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Autore: edoardo811    29/06/2018    1 recensioni
Quello che sembrava un tranquillo viaggio di ritorno alla propria terra natale si trasformerà in un autentico inferno per i Titans e i loro nuovi acquisti.
Dopo la distruzione del Parco Marktar scopriranno ben presto che non a tutti le loro scorribande nello spazio sono andate giù.
Tra sorprese belle e brutte, litigi, soggiorni poco gradevoli su pianeti per loro inospitali e l’entrata in scena di un nuovo terribile nemico e la sua armata di sgherri, scopriranno presto che tutti i problemi incontrati precedentemente non sono altro che la punta dell’iceberg in un oceano di criminalità e violenza.
Caldamente consigliata la lettura di Hearts of Stars prima di questa.
[RobStar/RedFire/RaeTerra] YURI
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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XXIV

Mai lasciar andare

 

 

Rosso crollò a terra, uno sfregio orribile che gli attraversava la guancia. Di fronte a lui, Shyltia rise ancora una volta. Accanto invece aveva Terra, che giaceva totalmente priva di sensi sul suolo. Non ci provò nemmeno a chiamarla per svegliarla, e non solo perché non aveva più nemmeno la forza per parlare: ormai la sua unica alleata in quella situazione era andata. Doveva cavarsela da solo. Solo, contro quella donna in grado di creare un’illusione talmente forte da impedirgli perfino di combattere. Una passeggiata.

«Sei davvero delizioso senza la maschera, lo sai?» gracchiò lei, dimenando quella maledetta lingua biforcuta.

«E tu… lo sai che la mia bellissima compagna aspetta un bambino da me?» ribatté Lucas, rimettendosi in ginocchio, ogni centimetro di pelle che gli doleva terribilmente. «E quando avrò finito con te… tornerò da lei, la stringerò, la bacerò e le dirò quanto io la ami.» Il ragazzo riuscì a risollevarsi finalmente sulle proprie gambe, dopodiché alzò i pugni. «Ti conviene… finirla con i flirt. Mi spiace deluderti, ma non attaccano.»

«Non preoccuparti, tanto non uscirai vivo da qui per poterla rivedere. Ed è per questo motivo che voglio godermi ogni singolo istante di questo momento. E in ogni caso, non puoi tornare da lei sulla Terra senza una nave.»

«Ma lei non è sulla Terra.»

Shyltia corrucciò la fronte. «Cosa?»

«Lei è…»

«Io sono qui!» urlò una terza voce, proveniente da dietro le spalle dell’aliena. La vipera si voltò, per poi essere colpita in pieno volto da un raggio di energia viola brillante. Crollò a terra, coprendosi il volto ed urlando a squarciagola per il dolore.

Rosso sollevò lo sguardo verso la direzione da cui era provenuto il raggio, per poi schiudere le labbra. Amalia era in piedi, dall’altra parte dell’enorme stanza, con gli occhi ancora illuminati di viola. «È l’ora del secondo round, stronza!»

«Tu?!» sibilò Shyltia. A Lucas parve di capire che quella non fosse la prima volta che si incontravano.

«Ma davvero ti sei fatto ridurre in quello stato da questa oca senza cervello?» domandò Amalia, ignorando completamente la vipera, a Rosso.

Il ragazzo fece una smorfia, mentre l’aliena squittì indignata. «EHI! Bada a come parli!»

«Non startene lì impalato, aiuta Tara» ordinò ancora Komand’r.

«E non ignorarmi!» urlò Shyltia.

«Non potrei nemmeno se volessi, è impossibile non accorgersi della tua dannata vocetta!»

La vipera urlò frustrata ancora una volta, poi piombò addosso alla sua nuova avversaria. Komi, dal canto suo, si sgranchì il collo. «Sì, fatti avanti, coraggio!»

Le due gridarono, poi iniziarono il loro cruento scontro. Uno scontro da cui chiunque avrebbe preferito tenersi alla larga. In genere, il pensiero di due donzelle che combattevano era un qualcosa che faceva scalpitare qualunque individuo dotato di cromosoma Y, ma in quel caso, più che eccitato, Rosso poteva definirsi spaventato. Amalia sembrava un tornado di rabbia, e Shyltia non era affatto da meno.

La vipera cercò di artigliare la tamaraniana, mentre quest’ultima si alzava in volo e rispondeva agli attacchi con i propri, ricoprendo la stanza con una pioggia di raggi di energia, che la donna rettile evitò prontamente nascondendosi in una delle pozze di fanghiglia.

Rosso barcollò fino da Terra, per poi inginocchiarsi accanto a lei ed iniziare a scuoterla. «Terra? Terra! Riprenditi!»

Nessuna risposta. Red X imprecò a denti stretti, poi il suo sguardo cadde su una delle pozze di acqua stagnante. Un’idea gli attraversò la mente.

«Scusa» borbottò, mentre le gettava addosso una generosa dose di quel liquame. La ragazza aprì gli occhi immediatamente, con un gridolino di sorpresa.

«Ma… ma cosa…» cominciò lei, stordita.

«Riprenditi» ordinò Rosso, facendole drizzare il capo.

