare il primo incantesimo che le fosse venuto in mente.
Poi, con suo estremo sollievo, il volto fanciullesco di Looma si distinse da tutto quel grigiore. «Ragazzi… vi si sentiva da fuori»
Alan si lasciò andare ad un lungo sospiro, sprofondando di nuovo nel cuscino.
«Ma che ci fate, tutte qui?» chiese Bloom, quando si accorse delle altre ragazze.
«Ti stavamo cercando!» disse Flora, con ovvietà.
«Ma dove ti eri andata a cacciare? Non hai idea di quanto queste due» disse Stella, riferendosi a Musa e Tecna. «mi abbiano stressata perché non tornavi più»
«Ero andata in bagno e poi…» rispose, volgendo lo sguardo verso Sem.
«Ma che è successo?» fece la fata della musica, sconvolta come le altre.
Looma si richiuse la porta alle spalle, abbassando il capo. Non si era sbagliata.
Mentre Alan raccontava l’accaduto, lei si convinse sempre più di averci visto giusto: aveva davvero visto qualcuno e, come sosteneva Tecna, erano stati loro ad evocarlo.
Forse, considerarono tutti insieme, nemmeno l’idea di Bloom era del tutto errata; forse chi era stato richiamato era tornato lì perché aveva ancora qualche questione da sistemare, nel loro mondo. Però…
«Non riesco a credere che possa trattarsi di Vesela» disse Looma.
«Vedi se almeno tu riesci a farglielo capire» commentò il biondo.
«Forse no; però ci dev’essere un motivo, se anche lei è comparsa proprio questa notte. Voglio dire…» considerò Musa. «Non è un po’ strano, il fatto che due spiriti vengano richiamati nello stesso posto e nello stesso momento… e che entrambi appaiano alle stesse persone?»
Che fossero collegati, in qualche modo?
«Che tipo di legame potrebbe avere, il fantasma di una persona tanto in pace con se stessa, con quello di qualcuno che non riesce a riposare sereno nemmeno dopo che ha tirato le cuoia?» rifletté Alan.
«Più che altro, resta da stabilire che legame abbia il fantasma inquieto con noi. Con Sem» disse Tecna.
Tutti la guardarono perplessi.
«Non ci avevo pensato…» ammise la sua migliore amica.
«Lo immaginavo. Ci siamo soffermati troppo a lungo su una questione marginale, mentre il vero quesito è un altro» continuò quella.
Prese a vagare per la stanza, di tanto in tanto osservando il ragazzo che giaceva addormentato.
«Ricapitoliamo» iniziò. «Bloom ha iniziato a raccontare delle “leggende metropolitane”, e alcuni-»
«Ehi, io l’ho solo proposto!» mugugnò quella, ferita.
«Certamente, ma il primo racconto l’hai narrato tu. Comunque, dicevo…» proseguì. «Alcuni di noi ne hanno raccontate altre. Il mostro della cascata, l’autobus maledetto e la ragazza con la treccia. Tralasciamo i pettegolezzi sul personale delle scuole»
«Perché? Potrebbero esserci le sopracciglia di Saladin, dietro a tutto questo. Forse sono adirate con noi perché abbiamo infranto il regolamento scolastico due volte» disse Stella.
«La seconda delle quali a causa tua. Vi pregherei di smettere di interrompermi» fece Tecna, stizzita. «Accidentalmente, le nostre novelle hanno evocato una delle presenze inquietanti che facevano da protagoniste ai racconti, la quale si è immediatamente palesata attraverso una serie di spiacevoli… convenevoli»
Si avvicinò a Sem, chinandosi su di lui.
Prese a studiarne le ferite, accuratamente richiuse da Aibao e non per questo meno visibili.
«Da escludersi il mostro della cascata. A quanto ne sappiamo, lo si può mettere fuori gioco, ma è eterno. Non è defunto» ponderò. «Abbiamo altri tre sospettati»
«Tre?» rifletté Aibao.
«Il fantasma della storia di Bloom, quello della storia di Musa e quelli della storia di Sem» spiegò. «Il problema è che ciascuno di questi, secondo la leggenda, è ancorato al luogo o ad un simbolo che ne ha determinato il decesso. Non posso credere di star davvero discutendo di cose del genere, ma… tecnicamente, la comparsa di ognuno di loro dovrebbe essere legata esclusivamente a qualcosa che ha in qualche modo a che fare con loro morte»
«D’accordo… la ragazza dello stagno si è suicidata lì, ma non sappiamo nulla degli spettri dell’autobus» ragionò Stella. «E, per quanto riguarda la ragazza con la treccia… lei è morta ruzzolando da un treno, ed i suoi resti erano in un pozzo vicino alla scuola di Melody. In teoria ha tirato le quoia lontano da dove appare»
«Accidenti… che ragionamento intricato per essere stato elaborato da te, principessa» ghignò Alan.
«Sei stupido» lo aggredì Looma, prima che la diretta interessata potesse aprire bocca.
«Possiamo presumere che i due spettri dell’autobus fossero da esso stati investiti o che, in ogni caso, la loro morte sia legata allo stesso» ipotizzò Tecna. «Da escludere, dunque. Da escludere anche la ragazza dello stagno»
«Sulla base di?»
