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Autore: ___MoonLight    04/07/2018    2 recensioni
«Tu sei riuscito a creare qualcosa di buono, non solo per te stesso. Qualcosa in cui credi.»
Tony gli riservò solo un ostinato silenzio, al che Bruce esitò.
«Ci credi ancora, vero?»
«Che importanza ha? Ho mandato tutto in fumo,» replicò piattamente lui.
«Sei già rinato dalle ceneri, Tony. Davvero non puoi farlo ancora?»

L'Afghanistan ha segnato Tony e gli ha donato l'opportunità di cambiare in meglio la sua vita. Ma il destino ha tutte le intenzioni di mettergli nuovamente i bastoni tra le ruote, e l'immagine corazzata che si è costruito e dietro la quale tenta di riparare i torti commessi e quelli subiti non è più abbastanza per proteggerlo. Cosa succede quando l'uomo diventa davvero di ferro, anche senza armatura?
[Storia completa e revisionata]
Genere: Commedia, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Pepper Potts, Tony Stark/Iron Man
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Smoke and mirrors




"Labyrinths are rapidly moving
With a pulse that I cannot predict
I wanna breathe, I wanna see the sun
Come out with me
I'm lost, I'm lost, I'm lost"

[In The Reign Of Flies – About Wayne]




1° Agosto, Villa Stark

Il caldo soffocante abbattutosi sulla costa californiana era mitigato solo dalla brezza marina che a volte concedeva la grazia di attraversare le stanze di Villa Stark.
Persino Pepper aveva infine ceduto all'afa. Quel giorno, non avendo riunioni alle Industries, aveva abbandonato i suoi completi formali ripiegando su un vestito estivo e leggero a fitti fiorellini su fondo scuro, senza per questo perdere un solo briciolo di professionalità mentre lavorava in salone, coi capelli ramati raccolti sulla nuca in un ordinato chignon.
Tony aveva optato per un approccio molto più disinibito, come poté constatare la donna quando lo vide sbucare dall'ascensore con addosso unicamente un paio di boxer e una canotta, a piedi nudi e con un ventilatore portatile sparato sul volto grondante. Lei non si mostrò minimamente turbata dalla sua mancanza di pudore: l'aveva visto in tenute decisamente peggiori e in atteggiamenti molto più sconvenienti, e in un certo senso la sua spigliatezza in quel senso era un fattore rassicurante. Notò comunque che aveva celato la giunzione tra protesi e gamba con una garza.
«Si risparmi i commenti, signorina Potts, è un'emergenza,» la anticipò, con un gesto spossato della mano che impugnava il bastone da passeggio.
«Si è tagliato i capelli?» osservò invece lei, notando che la sua massa di folte ciocche castane era notevolmente diminuita rispetto a qualche giorno prima, senza però alterare il solito ciuffo ribelle sulla fronte.
«Misure drastiche contro il surriscaldamento,» rispose lui un po' sconnesso, tuffando poi la testa nel minibar alla disperata ricerca di qualcosa di fresco. «E comunque era ora: ancora un paio di settimane e mi sarei potuto infiltrare a Woodstock nel '69,» aggiunse, in un blando tentativo d'ironia smorzato dall'insofferenza per quel caldo atroce che non si curava di mascherare.
Era stata una settimana torrida, con picchi di oltre quaranta gradi che avevano fiaccato Pepper e soprattutto Tony, che quell'estate stava dimostrando un'anomala avversione per il caldo, quando normalmente era ben felice di arrostirsi al sole. Probabilmente avere del metallo attaccato al corpo non aiutava la sua resistenza al calore. Aveva risolto il problema chiudendosi a tempo indeterminato nel laboratorio, godendosi l'aria condizionata che lei aborriva e finendo per dormire quasi sempre sul divanetto là sotto, sostenendo che facesse comunque più fresco che in camera sua. Pepper aveva notato che si sforzava comunque di riemergere a intervalli regolari almeno quando lei era lì, forse per non darle l'impressione di essere ricaduto nei ritmi sonno-veglia deleteri di sei mesi prima.
Lei di contro si imponeva di passare alla villa tre, al massimo quattro volte a settimana, e solo per sbrigare il lavoro d'ufficio che poteva richiedere l'attenzione diretta di Tony. L'uomo si era mostrato dispiaciuto per la sua scelta, ma dopo averle offerto un paio di volte di trasferirsi di nuovo da lui "per comodità", incontrando un suo netto rifiuto, aveva desistito senza più farne parola. Si era dimostrato insolitamente accomodante in quel mese, mantenendo le dovute distanze da lei ma cercando la sua compagnia quando ne aveva l'occasione, dando a volte spazio alla sua classica ironia impertinente. Spesso, mentre lavorava in salotto, Tony appariva dal nulla e sprofondava nella sua poltrona a pochi metri da lei con gli auricolari nelle orecchie. Poi apriva svariati ologrammi e prendeva a far ordine tra le decine di cartelle virtuali dei suoi progetti, che da qualche tempo avevano ricominciato a includere schemi e bozzetti per Iron Man. Se ne stava lì in silenzio per una decina di minuti, assorto nelle sue elucubrazioni mentre spiluccava quantità deleterie di snack ipercalorici. Poi si alzava, le rivolgeva un sorrisetto un po' esitante e se ne tornava in laboratorio con aria soddisfatta.
Pepper aveva apprezzato quella sua sorprendente discretezza, capendo che in realtà era lei quella ad aver bisogno dei "propri spazi", almeno per il momento. Tony sembrava deciso a rispettare quella sua necessità: in ogni suo gesto coglieva una sorta di premura nei suoi confronti, e spesso nel guardarla lasciava trapelare un'espressione meravigliata, come se non riuscisse ancora a capacitarsi del tutto della sua presenza lì. Lei stessa faceva fatica a realizzare di essere tornata dopo una così lunga assenza. A volte si chiedeva se non avrebbe fatto meglio ad andarsene di nuovo, poi si ricordava del momento in cui, solo pochi attimi prima di vedere il suo mondo e Tony infrangersi dinanzi ai suoi occhi, aveva deciso di restare. La sua prima scelta era sempre stata quella, doveva solo riuscire a conviverci. Così era rimasta, e Tony in un certo senso stava cercando di fare lo stesso, sforzandosi di tener fede ai suoi buoni propositi.
La situazione che si era venuta a creare non era certo ottimale, e lasciava spazio a molti momenti d'imbarazzo dettati da troppi sospesi, ma la considerava un miglioramento rispetto a quella logorante e tesa in cui si erano trovati a navigare in precedenza. Soprattutto, e quella era un vera boccata d'ossigeno, Tony non sembrava più costantemente sull'orlo di un collasso nervoso ed evitava di trascinarvi anche lei. La sua riacquistata mobilità aveva fatto miracoli sul suo umore. Saperlo così sereno era una piccola conquista anche per lei, nonostante non gli avesse ancora mai dimostrato in modo esplicito la gioia che provava ogni volta che lo vedeva camminare, con inalterata scioltezza e un cipiglio autoironico verso la sua buffa andatura col bastone. Aveva ancora le sue fasi di abbattimento in cui non spiccicava più di una decina di parole nel corso della giornata, irritato da qualche inconveniente tecnico o dalle sue stesse protesi, ma erano più rare e meno intense, forse mitigate anche dal fatto di non essere sempre solo alla villa. E forse, al contrario, anche per poter godere più spesso di un'autonoma solitudine che gli era stata impossibile in precedenza.
«Sto veramente cominciando a invidiare i settant'anni di letargo tra i ghiacci del nonnetto!» la sua voce esasperata si levò dai meandri del frigorifero, portandole un guizzo divertito sul volto.
Quando si ritrovava a vivere quei momenti di assoluta normalità, con le battutine di Tony in sottofondo, i plichi di documenti accatastati sul mobiletto accanto al divano su cui aveva lavorato per quasi dieci anni, lo sfondo perenne del Pacifico alle spalle e il senso di familiarità immutato che le trasmetteva la villa, si sentiva davvero a casa e riusciva a mettere da parte tutte le angosce e i timori che la assillavano. Osservò Tony, che le dava le spalle poggiato mollemente a uno dei sedili del piano-bar mentre sorseggiava con sollievo quella che sembrava clorofilla ghiacciata, e si trovò a sorridere appena. Il sorriso s'incrinò quando l'uomo si voltò verso di lei, rivelando la fredda luminescenza azzurrina in mezzo al suo petto. 
Poi c'erano quei singoli fotogrammi che infrangevano la sua serenità e la catapultavano di nuovo di fronte a lui esanime, riverso per terra e senza quel dannato reattore che...
Riabbassò di colpo lo sguardo, interrompendo il flusso dei suoi pensieri. Colse fuggevolmente la perplessità di Tony, che però non si arrischiò a indagare.
«Giuro che ricostruisco l'armatura solo per emigrare in Antartide,» disse invece, con una mano a stringersi i capelli per scollarli dalla fronte sudata.
«Il governo ne sarà contento,» replicò Pepper senza alcuna inflessione particolare, gli occhi fissi su un contratto che non stava realmente leggendo.
Tony emise un verso di scherno, spalmandosi infine sul bancone di marmo con un lamento sconsolato, il bicchiere gelato premuto sulla nuca e il ventilatore puntato contro in cerca di refrigerio. Nel captare il suo respiro affannato Pepper alzò lo sguardo, lievemente accigliata.
«Signor Stark, non fa così caldo,» osservò, con tutto il tatto che le riuscì.
«Parli per sé. Se non temessi di turbarla, andrei in giro nudo,» bofonchiò lui.
«Eviti, la prego,» sospirò lei. «È sicuro di sentirsi bene?» chiese poi, con un'impercettibile titubanza.
«In generale, sto a pezzi e mi si stanno squagliando le protesi. Nello specifico, ho mal di testa. Sarà l'insonnia,» replicò lui monocorde.
Pepper decise di non indagare su quell'ultima affermazione. Aveva intuito che avesse difficoltà a dormire nonostante lei stessa non avesse più pernottato alla villa: l'aveva sorpreso svariate volte ad assopirsi nei momenti e nei luoghi più impensati, per poi destarsi di scatto da sogni chiaramente inquieti.
Si trovò comunque ad apprezzare la sua insolita seppur stentata sincerità. Sembrava aver preso molto a cuore il discorso sulla fiducia. Pepper era consapevole che anche il semplice atto di non mentire a prescindere sul suo stato di salute era un enorme passo avanti, visti i suoi standard. Ciò non serviva però a dissipare tutti gli altri dubbi e interrogativi che emergevano ogni volta che lo guardava e che, immaginava, coincidevano almeno in parte con quelli che assillavano lui. Per quelli ci sarebbe voluto ancora molto del tempo che avevano entrambi tacitamente deciso di concedersi, ma voleva credere che avessero imboccato la strada giusta, dovunque li avrebbe portati.
Tony si riscosse, strappandosi con chiara riluttanza dal bancone fresco; tracannò il resto del bicchiere, rischiando probabilmente una congestione, e zoppicò poi verso l'ascensore rivolgendole un sorriso un po' fiacco:
«Tra un paio d'ore arriva K. Gli dica di scendere nella "cella frigorifera": non ho alcuna intenzione di schiodarmi da là sotto finché non cala il sole,» annunciò, con un ultimo gesto eloquente al salone arroventato dalle vetrate.