«Che… che è successo?» domandò la bionda, con voce impastata. Il rumore generato dalla colluttazione tra Amalia e Shyltia la fece voltare di scatto, probabilmente fornendole una risposta molto più esaustiva di quelle che avrebbe potuto dargli Red X.

«Ma… ma che cosa…?»

«Non c’è tempo per le spiegazioni» tagliò corto Rosso. «Io devo aiutare Amalia. Tu devi andare avanti da sola. Cerca Corvina, trovala, e andatavene immediatamente da questa nave maledetta. Noi preoccupatevi per noi due, ce la caveremo.»

Tara, nonostante fosse palesemente ancora confusa, annuì. «Va bene. Ma promettimi una cosa.»

Red X sollevò un sopracciglio. «Cosa?»

Terra si sollevò, per poi osservarlo dritto negli occhi, serissima in volto. «Quando avete finito di rompere culo di quella vipera, fate pace.»

Lucas non aveva la più pallida idea di come la geocinetica potesse sapere di cosa era successo tra lui e Amalia, ma si ritrovò ugualmente ad annuire, con un sorrisetto sul volto. «Contaci.»

I due si scambiarono un cenno, dopodiché la bionda si diresse a grande velocità verso l’uscita della stanza. Rosso la seguì con lo sguardo fino a quando le urla delle due aliene non lo fecero distrarre. Si voltò, tornando ad osservare il combattimento cruento tra loro. Amalia stava radendo al suolo l’intera stanza, e Shyltia non sembrava molto entusiasta di questa cosa.

«Non ti ho morso abbastanza forte, a quanto pare!» urlò la donna rettile, fiondandosi su di lei un’altra volta con la sua incredibile velocità. «Ma è ora di rimediare!»

«Io non credo proprio!» replicò Amalia, afferrandola per il collo un istante prima che entrassero in collisione. Shyltia sgranò gli occhi sorpresa ed emise un verso soffocato.

Senza perdere altro tempo, Komi gli infilò una mano in bocca, per poi strappargli via con forza l’incisivo inferiore, quello del veleno. L’urlo che fece la vipera fu la cosa più agghiacciante che Rosso ebbe mai la sfortuna di sentire. Amalia nel frattempo gettò il dente a terra, per poi sferrare un pugno che la scaraventò dall’altro lato della stanza.

«L’unico modo che hai per battere qualcuno, è quello di imbrogliarli» cominciò Amalia, camminando verso di lei, osservandola quasi disgustata. «Ma quando il tuo patetico trucchetto non funziona, allora perfino una ragazza incinta può batterti.»

Shyltia si rimise sui gomiti, una disgustosa bava verdognola che colava dalla sua bocca. Sembrava perfino che stesse singhiozzando per il dolore, o forse per la paura. In ogni caso, Amalia sembrava averla in pugno. La presenza di Rosso era pure superflua, a quel punto.

«S-Stronza…» sibilò la vipera, voltandosi verso di lei ed osservandola con odio. «Il mio dente…»

«Tranquilla, non ti servirà più dove andrai.» Komand’r sollevò una mano, per poi gridare: «All’inferno!»

Sferrò un altro raggio di luce verso di lei, centrandola in pieno e facendola di nuovo gridare a pieni polmoni. Shyltia stramazzò a terra, gli occhi serrati e la bocca semiaperta ancora ricoperta di sangue e veleno.

Amalia abbassò il braccio, sospirando profondamente. «Sogni d’oro, bastarda.»

Rosso osservò la madre del suo futuro figlio a bocca semiaperta. Komand’r sollevò un sopracciglio. «M’beh? Che hai da guardare? Solo perché sei stato talmente incapace da occuparti di lei da solo, non significa che io non possa…»

Un verso furibondo si sollevò in aria all’improvviso. Amalia si interruppe e si voltò di scatto, per poi sgranare gli occhi, imitata da Lucas, quando vide Shyltia rialzarsi nuovamente, ringhiando come una belva inferocita. «T-Tu…» biasciò, con tono grottesco. Drizzò il capo di scatto, rivelando il proprio volto dilaniato e ricoperto di sangue. «ME LA PAGHERAI!»

«Cazzo…» sussurrò Komi, poco prima di dover evitare un assalto sicuramente letale da parte della vipera. La donna rettile sferzò l’aria con i suoi artigli, urlando a squarciagola. «NON PUOI SCAPPARE!»

Amalia cercò di rispondere agli attacchi con un pugno, ma Shyltia non parve nemmeno sentirlo, perché urlò con ancora più forza e fendette ancora una volta l’aria, questa volta riuscendo a sfiorare il ventre della tamaraniana. Komand’r urlò per la sorpresa e cadde a terra, sporcandosi di fango, mentre tre piccoli graffi apparivano sulla pancia. Non appena se ne rese conto, Rosso sgranò gli occhi.

L’aliena dai capelli mori si portò una mano al ventre, gemendo per il dolore, mentre Shyltia torreggiava su di lei. Sollevò entrambe le mani, pronta a finirla. «TI SCUOIERÒ E MI FARÒ UNO SPUNTINO CON QUELLO SCHIFOSO MEZZOSANGUE CHE TI PORTI DENTRO!»