«Sulla base del metodo adottato per uccidere le sue vittime. Stando al racconto, le strazia lasciandone intatti i denti e poco altro» ricordò.
«Quindi resta la ragazza con la treccia?» domandò Bloom.
«Mi pare la più plausibile» annuì la fata della tecnologia.
Sgranò gli occhi. Era proprio come pensava.
«Ma come facciamo, a dirlo? Non sappiamo cosa facesse» disse Flora. «Oh, mi sembra così orribile, parlare in questo modo…»
«Non lo sappiamo, però le ferite di Sem sono per lo più tagli. Forse lo spettro cerca di rendere il volto delle vittime senza… beh, senza più nulla o quasi, come il suo» intuì Aibao. «Tagli e…»
«…segni di un tentativo di strangolamento. Esattamente» concluse Tecna.
Alan si mise a sedere di scatto, ricordandosi dello scambio di battute che era avvenuto tra lui e Riven poche ore prima. «La treccia!» esclamò. «Potrebbe aver cercato di strangolarlo con la treccia!»
Chi l’avrebbe mai detto, che quel carciofo bisbetico potesse tornare utile… chissà come se la ronfa alla grossa, nella mia camera.
«D’accordo, tutto rimanda alla ragazza con la treccia. Ma non sappiamo ancora perché… ci dev’essere un motivo, se è comparsa oggi e se ha attaccato proprio Sem» sbuffò la principessa. «Musa, non è che ti sei dimenticata qualche dettaglio?»
«No, io… vi ho raccontato tutto quello che è rimasto della storia» assicurò quella.
«“Tutto quello che è rimasto”? Che significa?» fece Tecna, perplessa.
«Ecco… vediamo… quella leggenda metropolitana è poco chiara. Io ho raccontato quello che si è… conservato» sussurrò, abbassando lo sguardo.
«Ma… su Melody è risaputo…» intervenne Aibao, con un’espressione quanto mai inorridita.
«Che ti prende?» fece l’altro Specialista. «“Su Melody è risaputo” cosa?»
«“Mai raccontare una leggenda se essa ha più punti scuri che chiari”» recitarono lui e la fata della musica, insieme.
«Ovvero?» insistette Stella.
«Il comune “stai zitto se non sai di cosa parli”» spiegò Bloom.
I due melodyani si scambiarono un’occhiata preoccupata.
«Oh, su… non è mica una tragedia… è un vecchio detto, no? Adesso… non è che…» tentò la bionda.
«Invece è esattamente così» sbuffò Tecna. «Qualcosa di indicibile dev’essere legato a quella leggenda. La ragione per cui il tempo l’ha censurata»
«Sì, però se qualcuno ne sa ancora una parte significa che lo spettro non appare semplicemente raccontandone la storia» suggerì Flora. «Ci dev’essere dell’altro che, se raccontato in particolari circostanze, richiama il fantasma»
Qualcosa che lo richiami e che sia sufficiente perché il fantasma se la prenda con Sem.
«Il problema è: di che si tratta?»
La fata della tecnologia esaminò le ferite di Sem ancora per qualche istante.
Sembrava che fossero giunti ad un punto morto. «Se il dato storico è andato perduto con il tempo… sarà improbabile riuscire a determinare il nesso tra queste faccende. Anche se ci trovassimo su Melody, dove le vicende sembrerebbero essere accadute, non ci sarebbe anima viva che le possa raccontare» fece.
«Forse dovremmo concentrarci su come scacciare lo spettro, piuttosto» propose Alan.
L’altra si trovò costretta ad assentire; ma come fare? I talismani scaccia-spettro funzionavano solo se il fantasma in questione si fosse manifestato ma, come i fatti avevano dimostrato, lo spirito sarebbe comparso per tormentare Sem e Sem soltanto.
Sarebbe stato rischioso lasciarlo senza un briciolo di protezione.
«No… Tecna ha detto bene. Non c’è nessuno che possa raccontarci la storia così come dovrebbe essere…» iniziò Looma, criptica. «Almeno… non c’è tra i vivi»
«Che… cosa intendi?» domandò Bloom, confusa.
«Possiamo consultare qualche altra anima!» rispose quella, come se fosse stato elementare. «L’anima di qualche defunto che sia legato alla ragazza con la treccia, in un modo o nell’altro»
«Looma, non vorrei sembrarti scortese» iniziò Musa, sempre – curiosamente – garbata, quando si rivolgeva a lei. «ma mi sembra un po’… come dire… impossibile. Come si fa a richiamare un morto e a parlarci? Voglio dire…»
«Tu non leggi molto, vero?» sbuffò Alan, ottenendo una linguaccia in risposta.
Looma sorrise, mettendosi in piedi con un piccolo balzo. «Lasciate fare a me!»
Prima che chiunque potesse proferir parola, la ragazza era già trotterellata fuori dalla stanza, diretta nessuno seppe dove.
«Looma! Ma dove vai?» la chiamò Bloom, andandole dietro.
«Aspetta, Bloom!» la seguì a ruota Alan. «Non è prudente che andiate da sole!»
