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Autore: gattina04    04/05/2018    2 recensioni
Kathleen non è una ragazza come tante: sottoposta alla pressione di una famiglia che le chiede sempre troppo, ha un passato che non riesce a lasciare andare. Lei sa cosa vuole, sa qual è il suo sogno, ma ci ha rinunciato già da tempo per l'unica persona a cui sente di essere ancora legata.
Trevor invece è schietto, deciso, con un passato fin troppo burrascoso, che vorrebbe solo dimenticare. Trevor vuole voltare pagina e per questo si ritrova in un mondo, in una scuola, dove è completamente fuori posto.
Come potrà una ragazza legata al passato trovare un punto di contatto con un ragazzo invece che farebbe di tutto pur di recidere quel legame?
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La mia storia è pubblicata anche su WATTPAD
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Epilogo
 
10 mesi dopo
 
L’aria gelida di febbraio mi fece rabbrividire sotto il cappotto, dimostrandomi ancora una volta quanto il tempo fosse passato velocemente. Seppure i mesi fossero volati mi sembrava ancora ieri quando solitamente andavo a trovare James all’ospedale subito dopo la scuola; invece era già quasi passato un anno e la mia vita era cambiata radicalmente.
Dopo la rottura con Trevor, arrivare al giorno del diploma era stato un incubo. Nonostante Megan fosse stata così gentile da fare cambio di banco con me per l’ora di biologia – sicuramente imbeccata da mia sorella – in modo da non rendere quell’ora ancora più terribile, vedere Trevor a scuola, anche solo di sfuggita, mi faceva male da morire. Era ovvio che dopo ciò che mi aveva detto fosse necessario un taglio netto tra noi, per cui oltre a mio ragazzo avevo perso anche il mio amico. Restare a guardarlo a distanza il giorno del suo ventunesimo compleanno, ripensando a tutto ciò che avremo potuto fare insieme, era stata una vera tortura. Così come il giorno del diploma: pronunciare il discorso di fine anno – incredibilmente era stata scelta io e non mia sorella – senza poterlo condividerlo con lui, sentirmi così orgogliosa vedendolo sfilare dopo di me con toga e tocco e non poter correre ad abbracciarlo, mi aveva devastato.
Proprio per questo ero partita subito, approfittando dei corsi estivi che Yale organizzava per le matricole. Dopo una breve vacanza zaino in spalla con Lea ed Evan dove ci eravamo goduti gli ultimi momenti di compagnia prima di andare tutti in università e in stati diversi, e dopo un paio di settimane passate a casa con Queen e mia madre, avevo deciso che era giunto il momento di mettere un po’ di distanza tra me e quella che fino ad allora avevo considerato casa mia. Così avevo fatto le valige e mi ero trasferita nel Connecticut prendendo possesso della mia stanza e del campus che mi avrebbe ospitato per i prossimi anni. Era inevitabile però che l’idea che dovessi tutto quello a lui mi perseguitasse anche lì, soprattutto lì.
Tuttavia dopo le prime settimane qualcosa era cambiato, io ero cambiata o semplicemente avevo aperto gli occhi. Avevo conosciuto la mia buffa e strana compagna di stanza Mindy e mi ero completamente immersa in quel nuovo mondo. Mi ero ritrovata ad essere circondata da nuovi amici – anche se con Evan e Lea ci telefonavamo costantemente – ad essere una ragazza che non credevo di poter nemmeno diventare. Non che mi fossi improvvisamente trasformata nella regina della popolarità e delle feste, anche se Mindy mi trascinava con la forza a gran parte di esse. Ero la Kathleen di sempre, ma ero riuscita a crearmi un gruppo di amici, né troppo nerd né troppo fichi, che come me condividevano molti aspetti di quella mia nuova vita. E così senza rendermene conto avevo realizzato il motivo che aveva spinto Trevor a lasciarmi e avevo capito il valore del suo gesto, ritrovandomi di nuovo in debito con lui.
Là al college avevo trovato la vera me e probabilmente non ci sarei riuscita se lui fosse rimasto al mio fianco. Avevo compreso di non essere semplicemente Linny, ma di essere abbastanza intelligente e carina da interessare a molti, spingendoli a fare la mia conoscenza, soprattutto ai ragazzi. Ecco un altro insperato aspetto: avevo scoperto di piacere a molti ragazzi e che forse a scuola le ombre di James e Queen non avevano fatto altro che eclissarmi. Rendermene conto, così come delle mie potenzialità, mi aveva completamente fatto cambiare prospettiva. Mi ero ritrovata ad essere una persona, non del tutto diversa, ma con molta più fiducia e coraggio. Ero cambiata e, anche se una parte di me sarebbe sempre rimasta la piccola e indifesa Linny, ero cresciuta.
Ma nonostante tutti i progressi che avevo fatto negli ultimi mesi, c’era qualcosa che non era cambiato e che sapevo non sarebbe mai cambiato. E proprio perché ero una persona diversa stavo per fare un gesto che la vecchia Kathleen non avrebbe fatto mai e poi mai. Stavo per compiere un’azione che necessitava di tutta la mia autostima e che, se non fosse andata a buon fine, mi avrebbe solo farro soffrire ancora una volta; tuttavia era qualcosa che dovevo fare e che non potevo più rimandare.