***


Non appena le porte si chiusero, Tony si accasciò contro la parete di fondo dell'ascensore con il ventilatore puntato in faccia, annaspando nell'aria claustrofobica e pesante. La situazione gli riportò alla mente ricordi poco piacevoli e si assicurò con un vuoto allo stomaco che il reattore fosse ancora ben saldo al suo posto.
«JARVIS, non hai qualche suggerimento per questo schifo?» sbottò non appena messo piede in laboratorio, liberandosi finalmente della canotta fradicia e gettandola con ribrezzo sul divano, sentendo la pelle madida di sudore.
«A parte degli impacchi freddi o un bagno in mare, no, signore. E le sconsiglio di abbassare ulteriormente l'aria condizionata, se non vuole rischiare un colpo di freddo.»
Lui sospirò, guardando con un senso di nausea la saldatrice sul banco di lavoro e inorridendo alla sola idea di avvicinarsi a qualcosa di caldo. Per fortuna la temperatura glaciale del laboratorio iniziava a mitigare l'impressione che il suo cervello stesse bollendo a fuoco lento nella scatola cranica. Recuperò la borsa del ghiaccio e se la spalmò sul volto per accelerare il processo di raffreddamento e lenire l'emicrania.
Sprofondò nella sua sedia, imprecando a mezza voce contro quell'ennesima seccatura. A quanto pareva, l'intossicazione da palladio aveva sballato il suo termostato naturale, convincendo il suo corpo di trovarsi nel Sahara col sole a picco. Almeno, questa era la spiegazione che si era dato negli ultimi giorni, quando il semplice fastidio per quell'ondata di caldo improvvisa si era tramutato in un'insofferenza quasi patologica, che gli faceva rimpiangere seriamente la sua scarpinata nel deserto afghano.
Premette alla cieca l'indice sull'ago del rilevatore di tossicità poggiato sul tavolo e scostò appena la borsa dall'occhio per sbirciare il risultato: 19%. Si cacciò il dito in bocca per fermare il rivolo di sangue e lasciò vagare svogliato lo sguardo per il laboratorio, prima di rassegnarsi a guardare la fonte dei suoi problemi: il reattore spiccava in mezzo al suo petto attraversato da vene scure, ormai impossibili da ignorare. Erano l'unico motivo per cui aveva evitato accuratamente la spiaggia e la piscina, temendo di essere sorpreso a torso nudo da Pepper. Dubitava che la scusa di un "tatuaggio all'avanguardia" avrebbe retto quanto quella già traballante delle protesi "non ancora a tenuta stagna" con cui aveva giustificato la sua riluttanza a nuotare nonostante il caldo.
Sospirò ed ebbe l'improvvisa tentazione di rimettersi la maglietta, così da celare quella ragnatela venefica, ma così avrebbe rischiato un colpo di calore.
Lanciò di malagrazia la borsa del ghiaccio sul bancone, concentrandosi sul nuovo progetto quasi ultimato e sbattendo con forza la porta in faccia a quelle preoccupazioni moleste. Scacciò ogni schermata superflua dal banco di lavoro, poi selezionò da una playlist un brano a caso che sperò fosse abbastanza chiassoso, alzando il volume al massimo quando venne piacevolmente assordato da Innuendo. Infine impostò JARVIS in modalità silenziosa per evitare commenti non richiesti: aveva bisogno di qualcosa che gli anestetizzasse la testa, e non era dell'umore giusto per sentirsi ricordare che non c'erano alternative al palladio.