Tecna fece per fermarlo ma, come mise piede nell’oscurità del corridoio, non fu più in grado di distinguere i tre amici. «Che incoscienti…» scosse la testa.
Rientrò, concedendosi uno sbuffo.
Apprezzava lo spirito di iniziativa di Looma, ma non avrebbe potuto fare lo sforzo di parlare chiaro, per una volta? «Dove credi che sia andata?» chiese a Stella, quella che meglio conosceva quella ragazza.
«Non ne ho idea» sospirò lei. «Ma credo che abbia intenzione di fare come ha detto»
«Di chiamare… qualcuno?» chiese Musa, non esattamente convinta.
La principessa annuì. «È questo che fa, Looma»
«Ma… e allora…» continuò l’altra, sempre più confusa. «E allora… tutto quel gran parlare che si fa di lei… di Looma… della moda…»
«È una montatura?» sussurrò Flora.
«Certo che no!» sbraitò la bionda. «Solo che… forse non tutti nascono con le doti che vorrebbero avere; e lei… lei è nata con questa. Non so come funzioni; lei non… ne parla spesso»
«È come diceva Bloom prima» iniziò Aibao, rimasto in silenzio fino a quel momento.
Sorrise, in un modo un po’ malinconico.
Una volta Looma si era soffermata sulle fotografie della camera di lui, scrutandole una ad una, quando ancora erano poche.
Non erano mai stati particolarmente affiatati… forse perché avevano un temperamento diverso, o forse perché entrambi sgomitavano per un posto d’onore nel cuore di Alan; tuttavia, quel giorno, lei aveva voluto aprirsi un po’ e mostrare un lato di sé, quello misterioso, che raramente aveva l’occasione di emergere.
E, come raccontò alle Winx, quel che la ragazza gli aveva confessato lo aveva turbato più di quanto si sarebbe aspettato. Senz’altro i due gemelli ne erano a conoscenza perché, come gli disse, aveva quella inquietante capacità fin da quando erano piccoli tutti e tre.
«Li aveva definiti come “quelli che hanno ancora qualcosa da fare”; quelli che, come dice Bloom, hanno questioni irrisolte da sistemare. Looma li vedeva, li vede» spiegò. «Come fossero dei passanti, come fossero lì per caso; ma li sa riconoscere. Non solo perché hanno qualcosa di desueto, no… lo percepisce»
Li vedeva; ed erano spesso tristi, dalle espressioni cupe, e sussurravano qualcosa tra sé e sé – e di quei sussurri orribili, ma antichi rimpianti che giungevano sempre all’orecchio di lei.
«E li può… chiamare? Quelli che hanno ancora qualcosa da fare?» chiese Flora.
«Può chiamare anche chi…» mormorò Musa, intenta ad osservare il pavimento.
Poteva richiamare anche chi, di cose da fare in quel mondo, non ne aveva più?
«Penso che l’unica ragione per cui lei possa interagire con loro sia il fatto che qualche faccenda li tiene ancorati a questo posto» concluse Aibao.
Calò il silenzio; e il pensiero di ciascuno andò alle cose più oscure che covava nella mente, nel cuore.
Cosa accadeva, a chi si trovava in quella condizione? Morto senza poter riposare; era quello che ci si sarebbe dovuti aspettare se, una volta varcata la soglia, si aveva comunque la consapevolezza di non aver fatto tutto?
Che cos’erano, coloro che restavano intrappolati lì? Cosa sentivano? Quanto, del dopo, avevano potuto vedere? Quanto si ricordavano, del prima?
«Dobbiamo trovarla» fece Tecna, ad un certo punto. «Dobbiamo trovarli tutti e tre»
«Ci dividiamo?» suggerì Musa.
L’amica si volse a guardarla, sospirando. Nei suoi occhi, lesse tutte le sue preoccupazioni.
So che è proprio quello che volevi evitare… ma non abbiamo scelta.
«Uno di noi dovrebbe restare qui per sincerarsi delle condizioni di Sem» annuì dunque.
«Posso occuparmene io» propose Aibao.
«Forse dovrebbe rimanere anche qualcun’altra, per intervenire qualora lo spettro si faccia vivo di nuovo» considerò Stella. «Io… lo farei più che volentieri»
«Fifona» ridacchiò Musa.
«Tesoro, guarda che se quella pazza ricompare me la devo sorbire io» le fece notare. «E poi non ho molta voglia di camminare»
Tecna sospirò, non essendosi aspettata nulla di diverso da lei.
«Fate attenzione» disse solamente, mentre usciva.
«Non temere» replicò, con ovvietà.
Quando anche Flora fu fuori di lì e si fu richiusa la porta alle spalle, la principessa si lasciò andare ad un lungo sospiro.
«Sei… agitata?» chiese Aibao.
Stella scosse la testa. L’occhio le cadde sulla fotografia che era stata abbandonata sulla scrivania del ragazzo.
«Non sono agitata» smentì.
Prese in mano l’istantanea.
«Non per noi due, almeno»
 
*
 
Bury me in armour
When I’m dead and hit the ground
My nerves are poles that unfroze
And if you love me, won’t you let me know?
