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Smoke and mirrors
"Labyrinths
are rapidly moving
With
a pulse that I cannot predict
I
wanna breathe, I wanna see the sun
Come
out with me
I'm
lost, I'm lost, I'm lost"
[In The Reign Of Flies – About Wayne]
1° Agosto, Villa Stark
Il
caldo soffocante abbattutosi sulla costa californiana era mitigato
solo dalla brezza marina che a volte concedeva la grazia di
attraversare le stanze di Villa Stark.
Persino
Pepper aveva infine ceduto all'afa. Quel giorno, non avendo riunioni
alle Industries, aveva abbandonato i suoi completi formali ripiegando
su un vestito estivo e leggero a fitti fiorellini su fondo scuro,
senza per questo perdere un solo briciolo di professionalità
mentre
lavorava in salone, coi capelli ramati raccolti sulla nuca in un
ordinato chignon.
Tony
aveva optato per un approccio molto più disinibito, come
poté
constatare la donna quando lo vide sbucare dall'ascensore con addosso
unicamente un paio di boxer e una canotta, a piedi nudi e con un
ventilatore portatile sparato sul volto grondante. Lei
non si mostrò minimamente turbata dalla sua mancanza di
pudore:
l'aveva visto in tenute decisamente peggiori e in atteggiamenti molto
più sconvenienti, e in un certo senso la sua spigliatezza in
quel
senso era un fattore rassicurante. Notò comunque che aveva
celato la
giunzione tra protesi e gamba con una garza.
«Si
risparmi i commenti, signorina Potts, è
un'emergenza,» la anticipò,
con un gesto spossato della mano che impugnava il bastone da
passeggio.
«Si
è tagliato i capelli?» osservò invece
lei, notando che la sua
massa di folte ciocche castane era notevolmente diminuita rispetto a
qualche giorno prima, senza però alterare il solito ciuffo
ribelle
sulla fronte.
«Misure
drastiche contro il surriscaldamento,» rispose lui un po'
sconnesso,
tuffando poi la testa nel minibar alla disperata ricerca di qualcosa
di fresco. «E comunque era ora: ancora un paio di settimane e
mi
sarei potuto infiltrare a Woodstock nel '69,» aggiunse, in un
blando
tentativo d'ironia smorzato dall'insofferenza per quel caldo atroce
che non si curava di mascherare.
Era
stata una settimana torrida, con picchi di oltre quaranta gradi che
avevano fiaccato Pepper e soprattutto Tony, che quell'estate stava
dimostrando un'anomala avversione per il caldo, quando normalmente
era ben felice di arrostirsi al sole. Probabilmente avere del metallo
attaccato al corpo non aiutava la sua resistenza al calore. Aveva
risolto il problema chiudendosi a tempo indeterminato nel
laboratorio, godendosi l'aria condizionata che lei aborriva e finendo
per dormire quasi sempre sul divanetto là sotto, sostenendo
che facesse comunque più fresco che in camera sua. Pepper
aveva notato
che si sforzava comunque di riemergere a intervalli regolari almeno
quando lei era lì, forse per non darle l'impressione di
essere
ricaduto nei ritmi sonno-veglia deleteri di sei mesi prima.
Lei
di contro si imponeva di passare alla villa tre, al massimo quattro
volte a settimana, e solo per sbrigare il lavoro d'ufficio che poteva
richiedere l'attenzione diretta di Tony. L'uomo si era mostrato
dispiaciuto per la sua scelta, ma dopo averle offerto un paio di
volte di trasferirsi di nuovo da lui "per comodità",
incontrando un suo netto rifiuto, aveva desistito senza più
farne
parola. Si
era dimostrato insolitamente accomodante in quel mese, mantenendo le
dovute distanze da lei ma cercando la sua compagnia quando ne aveva
l'occasione, dando a volte spazio alla sua classica ironia
impertinente. Spesso, mentre lavorava in salotto, Tony appariva dal
nulla e sprofondava
nella sua poltrona a pochi metri da lei con gli auricolari nelle
orecchie. Poi apriva svariati ologrammi e prendeva a far ordine tra
le decine di cartelle virtuali dei suoi progetti, che da qualche
tempo avevano ricominciato a includere schemi e bozzetti per Iron
Man. Se ne stava lì in silenzio per una decina di minuti,
assorto
nelle sue elucubrazioni mentre spiluccava quantità deleterie
di snack
ipercalorici. Poi si alzava, le rivolgeva un sorrisetto un po'
esitante e se ne tornava in laboratorio con aria soddisfatta.
Pepper
aveva apprezzato quella sua sorprendente discretezza, capendo che in
realtà era lei
quella ad aver bisogno dei "propri spazi",
almeno per
il momento. Tony sembrava deciso a rispettare quella sua
necessità:
in ogni suo gesto coglieva una sorta di premura nei suoi confronti, e
spesso nel guardarla lasciava trapelare un'espressione meravigliata,
come se non riuscisse ancora a capacitarsi del tutto della sua
presenza lì. Lei
stessa faceva fatica a realizzare di essere tornata dopo una
così
lunga assenza. A volte si chiedeva se non avrebbe fatto meglio ad
andarsene di nuovo, poi si ricordava del momento in cui, solo pochi
attimi prima di vedere il suo mondo e Tony infrangersi dinanzi ai
suoi occhi, aveva deciso di restare. La sua prima
scelta era
sempre
stata quella, doveva
solo riuscire a conviverci. Così
era rimasta, e Tony in un certo senso stava cercando di fare lo
stesso, sforzandosi di tener fede ai suoi buoni propositi.