Rosso non ci vide più. A lui avrebbero potuto fare qualsiasi cosa. Potevano insultarlo, picchiarlo, torturarlo, a lui non avrebbe mai importato un accidente. Ma fare del male ad Amalia di fronte al suo sguardo, fare del male alla persona che amava con ogni fibra del suo essere, minacciarne la vita, minacciare perfino la vita di una creatura innocente, la loro creatura innocente, quello era troppo. Di fronte a lui avrebbe perfino potuto trovarsi un esercito intero: lo avrebbe spazzato via comunque.

Urlò a pieni polmoni e si scagliò su Shyltia. L’aliena si voltò sorpresa, ma non poté fare nulla. Un disgustoso rumore di ossa rotte si sollevò in aria quando il ragazzo affondò il proprio pugno negli zigomi della donna aliena. La vipera crollò a terra, urlando per il dolore. Red X si chinò su di lei, ancora lungi dall’aver finito. Sollevò di nuovo la mano, pronto a finirla, gli occhi iniettati di sangue, lo sguardo spiritato, il respiro pesante.

Amalia e quel bambino erano tutto per lui. Niente e nessuno avrebbero potuto sottrarglieli. Non ricordava l’ultima volta che aveva picchiato così tanto qualcuno, specialmente una donna. Non ricordava di aver mai picchiato una donna e basta. Ma lei, Shyltia, lei non era una donna: era un abominio che non si meritava nemmeno l’ossigeno che respirava.

«A-Aspetta, ti prego…» sussurrò l’aliena, poco prima che Rosso schiantasse nuovamente le sue nocche sul suo volto. Shyltia riaprì lentamente gli occhi, incrociando il suo sguardo. Lucas esitò, quando di fronte a lei riapparve ancora una volta la ragazza bellissima di poco prima. La mano del ragazzo tremò, mentre il pugno si scioglieva lentamente. Ci stava cascando di nuovo, quella maledetta illusione era troppo potente.

Rosso digrignò i denti, mentre la ragazza gli sorrideva in maniera gentile e sollevava lentamente il volto. «Grazie…» bisbigliò, per poi ridacchiare debolmente. «Questa è la tua ricompensa…»

Avvicinò le labbra a quelle di X, che sgranò gli occhi. Cercò di lottare, di allontanarsi da lei, ma non ci riuscì; il suo corpo non voleva rispondere ai comandi.

«Rilassati, andrà tutto bene» mormorò ancora la ragazza, avvolgendo entrambe le mani attorno al collo del giovane in nero. «Vedrai, ti piacerà…»

Red X gemette. Chiuse gli occhi, mentre percepiva il fiato caldo di lei soffiare sul suo volto. La presa calda della ragazza lo stava facendo cedere, sentiva i propri nervi cominciare a sciogliersi lentamente, si sentiva… bene. Si sentiva bene. Non ricordava l’ultima volta in cui si era sentito così…

«Lucas!» Una voce lo chiamò all’improvviso. Il ragazzo sgranò gli occhi, riuscendo a riconoscerla. Era quella di Amalia. Quella della ragazza che amava. Abbassò lo sguardo e ciò che vide non era assolutamente una splendida fanciulla: era un’aliena disgustosa. E le loro labbra stavano per unirsi.

Lucas gridò e si allontanò di scatto dalla vipera, che sibilò furibonda. «COME OSI RESISTERMI?!»

«Ma stai zitta!» gridò Amalia, apparendo dal nulla, e colpendola così forte da spedirla contro la parete della stanza. La donna rettile urlò con quanto fiato aveva in corpo, prima di crollare di nuovo nel fango.

Rosso rimase in ginocchio ed abbassò il capo, con il fiatone. Chiuse e riaprì le palpebre diverse volte, cercando di recuperare fiato e la lucidità mentale.

«Lucas» la voce la chiamò di nuovo. Red X sollevò lo sguardo, per poi accorgersi di Amalia china di fronte a lui.

«Stai… stai bene?»

Quella domanda, con quel tono così… morbido, dolce, preoccupato, quasi non sembrò uscita dalle labbra della tamaraniana, la stessa che fino a quel momento lo aveva trattato con sufficienza. Il ragazzo in nero annuì lentamente. «S-Sì…» Distolse lo sguardo, imbarazzato. Se non fosse stato per lei, Shyltia lo avrebbe ingannato, e probabilmente in quel momento non starebbe nemmeno più respirando.

Ripensò a come l’aveva trattata quando erano nella loro stanza nel palazzo. Ripensò a come si era comportato con lei, alle parole terribili che le aveva detto. E poi, ripensò a quello sguardo apprensivo che malgrado tutto Amalia gli stava rivolgendo. Si sentì il più grosso idiota di quell’intero universo.

Dopo anni ed anni passati a sguazzare nei rifiuti, era riuscito a trovare un diamante, e quel diamante era Amalia. E lui, anziché tenerselo stretto come spesso si era detto, lo aveva lasciato andare, lo aveva perso, temendo perfino di non riuscire più a ritrovarlo. E quando lo aveva ritrovato, erano bastate un paio di settimane trascorse con la luna storta per rischiare di perderlo di nuovo. Strinse i pugni e chinò il capo, sentendo le proprie iridi inumidirsi.