Violet Hill, Coldplay
 
 
Era stato piuttosto faticoso riuscire a non perdere di vista le sagome di quelle due che, l’una a poca distanza dall’altra, correvano per i labirintici dormitori di quella maledetta accademia in cui, purtroppo, sapeva che sarebbe dovuto restare ancora troppo a lungo.
Altrettanto a lungo, quindi, avrebbe dovuto affrontare situazioni tremendamente scomode e lugubri come quella; in compagnia di quelle.
L’ho sempre saputo che le donne portano guai.
In particolare, la fulva lillipuziana e la dolce Looma si stavano rivelando una perfetta parabola di quella savia consapevolezza di cui Alan non aveva mai dubitato in vita sua e che, quella notte, era destinata ad accrescere il proprio fondamento su base empirica.
Un quesito continuava a martellargli la materia grigia.
Dove diamine vuole andare, Looma?
Perse quasi la cognizione del tempo e, proiettandosi nei propri pensieri, nemmeno si rese conto di dove fossero finiti, tutti e tre.
L’aria pesante ed il gelido sussurro della botola che si richiudeva gli suggerirono la meta ultima del loro gran correre a destra e a manca. Il salone sotterraneo.
Ma certo… per stabilire un contatto deve andare nel posto in cui il fantasma le è apparso per la prima volta…
Vide che Bloom si era fermata sulla soglia, osservando ciò che aveva davanti come completamente assorbita dallo spettacolo di Looma che parlava. Alan raggiunse la fulva e si fermò ad un soffio da lei, catturato allo stesso modo da quelle parole dolci che l’altra ragazza scandiva, al centro della stanza.
E allora entrambi pensarono; e lei pensò a quei genitori che non aveva mai conosciuto, a Dafne svanita nel nulla quando non l’aveva potuta aiutare, a Sky; mentre lui pensò alla madre e a quei baci della buonanotte di cui ancora ricordava il profumo sulle guance.
E si chiesero se Looma, qualche volta, li avesse visti o ci avesse parlato.
Si domandarono se fossero di quelle anime che vivevano serene da qualche parte, o se appartenessero a quei poveri destinati alla dannazione, al limbo in cui si trovavano la ragazza con la treccia e, a quanto sembrava, anche Vesela. Che genere di rimpianto o di rimorso avrebbe potuto trattenerli?
Che genere di dolore poteva essere così forte da trascendere il limite ultimo?
E all’improvviso, di fronte a tutto ciò, Alan capì Bloom, per la prima volta; capì il suo male e capì quell’ombra che ogni tanto turbava i suoi occhi. Tutti avevano perso un pezzo, no?
Le strinse una mano, senza quasi che se ne fosse reso conto. Lei non fece domande.
Io ho perso i baci della buonanotte; mentre tu…
Looma aveva finito di parlare, ed ora era accerchiata da quelle che gli altri due avrebbero percepito come luci di diversi colori; ne cercava una in particolare, e non riusciva a trovarla.
Poi la scorse e la chiamò, ma quella non si voltò e scomparve; ne scorse poco dopo una che doveva essere lei, una che le era molto simile. Sorrise, la richiamò, senza sapere la verità.
La stanza tornò buia e fredda, animata solo dall’espressione soddisfatta e contenta della fata, che ora si era volta verso i due amici. «L’ho fatto!»
«Hai… chiamato qualcuno?» fece Bloom, dubbiosa.
Quella annuì. «Penso che lei ne sappia più di chiunque altro… oh, guardate… è lì!»
Indicò loro un punto imprecisato alle loro spalle, forse poco sotto la botola. Assottigliarono lo sguardo per mettere a fuoco una macchia scura; e quella mosse un passo verso di loro e, sebbene Looma ne fosse entusiasta, ad Alan non piacque, non piacque per nulla.
Se fosse stato un gatto, pensò, gli si sarebbe rizzata la coda.
«È lì» continuò l’amica. «È Vesela»
«Hai chiamato Vesela?» le chiese, stringendo un po’ più forte la mano di Bloom ed arretrando inconsciamente. «È Vesela?»
«Certo che sì. Ho pensato che lei potesse saperne di più» spiegò. «Ci dev’essere un legame, tra loro due. Forse ci sa dire qualcosa»
Il ragazzo arretrò di un'altra manciata di centimetri, cercando di convincersi che la ragazza avesse ragione e che quel brutto brivido che l’aveva colto fosse solo un riflesso involontario, determinato solo dal fatto di trovarsi davanti ad un fantasma, a qualcuno che non sarebbe dovuto essere là.
Eppure, man mano che la presunta Vesela si avvicinava, non si faceva più nitida né i suoi contorni più chiari, come quelli della presenza che si era mostrata nel bagno ed aveva parlato. «Sei… sicura che sia lei?» balbettò la fulva.
«Non vi fidate?» replicò Looma, infastidita.
«Looma…» biascicò Alan, zittendosi subito dopo.
Il fantasma si avvicinava sempre di più, sempre più rapidamente; e Bloom rivisse quegli interminabili istanti in cui aveva atteso che Aibao le aprisse, gli istanti in cui qualcosa si era mosso nell’ombra. Rivide allora lo stesso spirito, e capì che, di chiunque si trattasse, non doveva avere le migliori intenzioni del mondo.