***


Pepper rilesse dubbiosa l'intestazione del contratto e ricominciò a scriverla da capo per la quinta volta. L'incerto ticchettio delle sue dita sulla tastiera si arrestò nuovamente e si ritrovò a fissare le poche parole che aveva appena digitato con un piglio insoddisfatto. Chiuse con un gesto secco il portatile, lasciando infine spaziare gli occhi affaticati dallo schermo sul salone vuoto.
Si sentiva tremendamente deconcentrata, e non era per i bassi smorzati di una qualche canzone rock che provenivano dal piano di sotto. A quello era ormai abituata; anzi, era rassicurante tornare a sentire la musica molesta di Tony dopo il silenzio tombale che aveva regnato alla villa nei mesi precedenti alla sua partenza. Non era neanche colpa del caldo, che a dispetto delle sceneggiate del suo capo era abbastanza sopportabile. Fissò la risma di scartoffie accanto a lei senza realmente vederle, mordicchiandosi sovrappensiero le labbra e sapendo in cuor suo che per quel giorno non avrebbe più concluso nulla finché fosse rimasta alla villa. Avrebbe dovuto radunare le sue cose e spostarsi nel suo ufficio alle Industries: magari là avrebbe ritrovato la concentrazione, anche se a fatica. Rimase invece sul divano, in una posizione leggermente più scomposta rispetto ai suoi standard di solito impeccabili. Si sentiva intorpidita per via dell'afa e tuttavia inquieta, soprattutto quando il suo sguardo si posava sulla cascata in cima alla rampa di scale che conduceva al laboratorio.
Le sue labbra si incresparono involontariamente e si costrinse ad alzarsi per evitare di soffermarsi su ricordi ancora freschi e pronti a riemergere. Salì sulla piattaforma rialzata un tempo occupata dal pianoforte, accostandosi al bancone al quale poco prima si era seduto Tony, con l'intenzione di bere a sua volta qualcosa di fresco – doveva ammettere che anche lei iniziava ad accusare il caldo, e forse avrebbe dovuto smorzare il suo astio per l'aria condizionata. L'enorme bicchiere di aranciata aspra e gelida l'aiutò a scacciare la calura, ma non le sue riflessioni invadenti.
Come le era successo regolarmente nel corso di quelle ultime settimane, nella sua testa continuava a ripetersi in modo quasi ossessivo la discussione avuta con Tony sull'Helicarrier. Lasciò che quel film si dipanasse per la centesima volta davanti ai suoi occhi e nelle sue orecchie, sapendo ormai che era inutile tentare di ignorarlo o spegnerlo: sarebbe solo tornato più tardi, più vivido e invadente, come a ricordarle che ignorare i problemi era sbagliato. Le sue mani si contrassero appena attorno al bicchiere freddo e appannato dalla condensa.
Era sempre stata convinta di conoscere Tony meglio di chiunque altro, inclusi i numerosi atteggiamenti indecifrabili a un occhio meno allenato del suo, ma si era necessariamente dovuta ricredere. Quel suo lato che aveva avuto modo di scoprire nei mesi precedenti la destabilizzava più di quanto volesse e potesse ammettere. Era come se fosse infine riuscita a scorgere la ragnatela di crepe che solcava la sua facciata apparentemente impenetrabile, rafforzata in passato anche dalla corazza artificiale che si era costruito. Quando poi in un sol colpo gli erano venute a mancare tutte le difese che aveva eretto nel corso degli anni, era stato chiaro come lui non fosse stato pronto ad abbandonarle, così come lei a vederle crollare. Era cosciente del fatto che Tony si fosse sempre fidato a tal punto di lei da abbassare di tanto in tanto quelle protezioni, forse persino in modo inconsapevole; ma era anche certa che non avrebbe mai voluto che lei vedesse così apertamente quella fragilità. Era altrettanto sicura che quel senso di profonda umiliazione che si trascinava dietro dal giorno dell'incidente fosse solo una delle tante cause che gli avevano avvelenato la mente inducendolo a compiere un gesto così sconsiderato come il suicidio.
Avvertì un fremito d'inquietudine al solo ricordo e strinse con più forza il bicchiere ora vuoto.
Eppure era comunque riuscito a rialzarsi, e stavolta non aveva avuto bisogno di lei. L'aveva cercata di sua spontanea iniziativa in modo quasi improvvisato, non perché non avesse altra scelta. Tutto ciò che le aveva detto non sembrava far parte di un discorso preparato, anzi: forse per una volta era stato davvero Tony a parlare, non la sua maschera. Ciò la confortava, soprattutto nel sapere che non la riteneva responsabile per l'incidente, anche se lo spettro del senso di colpa continuava a pungolarla con disturbante insistenza e a farle notare che, nonostante Tony fosse profondamente convinto di ciò che diceva, non poteva esserne del tutto certo finché non avesse ricordato i fatti di quel giorno ormai lontano.
La sua sincerità era l'unico motivo che l'aveva spinta a non rifiutare la sua richiesta di chiarimenti e a non chiudere definitivamente una porta che forse non avrebbe mai neanche dovuto aprire; era anche l'unica certezza a cui continuava ad aggrapparsi ogni volta che veniva assalita da dubbi e immagini che minacciavano di farla desistere dalle sue decisioni.
Ripensare a ciò che le aveva detto nel corso della loro surreale chiacchierata e a come si erano rapportati era un altro modo per vincere quei dubbi. O per dare il via libera ad altri, meno tetri ma altrettanto confusi, che la riportavano inevitabilmente a quella notte di molti mesi prima, a quel suo sguardo sofferente, a quel "sei bellissima" inaspettato, del tutto fuori luogo, ma indubbiamente sentito che le aveva rivolto. Soffermandosi sul modo in cui Tony l'aveva guardata mentre parlavano sull'Helicarrier, quelle poche volte in cui era riuscito a farlo senza vacillare, le era parso di percepire l'eco di quelle parole, assieme a quella di molte altre che erano rimaste inespresse, ma che erano trapelate inevitabilmente dal suo sguardo. Non sembrava più alla disperata ricerca di un appiglio a cui ancorarsi mentre annaspava per non andare alla deriva; non era neanche quello sguardo cupo che sembrava inghiottire ogni colore dai suoi occhi. In quel momento aveva visto in lui solo una nuova determinazione, come se adesso sapesse perfettamente cosa stesse cercando e dove trovarlo, anche se si avvertiva quanto fosse dispiaciuto per tutto ciò che aveva fatto a lei e a se stesso.
Ma Tony era di nuovo , in quell'iride vivace di un caldo color nocciola che, pur priva della sua gemella, era tornata ad ammorbidire le ombre aguzze che solcavano il suo volto provato. Solo nel ritrovare quella tonalità così familiare Pepper si era resa conto di quanto le fosse mancata e di quanto avesse bisogno di continuare a vederla e di vederlo stare bene. E anche se lui continuava a sfuggire il suo sguardo, era finalmente riuscita a scorgere una discreta ma sincera richiesta da parte sua, invece del deciso rifiuto che le aveva riservato nei mesi precedenti. Era riuscito ad aprirsi un poco, nel suo modo indiretto e in un certo senso impacciato, pieno di occhiate significative e sottile ironia che lasciava intendere tutto ciò che non riusciva o non voleva dire esplicitamente.
I suoi occhi si posarono sulle scale che conducevano al laboratorio.
A volte avrebbe solo voluto scenderle, abbracciarlo e fargli capire che non era l'unico a voler riallacciare quei legami spezzati, costruendone forse di nuovi, ma si trovava puntualmente paralizzata in cima alla rampa, col cuore che prendeva a batterle più profondamente e con sforzo, quasi volesse implodere non appena avesse osato scendere il primo gradino. Lì sotto si annidava ancora una buona parte di tutte le sue paure, e Tony ne incarnava suo malgrado il resto. Lui aveva captato quel suo blocco, che forse aveva dovuto superare prima di lei: quando voleva dirle qualcosa era lui a salire, e le aveva detto con la sua solita nonchalance di chiamarlo quando aveva bisogno delle sue firme, spacciandolo per un gesto da gentiluomo per risparmiarle le scale. Non aveva aggiunto altro, ma Pepper aveva notato come avesse puntato lo sguardo appena sotto i suoi occhi mentre parlava e di come si fosse trattenuto a più riprese dal posare una mano sul reattore. Quel suo tic nervoso era sicuramente disturbante, ma era anche una chiara esternazione di quanto lui stesso fosse tormentato dal pensiero di essersi quasi ucciso, anche se per fortuna non aveva avuto altri attacchi d'ansia. Non avevano più parlato esplicitamente di quell'argomento, ma sembrava che quel silenzio assenso fosse la cosa migliore per entrambi, per ora.
Lei dubitava che sarebbe mai riuscita a perdonargli del tutto quel gesto egoista e insensato, né a comprenderlo appieno, ma sapeva che il suo rancore per lui derivava soprattutto dall'immensa paura che aveva provato al pensiero di perderlo. Si rendeva conto degli sforzi che Tony stava facendo per rimettere in sesto la propria vita e per renderla di nuovo stabile. Il fatto che avesse esternato di volerla di nuovo accanto a sé a costo di ammettere i propri errori e mostrarsi vulnerabile le aveva dato un'idea di quanto lui ritenesse fondamentale includerla in quella stabilità. E di quanto lei avesse ancora paura di farne parte. Ma, si rammentò ancora, era tornata per restare.
«Signorina Potts, il signor Andrews è arrivato,» annunciò JARVIS, facendola trasalire appena.
Abbandonò subito lo sgabello sentendosi più leggera, sia per quella interruzione più che gradita, sia per non essersi sottratta ai suoi pensieri ed averli fronteggiati senza cedere di un passo nelle sue convinzioni. S'inoltrò nell'atrio per accogliere Kyle con passo deciso e la sua solita, elegante compostezza, stemperata da un lieve sorriso nel momento in cui vide l'avvocato fare il suo ingresso alla villa. Il volto del ragazzo si aprì in un'espressione di pura sorpresa nel riconoscerla.
«Virginia!» esclamò, sospingendosi con brio verso di lei.
Pepper si chinò per stringerlo in un breve abbraccio, che fu energicamente ricambiato. Kyle era rimasto gioviale come lo ricordava, col volto costantemente rallegrato da un accenno di sorriso un po' furbetto e gli occhi verdi e vivaci incorniciati dalla montatura scura degli occhiali.
«Non pensavo di trovarti qui,» osservò lui, con la consueta schiettezza.
Pepper si accigliò appena, ma non si lasciò turbare più di tanto:
«To–...» esitò per poi correggersi, «Il signor Stark non ti ha detto nulla?» chiese candidamente, pensando poi tra sé che la cosa non era poi così strana.
«Non una parola.» Kyle alzò appena le spalle, ignorando con tatto il suo tentennamento. «Insolito, da parte sua. È così riservato...» commentò, alleggerendo il discorso.
«Il signor Stark sa essere molto riservato... a modo suo e per le questioni sbagliate,» ribatté Pepper con un lieve sospiro, facendogli nel frattempo strada in salone. «Ti offro qualcosa?» aggiunse, prima di scivolare in argomenti spiacevoli.
«No, grazie Virginia. Vado direttamente dal disastro ambulante per capire cosa vuole.»
«Ti ha convocato lui?»
Pepper rimase di sasso, allarmata da quell'insolita volontà da parte di Tony di tuffarsi in discussioni legali.
«Mi sto preparando mentalmente da stamattina,» si limitò a rispondere lui, condividendo il suo fatalismo e scuotendo appena la testa. «Ti avverto in caso di un codice rosso, ma non credo sia il caso di preoccuparsi,» aggiunse, rivolgendole un sorriso incoraggiante.
«Lo spero,» quella considerazione le sfuggì.
Incrociò poi le braccia con fare nervoso, contraendo involontariamente le dita in una stretta più rigida del normale. Sapeva che la sua improvvisa tensione non era sfuggita allo sguardo acuto di Kyle, che infatti ruppe di nuovo il silenzio:
«Tu come stai?» chiese, in tono cordiale ma sinceramente interessato, oltre che colmo di molti sottintesi e domande secondarie che non erano difficili da intuire.
Lei esitò, prendendo in considerazione l'idea di mentire, ma si rimproverò subito per quel pensiero, e si chiese perché ultimamente il suo primo istinto fosse sempre quello. Il fatto di non riuscire a darsi una chiara risposta la rese solo più inquieta. Si affrettò a chiamare l'ascensore per mascherare la propria confusione.
«È piacevole essere di nuovo qui,» cedette infine senza incrociare il suo sguardo, quasi precipitosamente.
Captò di sottecchi il sorriso che si aprì sul volto del ragazzo, come se quell'affermazione gli avesse appena rallegrato in modo definitivo la giornata.
«Ma è... difficile. Più di quanto lo fosse prima, in realtà,» confessò poi a mezza voce, e si sentì un po' in colpa nel pronunciare quelle parole, sapendo che avrebbero demolito il suo entusiasmo.
L'ascensore arrivò con un trillo, segnando la fine della discussione. Prima di salire, Kyle le rivolse ancora un'occhiata, senza aver perso un briciolo del suo buonumore:
«Te lo dico da esperto del settore: le cose difficili alla fine ripagano sempre più di quelle facili,» asserì convinto, per poi alzare le spalle con ovvietà ed entrare nell'ascensore. «Ma questo lo sai già, altrimenti non saresti qui. No?» aggiunse, facendole l'occhiolino e lasciandola di stucco.
Lei non poté arginare il rossore che le imporporò le guance, e portò una mano alle labbra per celare il sorriso imbarazzato che avrebbe confermato quelle parole.