«Mi… mi dispiace…» sussurrò.

«Cosa?» domandò lei, con tono sorpreso. «Ma di che stai…»

«Sono stato uno stronzo…» la anticipò lui, scuotendo il capo. «Per poco non ho… non ho mandato tutto a puttane, come al solito. Ti ho… ti ho trattata da schifo, nonostante tu… tu volessi solamente il meglio per noi. E… e nonostante tutto, sei ancora qui. Io non… io non ti merito. Però… però non ho chiamato io i pirati. Devi credermi.»

«Hai ragione, sei stato uno stronzo.»

Quel tono più duro, quelle parole, lo fecero irrigidire. Ma del resto, come poteva darle torto?

«Ma…» Una mano si posò sulla sua spalla, facendogli sollevare lo sguardo di colpo. Notò il piccolo sorriso apparso sul volto di Komand’r. «… anche io lo sono, a volte.»

Lentamente, Rosso riuscì a trovare la forza di ricambiare quel sorriso. «Significa… che mi perdoni?»

«Solo se tu puoi perdonare me» allargò il sorriso Amalia, per poi prendergli il volto tra le mani, per poi mutare il suo sguardo in uno più provocatorio, uno di quelli che Lucas amava. «E ora chiudi il becco e baciami.»

Lo disse come se lei si aspettasse che fosse lui a fare la prima mossa, ma in realtà fu proprio la tamaraniana a fiondarsi su di lui per prima. Naturalmente, Rosso non si tirò indietro. La sensazione che provò quando percepì le loro labbra riunite dopo così tanto tempo fu indescrivibile. L’unica cosa che percepì, era quanto quei baci gli fossero mancati. Non seppe quanto a lungo rimasero uniti in quel modo, sapeva solo che non voleva più staccarsi.

Un verso orripilante, tuttavia, costrinse entrambi a doverlo fare. I due compagni si voltarono, diretti verso il punto in cui Shyltia era stata scaraventata. La vipera si stava nuovamente alzando, ringhiando sempre più furibonda. «Me la… pagherete… vi ucciderò… vi ucciderò tutti…»

«Ma quando la finirà di rialzarsi?» domandò Amalia, rabbuiandosi.

Rosso sorrise. «Temo che dovremo essere noi a farla smettere.»

I due ragazzi si guardarono tra loro, poi si scambiarono un cenno.

«Sappi che quando avremo finito qui, abbiamo ancora un conto in sospeso. Io, te e la camera da letto.»

«Mi sta bene» annuì Lucas, poco prima che Shyltia si fiondasse su di loro.

Poco prima che si fiondasse sulla sua stessa fine.

 

***

 

Non ricordava di aver mai corso così tanto in vita sua. Era una bugia, la sua intera vita era stata una corsa continua… anche se, all’epoca, non aveva mai avuto qualcuno per cui correre, a differenza di quel momento.

Terra non aveva un secondo da perdere. Anche se più proseguiva, più si trovava costretta a scegliere quale strada prendere, e siccome non aveva la più pallida idea di come orientarsi lì dentro, temeva di starsi inoltrando troppo in quel labirinto dal quale temeva di non riuscire più ad uscire.

Dopo l’ennesima svolta che non la portò da nessuna parte, si abbandonò contro una parete, respirando affannosamente. Non poteva nemmeno usare i suoi poteri, visto che era troppo lontana dal suolo, perciò non poteva nemmeno generare un masso sul quale volare.

Si passò una mano fra i capelli intrisi di sudore, per poi cercare di raccogliere le idee. Procedere alla cieca in quel modo non l’avrebbe portata da nessuna parte. Infastidita, Terra si massaggiò le tempie, per poi infilarsi una mano in tasca, dove qualcosa di appuntito continuava a stuzzicarle la gamba. Non appena, tuttavia, le sue dita si strinsero attorno al cristallo che Canoo le aveva regalato, sgranò gli occhi. Si era totalmente dimenticata di possederlo. Lo tirò fuori, incerta di cosa farsene, ma non appena si rese conto del fioco bagliore proveniente da esso, rimase a bocca aperta. Quando Canoo gliel’aveva regalato, non brillava in quel modo. La ragazza assottigliò le palpebre, non capendo perché mai la pietra avesse deciso di comportarsi così, fino a quando non si rese conto che il brillio non era omogeneo, bensì concentrato perlopiù su un unico punto del cristallo, ossia la sua parte sinistra. Terra spostò lo sguardo verso la stessa direzione, per poi notare un corridoio. Deglutendo, la bionda spostò il cristallo verso di esso, e il bagliore si fece più forte, concentrandosi ora verso la sua punta. Il cervello della geomante si mise lentamente in moto.