Un rantolo provenne da quella massa informe che si approssimava sempre più all’ingresso del salone, rischiarato solo da quelle piccole candele che rimandavano un chiarore opaco ed insufficiente ad illuminare la via e l’identità dello spettro.
«Looma… secondo quale criterio hai potuto stabilire che quella che hai chiamato è Vesela?» insistette Alan, indietreggiando ancora.
Un altro suono agghiacciante echeggiò tra le pareti del salone, accompagnato da un sussurro che nessuno dei tre poté capire.
«Beh… l’anima che ho chiamato era quasi identica alla sua» spiegò.
I versi orribili la fecero iniziare a vacillare rispetto alle proprie posizioni. «Sai che siamo tutti diversi a questo mondo, vero? Che anche il minimo dettaglio è rilevante?» fece il ragazzo allarmato. «Looma, chi diamine hai evocato?»
«Io…» si zittì, perché ora lo spettro era arrivato, ora aveva smesso di strisciare sul pavimento; ora si era ammutolito e aspettava.
«Alan» sussurrò Bloom.
Fu l’ultima cosa che Alan riuscì a sentire perché, come il fantasma scattò in avanti, tutto perse di significato ed avvertì la mano della nanerottola abbandonarlo, scivolare via, costretta; ed urla, urla terrificanti e piene di terrore, le urla di lei, di quella sciocca tappetta che non era stata abbastanza intelligente da restare dietro di lui quando si era frapposto tra lei e lo spirito.
Tra lei e l’anima che l’aveva portata via; l’anima senza volto, la ragazza con la treccia.
Stupida pel di carota… non è nemmeno capace di lasciarsi proteggere…
Poi tutto divenne cupo e, più lui spalancava gli occhi per vedere, più l’oscurità s’infiltrava tra le sue ciglia e gli annebbiava le iridi chiare; e chiamava Looma e la udiva rispondere ma, ancora, non poteva vedere nulla.
Richiuse gli occhi ed allora vide, e davanti a lui c’era qualcuno; forse era Vesela, forse era Bloom.
«Devi aprire gli occhi»
Lei – chiunque fosse – sorrideva.
Perché? Riesco a vedere solo ad occhi chiusi…
«Apri gli occhi, Alan»
Sbuffò.
Se ci tieni così tanto…
«Apri gli occhi, Alan!»
Lo scossone subito lo fece risvegliare da un sonno piacevole, di quelli lunghi e tiepidi d’estate. Sbatté un po’ le palpebre, domandandosi cosa ci facesse riverso sul pavimento di quella stupida stanza sotterranea e, soprattutto, perché diamine Tecna non la smettesse di strapazzarlo con aria terrorizzata.
«Sono aperti» le fece notare.
«Grazie al cielo…» sentì Flora bisbigliare poco più in là.
La fata della tecnologia mollò la presa, sdraiandosi ella stessa sulle fredde mattonelle e lasciandosi andare ad un lungo sospiro. Tutte quelle forti emozioni a distanza ravvicinata la stavano distruggendo.
«Cos’è successo?» chiese il ragazzo, stordito.
Looma – fu grato di vederla sana e salva – lo aiutò a rimettersi in piedi.
«Dovreste spiegarcelo voi» fece notare Musa. «Noi vi stavamo cercando e ad un certo punto abbiamo sentito un urlo provenire da qui»
Lo Specialista sgranò gli occhi. «Bloom!»
Si volse a guardare l’amica, come a chiederle spiegazioni. «Ne so quanto te…»
«Lo spettro… Bloom…» mormorò.
«L’ha rapita. Questo lo abbiamo capito» sbuffò la fata della musica. «Ma non il perché»
«Mi chiedo come mai sia apparso proprio in queste circostanze» iniziò Tecna.
«Beh… è possibile che io l’abbia… accidentalmente evocato» ridacchiò Looma. «Cioè… beh… in realtà ne ho… evocati due. Forse. Cioè… prima ne ho chiamato uno, ma non si è voltato ed è scomparso… poi ne ho visto un altro, era molto simile, quindi ho provato a chiamarlo di nuovo»
«Uno “molto simile”?» fece Flora, dubbiosa. «Che significa? Quindi hai evocato due fantasmi? E che ne è del secondo?»
«Vabbe’, ne riparliamo dopo, eh? Per intanto dovremmo proprio ispezionare quel corridoio sospetto oltre la finestra» intervenne Musa, guadagnandosi un’occhiata basita da parte di Alan. «Lo spettro deve averti spinto contro la parete, perché hai praticamente disintegrato una vetrata»
Il ragazzo si volse verso la direzione che la fata gli stava indicando, senza tuttavia riuscire a capire. Era abbastanza sicuro di essere stramazzato a terra, nel punto in cui si era rialzato.
«Quale che sia la ragione, dietro l’edera che per qualche motivo cresceva dietro la finestra c’è un corridoio. Riesci a vederlo?» gli chiese Tecna.
In quel preciso istante, il cellulare di Musa prese a vibrare, rimandando sul display il nome di Stella. La ragazza impallidì, accostando il telefono all’orecchio e preparandosi al peggio.