Proprio per questo avevo estorto a Evan tutte le informazioni che mi servivano ed avevo approfittato di aver finito gli esami, prima di ricominciare a pieno il nuovo semestre, per tornare a casa un paio di giorni, pur sapendo che avrei perso qualche lezione. Per mia fortuna avevo un sacco di amici che sarebbero stati lieti di condividere i loro appunti con me in modo tale da non rimanere indetro. E proprio per questo avevo guidato per circa un’ora per andare Sioux Falls dove sapevo che l’avrei trovato.
Mi ci era voluto un po’ a convincere Evan a vuotare il sacco, soprattutto visto che gli avevo fatto promettere di non parlarmi più di Trevor nemmeno se l’avessi implorato. Tuttavia alla fine il mio migliore amico aveva capito che gli avevo estorto quella promessa in un momento completamente diverso e in cui la ferita per la recente rottura era ancora aperta ed esposta. E così avevo saputo, dato che Evan aveva costantemente mantenuto i contatti con lui rifiutandosi di perdere un buon amico, che Trevor si era trasferito a Sioux Falls dove lavorava per una grossa officina, con cui riusciva a pagarsi il monolocale in cui abitava e la benzina che consumava per tornare a casa dalla sua amata sorellina almeno una volta alla settimana. Era davvero incredibile come avesse finito per considerare la sua famiglia quella formata dalla persona che aveva odiato per buona parte della sua vita. Era casa sua la casa di suo padre e se glielo avessero predetto un paio di anni prima sarebbe sicuramente scoppiato a ridere.
Sapere che non ero la sola ad aver fatto dei cambiamenti mi aveva dato la forza per affrontare quel viaggio. Se io in dieci mesi ero diventata una persona più forte e coraggiosa, diversa ma pur sempre la stessa, anche lui poteva aver raggiunto i suoi obbiettivi. Io ero maturata e anche lui doveva aver fatto dei progressi, ero certa che fosse così. Tuttavia in quel marasma di cambiamenti ciò che provavo per lui era rimasto immutato. Così per la terza volta mi ritrovavo ad espormi, fragile e vulnerabile, offrendogli la parte più profonda di me.
Là nel parcheggio dell’autofficina, di cui Evan mi aveva fornito l’indirizzo, trassi un profondo respiro prima di prendere coraggio ed entrare la dentro. Era quasi il tramonto – avevo pensato che fosse più opportuno arrivare verso l’ora di chiusura per poter parlare con lui più facilmente – e non c’erano rimaste molte persone. Il personale aveva già fatto festa, ma conoscendo Trevor ero certa di trovarlo là. Era il suo posto ed ero contenta che avesse capito come vivere la sua vita anche senza di me, cavandosela con le sue sole forze, anche se ciò andava un po’ contro al motivo per cui mi trovavo in quella rimessa. Ero là per fargli capire che tra noi non doveva essere per forza tutto o nulla, come aveva dichiarato dieci mesi prima; a quel punto non era più necessario. Lui aveva sempre fatto fatica a distinguere le sfumature, per fortuna potevo farlo io per lui.
«C’è nessuno?», domandai avanzando all’interno dell’officina tra una macchina ferma e l’altra. «Ehilà?».
«Siamo già chiusi». Avrei riconosciuto la sua voce anche dopo anni di lontananza; quei pochi mesi erano una bazzecola in confronto. Il suo tono caldo e il suo accento particolare mi avevano ronzato nelle orecchie ogni giorno.
Non prestando attenzione alla capriola del mio cuore, cercai di capire da che parte fosse venuta la sua voce; in ogni modo solo quando parlò di nuovo, riuscii a scorgere un paio di gambe spuntare da un’auto parcheggiata più distante dalle altre. «Se non si tratta di qualcosa di urgente le consiglio di tornare domattina».
«Beh credo che sia urgente», mormorai avvicinandomi di più a lui.
Lo sentii sospirare e poi vidi le sue gambe piegarsi, dandogli la spinta necessaria per far uscire il carrello su cui era sdraiato. «Okay. Mi dica che cosa è successo?». Si tirò su con agilità e si passò un braccio sulla fronte per asciugarsi il sudore; solamente dopo posò lo sguardo su di me, riuscendo finalmente ad inquadrarmi.
«Kathleen…». Pronunciò il mio nome indugiando come sempre sulla “l” ed io mi sentii già sciogliere; un’espressione di sorpresa gli si dipinse sul volto, non lasciando intendere se fosse contento o meno della mia comparsa.
«Ciao». Alzai la mano in segno di saluto e gli rivolsi il mio migliore sorriso.
Trevor restò lì a studiarmi in silenzio con la bocca aperta per lo stupore e con quegli occhi azzurri che come sempre riuscivano a togliermi il respiro. Anch’io restai in silenzio osservandolo con attenzione e notando tutti quei particolari che facevano intuire quei mesi di lontananza.
«Sei diversa», mormorò all’improvviso rompendo il ghiaccio.
«Beh anche tu». Era diverso ma da una parte in senso positivo, speravo che considerasse anche il mio cambiamento in maniera altrettanto ottimistica.
«Ti sei tagliata i capelli», notò non sapendo cosa dire.
«Beh era giunto il momento di cambiare». Mi portai istintivamente una mano alla spalla dove adesso i miei ricci arrivavano a malapena, con il loro disordinato caschetto.
«E hai gli occhiali».
«Sono solo da riposo in realtà». Non mi mancava molto, ma avevo scoperto che non stavo affatto male con gli occhiali.
