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Autore: Blueeyedgirl    15/06/2018    1 recensioni
Alcune persone passano e sono soltanto un nome, un volto in una fotografia.
«Questo è Edgar Bones... il fratello di Amelia Bones, hanno preso lui e la sua famiglia, era un gran mago... Sturgis Podmore, accidenti, com'era giovane... Caradoc Dearborn, scomparso sei mesi dopo, non abbiamo mai ritrovato il corpo... Hagrid, naturalmente, è sempre lo stesso... Elphias Doge, l'hai conosciuto, mi ero dimenticato che portava sempre quello stupido cappello... Gideon Prewett, ci sono voluti cinque Mangiamorte per uccidere lui e suo fratello Fabian, hanno combattuto da eroi...»
-Harry Potter e l'Ordine della Fenice, Capitolo 9
Genere: Drammatico, Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Amelia Bones, Edgar Bones, Emmeline Vance, Sturgis Podmore
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra, Malandrini/I guerra magica
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3 giugno, 1971

 

Edgar si accorse che qualcosa non andava non appena lui, Amelia ed Evan misero piede sul vialetto, trascinandosi dietro bauli e manici di scopa. Le chiacchiere di Evan si interruppero di botto.
Il cancello del giardino era aperto. Suo padre non lo lasciava mai aperto, quando andava al lavoro, nonostante Villa Bones fosse protetta da numerosi incantesimi di protezione. Di questi tempi, diceva, è meglio chiudere a doppia mandata, incantesimi o non incantesimi. Sua moglie Julia, un tempo, avrebbe riso della sua prudenza. Julia rideva di molte cose. Ora, quando lo sentiva serrare porta e cancello a doppia mandata, si limitava a serrare le labbra, il viso pallido dalle occhiaie scure e profonde.
Molte cose erano cambiate, da quando suo padre era stato tra i firmatari di un appello in difesa di Babbani e Nati Babbani, pubblicato sulla Gazzetta del Profeta, due anni prima. Era l'estate fra il terzo e il quarto anno di Edgar e Amelia. Qualche giorno dopo, si erano svegliati una mattina e avevano trovato alcune finestre rotte, e altre imbrattate con la scritta FECCIA.
Sua madre aveva pianto. Anche Evan, che aveva dodici anni, era scoppiato a piangere di rabbia e di paura. Amelia ed Edgar si erano guardati, avevano guardato il padre, e senza fiatare lo avevano aiutato, per quanto fosse loro possibile, senza magia, a ripulire tutto e ad aggiustare i vetri rotti.
Anni più tardi, l'Edgar adulto, durante gli interminabili turni di guardia notturni, appoggiato alla finestra a guardare attraverso il vetro sporco di qualche infimo motel babbano, si sarebbe chiesto come avevano fatto a non accorgersi che quello era stato l'inizio della fine; l'anno in cui tutto era precipitato. Era l'anno in cui suo nonno, di cui Edgar portava il nome, si era ammalato. Una strana malattia babbana, aveva decretato il Guaritore del San Mungo che era venuto a visitarlo, nonostante le sue resistenze (da quando Brendan Lockhart, per aggiustargli l'anca sinistra, gli aveva deviato l'anca destra, Edgar Bones Sr non si fidava più dei Guaritori), quando Amelia, lavando uno dei suoi fazzoletti, lo aveva trovato completamente sporco di sangue. Probabilmente non contagiosa, aveva aggiunto; ma le sue supposizioni non avevano soddisfatto i genitori di Edgar, che ad ogni buon conto avevano preso la precauzione di separarlo dal resto della famiglia, trasferendo tutti i suoi averi nella stanza della torretta, un tempo laboratorio di fotografia di Benjamin.

Il nonno era morto dopo pochi mesi di sofferenze, qualche giorno prima che i tre fratelli tornassero dalle vacanze di Natale. La faticosa e sempre più disperata assistenza al malato, e il successivo lutto, avevano logorato sua madre, già cagionevole di salute e provata dalle preoccupazioni che le dava il marito. Inizialmente lo aveva appoggiato nelle sue opinioni sui diritti dei Babbani; più tardi, lo aveva accusato di aver messo in pericolo tutta la famiglia.

