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Autore: lightvmischief    27/05/2018    1 recensioni
Una ragazza.
Un gruppo.
La sopravvivenza e la libertà.
Le minacce e i pericoli della città, delle persone vive e dei morti.
Prova a sopravvivere.
Genere: Azione, Drammatico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
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CAPITOLO 12

 

KAYLA

 

«Prendi!» urla Mali mentre mi lancia la pistola.

Faccio appena in tempo ad alzare lo sguardo che l'arma mi colpisce sul braccio e poi per terra.

«Potresti avvisare un po' prima la prossima volta?» le dico mentre la raccolgo.

«Scusa!»

Alzo gli occhi al cielo, sorridendo, intanto che lei si avvicina per abbracciarmi.

«Fa niente.»

«Allora... Cosa dobbiamo cercare oggi?» Mi toglie la pistola dalle mani e la infila nel suo zaino.

Oggi dobbiamo uscire in escursione. Travis è venuto di persona a parlarmi per assicurarsi che io non facessi altre idiozie là fuori e per farmi promettere che qualsiasi cosa avessi in mente di fare, avrei prima dovuto parlarne con il gruppo. Non lo biasimo, ne ha tutte le ragioni.

È solo che, riflettendoci, mi viene difficile parlare e aspettare il loro consenso.

Sono stata da sola per così tanto tempo, abituata a dovermi appoggiare solo su me stessa e sulle mie decisioni, pronta anche alle loro conseguenze, perché non avevo niente da perdere.

Ora invece è diverso: insieme a me ci sono delle persone vere e le conseguenze delle mie scelte potrebbero ricadere anche su di loro e non voglio essere la responsabile delle loro ferite, o peggio, delle loro morti, pensando che c'è qualcuno che a loro ci tiene. E forse sto cominciando a tenerci anche io.

«Cibo» rispondo e mi metto lo zaino sulle spalle, assicurandolo poi con la chiusura sullo stomaco, così che se dovessi correre non cadrebbe.

Annuisce e con una pacca sulla spalla mi fa cenno di avvicinarci alle porte della palestra.

Lì ci sono Lynton, Calum, Margaret e un altro ragazzo di cui ancora non so il nome.

«Ci siamo» annuncia Mali, appoggiando il borsone che teneva in mano per terra quando ci uniamo a loro.

«Ciao, Kayla! Prima di andare, volevo darti l'elastico che mi avevi dato, così non ti vengono tutti i capelli in faccia» dice Margaret, allungando la mano verso di me con l'elastico tra le sue piccole dita.

Le sorrido dolcemente, la ringrazio e poi la prendo in braccio.

«Tu devi stare con la mamma» dice Mali a suo fratello.

Pensavo fosse qui solo per salutare sua sorella, ma noto ora che ha lo zaino sulle spalle.

«Se tu esci, esco anche io» replica serio.

«Non capisco perché ogni volta che io esco ti ostini a venire anche tu. Sono capace di proteggermi e poi non sono sola» sbotta Mali, arrabbiandosi.

«Perché mi preoccupo per te, va bene?!»

Mali si ammutolisce e distoglie lo sguardo da Calum.

«Scusa, ma mi è bastato perdere papà. Non voglio perdere anche te» riprende lui e abbraccia sua sorella.

«Ti voglio bene» sussurra lei con gli occhi lucidi.

Distolgo lo sguardo.

Quanto vorrei riabbracciare mia sorella e mio fratello e potergli dire 'ti voglio bene'.

«Kayla» mi richiama Margaret, sventolandomi una mano davanti alla faccia.

Sbatto una paio di volte le palpebre e decido di rimettere la bimba per terra.

«Possiamo andare?» chiedo, prendendo in mano il borsone che aveva buttato a terra Mali.

Lynton annuisce e in fretta esco dalla palestra a passo sostenuto, senza preoccuparmi degli altri o da che parte dobbiamo andare.

«Rallenta un po'!» mi ordina Calum, ma lo ignoro.

Lo sento che continua a chiamarmi e continuo a fare finta di non sentirlo.

Non ce la faccio. Alcune volte sento la mancanza della mia famiglia così tanto che mi sembra di impazzire: comincio a pensare che sia stata colpa mia se ci siamo divisi e se ora loro sono chissà dove. Comincio a pensare che continuare a sperare che siano vivi sia inutile. Sono passati tre anni e il loro ricordo continua a vivere forte e alcune volte mi butta più a terra di altre.