«Ti donano», affermò in un sussurro.
«Tu ti sei tolto i piercing», notai con un sorriso. Era rimasto solo quello sul sopracciglio, gli altri erano spariti; per non parlare del fatto che aveva i capelli leggermente più lunghi e un accenno di barba che gli donava da morire.
«Beh era giunto il momento di cambiare», ripeté le mie stesse parole. Prendendo un profondo respiro puntò gli occhi dritti nei miei e pose la domanda che doveva frullargli in testa da quando mi aveva vista. «Che ci fai qui?».
«Volevo parlarti», ammisi. «Evan mi ha detto dove trovarti».
«Oh». La sua espressione era talmente indecifrabile che non riuscivo ad intuire cosa pensasse o provasse.
«È un brutto momento?».
«No, avevo quasi finito. Sono rimasto solo io». Ondeggiò indeciso sui piedi per poi parlare di nuovo. «Aspetta qua un attimo». Così dicendo si affrettò ad andare a chiudere la porta d’ingresso, in modo che nessuno potesse disturbarci e facendo risultare l’officina chiusa anche dall’esterno.
«Ecco fatto». Tornò da me, togliendosi i guanti da lavoro, ma rimase comunque a distanza appoggiandosi all’auto che poco prima stava riparando. «Adesso non dovrebbe entrare più nessuno».
«Okay». Presi un profondo respiro e feci un passo verso di lui. Mi fermai subito dopo pensando che un po’ di distanza fosse opportuna per permettermi di dire tutto il discorso che avevo provato decine di volte nella mia testa.
«Volevo ringraziarti Trevor», iniziai, «per quello che hai fatto l’anno scorso. Avevi ragione e adesso l’ho capito. Ti ringrazio di aver scelto la strada più difficile anche se in quel momento mi ha spezzato il cuore».
«Non si è rotto solo il tuo», ammise in un sussurro.
«Lo so ed è anche per questo che ti sto ringraziando».
«Non ce n’è bisogno Kathleen, era la cosa giusta da fare». Ancora una volta stava sminuendo il suo gesto, ma io non gli avrei permesso di farlo.
«Era la cosa giusta, ma non tutti l’avrebbero fatta Trevor». Lui non replicò ed io ne approfittai per continuare, mentre lui abbassava lo sguardo per osservare la punta delle sue scarpe.
«Il giorno che mi hai lasciata, tu mi hai chiesto di non interromperti, adesso ti chiedo la cortesia di fare lo stesso con me. Lasciami parlare Trevor, ho bisogno di farlo».
«D’accordo».
Chiusi gli occhi per un secondo per poi fissarli di nuovo su di lui, che nel frattempo era tornato a guardarmi. «Quando ci siamo lasciati, quando hai rotto con me, in realtà non capivo. Pensavo che saremo potuti crescere insieme mentre per te questo non era possibile. Vederti a scuola, saperti così vicino ma allo stesso tempo così lontano mi faceva impazzire. Per questo me ne sono andata il prima possibile, approfittando dei corsi che Yale offre alle matricole ogni anno prima dell’inizio del semestre. Sono andata al college, mi sono trasferita a chilometri di distanza ed improvvisamente è cambiato tutto. Non ero più Linny, la piccola e imbranata sorellina di qualcuno, ero solo io ed era la vera me quella che ho dovuto mostrare agli altri. E indovina un po’? Non sono poi così male e, a quanto pare, tu avevi ragione. Per la prima volta nella mia vita mi sono resa conto che c’erano molti interessati a conoscere la vera me, senza preconcetti, senza nessuna pietà. Così mi sono fatta dei nuovi amici, buoni amici, che condividono con me esperienze e passioni. La mia compagna di stanza è una di queste: è completamente diversa da me, ma nonostante questo ci intendiamo alla perfezione. È stata lei a spingermi ancora di più ad uscire dal mio guscio. Ci credi che mi trascina alle feste anche se io continuo ad odiarle?».
Sorrisi ripensando a varie scene che avevamo condiviso e ripresi un attimo fiato. «E poi ci sono i ragazzi, molti ragazzi a dir la verità».
«Kathleen», mi fermò con una smorfia.
«Non interrompermi Trevor». Lo guardai con decisione e lui fu costretto a zittirsi di nuovo. «Dicevo che ci sono i ragazzi, avevi ragione anche su questo. Molti mi hanno chiesto di uscire ed io mi sono così ritrovata al centro di attenzioni che non desideravo né che pensavo di poter avere. Ma volevo dimenticarti Trevor, volevo davvero andare avanti come mi avevi chiesto di fare tu; perciò sono uscita con loro. Molti appuntamenti sono stati un vero strazio: o erano dei cretini colossali o non avevamo assolutamente niente in comune, o qualsiasi altra cosa che ha reso la serata un disastro garantito. Poi però ho conosciuto Charlie».
«Katy», mi fermò di nuovo con un tono sofferente. «Ti prego, non importa…».
«Lasciami parlare», affermai brusca, riuscendo a zittirlo ancora una volta. «Ho conosciuto Charlie e siamo usciti. È davvero un bravo ragazzo, ha un anno in più di me e vuole diventare un medico. Ti ho detto che sto pensando di scegliere anch’io medicina invece di lettere? Sono materie agli antipodi, lo so, ma vorrei davvero riuscire a capire cosa è successo a James negli ultimi anni e magari studiare un modo per… boh forse è solo stupido».