***


Tony stava studiando con aria decisamente insoddisfatta il progetto per nuovi propulsori della Mark IV che fluttuava davanti a lui, battendo la punta del piede a ritmo con Born To Be Wild, quando la spia dell'ascensore in arrivo si accese su un monitor, distogliendolo dai suoi calcoli. Si gettò uno sguardo alle spalle e adocchiò Kyle che faceva il suo ingresso nel laboratorio, quindi afferrò la schermata olografica e la cestinò in toto senza troppi rimpianti, abbassando poi la musica a un tenue sottofondo.
«Ehi, K!» lo salutò, alzandosi con pesantezza dalla sedia e sventolando l'orlo della canotta viola dei Lakers per farsi aria.
Si era rivestito quel tanto che bastava per celare il reticolo bluastro sul suo petto e i punti di giunzione delle protesi, ma anche la leggera e atipica tenuta da basket metteva a dura prova la sua resistenza al calore. Kyle ricambiò con un rigido cenno della mano e un sorrisetto stentato, evidentemente sotto shock per la temperatura glaciale della stanza. Tony decise di poter alzare il termostato di un paio di gradi per evitargli l'ipotermia, e si accostò nel frattempo al banco di lavoro iniziando a liberarlo dalla miriade di attrezzi, prototipi e appunti che lo occupavano.
«Forse devo installare un turbo a quel tuo trabiccolo. Non è da te farsi aspettare,» lo prese in giro, prima che potesse porre domande scomode sul microclima artico che regnava nel laboratorio.
«Mi stavo improvvisando consulente di coppia,» ribatté con prontezza lui.
Tony lo fissò perplesso per un istante, poi capì l'allusione e sbuffò seccamente. Scansò da parte un cumulo di scarti metallici con il bastone in un gesto irritato, facendone cadere alcuni per terra.
«Tu e il Doc dovete piantarla di complottare alle nostre... alle mie spalle,» si corresse in fretta.
«Poi ci ringrazierai,» cinguettò Kyle.
«K, oggi ero partito con le migliori intenzioni, ma ti giuro...» sollevò eloquentemente un paio di pinze dall'aria letale, facendo il gesto di lanciargliele contro.
«Dài, non agitarti: ti fa male al cuore,» lo interruppe lui con vivacità, avvicinandosi a lui del tutto incurante della sua minaccia.
Tony abbassò l'arma improvvisata, preso in contropiede da quell'estrema leggerezza. Scosse appena la testa, cedendo a un sorrisetto; si convinse infine ad accettare l'ironia dell'amico invece di prenderla dal verso sbagliato.
«Non rubare il lavoro al Doc, lo sai che è permaloso,» commentò a mezza voce, dandosi una leggera pacca sul reattore a rimarcare il fatto che il suo cuore stava benissimo.
Si appoggiò mollemente al tavolo e incrociò le braccia, facendo per cambiare discorso, ma Kyle lo anticipò:
«Non credo che Ian abbia molto da fare, ultimamente. Ti trovo in forma.»
Stavolta Tony sfoggiò un sogghigno appagato. Ora che ci pensava, quando si erano incontrati per il processo era ancora debilitato dalla sua gita in spiaggia e impossibilitato a camminare. Per lui doveva essere una sorpresa vederlo muoversi così facilmente, anche se in realtà si sentiva ancora molto impacciato. Era memore delle parole che Kyle gli aveva rivolto durante la riabilitazione, e sapeva che anche ora era sicuramente felice per lui. Sentì una bolla d'orgoglio gonfiarsi nel proprio petto: era passato molto tempo dall'ultima volta in cui aveva suscitato l'ammirazione di qualcuno. Voleva solo bearsi di quel senso di pienezza che lo pervadeva nel realizzare di essere di nuovo in grado di riuscirci.
«Diciamo che sono in una fase per lo più positiva,» disse, roteando il bastone da passeggio con una mossa teatrale. «C'è qualche problemuccio qua e là, ma nulla di irrisolvibile,» aggiunse, con una noncuranza un po' forzata.
«Che intendi?»
«Beh, le protesi sono in stallo: al momento non posso migliorarle più di così.» Alzò le spalle, a significare che non se ne faceva un cruccio, per poi aprirsi in un sorrisetto enigmatico. «Per questo mi sono dedicato a te.» 
Lo indicò a sorpresa con il bastone e vide i suoi occhi sgranarsi appena, meravigliati. Ridacchiò nel vedere la sua reazione e si staccò dal banco per sedersi sulla sua sedia e scivolare accanto a lui, aprendo a colpo sicuro un paio di schermate a mezz'aria.
«Che c'è? Pensavi che ti avessi chiamato per discutere di noiosi tafferugli legali?» lo prese in giro, vedendolo ancora senza parole mentre seguiva rapito ogni suo gesto.
«Mi aspettavo che non fosse per quello,» rispose dopo un po', mascherando la sua palese euforia e riuscendo a malapena a non agitarsi sulla sua sedia.
«Ma non ti aspettavi che fosse per questo,» lo rimbeccò lui, gongolando compiaciuto; Kyle non trovò di che ribattere e abbassò lo sguardo, puntandolo sulle proprie mani.
Tony allargò una schermata cripticamente denominata "Progetto Ph.01 X-K", su cui campeggiavano tre cartelle del tutto anonime e oscurate; giunse le dita davanti a sé, prendendosi un momento per costruire un po' di sana suspense.
«Dunque, ti ricordi il nostro "piano A", giusto?» esordì Tony, aprendo con un tocco la prima cartella e ingrandendo un'immagine.
«Il reattore spinale,» annuì Kyle, con prontezza, sfregandosi il naso.
«Allora c'è qualcuno che mi ascolta!» Tony alzò con finto stupore le sopracciglia, per poi tornare a concentrarsi sul progetto sospeso davanti a loro. «Comunque, sarei un grande fan del piano A...» incrociò le braccia, assumendo un'espressione critica.
«Ma...?» lo spronò Kyle.
Tony scrollò le spalle, indeciso su come formulare la sua spiegazione senza scoprirsi troppo. Il suo sorriso si affievolì appena.
«Ma comporta dei rischi non indifferenti.» 
Tamburellò sul reattore con fare assorto, senza neanche cercare di impedirsi quel gesto rassicurante.
«Pensavo che il rischio più grosso fosse un flop
«Il palladio è tossico,» disse d'un fiato Tony, impegnandosi al massimo per mantenere lo sguardo puntato sull'ologramma. «Il reattore verrà impiantato nel tuo midollo spinale e non so che conseguenze potrebbe avere a lungo termine,» spiegò il più concisamente possibile e cercando di non fornire alcun appiglio per eventuali sospetti.
Kyle rimase in silenzio per qualche secondo, assorbendo l'informazione.
«Hai riscontrato effetti collaterali?» chiese poi, circospetto.
«No,» ribatté seccamente lui, messo in allarme dalla sua perspicacia.
Diede una schicchera distratta al modellino virtuale, quasi a scacciare anche quei pensieri molesti.
«Se bevo la mia clorofilla ogni giorno da bravo bambino, camperò cent'anni. Ma io non ho micro-reattori arc nella mia spina dorsale.» 
Si girò verso di lui sfoggiando sicurezza, senza sapere se la sua espressione fosse davvero impenetrabile.
«Hai un reattore nel petto,» osservò l'altro con ovvietà.
«È diverso,» tagliò corto lui schioccando la lingua con improvvisa irritazione. «K, sto cercando di dirti che il piano A non è un'opzione sicura a meno che non riesca a trovare un'alternativa al palladio. E voglio che tu ne sia cosciente,» rimarcò, continuando a fissarlo con insolita serietà e notevole impazienza di chiudere la questione.
Kyle si limitò a un piccolo cenno d'assenso, chiaramente perplesso dal suo scatto inatteso, ma evitò con sensibilità di insistere ancora su quel punto.
«So che ci sono dei rischi. Sono diposto a correrne qualcuno,» disse soltanto, in tono definitivo.
Tony fu tentato dal fargli notare che non aveva la più pallida idea di che razza di rischio fosse un'intossicazione da metallo pesante, ma serrò le labbra per imporsi il silenzio e tornò a maneggiare l'ologramma.
«Il piano B non è auspicabile, anche se ha più possibilità di successo,» riprese aprendo la seconda cartella, deciso a non soffermarsi ulteriormente su quell'argomento spinoso.
Trascinò il modello delle due protesi inferiori tra loro, sostituendolo a quello del reattore spinale.
«Con queste non avrei problemi,» commentò Kyle, anche se sembrava comprensibilmente poco entusiasta dall'idea di doversi amputare le gambe per impiantare delle protesi.
Tony tossicchiò, improvvisamente a disagio:
«Ti ho mai parlato delle interferenze che vengono a crearsi tra più reattori arc?»
L'altro sospirò, scoccandogli un'occhiata abbattuta.
«Illuminami,» lo incitò con un'alzata di spalle.
«Oh, non c'è molto da dire, in realtà. I flussi elettromagnetici entrano in conflitto, gli impulsi nervosi vanno in tilt e muoversi diventa... complicato, senza qualche aiutino,» sollevò il bastone da passeggio a riprova di ciò che diceva, «Magari hai fortuna e le interferenze saranno minime, come nel mio caso. In caso contrario, avresti buttato via due gambe ipoteticamente funzionanti per un nulla di fatto.»
«In realtà le mie gambe non sono...» iniziò a correggerlo Kyle, confuso.
«E qui arriva il bello,» annunciò Tony, di nuovo sorridente e aprendo l'ultima cartella con una mossa teatrale.
Kyle assottigliò gli occhi, scrutando con evidente perplessità il nuovo ologramma che roteava davanti a lui, probabilmente senza riuscire a identificare di cosa si trattasse.
«È un work-in-progress,» puntualizzò subito Tony, ingrandendo il modello di quello che sembrava una sorta di telaio di stecche metalliche.
«Sono... sostegni?» tentò Kyle, inclinando qua e là la testa per osservare il congegno da diverse angolazioni.
«Tutori,» lo corresse lui, accigliandosi nel vedere l'espressione poco convinta del ragazzo. «Risponderebbero direttamente ai tuoi impulsi cerebrali, quindi non ci sarebbe neanche bisogno di impiantarti qualcosa che riattivi i nervi delle tue gambe; tanto per cambiare sono alimentati da energia arc e...»
«Ho già provato a usare apparecchi simili,» lo fermò Kyle, corrucciato «ma...»
«... ma erano solo squallidi prototipi o ferrivecchi obsoleti e decisamente ingombranti, non certo delle meraviglie all'avanguardia firmate Stark,» lo interruppe a sua volta lui, con un sorrisetto immodesto.
Kyle tacque, ma la sua dubbiosità era palpabile. Tony sospirò seccato, perdendo a sua volta il suo entusiasmo.
«Ehi, non sarò stato un modello di comportamento corretto negli ultimi mesi, ma non sono ancora diventato un incompetente nel mio campo.»
L'avvocato scrollò le spalle e fece per ribattere, ancora accigliato, ma Tony lo zittì con un gesto perentorio della mano meccanica, aprendo poi un'altra schermata e trascinando una proiezione della nuova Mark accanto ai tutori. Lo scetticismo del mondo intero verso le sue invenzioni iniziava a snervarlo. A quel punto avrebbe anche potuto fare un falò delle sue lauree al MIT e di tutte le onorificenze, premi e attestati ad honorem che aveva collezionato in ogni ambito scientifico da quando suo padre gli aveva messo un cacciavite e un saldatore in mano. Prese un grosso respiro per riprendere la calma, poi additò l'armatura:
«Visto che hai bisogno di garanzie: la tecnologia di questo gioiellino è la stessa che intendo usare per quelli,» indicò i tutori, non riuscendo a evitare di suonare indispettito. «La Mark III era ad oggi il più avanzato esempio di robotica mai realizzato, e stiamo parlando di un modello ormai obsoleto. Questa è la Mark IV, e continuerà ad essere la più sofisticata meraviglia tecnologica esistente,» sottolineò con fierezza.
«Stark, non stavo mettendo in dubbio...» cominciò Kyle, parando le mani avanti nel rendersi conto di essersi posto in modo un po' troppo prevenuto.
«Farò finta che non lo stessi facendo,» ribatté Tony, scoccandogli un'occhiata eloquente. «Ora, se prima di bocciare a priori la proposta vuoi dare ascolto all'esperto...» rivolse un gesto verso se stesso calcando quelle parole con ironia, ma con un chiaro sottotono irritato.
Kyle gli fece infine un cenno con la testa e lo invitò a continuare, abbozzando un mezzo sorriso di scuse, e Tony si assicurò che non volesse interromperlo ancora.
«Per te i tutori sarebbero la scelta più ovvia. Tu al contrario di me hai tutti gli arti che ti servono; avrei dovuto pensarci prima, ma ero un po' impegnato a... a fare stronzate,» si portò una mano alla nuca con fare impacciato, «e il mio giudizio era troppo offuscato dai miei problemi per pensare fuori dal mio schema.» Scrollò le spalle. «Il tuo è semplicemente uno schema diverso; è bastato inquadrarlo per arrivare a un paio di idee brillanti. Questo progetto è fatto su misura per te,» concluse incrociando le braccia.
«Per fortuna sei rinsavito,» commentò Kyle, adesso fissando con più interesse e meno pregiudizi il progetto proiettato dinanzi a loro.
Tony rispose con un vago mugugnio d'assenso, per poi riportare il discorso su un terreno più solido:
«Insomma, con un po' di tempo e impegno potremmo riuscire a rimetterti in piedi senza alcuna spiacevole operazione. E con stile! Pensavo a un'estetica in stile Tron, magari non rosa fluo, se non ti dispiace, e... »
«Sembra troppo bello per essere vero,» ridacchiò Kyle, interrompendo le sue digressioni su design futuristici e stringendo incosciamente la stoffa dei pantaloni sulle sue gambe esili. «Ma tutto questo costerebbe milioni di dollari ed è un progetto a parte che ti prenderebbe molto tempo, non posso chiederti di...» cominciò Kyle, aggrottando le sopracciglia con fare preoccupato.
«Avvocato Andrews, deve migliorare le sue arringhe; così mi mette in pensiero per la prossima udienza,» declamò pomposamente Tony, mettendolo a tacere.
L'avvocato era diventato paonazzo, come sempre quando si agitava.
«K, eravamo d'accordo dall'inizio e non sono tipo da rimangiarmi le promesse... di solito,» aggiunse, spostando lo sguardo di lato con fare giocoso.
«Vedrò di impegnarmi al massimo per tirarti fuori dai guai, allora,» assicurò l'altro, stavolta sorridendo raggiante.
«C'è un solo problema.»
Tony si schiarì appena la gola e alzò l'indice meccanico, prendendo a guardare ostentatamente l'altro capo della stanza.
«Appunto.» 
Kyle alzò gli occhi al cielo, col sorriso che già sfumava.
«La tecnologia di cui ti parlo non esiste... per ora
Kyle lo fissò basito e Tony parò le mani avanti a mo' di scudo.
«Te l'ho detto che è un work-in-progress,» si giustificò. «Ci sto lavorando per la nuova armatura. Finora rispondeva ai miei movimenti quando la indossavo, ora voglio che reagisca anche ai miei impulsi nervosi a distanza e sto lavorando su un dispositivo prensile che...» iniziò a spiegare, entusiasmandosi involontariamente nel parlare, ma notando l'espressione implorante di Kyle si obbligò a risparmiargli ulteriori digressioni tecniche. «Insomma, per ora il tuo è un progetto collaterale a Iron Man e ho una tabella di marcia piuttosto serrata da rispettare... ma non appena ci sarà qualche progresso tangibile te lo dirò.»
Kyle si fece meditabondo e chinò il mento sul petto, scrutando di sottecchi il modello dei tutori, quasi fosse timoroso di riporvi troppe speranze.
«E pensi davvero che sia possibile?» chiese esitante.
«Per me tutto è possibile,» si vantò Tony con un sogghigno tronfio. «Aspetta e vedrai.»