Mi accorgo di aver rallentato il passo quando Lynton mi sorpassa e piano piano, lascio che lo facciano anche gli altri tre.

Devi riprenderti, hanno bisogno di te lucida, penso subito.

Ho già commesso troppi errori. Devo smetterla. Pensare a loro non mi servirà a niente qui fuori, non mi salverà dai pericoli che la città nasconde dietro ad ogni angolo.

Riprenditi.

«Ci dividiamo» ordina Lynton deciso, incrociando le braccia al petto e fermandosi per fissare ognuno negli occhi, in cerca di disaccordo.

«Vado da sola» dichiaro, impugnando il coltello nella mano destra.

«Non se ne parla» ribatte Calum.

«Stai bene?» mi chiede Mali preoccupata, avvicinandosi.

«Alla grande» rispondo scocciata, indietreggiando.

Lascia cadere il braccio che aveva alzato e ritorna alla sua posizione di fianco al fratello.

«Okay... Calum, Mali cominciate ad andare, ci incontriamo qui alle 15» intima loro Lynton.

«Reece e Kayla, noi andiamo di qua, senza obbiezioni.» Dice le ultime due parole rivolgendosi a me.

Annuisco e li seguo. Imbocchiamo una via a sinistra, mentre Calum e Mali sono già spariti dietro ad un angolo della via opposta.

«Stiamo tutti vicini, se incontriamo uno dei Vaganti passiamo oltre. Se sono in gruppo lavoriamo insieme seguendo una strategia. Non prendete iniziativa» ci istruisce Lynton, camminando dritto davanti a sé con sicurezza. Le spalle aperte a formare una linea retta, la schiena dritta e la testa alta.

«Okay» risponde Reece, un po' indeciso se proferire parola fosse la cosa giusta da fare.

«Andrà tutto bene, Reece, rilassati.» Lynton da una pacca di conforto sulla spalla del ragazzo. È piuttosto magro e, al contrario di Lynton, le sue braccia sono asciutte e cammina in modo piuttosto impacciato. Dal viso mi sembra che abbia diciassette anni circa.

«È la prima volta che esci?» gli chiedo da dietro.

Annuisce.

«Ce la puoi fare.»

È l'unica cosa che mi sembra più sensata da dire.

«Entriamo» comanda Lynton, avvicinandosi alla porta di una casa. La verniciatura è ancora perfetta.

«Guarda e impara» dice a Reece.

Lynton tira fuori una forcina dalla sua tasca e la infila nel buco della serratura, maneggiandola per qualche minuto fino a che si sente il lucchetto scattare.

«Vecchia scuola» mi scappa dalle labbra. Devo dire di essere piuttosto impressionata dalla facilità con cui abbia aperto la porta: io ci avevo provato alcune volte, ma non vedendo risultati mi arrabbiavo e sparavo alla serratura per farla saltare non esattamente in modo furtivo.

«Sei solo invidiosa» ribatte lui con un sorrisetto compiaciuto sulle labbra.

«Me lo insegni?» chiedo, forse con un po' troppa prepotenza.

«Sì, certo, ma non ora. Abbiamo cose più importanti da fare.» Lynton prende la pistola dalla fondina e la tiene dritta davanti a lui, all'altezza delle spalle.

Lo imito ed entro cauta nell'abitazione, seguendo Lynton con lo sguardo davanti a me.

Lanciò un'occhiata a Reece dietro di me e gli faccio cenno di fare silenzio e di seguirmi. Annuisce e comincia a camminare mettendo un piede davanti all'altro lentamente.

Ritorno a guardare davanti e noto che sulle mura del piccolo corridoio che stiamo percorrendo ci sono quadri dei fiori e anche qualche foto delle persone che qui dentro ci abitavano.

«Via libera.» Lynton abbassa l'arma e la rinfila nella fondina.

Faccio lo stesso e smetto di camminare per far passare Reece. Preferisco averlo davanti a me, così che possa controllare che non gli accada niente.

«Vado al piano di sopra» dico e comincio ad andare, senza aspettare una risposta.

«Vai con lei, io controllo qua giù.» Sento dire da Lynton.