«Non è stupido», ribatté deciso.
«Non lo so, forse, ma non è questo ciò di cui ti stavo parlando. Charlie è molto simile a me, abbiamo gli stessi interessi e ci è venuto naturale essere attratti l’uno dall’altra. Così ci abbiamo provato: io ci ho provato a stare con lui esattamente come stavo con te, lui ci ha provato». Mi fermai perché ero arrivata alla parte più difficile di tutto il mio discorso.
Trevor credendo che avessi finito sbuffò a denti stretti. «Cosa vuoi che ti dica Kathleen? Che sono contento per te? Contento di sapere che hai trovato il ragazzo giusto e che sei andata avanti? D’altronde è questo quello che ti avevo chiesto di fare. Non importava che venissi qua per dirmelo».
«No, non è assolutamente per questo che sono venuta. Ti ho detto che io e Charlie ci abbiamo provato Trevor, per poco più di un mese; ma poi ci siamo accorti che non poteva funzionare, che lui per me era solo un ripiego e così io per lui. Ci piacciamo è vero, ma solo come amici; non c’è mai stato qualcosa di più forte, non c’è mai stato quello che c’era con te. Lui non è te Trevor, non lo sarà mai».
Lo vidi deglutire sentendo le mie parole ed io ne approfittai per andare avanti. «Per quanto mi sforzi Trevor, una parte di me continua sempre a tornare a te. Io potrò anche essere cresciuta e cambiata ma continuo a desiderare le stesse cose, la stessa persona: io voglio te Trevor, non voglio stare con nessun altro».
«Oh Katy», sospirò chiudendo gli occhi per un attimo.
«Non ho finito», ripresi. «Lo so che ho parlato tanto, ma ho ancora delle ultime cose da dire. Come ti dicevo io e Charlie siamo amici adesso, si può dire che sia diventato il mio Evan del college, anche se Evan resta insostituibile. Comunque Charlie non abita nei dormitori, ha un appartamento appena fuori del campus; fatto sta che il suo coinquilino si laureerà a giugno e quindi lascerà la sua stanza. Charlie sta iniziando a cercare un ragazzo con cui condividere l’appartamento, che possa permettersi l’affitto che non è altissimo, ma comunque c’è. Ed è per questo che mi sono informata: lo sapevi che in tutta Yale c’è solo una grossa autofficina? Per quanto possa essere grande, ha un lavoro davvero enorme, dato la quantità di studenti e di auto. Ho fatto delle domande e sembra che siano alla ricerca di un aiuto, magari qualcuno che ha già un po’ di esperienza e non un semplice studente che ha come passatempo la passione per i motori. Non avevo un tuo curriculum ma sarebbero interessati a parlare con te se tu lo volessi. Ed infine ho fatto un’ultima ricerca: Yale tiene vari corsi aperti anche a chi non frequenta il college, certo sono a pagamento e non proprio economici, ma potrebbero essere interessanti. Ce n’è uno che forse potrebbe piacerti, riguarda una specie di ingegneria meccanica semplificata, almeno credo, lo sai che non ci ho mai capito molto di motori. Ho delle brochure in borsa con tutte le informazioni, almeno potrai capire meglio di cosa si tratta».
Trassi un ultimo respiro, realizzando che avevo appena buttato fuori ogni cosa. «E questo è tutto Trevor». Avevo fatto una cosa impensabile, avevo agito sul presupposto che lui volesse ancora me come io volevo lui. Gli stavo proponendo su un piatto d’argento di trasferirsi nel Connecticut per stare con me, come se quei mesi non fossero mai trascorsi, chiedendogli di lasciare tutto ciò che aveva costruito solo per avere me. Era una prova di autostima e di fiducia, ma se quello che c’era stato tra noi era vero sapevo che anche per lui quei sentimenti non si erano affievoliti. Tuttavia non sapevo se avrebbe accettato quella follia, né se fosse ancora libero per accettarla.
«Io non capisco Kathleen», ammise in un sussurro, con un’espressione incredula.
«Dieci mesi fa mi hai chiesto di rinunciare a noi ed io l’ho fatto. Hai scelto tu e mi hai costretto a scegliere me, a mettermi al primo posto. Adesso ti chiedo di scegliere noi, di scegliere me; ora siamo pronti Trevor, ti prego scegli noi». Lo fissai sentendo le guance in fiamme, ma non per la solita timidezza, quella ormai me l’ero lasciata alle spalle, almeno con lui. Il mio cuore stava battendo all’impazzata, intuendo che quello fosse il momento decisivo: qualsiasi cosa avrebbe fatto o detto avrebbe influenzato tutto il mio futuro. Eravamo ad un bivio: poteva essere il giorno più bello della mia vita o un altro giorno infernale. Qualunque fosse stata la sua decisione, l’avrei affrontata; avevo già avuto il cuore spezzato, sapere che lui rinunciava a noi era pur sempre meglio di non averci nemmeno provato.