***


23 Agosto, 11:30, Villa Stark

Il modellino 3D della Mark IV ruotava lentamente su se stesso sotto lo sguardo attento di Tony, impegnato a capire cosa non lo convincesse di quell'ennesimo prototipo.
"La placca frontale è orribile," concluse infine, zoomando sul componente in questione per poi rimuoverlo dall'armatura.
Tornò al computer, riprendendo a lavorare sulla progettazione della corazza; tra un collaudo fallito e l'altro si era concesso qualche breve pausa per rinnovare il design di Iron Man, un ottimo modo per svagare il suo cervello sovraccarico. Lo sviluppo della nuova Mark lo stava facendo impazzire. Principalmente perché non riusciva ad accettare l'idea di cedere l'armatura a terzi e stava rimandando costantemente la progettazione del sistema per comandarla a distanza; secondariamente perché smaniava dalla voglia di indossarla di nuovo e si era trovato più volte a un passo dal riassemblare la Mark II per farsi un voletto; infine perché l'essere legato a doppio filo alla tecnologia arc iniziava a diventare un problema insormontabile, snervante e sempre più preoccupante. Non importava quale approccio tentasse di intraprendere: si ritrovava puntualmente a sbattere la testa contro i reattori, i loro limiti e i loro difetti. Si era reso conto già da tempo di essere incappato in un vicolo cieco: non poteva usare l'armatura sfruttando il reattore cardiaco per via del consumo di palladio, ma non poteva neanche dotarla di un reattore indipendente a causa delle interferenze elettromagnetiche. La sua scelta era ancora quella tra una rapida intossicazione e un infarto fulminante, se voleva tornare ad essere Iron Man. Non era molto dissimile da un altro suicidio.
Si staccò con stizza dallo schermo, turbato da quel pensiero e incapace di lasciarsi distrarre ulteriormente da dettagli futili come la cromatura della corazza. Sorseggiò un po' di clorofilla e si forzò a svuotare l'ennesima borraccia con una smorfia schifata, per poi scoccare uno sguardo poco convinto al banco di lavoro, dove stava armeggiando con un dispositivo di ricezione per la nuova armatura teleguidata. Il suo sguardo divenne astioso e non si avvicinò. Sapeva di poter completare il lavoro con una giornata di impegno costante, ma non riusciva ad obbligarsi a iniziare e continuava ad accampare scuse con Fury riguardo a problemi e difficoltà tecniche inesistenti. Non voleva consegnargli un giocattolino che chiunque sarebbe stato in grado di guidare: voleva farlo lui col suo stesso corpo, anche se a distanza.
Ma non sapeva come. Finora i suoi tentativi di controllo remoto erano caduti nel vuoto come i pezzi della sua armatura durante i test. Si era anche arrischiato a coinvolgere il reattore cardiaco in un paio di collaudi, ma il livello di palladio era aumentato così vertiginosamente da spaventarlo, prima di stabilizzarsi a un meno preoccupante 21% dopo una settimana di clorofilla triplicata ed estenuante esercizio fisico. Forse era semplicemente troppo presto per quel tipo di tecnologia. Magari avrebbe dovuto rendersene conto prima di fare promesse a K...
Si abbandonò contro lo schienale, facendo ruotare lentamente la sedia su se stessa mentre fissava il soffitto del laboratorio in cerca di calma, concentrazione, pazienza, lampi di genio e qualunque altra cosa potesse farlo uscire da quello stato di impasse soffocante. Si posò una mano sulla fronte, cercando di alleviare il cerchio alla testa e allo stesso tempo verificare di non avere di nuovo la febbre per l'idea che continuava a rimbalzargli in testa da giorni come una pallina da ping pong fuori controllo. Chiuse l'occhio, concedendo un minuto a quel pensiero assurdo per sloggiare dalla sua mente, ma quello rimase piantato dov'era, continuando a rimbalzare sul posto in un ritmo martellante. Scostò la mano dalla fronte, dandosi infine per vinto.
"Ma certo, aggiungiamo anche il mio cervello alla lista di cose che non funzionano," sbuffò tra sé, al limite dell'esasperazione.
Si alzò di malavoglia, zoppicò fino all'ascensore e salì al pianterreno, guardandosi quindi attorno con fare circospetto: per una volta fu contento che Pepper non fosse nei paraggi e sperò che per quel giorno rimanesse alle Industries. Attraversò l'atrio, accostandosi poi al piccolo pensile in cui erano appese le chiavi delle sue auto. Nell'aprirlo notò con disappunto il velo di polvere che vi si era depositato nel corso di quei mesi. Si riscosse e prese a colpo sicuro la chiave della Ford Flathead rivelandone dietro un'altra, che afferrò impedendosi di esitare ancora. Ripose la chiave dell'auto e si rigirò l'altra nella mano sana, osservandone la fattura spartana e un po' antiquata, in netto contrasto con quella villa sontuosa e all'avanguardia.
Richiuse il mobiletto e si diresse con passo claudicante ma deciso verso il piccolo disimpegno seminascosto che occupava il fondo del salone, su cui si apriva un'unica porta. A differenza delle altre non era mai stata intaccata dalle numerose ristrutturazioni della villa: era in legno bianco un po' tarlato, con una maniglia d'ottone ormai scurita dal tempo e screziata di verderame. Infilò con qualche difficoltà la chiave nella toppa, incontrando resistenza da parte della serratura indurita dagli anni. Riuscì infine a far scattare le mandate con due schiocchi rugginosi; la porta si schiuse appena da sola, ruotando sui cardini allentati.
La spinse con cautela e mise infine piede nell'ex-studio di suo padre, inspirando l'odore di chiuso, carta e mobili vecchi che permeava l'aria ferma. Cercò a tentoni l'interruttore, e una tremolante lampadina proiettò una luce giallognola nello stanzino, talmente pieno da disorientarlo per qualche istante. Il piccolo spazio era riempito da una mezza dozzina di portadocumenti ricolmi di cartelle e raccoglitori straripanti di progetti; una libreria occupava la parete di fondo, stipata di libri su ogni argomento scientifico immaginabile; davanti ad essa, tra un baule e un plastico per la Expo del '74 poggiato al muro, era incastrata la massiccia scrivania di rovere ingombra di schizzi e bloc-notes ammassati alla rinfusa, assieme a qualche cianfrusaglia elettronica ormai obsoleta.
Tony sospirò nell'aria stantia e accostò la porta alle sue spalle: se davvero c'erano altre informazioni sulla tecnologia arc, le avrebbe trovate lì.