Salgo la rampa di scale e arrivo al pianerottolo: ci sono diverse mensole e su ognuna di queste ci sono delle foto incorniciate e un nome. Mi avvicino per guardarle: sulla mensola più in basso c'è il nome John e le foto ritraggono un ragazzo che gioca a baseball, lui che bacia una ragazza, lui al diploma. Prendo in mano quest’ultima e mi viene un groppo in gola a pensare che appena una settimana prima che tutto questo iniziasse, io mi ero appena diplomata.

 

«Kayla Russel.»

Mi tremano le gambe appena mi alzo dalla sedia. Non ci posso credere.

Cerco di mantenere l'equilibrio sui tacchi che indosso, mentre cammino verso il palco.

Non posso fare a meno di sorridere.

Salgo gli scalini, alzandomi la toga nera che indosso e facendo attenzione a non cadere.

«Complimenti!»

Stringo la mano alla preside e lei mi porge il diploma. Lo prendo e attendo che scattino la foto.

«Vorrei ringraziare la mia famiglia per essermi stata sempre accanto, soprattutto quando ero stressata ed affamata...» ridacchio mentre leggo il breve discorso di ringraziamento che ho scritto. Lancio un'occhiata ai miei genitori e li vedo scuotere la testa sconsolati.

«... i miei amici, anche se dovrebbero essere loro a ringraziare me per tutte le volte che ho salvato loro la dignità e la media scolastica...»

Sento delle urla da parte dei miei amici seduti nelle prime file. Rivolgo loro un sorrisino innocente e li saluto con la mano.

«... ed infine, vorrei ringraziare me stessa perché sono fantastica. Grazie e buona continuazione!»

 

«Tutto bene?»

Rimetto a posto la foto e mi asciugo la guancia con il dorso della mano. Non mi ero nemmeno accorta di star piangendo.

«Sì... Sì, tutto bene. Andiamo avanti, forza» rispondo, tentando di mantenere il mio tono della voce fermo.

«Quest'anno, tra tre mesi, mi sarei diplomato.» Reece mi segue mentre apro una delle quattro porte del piano di sopra.

«Avevo già in progetto di andare all'Università. Volevo diventare un ingegnere aerospaziale. A dire la verità voglio ancora diventarlo, nonostante suoni un po' folle dato le condizioni in cui siamo costretti a vivere» continua.

Mi fermo e lo guardo per qualche istante con l'ombra di un sorriso sul viso. Lui mi sorpassa e comincia a frugare tra i vari cassetti e mobili della camera in cui siamo entrati.

Non so cosa dire. Il solo pensare che a questo ragazzo, così come a milioni di altri in tutto il mondo, me compresa, sia stata tolta la possibilità di scegliere il proprio futuro, di poter vivere la vita per ciò che è, con tutte le sue sfumature, le sue avventure, le possibilità che questa ci offre.

«Ho sempre amato lo spazio. Quando ero piccolo i miei genitori mi hanno regalato un telescopio.» Si volta a guardarmi per un piccolo istante e vedo le scintille che ci sono nei suoi occhi mentre me ne parla.

Gli sorrido sinceramente. Vorrei solo potergli dire che diventerà ciò che lui vuole, ma sarebbe soltanto una menzogna. E lui lo sa benissimo. Credo che sia stata questa speranza ad averlo portato fino a qua e credo sia stato il suo carattere a farlo rendere amato dal suo, ormai anche mio, gruppo.

«Vorrei vedere la terra dallo spazio e vorrei che questo mio desiderio fosse possibile e non sembrasse solo un capriccio per scappare a questo inferno.»

«Fidati, non lo è.»

Reece sta maneggiando con un lucchetto che chiude le due ante di un grande armadio di legno con la forcina di Lynton e credo pensi che possano esserci delle cose utili dentro, altrimenti perché sarebbe stato chiuso a chiave?

Esco per qualche istante dalla stanza, lasciandolo al suo lavoro e cerco di fare un buon uso del tempo in modo da trovare il più possibile.

Sento il lucchetto aprirsi, subito dopo un forte tonfo.

Mi volto e ritorno verso la stanza.

«Kayla!»

Entro e la prima cosa che vedo sono le ante dell'armadio spalancate. Reece non c'è.

«Reece!» urlo, sperando sia in grado di rispondermi.

Qualcosa è andato storto.

E ormai non è più un brutto presentimento quello che sento. È una costatazione.

Sento le sue grida e dei gemiti fin troppo riconoscibili, gemiti che mi perseguitano nei miei incubi.