Quegli istanti che trascorsero prima che lui si muovesse sembrarono durare un’eternità; ma dopo lui fece un passo in avanti e con due grandi falcate annullò la distanza tra noi per poi baciarmi appassionatamente. Le sue labbra trovarono le mie in un secondo e mi baciarono come non facevano da mesi. Mi imprigionò il viso tra le mani ed io istinto portai le dita tra i suoi capelli, lasciando andare la borsa che avevo tenuto stretta fino a quel momento; cadde con un tonfo per terra ma né io né lui sembrammo accorgercene. Dischiusi le labbra lasciando che la sua lingua trovasse di nuovo la mia e annullando così tutti quei giorni di lontananza. Era esattamente come la prima volta, a capodanno, quando avevo sentito le ginocchia tremare e le farfalle nello stomaco.
Quando dopo un tempo indefinito Trevor appoggiò la fronte sulla mia, sfiorando i nostri nasi, fui travolta dai suoi occhi mozzafiato.
«Non posso credere che stia succedendo davvero», sussurrò rivolgendomi il suo migliore sorriso.
«È così», mormorai sorridendo a mia volta. «Questo immagino sia un sì?».
«Sì. Certo che è un sì. Ti seguirei anche in capo al mondo Kathleen Jefferson». Chiusi gli occhi  emettendo un risolino, mentre le sue labbra sfiorarono di nuovo le mie. Mi sembrava di ricominciare a respirare dopo un’apnea durata mesi.
«Non è passato un giorno senza che io non pensassi a te», mi confidò ad un centimetro dalla mia bocca. «Ogni giorno Katy da quando ti ho lasciata andare». Lessi la sincerità nel suo sguardo e non potei che replicare con un bacio.
«Non credevo che saresti tornata», ammise in un sussurro dopo una serie di baci, affondando la testa nei miei capelli e inspirando l’odore del mio shampoo. Quello significava che era stato pronto a rinunciare a me, anche se spingeva lui a vivere nella più totale infelicità.
Gli presi il viso tra le mani prima di affermare ciò che ormai era evidente. «Ti amo Trevor, solo te, per sempre solo te».
«Ti amo anch’io». Mi baciò di nuovo spingendomi contro una delle tante auto ferme nella rimessa. Mi ritrovai così schiacciata tra la portiera di un pick-up e il suo petto, in una posizione che non avrei mai più voluto abbandonare. Passai le dita nei suoi capelli, per poi scendere giù sul suo collo, lungo la sua schiena, stringendomi sempre di più contro i suoi pettorali scolpiti, mentre le sue mani facevano altrettanto sul mio corpo e le nostre lingue danzavano insieme.
«Finirò per sporcarti di grasso», mormorò sul mio collo quando spinsi di più il mio bacino verso il suo.
«Non importa, mi sei mancato tanto». Non mi sentivo così completa da mesi, poco importava se sarei stata costretta a buttare nella spazzatura il mio cappotto, anche se era il mio preferito.
«Anche tu mi sei mancata, non immagini quanto», ammise lasciandomi una scia di baci dalla spalla fino all’orecchio. «Volevo chiamarti per il tuo compleanno, volevo davvero chiamarti, anche solo per sentire la tua voce».
«Perché non l’hai fatto?», domandai, riuscendo di nuovo ad incrociare il suo sguardo e strusciando il mio naso contro il suo. «Ho sperato per tutto il giorno che tu mi telefonassi».
Per tutta risposta mi baciò di nuovo, posando la mano sulla mia coscia; istintivamente la sollevai avvinghiandolo con la gamba in modo tale da premerlo ancora di più contro di me.
«Dio Kathleen», sussurrò interrompendo il bacio. «Se non rallentiamo finirò per prenderti qua».
Risi e poi gli mordicchiai il labbro. «Per me va bene».
Rise anche lui sistemandomi una ciocca dietro l’orecchio. «È davvero bello sapere che certe cose non sono cambiate». Mi baciò di nuovo per poi staccarsi e prendermi per mano.
«Cosa fai?», gli domandai mettendo su un finto broncio e raccattando la mia borsa da terra.
«Vieni, ti porto a casa mia. Per fortuna abito qua vicino». Mi trascinò verso l’uscita e mi lasciò giusto per il tempo necessario per infilarsi il cappotto. Mi guidò per delle strade secondarie, sempre intrecciando le nostre dita e tracciandomi dei disegni sul dorso. L’aria fredda faceva formare delle nuvole di vapore ad ogni nostro respiro e mi costringeva a stringermi di più contro il cappotto; tuttavia, nonostante l’inverno gelido, sentivo un calore familiare pervadere il mio intero corpo.
«Manca molto?», gli domandai dopo cinque minuti. Non che avessimo camminato molto, ma dovevo usare tutta la mia forza di volontà per non saltargli addosso in mezzo alla strada. Avevo voglia di baciarlo e di non lasciarlo più andare e non era certa di poter resistere ancora a lungo.
«Siamo arrivati piccola». Si fermò di fronte a una palazzina piuttosto malandata, ma dall’aria decisamente molto economica.
Aprì il portone con un mazzo di chiavi che aveva in tasca e mi trascinò dentro. «Abito al sesto piano, l’ultimo, e purtroppo non c’è l’ascensore». Mi baciò di nuovo prima di iniziare a salire le scale.
Arrivare all’ultimo piano fu decisamente un problema visto che continuavamo a fermarci per baciarci, spingendoci l’un l’altro contro la parete o la ringhiera che circondava le scale.
«Spero che tu non abbia dei vicini impiccioni», ansimai mentre lui scendeva dalle mie labbra al mio collo. Eravamo all’incirca al terzo piano e stavamo decisamente dando spettacolo, uno di quelli vietati ai minori.