***


23 Agosto, 16:00, Villa Stark

L'ennesimo fascicolo in triplice copia riguardante il Progetto Rebirth volò attraverso la stanza, atterrando a faccia in giù sulla pila già accumulata in un angolo; accanto si ergeva una piramide di fogli appallottolati prossima al collasso.
In sottofondo gracchiava il vecchio giradischi che aveva ripescato tra quelle anticaglie, e nello stanzino si diffondevano le note morbide e un po' smielate di una raccolta di Ben E. King trovata tra i vinili di sua madre, un vano tentativo di placare i suoi nervi logorati da quelle impreviste pulizie di primavera. Neanche Stand By Me stava riuscendo nell'intento.
Tony, a gambe incrociate per terra, accartocciò l'ennesimo progetto incompleto e lo lanciò con precisione sugli altri. Si concesse un sospiro stremato che terminò in un forte starnuto, probabilmente il trentesimo da quando si era immerso in quelle scartoffie impolverate. Tirò su col naso, con l'occhio che lacrimava. Fissò con fare sconsolato la montagna di carta straccia davanti a lui e i pochi, miseri fogli che aveva recuperato e che parevano avere qualcosa a che fare con i reattori arc. Iniziava seriamente a pentirsi di non aver dato una parvenza d'ordine alla mole di scartoffie accumulate da suo padre nel corso degli anni. Del resto, nel '91 era stato un po' troppo impegnato a far finta che tutto ciò non esistesse per pensarci. 
Afferrò l'ultimo dossier un po' ammuffito, sfogliandolo con occhio ormai allenato a cogliere qualsiasi formula o schema riguardanti fusione a freddo, palladio o campi elettromagnetici; pochi secondi dopo il dossier in questione decollò dalle sue mani andando a far compagnia al resto della carta destinata al macero. O più probabilmente allo SHIELD: era certo che avrebbero fatto i salti di gioia alla scoperta di avere altri documenti da digitalizzare.
Lanciò un verso d'esasperazione e si sollevò a fatica da terra, facendo leva su uno scaffale e scrollandosi il fondo dei pantaloni impolverato. Aprì l'ultimo cassetto dell'ultimo schedario, in cui si annidava il successivo e ultimo carico di documentazione da esaminare. Se da una parte era lieto di aver concluso parte della sua ricerca, dall'altro era consapevole di non aver trovato assolutamente nulla d'illuminante. Più si riduceva il materiale a disposizione, più si assottigliavano le possibilità che in esso si celasse la risposta che cercava. Non era neanche del tutto certo di cosa stesse cercando, in effetti, ma doveva esserci qualcosa che gli era sfuggito. Suo padre aveva inventato il reattore da solo, in un'epoca in cui un aiuto come JARVIS e le tecnologie di cui disponeva lui non erano neanche lontanamente immaginabili: per quanto lo infastidisse ammetterlo, doveva saperne per forza più di lui, no?
Si sedette di nuovo per terra, barcollando sotto la bracciata di incartamenti che stringeva al petto e dandosi da fare con ansia crescente per farne la cernita. A metà della pila si entusiasmò nel captare la forma conosciuta di un reattore arc e sfilò il foglio dal suo fascicolo con esultanza, per poi adombrarsi nel notare che erano semplicemente degli schemi riassuntivi del vecchio reattore originario ormai distrutto. Stava per accartocciarlo in preda alla frustrazione, ma si costrinse poi a riporlo sulla sottile risma accanto a lui, in un ostinato attaccamento alla speranza che avrebbe comunque potuto cavarne qualcosa di buono. Stava iniziando a sperare in qualche messaggio cifrato nascosto nei progetti, ma finora l'unico "codice" che aveva rilevato era la grafia incomprensibile di suo padre, che aveva suo malgrado ereditato.
Terminò di scandagliare senza successo e con molti starnuti anche l'ultimo plico, per poi rimanere con lo sguardo fisso nel vuoto a chiedersi perché avesse appena gettato al vento quattro ore della sua giornata. Non era riuscito a trovare nessuno dei preziosi quaderni di appunti di suo padre, di cui aveva una chiara immagine che non riusciva a collocare all'interno di quel marasma di libri, cianfrusaglie e ricordi. Ci sarebbero voluti giorni per disseppellirli e non aveva neanche la certezza che fossero davvero lì. Forse li aveva nascosti chissà dove, paranoico com'era. Non poteva biasimarlo. Scoccò un'occhiata sbieca al baule di sua madre: sperava che non fossero , perché non aveva la minima intenzione di aprirlo, ne andasse pure della sua vita. Seguì poi indolentemente la successione di copertine colorate che ravvivava la libreria di legno scuro, riconoscendo a colpo d'occhio i titoli che aveva letto nel corso della sua adolescenza: manuali, trattati e saggi scientifici che conosceva quasi a memoria, inutili in quel momento. Forse però poteva valere la pena esaminare i fogli spiegazzati che sporgevano qua e là tra le pagine.
Scorse uno scaffale in alto, occupato da una mezza dozzina di volumi dalla copertina simile, e sorrise appena nel riconoscere la "versione commentata Stark" di alcuni libri di Jules Verne, in cui lui e suo padre si erano impegnati a mettere in luce e correggere tutte le assurdità scientifiche e ingegneristiche in essi contenuti. Suo padre enunciava le teorie e formule corrette, appuntandole tra le righe, e lui ascoltava rapito, disegnando modelli alternativi del Nautilus a bordo pagina. I libri erano di sua madre: suo padre gli aveva fatto giurare di non dirle nulla quando avevano iniziato a scarabocchiarli da cima a fondo senza ritegno, in concorde complicità. Era uno dei rarissimi ricordi piacevoli che serbava di lui, se non l'unico. Affondò il mento nel palmo della mano, incupendosi. Probabilmente nei suoi primi anni di vita la novità del suo arrivo era stata ancora abbastanza interessante da spingere suo padre a non ignorarlo del tutto. Ricordava ancora il momento in cui, a poco meno di quattro anni, era entrato speranzoso in quello stesso studio con Dalla Terra alla Luna in mano, solo per sentirsi rispondere seccamente che "ormai era grande per quelle sciocchezze". Un modo come un altro per dire che non aveva più tempo per lui.
Si guardò ancora attorno: dovunque posasse lo sguardo si rievocavano mille immagini conosciute, per lo più sgradevoli. Stava iniziando a sentirsi oppresso. Non era quello il momento per fare un nostalgico tuffo nel passato ed elaborare tutto ciò che si era rifiutato di affrontare nel corso di quei lunghi anni. Si costrinse a rialzarsi aggrappandosi a uno schedario, recuperò il bastone e si cacciò nella tasca posteriore i pochi documenti reperiti, imponendosi un ultimo sopralluogo prima che l'aria là dentro diventasse troppo soffocante. Sollevò il braccio del giradischi che ormai grattava a vuoto e ripose con cura il vecchio vinile, per poi mettersi all'opera.
I foglietti che reperì nella libreria non erano altro che vecchi appunti del MIT e ritagli di articoli scientifici. Sulla scrivania e nei suoi cassetti non trovò nulla di rilevante, a parte degli spartiti di sua madre ingialliti dal tempo e una solitaria foto di famiglia formato portafoglio. E a parte a una fialetta appoggiata quasi distrattamente sul fondo di un cassetto che, a occhio, conteneva qualcosa come cinquantamila dollari in vibranio grezzo, concentrati nei pochi grammi di una scheggia bluastra delle dimensioni di un'unghia. Probabilmente era un souvenir non del tutto autorizzato del Progetto Rebirth.
Il resto era tutta carta straccia. Inserì la foto tra le pagine degli spartiti e li ripose dove li aveva trovati non prendendo neanche in considerazione l'idea di portare qualcosa fuori di lì, ma chiedendosi allo stesso tempo dove fosse finito l'unico album di famiglia che avesse mai visto circolare per casa. Soppesò la fialetta impolverata scrutandone brevemente in controluce il contenuto, poi mise a posto anche quella: in un altro momento si sarebbe probabilmente fiondato in laboratorio trattenendo a stento l'euforia, ma sapeva già che il vibranio non era applicabile alla tecnologia arc. Poi, con quella misera quantità sarebbe riuscito solo a condurre qualche test e simulazione improduttivi; stava già perdendo troppo tempo e sentiva l'urgenza di concludere qualcosa di effettivamente utile, prima che il problema del palladio diventasse ingestibile. Richiuse con fermezza il cassetto, sigillandone il contenuto almeno allo sguardo.
Prima di costringersi ad uscire si avvicinò con un passo sbilenco al plastico della Expo. Scostò il telo che lo copriva con un unico gesto del bastone da passeggio, rivelando l'ordinata disposizione di edifici, strade e parchi al di sotto. Rimase a fissarlo per lunghi secondi, riconoscendo l'estrema cura infusa in ogni linea e dettaglio e la minuziosità con cui persino ogni singolo albero era stato collocato. Inclinò appena la testa di lato con lieve rammarico: suo padre si era dedicato alla Città del Futuro con tutto se stesso, venendone risucchiato soprattutto negli ultimi anni. Da ragazzo aveva pensato a una sua fissa senile e utopistica che sostituisse quella per lo scudo in vibranio e il suo attempato proprietario ormai irrintracciabili. All'epoca non era riuscito a concepire cosa ci fosse di così importante in un "contentino per gli ambientalisti", come lo chiamava spesso Stane. Adesso capiva che suo padre era stato alla disperata ricerca di un'opera che potesse rivelarsi all'altezza di quell'unica "cosa giusta" che sentiva di aver fatto. O forse era lui a volerla vedere così, col senno di poi e col peso di qualche errore di troppo sulle spalle. Si scoprì accigliato: non si era reso conto della tensione in cui si era a poco a poco contratto il suo volto.
C'era qualcosa che potesse essere all'altezza di Iron Man? Quel pensiero lo lasciò a fissare smarrito quel progetto mai realizzato.
Il suo sguardo fu catturato dall'Unisfera al centro del plastico, dalla quale si diramava a raggiera tutto il resto del complesso con ordinata rigorosità. Arrivò a soffermarsi sulla targhetta metallica infissa in un angolo: Stark Expo, 1974.
Aveva dei ricordi confusi ma molto vividi dell'anno della Expo: le passeggiate con sua madre tra le bancarelle della fiera, le ore e ore passate a gironzolare nel parco addobbato a festa, le migliaia di invenzioni che lo avevano affascinato e che aveva puntualmente tentato di emulare in proprio, tutte le volte in cui si era intrufolato in aree riservate... certo, se fosse stato lui ad organizzare il tutto, l'evento sarebbe stato molto più scenografico. Si sarebbe impegnato un po' di più per le cerimonie d'apertura e chiusura, per esempio. Più fuochi d'artificio, tanto per cominciare, e più pin-up e champagne. Iron Man sarebbe stato sicuramente la mascotte della fiera; magari avrebbe piazzato ovunque sponsor per l'energia pulita; forse ci sarebbe stato un padiglione dedicato esclusivamente alla biomedica.
Coprì con la punta del bastone la data incisa sulla targhetta, meditabondo.
"Stark Expo, 2010," scandì mentalmente dopo qualche istante.
Il suo volto fu attraversato da un sorriso sghembo.
"Perché no?"