Spostò il cristallo un paio di volte, verso gli altri corridoi, ma ogni volta il bagliore rimase concentrato verso quello di sinistra. A quel punto, la giovane abbassò la mano. Non sapeva come, non sapeva perché, ma la gemma sembrava starle indicando quella direzione. Che avesse in qualche modo attivato il suo potere e ora lui le stesse dicendo dove andare? Ne dubitava, ma allora quali altre motivazioni c’erano? Non lo sapeva. L’unica cosa che sapeva, era che quella era l’unica pista che aveva. Non poteva continuare a vagare a casaccio lì dentro, inoltre quanto tempo sarebbe passato prima che un pirata la trovasse? Era troppo lontana dalla terra per usare i suoi poteri, era indifesa. Doveva sbrigarsi. Senza perdersi in ulteriori indugi, annuì a sé stessa, poi corse lungo il corridoio.

Tenne il cristallo sollevato di fronte a sé, seguendo la strada da esso indicata. Ogni volta che arrivava ad una svolta, la gemma si illuminava sempre di più verso la direzione che doveva prendere, quasi fungendo da bussola. Compì diverse svolte con molta rapidità, svolte che fino a pochi minuti prima l’avrebbero costretta a fermarsi e a riflettere su quale prendere. In un certo senso, era quasi soddisfacente potersi muovere con tanta sicurezza in mezzo a quei corridoi. Più proseguiva, più sentiva che quella fosse la strada giusta. Andò avanti a lungo, fino a quando non percepì qualcosa di diverso nell’aria. La sua pelle si accapponò all’improvviso e riuscì a percepire alcuni dei suoi capelli separarsi dagli altri, per poi sollevarsi in aria come sospinti da qualche strana corrente. Terra rallentò, sorpresa. L’aria… era satura di elettricità. Il cristallo tra le sue mani, nel frattempo, cominciò a brillare il doppio più insistentemente. La geomante schiuse le labbra. Non aveva idea di cosa significasse tutto quello, ma non era certo intenzionata a rimanersene immobile: l’unico modo per scoprire cosa la attendesse alla fine di quella lunga corsa, era quello di continuare a correre. E così fece.

Corse, fino a quando, infine, non si ritrovò in una grossa stanza, molto diversa dai corridoi che si era abituata a vedere. E non appena varcò la soglia e vide cosa vi era in essa custodita, la ragazza bionda rimase esterrefatta. Il cristallo, oramai interamente illuminato, le cadde di mano mentre le sue iridi azzurre erano come pietrificate sullo scontro che stava avvenendo di fronte a lei. Due enormi raggi di energia che cozzavano tra loro, generando folate d’aria e scariche elettriche, sicuramente le stesse che stavano riempiendo l’aria. E alle due estremità di essi… il pirata che ricordava di aver visto prima di svenire, Caruso, se non ricordava male, e… Corvina.

Corvy, la sua Corvy.

Non appena si accorse di lei, Terra rimase così concentrata sul suo aspetto che nemmeno fece caso alle pile di oro e gioielli ammassati e sparpagliati per tutta la stanza.

Stavano combattendo in maniera furiosa, e Terra, a causa di tutte le emozioni contrastanti che turbinavano dentro di lei alla vista della sua bella, non riusciva nemmeno a rendersi conto a pieno del fatto che Caruso stesse, in qualche arcano modo, sparando un raggio di luce dalle sue mani.

«Corvy!» urlò lei, d’impulso. La maga si voltò di scatto verso di lei, sgranando gli occhi «Terra?» domandò, sorpresa.

Malgrado non fosse passato molto dall’ultima volta che la vista, malgrado l’aspetto agitato, spossato e sbigottito, la maga era bella come non mai. Tuttavia, l’urlo di dolore che Corvina fece costrinse la geomante a tornare in sé. Il raggio di luce proveniente da Caruso cancellò parzialmente quello della Titans, che probabilmente a causa della distrazione aveva perso la concentrazione sullo scontro. Caruso rise, schernendo la sua avversaria. «Che succede, terrestre? Qualche difficoltà a gestire la mia forza?» Non sembrava essersi accorto della ragazza bionda, tuttavia.

Corvina serrò i denti. «Terra… devi andare via da qui… quel tizio è troppo pericoloso…»

Terra fece vagare lo sguardo da lei al pirata, per poi incupirsi. «Te lo scordi, io non ti abbandono!»

Strinse i pugni, dopodiché spostò lo sguardo in ogni direzione, alla ricerca di qualcosa che potesse esserle d’aiuto. Si accorse solo in quel momento di tutti i tesori di cui la stanza era disseminata, la quantità di oro e pietre preziose presenti là dentro probabilmente sarebbero state sufficienti per poter comprare un pianeta intero, ma lei non era lì per riempirsi le tasche, era lì per salvare la persona che amava. E la grossa sciabola con il manico incastonato di rubini e smeraldi che trovò era proprio quello che faceva al caso suo. Corse ad afferrarla, mentre Corvina gridava nuovamente, sempre più alle strette. Terra non ricordava di averla mai vista così in difficoltà, ma non aveva importanza, perché lei l’avrebbe salvata. Sollevò la spada, che era molto più pesante di quanto avrebbe mai potuto immaginare, grugnendo per lo sforzo.

Si avviò barcollando verso il pirata, con la mascella serrata. Dovette attingere a tutta la sua forza interiore per non farsi sbalzare via dall’energia dei due raggi di luce, così intensa da sembrare vento. Sicuramente Corvina avrebbe voluto che si fermasse, che fuggisse da lì prima che la situazione già in stallo degenerasse del tutto, ma la verità era che Terra non l’avrebbe mai lasciata, non così, non dopo tutto quel tempo, non proprio nel momento in cui, più che mai, sembrava davvero avere bisogno di qualcuno.