«Non ne ho la minima idea, non ci sono molto spesso», sussurrò contro la mia pelle. «Diciamo che questo è un posto che più che altro uso per dormire, quando ho un po’ di tempo libero torno a casa, anche per stare un po’ con Linda».
«Ti sei accorto che hai appena definito casa lo stesso edificio dove vive tuo padre?». Era un grosso passo avanti.
«Sì lo so». Alzò la testa e mi guardò negli occhi. «Quella è diventata casa mia da quando ho conosciuto te».
«E lo sai che accettando la mia proposta metterai centinaia di chilometri tra te e la tua casa, tra te e la tua famiglia, tra te e la tua sorellina?». Volevo che si rendesse bene conto che non era una relazione a distanza quella che gli stavo proponendo, anche se sarebbe stata meglio di niente. Tuttavia io avevo bisogno di lui e non volevo essere costretta a vederlo attraverso lo schermo di un computer. Una richiesta e una decisione piuttosto egoistica da parte mia, a dimostrazione del fatto che la piccola e insicura Linny era cresciuta.
«Lo so Katy, ma non c’è neanche competizione. Scelgo te Kathleen, sceglierei sempre te. Linda, mio padre e Susan se ne faranno una ragione e poi c’è sempre skype e le feste, torneremo a casa per le feste».
«Ti sto chiedendo tanto lo so», ammisi abbassando lo sguardo.
«No». Portò due dita sotto il mio mento per farmi di nuovo alzare la testa. «Non mi stai chiedendo niente Kathleen, niente. Mi sono trasferito da mio padre, dopo essermi disintossicato, senza avere nessuno appoggio; ma adesso non è così, ho te e so anche che posso cavarmela da solo se voglio. Farei di tutto per stare con te, lascerei tutto».
«Anche la tua famiglia». Non era una domanda, ma un’assoluta prova d’amore.
«Spero che d’ora in poi sarai tu la mia famiglia». Lo disse come se fosse una cosa normale, ma era una di quelle frasi che riusciva a farmi sciogliere. Per tutta risposta lo baciai facendogli capire quanto fossi d’accordo con quell’affermazione.
«Sono proprio una ragazza stramaledettamente fortunata per essere riuscita a farmi amare da te».
«Eh già», ammise con un sorriso, «E anch’io credo di essere stramaledettamente fortunato per aver fatto innamorare di me una come te». Gli sorrisi e lo baciai di nuovo.
Con molta fatica e con continue soste riuscimmo ad arrivare al sesto piano. Trevor mi lasciò andare per poter aprire la porta e farmi entrare in quello che era il suo appartamento. Beh il suo monolocale a dir la verità: era così piccolo che, a parte l’angolo cottura, il resto del posto era occupato da un letto che doveva fungere anche da divano e all’esigenza anche da tavolo.
«È piccolo lo so, ma non potevo permettermi di più», ammise, grattandosi il capo con la mano. «Mio padre sarebbe stato disposto a darmi una mano economicamente parlando, ma non ho voluto che lo facesse. Volevo cavarmela da solo».
Non dissi niente anche se ero colpita dal fatto che avesse provato ancora una volta a ricostruire la sua vita con le sue sole forze. Era un gesto d’ammirare; il suo coraggio era stato una delle cose che mi avevano fatta innamorare di lui.
«Papà mi ha proposto di restare da lui ed aiutarlo col negozio», mi confessò mentre mi guardavo attorno. Sentivo i suoi occhi addosso che studiavano ogni mia singola reazione. «Ma io non me la sono sentita; volevo allo stesso tempo allontanarmi ma anche restare, allontanarmi dai ricordi ma restare per la mia famiglia. Non so se mi sono spiegato».
«Sì, capisco benissimo. È stato lo stesso per me». Avevo voluto allontanarmi da tutti i luoghi e le cose che a casa mi ricordavano James e Trevor, ma sarei voluta restare per sempre come prima per poter continuare a stare con Queen, Lea ed Evan e persino con mia madre.
«Non è un granché, ma non mi costa molto e così ho potuto iniziare a risparmiare».
«A risparmiare?». Ed io che pensavo che spendesse quasi tutto il suo stipendio nell’affitto e nella benzina!
«Lo so che forse è assurdo e che probabilmente mi ci vorranno anni per accumulare una cifra del genere, ma un giorno vorrei aprire la mia autofficina, sai una tutta mia».
«Wow Trevor è davvero un bel progetto». Era un’ambizione a lungo termine davvero notevole, ma ero certa che potesse farcela. Lui riusciva in tutto ciò che si prefiggeva.
«Pensi che ad Yale o là vicino ci siano dei corsi di management?».
«Direi che possiamo informarci». Mi avvicinai a lui e lo baciai dolcemente, sentendo che insieme avremo potuto affrontare di tutto. Trevor sorrise sulle mie labbra e, senza aspettare oltre, iniziò a sbottonarmi il cappotto mentre anch’io gli sfilavo il suo. Lentamente mi ritrovai sul suo letto – non che fosse un percorso estremamente lungo date le ristrette dimensioni della stanza – con lui sopra di me e le sue mani sotto il maglione. E non ci volle neanche molto prima che lui me lo sfilasse ed io abbassassi la parte superiore della sua tuta, scoprendo che sotto indossava un’altra maglia.