Un anno e mezzo più tardi, quando Edgar, dopo aver lanciato un'occhiata al cancello aperto, alzò gli occhi al cielo e vide la luce lugubre Marchio Nero splendere sul tetto di casa sua, quando sentì accanto a lui Amelia sobbalzare e lanciare un grido, quando il manico del baule gli sfuggì dalle mani e cadde in mezzo alla polvere, con un tonfo pesante, ebbe la certezza che sua madre aveva avuto ragione.
"No," mormorò. "No, no, no-" Edgar non riusciva a formulare un pensiero preciso. Avvertì confusamente, alla sua destra, che Evan stava urlando. Lo sentì divincolarsi dalla presa di Amelia, rafforzatasi dopo tanti allenamenti di Quidditch. "Lasciami! Lasciami!"
"Potrebbero essere ancora dentro, Evan!" disse concitatamente Amelia, in un sussurro "Dobbiamo-dobbiamo-" Si voltò verso Edgar, impotente. Nonostante il suo sangue freddo sembrasse non vacillare, nemmeno sotto il peso della consapevolezza che i loro genitori erano probabilmente morti – morti, morti, morti, Edgar sentì l'eco di quel pensiero dentro di sè, come se dentro gli si fosse aperto un precipizio – la sua espressione tradì per un attimo i suoi sedici anni. "Cosa dobbiamo fare, Ed?" aveva una nota di panico nella voce. Allungò un braccio e lo scosse quando non lo vide reagire. "Ed!"
"Non lo so!" quasi gridò Edgar. "Non lo so!" Il viso lentigginoso di Evan, accanto a quello altrettanto lentigginoso di Amelia, era rigato di lacrime. Cercava ancora di liberarsi dalla stretta di Amelia. Il cervello di Edgar non voleva saperne di mettersi in moto. Ci vorrebbe Florence, pensò disperatamente. Arriva dopodomani con il Nottetempo, gli ricordò una vocina dolce dentro la sua testa.
Il Nottetempo. Quest'ultima parola fece come risuonare un campanello nella sua testa. Afferrò il baule e corse verso la strada, sfoderando la bacchetta dalla tasca dei pantaloni. Amelia ed Evan lo seguirono a ruota. Una volta arrivato sulla strada principale, puntò la bacchetta verso la strada. Con l'altra mano, si frugò in tasca, sperando di avere abbastanza soldi per pagare il biglietto.
"Evan, vai da zio Elijah," mormorò, rivolto al fratello minore. "Digli cosa è successo. Tu resta da lui. Non tornare qui, capito?" Poi si voltò verso la sorella. "Noi entriamo."
Amelia annuì. Non disse nulla.
"Ma..." Evan guardò il fratello, sconvolto. "Edgar, dovete venire anche voi! Cosa farete se sono ancora dentro?"
"Noi siamo più grandi, ce la caveremo." Edgar gli mise una mano sulla spalla. "Andrà tutto bene, Evan, te lo assicuro. Fa' in modo che zio Elijah venga qui subito, okay?"
Dopo nemmeno tre secondi, un autobus viola a tre piani comparve dal nulla davanti a loro, strombazzando. Edgar sospinse il fratello in avanti. La porticina si aprì, ed apparve un ometto di mezza età, con occhiali tondi e spessi e una nuvola di capelli rossi che già tendevano al grigio ad incorniciargli la testa come un'aureola.
"Benvenuti sul Nottetempo, mezzo di trasporto di emergenza per maghi e streghe in difficoltà" cantilenò l'uomo, con l'aria di chi ha passato gli ultimi quindici anni a pronunciare le stesse identiche parole. "Mi chiamo Ernie Urto, e sarò il vostro bigliettaio per oggi."
"Un biglietto per Leoch," disse in fretta Edgar.
"Undici falci," disse l'ometto. Mentre Edgar contava i soldi per il biglietto di Evan, l'uomo si guardò attorno, fischiettando, ma non notò il Marchio Nero: era nascosto dalle cime degli alberi che circondavano Villa Bones. Poi, strizzando gli occhi, lanciò un'occhiata a Evan. "Ehi, che ti è successo, ragazzo?" chiese. "Hai l'aria di uno che ha bisogno di una cioccolata calda." Gli fece l'occhiolino. "Solo due falci aggiuntivi, eh."
"Solo il biglietto, per favore." tagliò corto Edgar. Dovevano muoversi. Dentro di sè, nonostante sapesse che i Mangiamorte non lasciavano mai testimoni, sperava ancora che i suoi genitori fossero vivi. Feriti, magari in fin di vita, ma vivi. Che potessero ancora fare qualcosa per aiutarli.
Ernie Urto aiutò Evan a trascinare il baule sull'autobus. Evan lanciò un'ultima occhiata a Edgar e Amelia, in piedi sul vialetto, poi l'autobus ripartì a tutta velocità.
I gemelli si guardarono. Amelia estrasse la bacchetta, poi, insieme, tornarono indietro, verso la casa. Oltrepassarono il cancello del giardino, vigili. Sul vialetto, almeno due paia di scarpe diverse avevano lasciato una serie di impronte nella polvere. I cespugli di rose bianche che Julia aveva piantato l'anno prima sembravano ridere di loro, ondeggiando al vento primaverile. Raggiunto il portico, Edgar esitò ad aprire la porta. Una parte di lui avrebbe voluto scappare, andare da zio Elijah con Evan, lasciare che fossero gli adulti ad occuparsene.
Non c'è niente di cui aver paura, Edgar.
Era la voce rassicurante di suo padre, questa. Ma stavolta non gli stava insegnando a volare su una scopa. C'erano molte cose di cui aver paura, questa volta. Edgar cercò di non pensarci. Aprì la porta.
L'interno della casa era in penombra, nonostante fuori splendesse il sole. Amelia e Edgar oltrepassarono la soglia. Il pavimento di legno scricchiolò sotto i loro piedi.
Amelia levò la bacchetta: "Homenum revelio," recitò. Non accadde nulla. Erano soli.
"Dove sono mamma e papà?" sussurrò Amelia.
Edgar non rispose. Stava già correndo in salotto.
Era tutto intatto. Nessuna traccia di Benjamin e Julia Bones. Passò in cucina. Sul tavolo c'era ancora il bollitore per il tè e due tazze sporche. L'orologio magico della famiglia, quello con cinque lancette che segnalavano dove si trovassero in qualunque momento, era al suo posto, appeso al muro. Tutte e cinque le lancette erano puntate su PERICOLO MORTALE.