«Pronto?» starnazzò la principessa dall’altro capo, ad un tono così alto che costrinse l’altra ad allontanare il dispositivo.
«Si sente anche se non urli» le fece notare, scocciata.
«Musa, state tutti bene?» le chiese, ignorando la sua predica. «Sem si è svegliato»
«Non fare domande se poi non ti interessa la risposta» borbottò. «È una notizia grandiosa. È un peccato che Bloom sia stata rapita»
Un “che cosa?” risuonò per tutta la sala.
«Chi è stato?» gridò Stella, agitata. «Lei dov’è? Starà bene?»
«Se conoscessimo le risposte non saremmo qui a girarci i pollici» fece Alan.
Musa passò il cellulare a Tecna. «Stella, in che condizioni è Sem?»
In superficie, nella stanza di Aibao, la bionda si volse a guardare il moro. Quest’ultimo corrugò la fronte, domandandosi che cos’avesse da strillare e, soprattutto, perché mai lo stesse scrutando con quel fare indagatorio.
Per quanto lo Specialista terapeuta potesse decantare doti eccezionali, certamente quella lunga cicatrice non se ne sarebbe andata tanto facilmente dalla faccia di Sem.
Che aspetto rozzo e trasandato, conferiscono le cicatrici.
Tranne che a Brandon, naturalmente.
«Orribili» rispose, dopo un’attenta analisi. «È tutto spettinato e quella cicatrice…»
«Stella» sbraitò l’altra, spazientita. «Ce la fa a mettersi in piedi?»
«Oh, ma certo! Penso che quando saprà che Bloom è stata rapita niente e nessuno potrà fermarlo!» scherzò la principessa.
«Bloom è stata rapita?» commentò il ragazzo, con orrore.
«Bene» riprese Tecna. «Dovete venire tutti qui giù, nel salone; c’è una vetrata rotta, la riconoscerete subito perché ci sono dei vistosi tralci di piante rampicanti in prossimità dei cardini della finestra… dovete oltrepassarla e vi troverete in un’altra area della vecchia scuola. Noi iniziamo a controllare. Voi sbrigatevi»
«Signorsì» concluse Stella, chiudendo la conversazione.
In quel mentre, Alan si era affacciato sul corridoio nascosto dall’edera, riconoscendo in terra gli stessi motivi delle piastrelle del grande salone; tuttavia, le condizioni di quell’ambiente erano pressoché disastrose allo stesso modo – se non peggio – di quelle della sala da ballo quando l’avevano trovata.
Il soffitto si faceva vistosamente più alto e lungo le pareti si diramavano degli arabeschi che si ricongiungevano sui piedritti a sostegno di ampie arcate, dall’antico bianco ormai morto e mangiato dal tempo e da tutta quella umidità dal cui olezzo il ragazzo fu investito come mise piede lì dentro.
C’era, però, qualcos’altro a metterlo sull’attenti; una sensazione di oppressione, come di uno sguardo che gravava su di lui e lo seguiva in ogni movimento. Presto Looma lo raggiunse insieme alle altre tre ragazze e, nonostante avessero tutte rischiarato un po’ quelle gallerie immerse nel buio, restava impossibile scorgerne la fine.
«Perché quest’ala della scuola si è conservata così bene?» ragionò Flora.
«“Bene”? Ma non hai visto quanta muffa c’è in giro?» borbottò Alan.
«Flora ha ragione: rispetto alle altre gallerie, che sono ormai inagibili, queste sono abbastanza praticabili» replicò Musa. «Solo… mi domando dove portino»
«Io mi domando invece a cosa sia dovuta questa foschia» cambiò argomento Tecna. «Mi chiedo chi l’abbia evocata»
«Credi che sia un incantesimo?» le chiese la sua migliore amica.
Quella sospirò. «Non saprei. Sembrerebbe; ma le uniche a praticare l’arte magica, qui, siamo noi»
«A meno che non ci sia qualcun altro…» rabbrividì Flora.
«Intendi dire… qualcuno tipo quella persona che ci sta aspettando lì, sulla destra?» balbettò Alan, cadaverico.
Ad avanzare fu solo Looma che, come in uno stato di trance – o, forse, molto più lucida degli altri – riconobbe in quella presenza un’anima defunta, che doveva aver deciso di mostrarsi a tutti loro.
In un attimo, lo Specialista comprese a cosa fosse stata dovuta l’impressione che aveva avuto nel momento in cui si era affacciato su quei corridoi.
Quella figura immersa nella nube nera fece loro cenno di seguirla, forse per dare loro delle risposte che nessuno era sicuro di volere per davvero. Lui e Tecna si scambiarono un’occhiata colma d’apprensione, nella tacita promessa di adoperare la massima cautela; poi, si decisero ad andare dietro a quella ragazzina.
Dopotutto, la situazione non avrebbe potuto prendere una piega peggiore di quella, giusto?
 
*
 
Le sembrò di percepire qualcosa; un profumo freddo e familiare, che parte di sé doveva aver memorizzato inconsciamente; come quando la mente cattura un’informazione di sfuggita da un libro ed essa resta impressa più delle altre, per qualche ragione.