***


Quando accostò la porta dello studiolo dietro di sé, la sua mente era ancora in bilico tra la frustrazione per aver imboccato l'ennesimo vicolo cieco e il quieto senso d'aspettativa al pensiero di una futura Stark Expo. Al momento, la frustrazione stava avendo la meglio assieme al mal di testa latente che iniziava a sovrastare gli antidolorifici, causato molto probabilmente dal palladio. Però aveva appena trovato un nuovo modo utile per tenersi occupato, e in cuor suo non vedeva l'ora di lanciarsi in un nuovo progetto con dei solidi sbocchi che compensasse quello frustrante di Iron Man e che lo distogliesse dal reticolo violaceo che continuava ad allargarsi sul suo petto. 
Era talmente assorto che non si rese conto di Pepper finché non se la trovò a un passo di distanza, con occhi accesi di stupore nel vederlo uscire da quella porta.
«Signor Stark!» la sua voce tradì una squillante nota di sollievo.
«Ehi, Pep,» la salutò sovrappensiero, per un istante dimentico della loro situazione ancora precaria, dei problemi irrisolti e delle loro "esistenze complicate".
«Finalmente l'ho trovata,» sospirò, e Tony colse un'ombra d'imbarazzo sul suo volto; si affrettò a ritornare presente a se stesso:
«Signorina Potts, sono costretto a farle notare che oggi è meno impeccabile del solito...» accennò alle ciocche di capelli sfuggite alla sua solita coda alta, al fatto che fosse a piedi nudi e all'acceso rossore del suo volto che quasi oscurava le sue lentiggini, come se avesse corso.
«L'ho cercata ovunque, non ha idea di quanto...»
«... ma questo look spontaneo le dona,» continuò imperterrito lui, terminando la frase con un sorriso ammiccante, che ovviamente cadde nel vuoto di fronte ad anni di consumato allenamento alle sue galanterie da dongiovanni.
Mise a fuoco solo allora il voluminoso plico di documenti che la donna portava sottobraccio, con tutta l'aria di essere destinato a lui.
«Non ho pensato a cercarla lì,» ammise Pepper, lanciando una rapida occhiata alla porta appena socchiusa dietro di lui.
«Sono disposto a tutto, pur di evitare il lavoro d'ufficio,» scrollò le spalle lui, badando bene a tenersi fuori dalla portata delle scartoffie. «Si è preoccupata?» aggiunse a bruciapelo, e fu chiaro che quella domanda la mise in difficoltà.
«No, è solo che... non sapevo dove fosse,» rispose debolmente.
«Si è preoccupata,» concluse lui, sospirando a metà tra il deluso e il colpevole.
«Un po',» ammise lei, nel chiaro sforzo di mantenere ferma la voce.
«S
i vede che non mi sono ancora impegnato abbastanza,» commentò lui con un'alzata di spalle un po' sconsolata. «Ammetto che in altre circostanze ci sarebbe sicuramente stato un qualche intento masochista nel voler rientrare là dentro, ma le assicuro in questo caso era una pura necessità tecnica, del tutto innocua,» spiegò in tono leggero.
Pepper annuì appena, molto poco convinta e palesemente turbata dal fatto che fosse entrato nello studio di suo padre di sua sponte uscendone persino di buonumore.
«Ora che ci penso, lei non ha mai visto lo stanzino inutile,» realizzò Tony un po' a sproposito, schiudendo appena la porta alle sue spalle col bastone per rivelare il caos che regnava oltre la soglia. «Può sbirciare, non ci sono mostri nell'armadio, polvere a parte,» la prese in giro nel vedere la sua esitazione, facendole cenno di affacciarsi.
Lei eseguì quasi con timore, non riuscendo a trattenere uno sguardo meravigliato nel trovarsi davanti quella babele. Nel farlo, si portò al suo fianco, e Tony si scoprì a trattenere appena il respiro quando captò il profumo dei suoi capelli appena lavati – un sentore di giglio. Scostò cautamente lo sguardo dalla stanza alla donna, non riuscendo a impedirsi di osservarla di sottecchi. Seguì i tratti delicati del suo volto, il profilo aggraziato del naso, la curva delle labbra appena schiuse, la linea elegante del collo... ritornò bruscamente in alto e stavolta venne calamitato dall'iride ceruleo che intravedeva oltre le ciglia chiare e arcuate. Da quanto non si trovavano così vicini?
«Prima era messo meglio,» disse in fretta, distogliendosi dai suoi pensieri fuori controllo.

Il fatto che indossasse quel suo tailleur scuro a pois che le lasciava scoperte le spalle, rivelando le leggere efelidi che le punteggiavano, non lo stava affatto aiutando.

«E quello è opera mia,» accennò rigidamente alle pile di fogliacci accatastate per terra. «Dovrò spedirne una parte allo SHIELD,» aggiunse con la bocca secca.
Non riusciva a staccare gli occhi dal suo volto e si frenò appena in tempo quando si accorse di essersi inclinato appena verso di lei.
"Datti una calmata," si rimbrottò duramente, allo stesso tempo confuso dall'improvvisa indisciplinatezza del proprio corpo.
Pepper voltò la testa verso di lui, del tutto ignara del modo fin troppo intenso in cui l'aveva osservata e del brusco movimento con cui si era ricomposto. Nell'incrociare il suo sguardo fu molto vicino a ricadere nell'espressione inebetita di poco prima. Si affrettò a fissare lo studio fingendosi rilassato, invece di indugiare ancora sulle lentiggini del suo décolleté.
«Da quanto non ci entrava?» gli chiese lei, con cauta curiosità.
Lui si appoggiò allo stipite, riflettendo e approfittandone per mettere qualche centimetro di distanza in più tra loro.
«Come minimo dieci anni,» stabilì infine. «Lo sa che non sono un tipo nostalgico,» aggiunse poi, con una smorfia ironica ma un po' tirata.
Il denso silenzio da parte di Pepper gli fece capire che forse stavano entrando in un terreno un po' troppo delicato e fece per sviare il discorso, ma lei lo anticipò:
«Non c'è nulla di male ad essere un po' nostalgici. Anche se si è Tony Stark,» specificò, con un piccolo sorriso che lo colse di sorpresa facendogli mancare un battito.
Sfuggì di nuovo il suo sguardo e lo puntò sulla piccola stanza polverosa e stipata di ricordi. Si trovò ad accostare la porta e chiuderla a chiave senza neanche rendersi conto di essersi mosso.
«Un po' di nostalgia va bene, ma a piccole dosi,» chiarì, adesso un po' in soggezione di fronte a quegli occhi tersi che come sempre sembravano leggergli dentro.
Sperò che non riuscissero a intuire proprio tutto quello che gli passava per la testa, o avrebbe dovuto fornirle delle spiegazioni molto imbarazzanti. Si rigirò la chiave in mano, prendendo a passare il pollice sulla dentallatura seguendone il profilo.
«Mi farebbe un favore?» esalò dopo qualche secondo, prima di perdere il coraggio per parlare.
Pepper arcuò le sopracciglia, lasciando spazio all'espressione circospetta e assolutamente irremovibile che assumeva nel fronteggiare le sue richieste eccentriche.
«Signor Stark, dieci anni con lei mi hanno insegnato a non rispondere mai di sì a questa domanda prima di sapere di cosa si tratti.»
«È sempre così sospettosa,» si lamentò lui, inclinando appena la testa e fissandola con fare offeso.
«Ne ho buon motivo.»
«L'ultima volta che le ho chiesto esplicitamente un favore è stato per spogliarmi, non mi dica che le è dispiaciuto così tanto,» insinuò lui, per poi notare la sua reazione decisamente poco divertita e fare subito dietrofront. «Ha il diritto di rimanere in silenzio di fronte alla mia palese mancanza di tatto,» aggiunse rapido, alzando le mani in segno di resa e con un'espressione quasi implorante stampata in volto.
Pepper rimase in attesa senza commentare, con una pazienza che ritenne invidiabile ma probabilmente non inesauribile, così evitò di testarla più del necessario. Si schiarì un poco la gola, segnando la fine del suo umorismo fuori luogo, forse dettata dall'assenza di sangue nel suo cervello.
«La chiave va là dentro,» additò il mobiletto dall'altra parte del pianterreno e piazzò l'oggetto in questione a un palmo dai suoi occhi azzurri e sorpresi, «luogo che ritengo fin troppo lontano per qualcuno in condizioni precarie come le mie; perciò, magari non subito, ma quando ha tempo, possibilità e voglia, sarebbe così gentile da...»
Pepper gli sfilò con gentilezza la chiave dalle dita, sfiorandole appena e tradendo una lieve titubanza. Tony frenò il flusso incoerente di parole che aveva portato un assurdo, tenue calore sulle sue guance.
«Le farò questo favore,» gli accordò semplicemente lei, stringendo poi la chiave in mano con un gesto che gli sembrò quasi premuroso.
Tony si rilassò in un sorriso sincero, contento di averle affidato quel pezzo di sé che non aveva mai avuto modo di condividere, sebbene in modo un po' impacciato. Dubitava che lei sarebbe mai entrata nello studio per conto suo, ma era il gesto che contava ed era convinto che lei fosse abbastanza perspicace da interpretarlo nel giusto modo.
«Grazie,» disse soltanto, in modo un po' goffo e sottintendendone molti altri.
«Prego,» rispose lei con un'espressione improvvisamente scaltra, e gli mollò a sorpresa il plico di documenti che aveva tenuto in mano fino a quel momento.
Tony lo afferrò d'istinto, rendendosi conto con una frazione di ritardo del raggiro.
«Questo è tradimento!» riuscì a protestare mentre lei già si allontanava, decisamente soddisfatta della sua mossa.
«Buon lavoro, signor Stark,» si limitò ad augurargli, e Tony colse il sorriso nella sua voce.
«Anche a lei, signorina Potts,» sorrise di rimando.