Il pirata fu sempre più vicino, e quando parve essere davvero a tiro della sciabola, la bionda sollevò l’arma, non sapendo nemmeno cosa fare con esattezza. Fece per abbatterla su di lui, ma non appena provò a sfiorarlo una scarica elettrica le attraversò il corpo, strappandole un grido di dolore. Venne scaraventata via, praticamente fino al punto in cui aveva cominciato a camminare verso Caruso, la sciabola che schizzava chissà dove in mezzo alla stanza dorata.

Terra si rimise lentamente a sedere, tossendo, per poi rabbrividire quando si rese conto di essere osservata da Caruso. I suoi occhi erano completamente blu brillanti, spiritati, e i denti aguzzi mostrati dal suo sorriso non facevano altro che renderlo ancora più spettrale.

«Ma guarda, abbiamo compagnia! Ci rivediamo, capelli di grano!» Le mani del pirata tremolarono, mentre cominciava lentamente a separarle. Mentre con una continuava a sparare quel raggio di luce verso Corvina, con l’altra si protese in direzione della bionda. «Aspetta, lascia che inviti anche te alla festa!»

La mano cominciò ad illuminarsi di luce propria. Un secondo raggio di luce fuoriuscì da essa, puntando proprio verso di lei. Terra sgranò gli occhi, atterrita. Si alzò in piedi e fece scorrere lo sguardo attorno a sé, alla ricerca di un riparo, ma non c’era nulla attorno a lei che potesse salvarla da un attacco simile. Rimase paralizzata, mentre la luce azzurra si faceva sempre più vicina, accecante. Socchiuse gli occhi e si protesse con le braccia, rimpiangendo di non essere riuscita a fare assolutamente nulla per salvare la sua amata.

«NO!»

Terra riaprì gli occhi, sorpresa da quel grido. Vi fu un’esplosione, seguita da una coltre di fumo che inondò il suo campo visivo. Non appena questa si diradò, realizzò di essere ancora tutta intera, con un po’ di fiatone e la fronte madida di sudore. Di fronte a lei, anche Corvina aveva proteso una mano in sua direzione. La maga si era voltata e la stava scrutando a sua volta, con gli occhi in questo caso bianchi e brillanti come la luce della luna. Una bolla di energia nera ancora ricopriva la geomante, che la osservò stupefatta.

Incrociò lo sguardo della maga, rimanendo senza fiato. Corvina digrignò i denti, furibonda. Per un momento Terra pensò che fosse arrabbiata con lei, ma non ci mise molto a realizzare di starsi sbagliando. La maga si voltò lentamente verso Caruso, scrutandolo con quello sguardo che la geomante conosceva bene, e che mai e poi mai avrebbe voluto fosse lei rivolto.

L’unica cosa che riuscì a pensare prima che Corvina parlasse di nuovo, era a quanto nei guai fosse finito Caruso.

«Tu… hai causato già troppo dolore!» gridò la maga, per poi congiungere nuovamente le mani. «Non farai del male anche alle persone che amo! Non finché ci sarà vita in questo corpo, non finché io avrò anche solo un grammo delle mie forze! Fino a quando questo cuore batterà nel mio petto, io combatterò per proteggere i più deboli, per difendere chi tiene a me, per salvare chi ha bisogno di noi!»

Corvina urlò a dismisura, mentre la luce che fuoriusciva dalle sue mani si faceva più intensa. Caruso grugnì, accorgendosi di essere diventato lui quello in svantaggio, mentre la luce nera cominciava a divorare quella azzurra. Unì anche lui le mani, cercando di rispondere all’attacco. Il suo raggio di energia si ingrandì a sua volta, ma tutto parve inutile.

«Io discenderò anche parzialmente da un demone mostruoso, ma fino a quando userò la forza che mi è stata donata per fare del bene, allora il nostro mondo potrà sempre considerarsi al sicuro dalla feccia come te!»

Caruso digrignò i denti, mentre la luce nera avanzava inesorabile verso di lui, centimetro dopo centimetro, metro dopo metro, spazzando via ogni cosa trovasse sul suo cammino.

«N-No…» mugugnò, scuotendo lentamente il capo. «N-NO!»

«Avanza nelle tenebre…» Corvina ritrasse le mani verso il proprio corpo per un istante, per poi spingerle con forza verso il pirata. «… e PERISCI!»

La luce nera raggiunse il pirata, che sgranò gli occhi. L’oscurità si avvolse attorno alle mani di Caruso, che gridò a perdifiato. «NOOOOOOOO!!!»

L’energia azzurra venne annientata, così come il corpo del pirata, che lasciò il loro mondo con un ultimo, disperato, grido.

Caruso svanì, insieme al raggio nero. Uno strano oggetto piramidale cadde a terra nel punto in cui fino ad un attimo prima si trovava il pirata. Nella stanza, in cui ormai erano presenti solo più Corvina e Terra, calò un silenzio surreale. La geomante osservò la maga, sbalordita. L’altra, dal canto suo, rimase immobile, con lo sguardo puntato a terra, l’unico movimento del suo corpo generato dal fiato grosso.