Sapeva di avere gli occhi chiusi e di non poterli aprire, per un motivo che lì per lì non avrebbe saputo spiegare; tuttavia, più quel profumo si faceva vicino, più aumentava il desiderio di aprirli, di dare un nome a un ricordo.
Ad una persona.
Perché lo sapeva: doveva trattarsi di qualcuno. C’era traccia di umanità, in quella fragranza fresca che si avvicinava; una traccia di donna.
Poi parlò, quella voce così bassa che conosceva e che sembrava però più lugubre, come venuta dall’oltretomba; e non ebbe bisogno di guardarla per capire che era lei.
Forse quella Icy era solo un sogno; forse era lì perché per qualche settimana Bloom aveva rimuginato su quei brevissimi attimi in cui l’aveva vista in un sobborgo di Magix e non aveva saputo definire quell’emozione che l’aveva resa attonita, incapace di pensare.
Forse era lì perché aveva qualcosa da dirle, qualcosa che avrebbe voluto dirle quella volta. Oppure era lei stessa, a sentire la necessità di parlarle?
La strega sussurrò delle parole e, in qualche modo, le parve di immaginarla in un modo in cui non l’aveva mai vista. Per la prima volta, si rese conto di quanto quella perfida arpia avesse sempre celato una bellezza sinistra dietro ai suoi sorrisi di pazzia; una bellezza quasi delicata, che quel suo trucco sempre così opprimente non aveva mai reso possibile intravvedere oltre le iridi cristalline.
Come se fossero state sempre lì, le due sorelle fecero la loro comparsa, senza che lei avesse il bisogno di guardarle per riconoscere quelle presenze, quel qualcosa che le aveva sempre fatto accapponare la pelle e che, pur senza volerlo, aveva suscitato in lei una sorta di fascino che non avrebbe potuto attribuire a nulla di specifico, in quelle tre.
La mano fredda di Icy le sfiorò una guancia e, in quel preciso istante, Bloom provò dolore. Era stata lei, a provocarlo?
Non rideva, non come ci si sarebbe aspettati che facesse dopo averle fatto del male, com’era suo solito. E allora capì, e quelle dita di ghiaccio le diedero sollievo ad una ferita che doveva averle inferto qualcun altro, probabilmente.
Poteva percepire lo sguardo penetrante di lei imprimersi sulla pelle e forarla, lasciando una traccia indelebile che racchiudeva in sé tutte quelle volte che l’aveva osservata, l’aveva studiata e si era chiesta, probabilmente, perché una fatina tanto insulsa avesse un potere così grande. Tuttavia, in quel modo che aveva di scrutarla, non vi era più lo stesso astio di un tempo – o, per lo meno, questa era la sensazione che provava Bloom.
Fu una delle sorelle – non seppe chi – a dirle di svegliarsi, come le accadeva quando era ancora una normalissima terrestre e nei suoi sogni qualche amica irrompeva a dirle che era in ritardo per la scuola e che la sveglia stava suonando già da un pezzo.
La prima cosa che percepì una volta vigile fu un terribile e pungente sapore di ferro fare violenza nella sua bocca ed annebbiarle per un momento i sensi.
Ne avvertì perfino l’odore ed il tanfo le fece venire le lacrime agli occhi. Sarebbe stato difficile determinare dove lei si trovasse.
Quel poco che restava alla vista concedeva la possibilità di identificare le sagome di mobili l’uno a ridosso dell’altro, come di una vecchia stanza in cui qualcuno aveva riposto tutto ciò che non poteva più tornare di alcuna utilità e che, in ogni caso, non aveva troppa premura di far sparire.
Capì di trovarsi esattamente in un anfratto tra quella che doveva essere una libreria e qualcos’altro di simile. Come ci era finita, lì?
Una fitta di dolore la costrinse a portare una mano al volto e a scorgere con il tatto ciò che, con tutta probabilità, aveva determinato un risveglio denso di sangue.
Una lunga ferita le deturpava il lato sinistro del viso; come quello che aveva Sem.
Tuttavia, ben presto Bloom si rese conto di avere delle perdite anche dal labbro e dal naso. Era stata picchiata?
Eppure, non ne aveva memoria. Non del tutto; solo di un dolore intenso e di mani orribili che le toccavano il volto.
Non era la mano di Icy.
Aveva rimosso?
Perché sta succedendo tutto questo?
A che scopo tumefarle la faccia e lasciarla lì, ad agonizzare? Era stato lo spettro?
Morirò qui?
S’irrigidì al solo pensiero ed il panico la morse; prese a tirare delle botte contro il mobilio che la circondava, senza spostarlo di un respiro.
Era troppo debole per trasformarsi e anche il flebile incantesimo che pronunciò così non fu sufficiente nemmeno a scalfire gli ostacoli che la separavano dall’uscita.
E se neanche ci fosse, un’uscita?
Gridò, ma le sue grida si dispersero rapide, come se non fossero esistite.
Una vertigine la colse alla sprovvista, accompagnata da conati che trattenne, anche a costo di fare violenza a se stessa. Si accovacciò, sentendo calde lacrime bagnarle le guance e confondersi con quello scempio che aveva in viso e che non la smetteva di fare male.