«Ehi non vale», protestai, ritrovandomi in reggiseno mentre lui era ancora completamente coperto.
«Tranquilla», mormorò baciandomi la spalla, «potrai riequilibrare la situazione al più presto». Si spostò facendosi strada con la bocca sul mio collo per poi arrivare all’altra mia spalla.
Si bloccò di colpo notando quella che doveva essere l’unica differenza dall’ultima volta che mi aveva vista nuda. «Ehi ma che..:?». Non terminò la frase ma alzò la testa e  mi fece voltare leggermente per poter osservare meglio la mia pelle.
«Sorpresa», borbottai incerta, «ho un tatuaggio». In realtà non era niente di che ma l’avevo fatto prima di partire per il college, durante il viaggio di diploma con Lea ed Evan. Soltanto loro due e mia sorella sapevano della sua esistenza, ma non era niente di trascendentale né qualcosa di stupido fatto per errore. Era solo una parola scritta in un carattere classico, grande all’incirca un dito, che spiccava al centro della mia spalla sinistra. James.
«Wow», cercò di riprendersi, sbattendo le palpebre. «È bello, solo credevo che non fossi una da tatuaggi».
«Beh non credo che ne farò altri molto presto», affermai. «Solo volevo che lui restasse con me per sempre». Posai un dito sulla sua bocca prima che potesse parlare di nuovo. «E credimi lo so che non lo dimenticherò mai e non serve certo un tatuaggio per ricordarmelo».
Prese le mie dita tra le sue e mi inchiodò con i suoi occhi azzurri, facendomi mancare il respiro. «James sarà sempre una parte di te».
«Lo so, volevo che anche gli altri lo sapessero, che capissero che una parte di me sarà sempre sua. È stata tutta la mia vita per quasi diciotto anni, anche se era solo mio fratello».
«Togli quel “anche” e  quel “solo” Kathleen».
«Era mio fratello», ripetei sorridendo, «è stata tutta la mia vita fino a quando non ho conosciuto te e mi hai costretto a mettermi al primo posto». Lo baciai di nuovo sapendo che non avevo altro da aggiungere sull’argomento.
Fu però Trevor a fermarsi di nuovo, interrompendo il bacio per accarezzarmi lungo le braccia  e poi posarmi una mano sulla guancia. «Anch’io ho due nuovi tatuaggi», mi rivelò.
«Davvero?». Non ero proprio sorpresa, conoscendolo; comunque ero certa che avessero un significato particolare ed ero curiosa di scoprire cosa fossero e cosa lo avesse spinto a farli.
«Sì. Uno è recente, l’ho fatto poco tempo fa, l’altro subito dopo il diploma».
«Voglio vederli», affermai allungandomi verso di lui ed iniziando a tirare fuori la maglia dai suoi pantaloni della tuta da lavoro.
«Calma Katy», mi fermò afferrandomi i polsi delicatamente e rivolgendomi un meraviglioso sorriso. «Guardiamo se riesci a trovarli». Così dicendo si voltò velocemente e si tolse la maglia, mostrandomi così la sua schiena scolpita.
Dall’ultima volta che l’avevo visto nudo, sicuramente aveva messo su muscoli, perché la sua schiena mi sembrava molto più scolpita di prima. Tuttavia ad una prima occhiata non notai grandi differenze: conoscevo a menadito i suoi tatuaggi, ma non mi sembrava che ce ne fosse qualcuno in più. Studiai la sua pelle con più attenzione, aggrottando le sopracciglia, ma non riuscendo a scorgere ancora niente.
«Mi stai prendendo in giro?», borbottai dopo un’altra occhiata.
«Osserva con attenzione, è piccolo», mi rispose ridendo.
Sbuffai e tornai a studiarlo con più impegno. Stavo per arrendermi e alzare bandiera bianca quando finalmente lo notai. Era come se fosse mimetizzato con il tatuaggio in ebraico; era scritto nello stesso stile e per questo non avevo fatto caso alla differenza, senza contare il fatto che era davvero piccolo rispetto agli altri. Erano solo due parole - o meglio quattro numeri - “tre maggio”, “03-05”, ma avevano un significato profondo sia per me che per lui.
Istintivamente allungai un dito e lo toccai, non sentendo differenza al tatto ma soltanto la sua pelle calda e morbida.
«L’ho fatto per il mio anniversario di Lindo», mi informò.
«Il tuo anniversario di Lindo?», domandai aggrottando le sopracciglia.
Scoppiò a ridere prima di spiegarmi. «Sì è stata mia sorella a chiamarlo così, sai l’anniversario da uomo pulito, pulito cioè lindo, come lei al maschile. È una cosa stupida, ma non sapevo come spiegarglielo altrimenti».
«È buffo, invece».
«Sì, lo è. Spero solo che non sappia cosa sia veramente il mio anniversario, è ancora troppo piccola. Comunque l’ho fatto il giorno in cui non bevevo più da due anni… non è stato molto tempo fa. Dio Kathleen è più di due anni che non bevo o peggio».
Sentii l’orgoglio nella sua voce e lo riconobbi anche in quel pressante sentimento che mi faceva battere forte il cuore. «Sono molto fiera di te».
«Ho scelto quella data», continuò senza soffermarsi sulle mie parole, «quella dell’incidente di tuo fratello, perché anche per me da quel giorno è cambiato tutto. Per te è stato un trauma ma lo è stato anche per me. È come se avessi aperto gli occhi e mi fossi accorto di aver toccato il fondo».