Terra rimase senza parole, incerta sul da farsi, anche lei ancora troppo scossa da cosa fosse appena successo, fino a quando Corvina non crollò in ginocchio con un gemito. Quello, fu ciò che permise al corpo della bionda di riscuotersi: «Corvy!»

La ragazza corse verso di lei, soccorrendola. Le si inginocchiò accanto, avvolgendole un braccio attorno alle spalle, preoccupata. Quel contatto con il suo corpo seminudo dopo così tanto tempo le provocò un brivido lungo la schiena, ma si sforzò di ignorare gli ormoni per concentrarsi sulle condizioni della compagna. «Corvy, stai bene?»

Corvina non rispose subito. Non la osservò nemmeno per quelle che parvero eternità, ancora troppo affannata, fino a quando, lentamente, non drizzò lo sguardo verso di lei. Non appena la vide in faccia, Terra rimase senza fiato.

«Mi sei mancata…» mormorò la maga, semplicemente, con un sorriso stampato sul volto. Probabilmente il più bel sorriso che le avesse mai rivolto. Diamine, probabilmente il più bello che avesse mai rivolto a qualcuno.

Una lacrima scivolò lungo la guancia di Terra, mentre anche lei sorrideva. «C-Corvy…» sussurrò, un attimo prima che le loro labbra si incontrassero, bramose.

Fu un bacio diverso dal solito. Più vorace, desideroso, affamato, ma allo stesso tempo contraddistinto da quella delicatezza e quella gentilezza che solamente due giovani fanciulle come loro avrebbero potuto inserire in un simile gesto.

A Terra era mancato quel sapore sulle sue labbra, e lo stesso si poteva sicuramente dire per Corvina. Il sapore di lei, della maga, della persona che amava con ogni fibra del suo essere. Le sarebbe piaciuto congelare il tempo in quell’istante, lasciare che quel bacio durasse per sempre, ma purtroppo esistevano limiti che non potevano essere superati. Le due ragazze si separarono, ora entrambe con il fiato grosso. Due sorrisi imbarazzati stampati sui loro volti, accompagnati dal rossore sulle loro guance ed i loro sguardi incollati.

«Ce… ce l’abbiamo fatta…» mormorò infine Terra.

Corvina annuì lentamente. «Sì… sono felice di sapere che stai bene.»

«Anch’io sono felice di stare bene.»

La maga piegò la bocca in un’espressione confusa, mentre Terra ridacchiava flebilmente. Corvina la scrutò per un momento, per poi ridacchiare debolmente a sua volta ed appoggiare la guancia sulla spalla della geomante. «Non cambi mai.»

«Vuoi davvero che lo faccia?» mormorò Terra, stringendola in un forte abbraccio.

Corvina scosse la testa, facendo strusciare la guancia sulla sua clavicola. «No. Non cambiare mai.»

Terra ridacchiò nuovamente. «Farò del mio meglio.»

Rimasero strette ancora per un po’, fino a quando Corvina non fu la prima a sciogliersi dall’abbraccio. Si voltò verso il punto in cui Caruso era scomparso, apparendo piuttosto turbata tutto ad un tratto.

«Tutto ok?» domandò Terra, accorgendosi del suo sguardo.

La maga annuì lentamente, anche se non senza un momento di esitazione. «Sì…» Si rialzò in piedi, di fronte allo sguardo confuso della bionda. Terra la imitò, seguendola fino a quando non raggiunse lo strano oggetto piramidale. Corvina lo raccolse, mentre la bionda sollevava un sopracciglio. «Cos’è quello?»

«Questa è la Reliquia» spiegò la maga, rigirandoselo tra le mani. «Il motivo per cui i fongoid ci hanno trattenuti sul loro pianeta. E il fatto che io lo abbia ritrovato… fa davvero di me la Salvatrice.»

Terra avrebbe voluto che quelle parole rendessero le cose più chiare, ma in realtà non fecero che confonderla ancora di più. Notando la sua espressione smarrita, Corvina abbozzò un altro tenue sorriso. «Lascia che ti spieghi.»

La maga parlò brevemente di cosa Canoo le avesse detto, quando l’aveva scortata all’antico templio dietro al palazzo. Le raccontò delle pitture rupestri, delle visioni degli Zoni, di quanto la Reliquia fosse importante per Quantus. Più parlava, più, finalmente, Terra comprendeva. Ecco perché quel cristallo l’aveva guidata fino a lì, aveva percepito la magia dell’artefatto da cui discendeva. Ed ecco anche perché avevano tenuto Corvina lontana da lei per tutto quel tempo. Ecco che cosa faceva tutto il giorno. Doveva scoprire che cosa fosse successo alla Reliquia. E il fatto che la stringesse tra le mani… chiudeva completamente il cerchio.

Gli Zoni avevano fatto una profezia, una profezia che si era rivelata veritiera. Avevano avuto ragione. Per tutto quel tempo. Corvina era davvero la Salvatrice. Aveva, letteralmente, salvato il pianeta Quantus. Quel pensiero non faceva altro che rendere Terra ancora più fiera di lei di quanto già non lo fosse.