E adesso?
Perché era lì? Perché qualcuno l’aveva aggredita?
Perché non poteva, non potevano, vivere in serenità come tutti gli altri?
«Non ti devi disperare»
Era stata una voce calma e delicata a parlarle.
All’improvviso, Bloom percepì una leggera pressione sulla spalla e, come sollevò il capo, vide una figura bellissima, avvolta dalla luce.
«Andrà tutto bene, vedrai»
La ragazza la osservò e poté vedere in lei solo un sorriso in cui scorse qualcosa di familiare. A metterla subito in allarme, però, fu la lunga treccia che oscillò appena la nuova venuta si mosse.
Fece per sfiorarle una guancia, ma la fata si ritrasse subito.
«Hai paura di me?»
Lo disse come ferita e, senza saperne il motivo, la fulva si sentì colpevole. Come poteva, una creatura tanto luminosa, volerle del male?
Quella le tese una mano, non scoraggiandosi.
«Fidati di me, Bloom. Ti sentirai molto meglio»
Tese una mano che le sfiorò la guancia, proprio nel punto in cui, nel sogno, Icy aveva posato la sua e le aveva trasmesso quella curiosa e fresca sensazione.
Com’era possibile?
«Non devi avere paura. Stringi la mia mano»
La ragazza esitò qualche istante. Come avrebbe potuto?
«Non devi pensarci troppo… devi farlo e basta»
Annuì, fece come le era stato detto e si ricordò di Alan; si chiese che ne fosse di lui, di Looma… degli altri. Di Sem.
Chissà… forse la stavano cercando. Come al solito, non faceva altro che creare problemi…
«Non essere così dura. Sei una persona buona»
«Mi conosci?» si decise infine a dire.
La figura non rispose; si concentrò e, pian piano, la fata iniziò a percepire un prurito lungo la ferita. Il sangue si stava coagulando ad una velocità inaudita.
Cosa diamine stava succedendo?
«Sì, io ti conosco. Tu mi conosci, invece?»
«Non lo so» ammise. «Sarebbe più semplice se potessi vederti in volto»
Quella rise, per poi fermarsi di colpo.
«Ti stanno cercando, sai?»
«I miei amici? Preferirei che non dovessero farlo in continuazione» ammise.
«Tu lo faresti, no? Se loro fossero scomparsi»
«Sì, però…»
«Lo fanno per te, perché ti vogliono bene. Per te è uguale»
La ragazza annuì, sospirando e sorridendo.
La figura mosse il braccio e, come per incanto, Bloom appurò che qualcosa di straordinario era appena successo e, della lunga lacerazione che le aveva dato tanto dolore non era più rimasto nulla.
Proprio come nel suo sogno; proprio come ciò che aveva compiuto la mano di Icy.
Non seppe attribuire un nome, però, a quell’emozione che si era scatenata in lei al ricordo di quella visione. Chissà poi perché proprio la strega dei ghiacci…
«Dovresti riposarti un po’. Loro verranno a riprenderti» spiegò. «Non posso fare altro. Indicherò loro la via»
Rivolse un’ultima volta un sorriso a quella ragazza, sfiorandole nuovamente il viso affinché, con quel poco di energia che le era ancora rimasta, potesse conciliarne il sonno, in attesa che le persone che amava la tirassero fuori di lì.
Conscia di non poter fare di più, la lasciò e nella mente vide coloro che cercava.
Li trovò in quel corridoio segreto, lungo la strada che era stato detto loro di intraprendere; e, in un attimo, sbarrò il passo di quei tre ragazzi che, come la videro, s’irrigidirono.
La sagoma di luce non si spostò neppure, lasciandosi attraversare da quella scia di scintille che la fata del Sole e della Luna le scagliò contro, senza successo. Ritentò, amplificando la potenza del sortilegio.
«Fermati, Stella!» la implorò Sem. «Non è la ragazza con la treccia!»
«Ah, no?» fece, digrignando i denti e trattenendo un altro colpo.
«Quella… non è… lei è…» sussurrò, come paralizzato.
La principessa s’immobilizzò, confusa; e così anche Aibao.
La figura sorrise e si fece più nitida.
Se Bloom avesse prestato più attenzione, avrebbe riconosciuto in lei la ragazza della foto; ed allora avrebbe capito.
 
 
I need somebody and always
This sick strange darkness
Comes creeping on so haunting every time
I Miss You, Blink 182
 
Salve a tutti coloro che ce l'hanno fatta anche questa volta; come state?
Sì, questo capitolo è giunto con un po' di ritardo, principalmente perché non volevo pubblicarlo senza aver finito il terzo (che mi ha dato parecchi grattacapi, soprattutto perché quasi alla fine ho avuto l'ispirazione per sviluppi diversi e quindi l'ho dovuto riscrivere).
Ma sorvoliamoooo...
Per intanto ringrazio tutti coloro che hanno letto, coloro che hanno inserito la storia tra i preferiti e le due anime pie che hanno lasciato un commento (giuro che appena finisco qui rispondo, cascasse il mondo)!
Al prossimo capitolo!
Applepagly
  
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