Al piano di sopra, Amelia urlò.

Quando Henrietta Diggory aprì la porta d'ingresso e si trovò davanti il minore dei suoi nipoti, con il volto rigato di lacrime, la bacchetta in una mano e il baule stretto nell'altra, inizialmente non seppe cosa pensare.
"Evan, che-"
"Il Marchio Nero!" singhiozzò Evan. "Sopra casa nostra!"
Il cuore di Henrietta sprofondò. Fece entrare Evan, poi corse al caminetto del salotto, lanciò una manciata di Polvere Volante nel fuoco e dichiarò: "Ufficio di Elijah Diggory, Dipartimento Cooperazione Magica Internazionale, Ministero della Magia."
Il fuoco si tinse di verde smeraldo. Dopo pochi secondi, la testa di Elijah Diggory, un bell'uomo con un paio di baffetti scuri, comparve tra le fiamme. Era visibilmente scocciato.
"Henrietta, ti ho detto mille volte di non cercarmi in ufficio, ho una riunione con i danesi tra cinque minuti-"
"Elijah, sulla casa di tua sorella è comparso il Marchio Nero." tagliò corto Henrietta. Elijah impallidì. Subito dopo, scomparve.

Quando Elijah e una squadra di Auror si Materializzarono sul vialetto del giardino di Villa Bones, trovarono Edgar e Amelia seduti sul gradino della veranda. Amelia teneva la testa sulla spalla del fratello. Edgar alzò il viso lentigginoso e guardò lo zio.
"Sono al piano di sopra," mormorò.

 



NdA: con questa storia, ho voluto immaginare la vita di alcune figure di cui nei libri si parla poco, e soprattutto del loro ruolo nel corso della I guerra magica.

In particolare, i personaggi citati nella saga che avranno un ruolo fondamentale nella mia storia sono Edgar e Amelia Bones (che ho immaginato come gemelli), Sturgis Podmore, Emmeline Vance, i fratelli Prewett e Dorcas Meadowes.

Florence, che viene citata nel testo, è la fidanzata Nata Babbana di Edgar Bones, un personaggio creato da me, mentre Evan è il fratello minore di Edgar e Amelia.

 

  
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