«È un giorno che non scorderò mai», affermai continuando ad accarezzare quella data incisa in modo indelebile sulla sua pelle.
«Neanche io. E anche se so che mi sono sentito responsabile per tre anni di qualcosa che non avevo fatto, so anche che quella data ha cambiato tutta la mia vita. E per quanto possa essere un giorno triste per te e anche per me, non posso fare a meno di pensare a tutto ciò che sono riuscito a fare dopo. Senza quel giorno non sarei cambiato; forse l’avrei fatto alla fine, ma sarei potuto morire prima di rendermi conto del baratro in cui ero caduto. Senza quel giorno non avrei chiarito con mio padre, conosciuto Susan e Linda, trovato la mia strada e soprattutto non avrei conosciuto te». Era davvero un significato molto più profondo di quello che avessi immaginato.
Restai in silenzio, continuando ad accarezzare il suo tatuaggio con il dito non sapendo bene come esprimere il tumulto di sentimenti che mi stava assalendo.
«L’altro è più facile da trovare Kathleen», continuò rompendo il silenzio che si era creato. Si voltò con estrema lentezza, facendomi capire che l’altro doveva trovarsi ovviamente dall’altra parte. Fu solo quando si fu girato, inchiodandomi con lo sguardo, che abbassai gli occhi sul suo petto e rimasi senza fiato. Là dove fino a dieci mesi prima era rimasta una buona parte di pelle intonsa, proprio là sopra il suo cuore, campeggiava il mio nome scritto in corsivo, in un carattere elegante che spiccava in netto contrasto con la sua carnagione chiara. Le due “e” erano unite insieme a formare il simbolo dell’infinito e la “n” finale non terminava ma proseguiva in una penna d’oca che sembrava essere l’artefice di quella scritta. Era come se quella piuma, disegnata nei minimi particolari avesse appena scritto il mio nome.
Ero talmente senza parole da essere rimasta a bocca aperta, incerta se baciarlo, saltargli addosso, piangere o ascoltare la sua spiegazione.
«Non dici niente?», mi domandò studiando la mia espressione.
«Non so che dire». Era la pura e semplice verità.
«Beh allora parlerò io». Mi rivolse un sorriso e intrecciò di nuovo la sua mano alla mia. «Quando hai visto i miei tatuaggi la prima volta ti ho detto che non c’era niente che meritasse il posto d’onore sopra il mio cuore, beh si da il caso che la situazione sia cambiata quando ti ho conosciuta, mi sono completamente innamorato di te».
«Ma non sapevi che sarei tornata», mormorai riuscendo a vincere il mio stupore. «Ti sei tatuato il mio nome sul cuore anche se non stavamo più insieme e credevi di avermi persa».
«Sì e non è una cosa stupida Kathleen. A prescindere dal fatto che possa esserci un futuro per noi, tu sarai sempre qualcosa che nessun’altra potrà mai essere. Sei stata e resterai sempre il mio primo vero amore e una parte di me ti amerà per sempre; per questo c’è il simbolo dell’infinito».
«Ma se io non fossi venuta qua oggi, un giorno avresti potuto innamorarti di un’altra e come le avresti spiegato il mio nome sul tuo cuore?». Era da matti e non solo perché se l’era tatuato dopo esserci lasciati. Era credere in noi in un modo che non riuscivo neanche immaginare.
«Katy non sarebbe cambiato niente, quello che tu avresti continuato a rappresentare sarebbe rimasto intatto anche se mi fossi innamorato di un’altra. Non sei solo il mio primo amore Kathleen, te l’ho già detto una volta: tu mi hai salvato. Hai creduto in me prima che riuscissi a farlo io e quello che ha significato per me, l’averti conosciuta e amata, non cambierà mai. Per sempre Katy».
«E la piuma?», domandai cercando di frenare il mio cuore che aveva iniziato a fare le capriole sentendo le sue parole.
«La piuma sei tu; candida e innocente, ma allo stesso tempo con la punta macchiata di inchiostro per tutte le cose brutte che ti sono accadute». Era una rappresentazione azzeccata ed ero stupita che lui fosse riuscito a trovare un oggetto che mi rappresentasse così bene; nemmeno io stessa ci avrei pensato.
«All’infinito?», mormorai, poggiando la mano sul suo tatuaggio proprio sopra il suo cuore, non sapendo bene nemmeno io cosa gli stessi domandando.
«All’infinto», confermò prima di baciarmi. Ed ero certa che sarebbe stato così; che fossimo rimastati insieme o che alla fine le nostre strade si fossero divise, sapevo che quello non sarebbe mai cambiato. Noi due all’infinito. Per sempre.

 
Angolo dell’autrice:
Ciao a tutti!
Non posso credere di essere arrivata alla fine di questa storia, nata un po’ per caso e cresciuta via via, capitolo dopo capitolo. Mi sembra ieri quando ho pubblicato il primo capitolo!
Vorrei ringraziare tutti coloro che hanno seguito, recensito o anche solamente letto la mia storia! Grazie di cuore! Spero davvero che vi sia piaciuta e che vi abbia emozionato come mi sono emozionata io mentre la scrivevo!
Anche se questa storia mi mancherà, spero di poterne pubblicare presto altre!
Un bacio
Sara
  
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