***


26 Novembre, Villa Stark

Un giorno o l'altro avrebbe finito per sgozzarsi, vista la combinazione tra la mano mancina malferma e la protesi incontrollabile che decideva di dare il meglio di sé proprio mentre si radeva.
All'ennesima scalfittura che si rimediò sul mento si decise a sciacquarsi il volto dalla schiuma da barba e a rimandare l'incombenza al giorno dopo. Ripose stizzito il rasoio nell'armadietto... con un po' troppa foga, visto che finì per far cadere a terra metà del suo contenuto. Imprecò, fissando sconsolato il disastro di boccette e accessori da bagno disseminati sulle piastrelle e maledisse la protesi che si ostinava ancora a muoversi come voleva lei. Meditò di lasciare tutto così com'era, ma poi pensò che avrebbe dovuto fornire delle spiegazioni a Pepper e accantonò l'idea.
Odiava inginocchiarsi o chinarsi: erano movimenti che gli facevano ancora vedere le stelle, ma si rassegnò a stringere i denti e ad accucciarsi con una smorfia sofferente per rimediare a quell'incidente. Almeno non si era rotto nulla. Stava giusto per raccattare l'ultimo oggetto quando si bloccò a metà del gesto nel riconoscerlo. Rovesciò distrattamente nel lavandino tutto ciò che aveva appena raccolto e afferrò il rilevatore di tossicità, facendo poi leva sul bordo di ceramica per rimettersi in piedi.
Fissò con malcelata apprensione quella scatoletta metallica, cosciente che dalla sua incursione nello studio di suo padre non aveva più controllato il livello di palladio. In realtà si era volontariamente dimenticato di farlo, forse illudendosi che, se avesse messo da parte per un po' il diabolico congegno, questo gli avrebbe finalmente annunciato buone notizie, quasi fosse un essere senziente e suscettibile. Aveva addirittura riprogrammato JARVIS affinché smettesse di ricordargli di controllare regolarmente lo stato dell'intossicazione.
Soppesò lo strumento nella mano meccanica, tentato dal disintegrarlo con una semplice stretta.
Erano stati mesi sereni, addirittura riposanti: Pepper sembrava essere tornata quella di molti anni prima, in quella fase iniziale in cui non si conoscevano ancora così bene da poter passare intere ore a battibeccare, ma comunque abbastanza per poter scherzare e chiacchierare con una disinvoltura che andava oltre il puro rapporto lavorativo. L'ultimo processo si era risolto vittoriosamente sia sul fronte Iron Man che su quello delle protesi e lasciava scoperta solo l'annosa questione di Stane, ma l'influenza sotterranea dello SHIELD gli aveva ritagliato un lungo periodo di pausa da quelle beghe legali fino al nuovo anno. La Mark IV era ormai in fase di assemblaggio: forse era venuto a capo di quei dispositivi di controllo remoto e il progetto per Kyle procedeva di conseguenza meglio di quanto avesse sperato. Persino i Vendicatori e Rhodey lo contattavano regolarmente per avere novità su lui e Iron Man, incluso Thor, che aveva ammorbidito un po' i toni nei suoi confronti. E lui fantasticava spesso, volentieri e per ora in segreto su una futura Stark Expo, riempendo taccuini su taccuini di appunti e progetti e programmi forse irrealizzabili, ma che lo mettevano di buon umore.
L'unica nota stonata era che le protesi avevano infine imposto i loro limiti definitivi a causa delle interferenze tra i reattori, ma non era qualcosa di cui potesse realmente lamentarsi: era autonomo e camminava, seppur con un bastone da arzillo vecchietto. Magari non avrebbe mai corso una maratona, ma poteva ancora sperare di rientrare nell'armatura, prima o poi. A vedere il lato positivo, in virtù di quel fatto si era deciso a sottoporsi alla perizia tecnica per le protesi, ovvero mezz'ora di estenuanti diatribe con quell'incompetente di Hammer sotto la supervisione di Kyle e Knight. Un incubo coi fiocchi, ma adesso era in impaziente attesa del responso e, sperava, della licenza che l'avrebbe finalmente reso libero di lasciare sulle sue gambe quelle quattro mura che iniziavano ad andargli più che strette.
In fin dei conti, andava tutto bene.
Poi c'erano quei lievi, subdoli sintomi in preoccupante aumento, al punto che ormai si stupiva quando si rendeva conto di non avere mal di testa, nausea, o riusciva a dormire una notte intera senza che i moncherini o l'ansia lo svegliassero. Il rilevatore di tossicità sembrava fissarlo e giudicarlo attraverso il display spento, come a ricordargli che tutto ciò che aveva occupato la sua mente e i suoi giorni fino ad allora non erano state altro che distrazioni per coprire il problema più grave e pressante, che aveva ancora una volta scelto di ignorare per far finta che andasse tutto bene.
Premette il pollice sull'ago con un'angoscia torbida, venata da una punta di speranza che i suoi timori venissero smentiti.
Il 27% lampeggiò minaccioso, riportandolo bruscamente coi piedi per terra. Scrollò la mano intorpidita con aria assente, osservando da dietro un velo plumbeo la goccia di sangue che si allargava come un fiore vermiglio sul suo polpastrello, in un tacito monito di quel che stava accadendo. Ripose in tasca il rilevatore di tossicità.
Non aveva più tempo per le distrazioni.




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Note Dell'Autrice:

Sssalve!
Rieccoci sintonizzati su questi schermi! Queste note saranno lunghe anche per i miei standard, vista la quantità forse eccessiva di eventi nel capitolo. Lettori avvisati, mezzi salvati :P

-Innanzitutto: i sintomi che ho affibbiato a quel poveraccio di Tony sono davvero riscontrabili nelle intossicazioni da metallo pesante, incluse le vampe di calore improvvise. Sì, mi hanno praticamente servito su un piatto d'argento una scusa per fare un po' di fan-service :'D
-Parlando di fan-service: qui passiamo da Tony capellone stile Iron Man post-Afghanistan a un aspetto più simile a quello che ha in Iron Man 3. È un dettaglio forse irrilevante, ma visto che dal punto di vista psicologico è adesso più vicino a "quel Tony" ho pensato di farlo emergere anche nell'aspetto.
-Passando a Kyle <3 I tutori che cito sono ripresi da quelli di Rhodey in Civil War. Quando abbiamo iniziato la storia non avevamo idea degli sviluppi del MCU, ma visto che le vicissitudini di Rhodey cadono a pennello, perché non sfruttarle?
-Tutta la faccenda dell'armatura prensile/teleguidata rimanda alle migliorie che Tony apporta in Iron Man 3 e nei film successivi; qui è tutto anticipato di un paio d'anni, quindi le difficoltà che incontra nel progettarla sono accentuate rispetto a quelle di IM3. Per capirci, l'obiettivo è sviluppare un'armatura come quella che si vede in Homecoming quasi 10 anni dopo, ovvero controllata da lui ma a distanza.
-Le problematiche relative alle interferenze elettromagnetiche, già introdotte nei capitoli precedenti, sono un tentativo di spiegare perché in Iron Man 2 Tony non fornisca l'armatura di un reattore indipendente, invece di continuare a usare il proprio anche quando l'intossicazione è alle stelle. Spiegazione labile, ma credo sia meglio di rendere Tony ottuso per il 90% del film (sì, Favreau, sto guardando te).

E niente, alla fine arriva mamma la Expo <3 So che avete sperato nell'illuminazione divina mentre guardava il plastico (almeno, l'intento era quello), ma non sarà tutto così "facile" come in IM2 (quando mai lo è?)
Concludo col dire: godetevi lo pseudo-fluff, finché potete :P

Un ringraziamento enorme a _Atlas_, 50shadesofLOTS_Always, Emyclarinet e Sherlock_Watson che hanno recensito gli scorsi capitoli :D <3 E anche a tutti coloro che leggono e basta, seguono o hanno aggiunto la storia tra le preferite/ricordate :)

Ah, il capitolo successivo è stato il primissimo che ho scritto quando ho ripreso 
Phoenix e probabilmente quello che più mi è piaciuto scrivere e sviluppare assieme a Show&Tell, quindi ammetto che sto scalpitando da mesi per arrivarci :D
Un bacione e spero a presto,

-Light-

P.S. Smoke and mirrors è un modo di dire inglese che vuol dire all'incirca "mascherare la realtà", o comunque offuscarla per dirottare l'attenzione su altre cose, spesso irrilevanti o frivole. Capito, Tony?
P.P.S. Momento-stronzata: la menzione ai Lakers deriva dallo spot di Homecoming per la finale dell'NBA (qui), in cui Tony invita, tra gli altri, il presidente della squadra "Magic" Johnson a vederla a casa sua. Ho dedotto che potesse essere un tifoso dei Lakers e nessuno mi convincerà mai del contrario :P




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