«Quindi… Caruso era uno di quei razziatori già venuti qui in passato. Uno di quelli di cui Alpheus e Galvor ci hanno parlato.»

«Sì. Anche se all’epoca si faceva chiamare con un altro nome.»

«E… ha imparato a sfruttare il suo potere.»

Corvina annuì. «Sì. Ma non credo lo sapesse sfruttare tutto. Non avrei avuto nessuna possibilità, altrimenti.»

«Tu ti sottovaluti troppo, Corvina.» Terra le posò una mano sulla spalla, sorridendo. «Credimi, da sola potresti sbarazzarti di chiunque, non importa quanti, o quanto forti siano.»

«Sì, beh…» La maga abbassò lo sguardo, corrucciata. «… non volevo… cancellarlo in questo modo…»

Quelle parole fecero schiudere le labbra di Terra. Ecco cosa turbava la maga. «Ehi.» La bionda la afferrò per entrambe le spalle, costringendola a guardarla. Corvina si voltò verso di lei, anche se non sembrava molto entusiasta all’idea di farlo, visto che faceva costantemente guizzare lo sguardo dai suoi occhi al suolo.

«Non sei un’assassina, ok?» affermò la geomante, riuscendo infine a catturare le sue iridi. «Quel tizio era stato corrotto dal troppo potere. Era morto da ben prima che ti incontrasse. Chiaro? Tu non hai fatto nulla che lui non avrebbe finito col farsi da solo. E poi…» Terra sorrise, sollevando una mano. «Meglio la vita di un solo criminale e assassino, oppure…» Sollevò l’altra. «… quella di migliaia di innocenti e bisognosi del tuo aiuto?»

Un tenue sorriso illuminò il volto di Corvina, accompagnato da quello molto più ampio di Terra. La maga annuì nuovamente. «Sì, hai ragione. Grazie, Terra.»

«Figurati. È il mio lavoro.»

Corvina ridacchiò, mentre Terra si smarrì sul suo viso meraviglioso. Non aveva mentito, dicendo che quello era il suo lavoro. Far star bene Corvy era lo scopo per cui aveva deciso di continuare a vivere. Ed ogni volta che ci riusciva, con un abbraccio, un bacio, o anche solo le parole, ogni volta che la faceva ridere, o sorridere, per lei era come aver vinto alla lotteria. Lo aveva detto una volta, e lo avrebbe ripetuto: avrebbe continuato a farla ridere, a farla sorridere e a renderla felice per il resto della sua vita.

«E gli altri dove sono?» domandò Corvina, mentre le due ragazze lasciavano la stanza.

«Ci siamo separati non molto tempo fa. Non so di preciso dove siano, ma ci siamo messi d’accordo che avremmo lasciato la nave, in un modo o nell’altro. Dovremmo farlo anche noi.»

«Va bene.»

«E comunque…» proseguì Terra, mettendosi entrambe le mani dietro la testa con falsa aria innocente. «Tecnicamente, anche io ti ho aiutata a recuperare la Reliquia. Quindi in un certo senso sono anche io una specie di Salvatrice, però non ero in nessuna pittura rupestre…»

«Fallo presente agli Zoni, allora» ribatté Corvina, roteando gli occhi con aria divertita.

«Lo farò sicuramente. D’altronde cosa faresti tu, senza di me?»

«Probabilmente vivrei molto più tranquilla…» borbottò la maga, beccandosi un pugnetto sulla spalla da Terra.

«Non sei gentile» protestò la bionda.

Le due ragazze si scambiarono uno sguardo, poi risero nuovamente.

 

 

 

 

 

 

 

Cosa, un nuovo capitolo della storia che nessuno legge? Din din din, esatto! Ehi, dovrò pur finire pure questa storia dimenticata pure da Iddio, prima o poi. Dopo Hero of War e la Mantide, direi che è anche ora. Ho procrastinato abbastanza ultimamente. E dopo questa, esatto, avete intuito bene, tornerò anche sull’altra storia che nessuno legge, Infamous II!!

Devo ammetterlo, scrivere una scena smielata tra Terra e Corvina mi ha fatto uno strano effetto dopo tutto questo tempo, soprattutto perché oramai mi sono autoconvinto che il cuore della bionda appartenga solo ad Amalia (anche se quello di Amalia appartiene anche a Rosso. E a Rosso appartiene quello di Corvina, ma a Corvina appartiene quello di Robin, ma Robin sta con Stella e… accidenti, che casino). Insomma, viva le ship, sì?

E poi scrivere una scena smielata con della musica alternative rock sparata nelle orecchie a tutto volume è un po’ particolare. A tal proposito, nella compilation c’era questa canzoncina qua che, casualmente, casca a pennello con l’argomento principale del capitolo, sia con la relazione tra Amalia e Rosso che quella tra le due fanciulle. Canzone da cui, da bravo pigro quale sono, ho anche preso il titolo per il capitolo. Ve la linko perché sì.

Never Let Her Go

 

E come disse il mio grande amico Mister Torgue, RUMORE DI ESPLOSIONI!

ALLA PROSSIMA!

   
 
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