Mi fiondo nella camera e vedo che c'è una rientranza dopo l'armadio. Lo oltrepasso senza esitare e lo vedo.

Prendo la pistola e senza pensare alle possibili conseguenze che avrebbe causato il rumore, sparo.

Il corpo cade sopra a quello di Reece e lo schiaccia. C'è qualcosa che non va in lui.

Non grida, ma respira a fatica e lo sento lamentarsi flebilmente.

Butto la pistola a terra e con tutta la forza in corpo e cercando di trattenere i conati di vomito, sposto il corpo del Vagante da quello di Reece.

«Ehi, Reece, va tutto bene, okay?» Ma non appena lo dico mi accorgo che non lo è affatto.

È ricoperto dal sangue che gli sgorga dalla ferita alla spalla destra, ha il viso pallidissimo, le palpebre si aprono e si chiudono lentamente, la bocca semiaperta dalla quale escono dei deboli respiri.

Mi chino su di lui con le lacrime agli occhi.

«Reece, resta con me, okay? Ti riporto al campo, okay?» Gli metto le mani sotto alla testa e provo a metterlo seduto, ma i suoi occhi cadono all'indietro.

«No, no, no, Reece, ti prego!» lo scuoto leggermente, provando a farlo rimanere con me.

Ormai le lacrime scendono copiose e mi annebbiano la vista.

Devo portarlo giù, non c'è modo che lui riesca a fare le scale da solo.

«Okay... okay. Adesso andiamo giù. Tieniti forte a me.» La determinazione prende il posto dello shock e della paura.

Metto una mano sotto le sue spalle e una sotto le sue ginocchia e con una fatica incredibile lo alzo tra le mie braccia e comincio a camminare faticosamente ma veloce, per quanto sia possibile.

Attraverso la stanza e Reece tiene le braccia al mio collo, esattamente come gli ho detto.

«Okay, Reece, dimmi qual è la tua costellazione preferita» gli chiedo, cercando di tenerlo sveglio.

«Idra» risponde tra un respiro e l'altro.

Scendo i primi tre gradini e sento i muscoli delle gambe contrarsi ad ogni movimento.

«Perché?»

«Perché è... è la più-più grande.»

Altri due scalini.

Sistemo meglio Reece tra le mie braccia, ormai ricoperte del suo sangue, così come i miei vestiti.

«Perché si chiama così?»

Mancano ancora pochi scalini e sento ad ognuno il dolore alle gambe che cresce.

«È il n-nome di... una creatura...» La sua testa cade all'indietro.

«No. No, Reece, avanti, svegliati.»

Arrivo finalmente alla fine delle scale e cerco dappertutto Lynton con lo sguardo.

«Lynton!» grido con tutta l'aria rimasta nei polmoni.

Sento le braccia cominciare a cedere sotto il peso del ragazzo inconscio tra le mie braccia, ma non voglio appoggiarlo a terra o su qualsiasi altra superficie: voglio portarlo all'accampamento, voglio salvarlo.

Lynton arriva correndo, la pistola spianata davanti a lui.

La lascia cadere a terra non appena vede la scena che si presenta davanti a lui.

«Dobbiamo portarlo indietro!»

Il suo viso è vuoto, non ha emozioni. Vedo i suoi occhi riempirsi di lacrime e per qualche secondo resta immobile a fissarlo, sopraffatto dalla situazione.

«Kay...» Reece riprende coscienza e alza un po' la testa.

«Ehi, ehi, non ti preoccupare...»

«Finalmente... potrò v-vedere la t-ter... ra dallo spazio» sussurra con gli ultimi rimasugli di fiato rimasti in lui.

Cado sulle ginocchia con lui ancora tra le mie braccia e lo stringo forte.

«Mi dispiace, ma non posso permetterti di farlo, Reece» gli confido tra un singhiozzo e l'altro.

«Non-non credo... ci sia altra scelta» dice e un sorriso appena accennato gli si forma sulle labbra.

«Reece... c'è sempre una soluzione, lo hai sempre detto» interviene Lynton, piegandosi al mio fianco e abbracciandolo.

«Non questa... volta» dice e l'ultimo respiro esce dalle sua labbra. La sua testa cade per l'ultima volta all'indietro e le sue palpebre si chiudono per sempre.

«Sarai la stella più luminosa nella costellazione dell'Idra.»

   
 
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