La
situazione che si era venuta a creare non era certo ottimale, e
lasciava spazio a molti momenti d'imbarazzo dettati da troppi sospesi,
ma la considerava un
miglioramento rispetto a quella logorante e tesa in cui si erano
trovati a navigare in precedenza. Soprattutto, e quella era un vera
boccata d'ossigeno, Tony non sembrava più costantemente
sull'orlo di
un collasso nervoso ed evitava di trascinarvi anche lei. La
sua riacquistata mobilità aveva fatto miracoli sul suo
umore. Saperlo così sereno era una piccola conquista anche
per lei,
nonostante non gli avesse ancora mai dimostrato in modo esplicito la
gioia che provava ogni volta che lo vedeva camminare, con inalterata
scioltezza e un cipiglio autoironico verso la sua buffa
andatura col bastone. Aveva ancora le sue fasi di abbattimento in cui
non spiccicava più di una decina di parole nel corso della
giornata,
irritato da qualche inconveniente tecnico o dalle sue stesse protesi,
ma erano più rare e meno intense, forse mitigate anche dal
fatto di
non essere sempre solo alla villa. E forse, al contrario, anche per
poter godere più spesso di un'autonoma solitudine che gli
era stata
impossibile in precedenza.
«Sto
veramente cominciando a invidiare i settant'anni di letargo tra i
ghiacci del nonnetto!» la sua voce esasperata si
levò dai meandri
del frigorifero, portandole un guizzo divertito sul volto.
Quando
si ritrovava a vivere quei momenti di assoluta normalità,
con le
battutine di Tony in sottofondo, i plichi di documenti accatastati
sul mobiletto accanto al divano su cui aveva lavorato per quasi dieci
anni, lo sfondo perenne del Pacifico alle spalle e il senso di
familiarità immutato che le trasmetteva la villa, si sentiva
davvero
a casa e riusciva a mettere da parte tutte le angosce e i timori che
la assillavano. Osservò Tony, che le dava le spalle poggiato
mollemente a uno dei sedili del piano-bar mentre sorseggiava con
sollievo quella che sembrava clorofilla ghiacciata, e si
trovò a
sorridere appena. Il
sorriso s'incrinò quando l'uomo si voltò verso di
lei, rivelando la
fredda luminescenza azzurrina in mezzo al suo petto.
Poi c'erano quei
singoli fotogrammi che infrangevano la sua serenità e la
catapultavano di nuovo di fronte a lui esanime, riverso per terra e
senza quel dannato reattore che...
Riabbassò
di colpo lo sguardo, interrompendo il flusso dei suoi pensieri. Colse
fuggevolmente la perplessità di Tony, che però
non si arrischiò a
indagare.
«Giuro
che ricostruisco l'armatura solo per emigrare in Antartide,»
disse
invece, con una mano a stringersi i capelli per scollarli dalla
fronte sudata.
«Il
governo ne sarà contento,» replicò
Pepper senza alcuna
inflessione particolare, gli occhi fissi su un contratto che non stava
realmente leggendo.
Tony
emise un verso di scherno, spalmandosi infine sul bancone di marmo
con un lamento sconsolato, il bicchiere gelato premuto sulla nuca e
il ventilatore puntato contro in cerca di refrigerio. Nel captare il
suo respiro affannato Pepper alzò lo sguardo, lievemente
accigliata.
«Signor
Stark, non fa così caldo,»
osservò, con tutto il tatto che
le riuscì.
«Parli
per sé. Se non temessi di turbarla, andrei in giro
nudo,» bofonchiò
lui.
«Eviti,
la prego,» sospirò lei. «È
sicuro di sentirsi bene?» chiese poi,
con un'impercettibile titubanza.
«In
generale, sto a pezzi e mi si stanno squagliando le protesi. Nello
specifico, ho mal di testa. Sarà l'insonnia,»
replicò lui
monocorde.
Pepper
decise di non indagare su quell'ultima affermazione. Aveva intuito
che avesse difficoltà a dormire nonostante lei stessa non
avesse più
pernottato alla villa: l'aveva sorpreso svariate volte ad assopirsi
nei momenti e nei luoghi più impensati, per poi destarsi di
scatto
da sogni chiaramente inquieti.
Si
trovò comunque ad apprezzare la sua insolita seppur stentata
sincerità. Sembrava aver preso molto a cuore il discorso
sulla
fiducia. Pepper era consapevole che anche il semplice atto di non
mentire a prescindere sul suo stato di salute era un enorme passo
avanti, visti i suoi standard. Ciò non serviva
però a dissipare
tutti gli altri dubbi e interrogativi che emergevano ogni volta che
lo guardava e che, immaginava, coincidevano almeno in parte con
quelli che assillavano lui. Per quelli ci sarebbe voluto ancora molto
del tempo che avevano entrambi tacitamente deciso di concedersi, ma
voleva credere che avessero imboccato la strada giusta, dovunque li
avrebbe portati.
Tony
si riscosse, strappandosi con chiara riluttanza dal bancone fresco;
tracannò
il resto del bicchiere, rischiando probabilmente una congestione, e
zoppicò poi verso l'ascensore
rivolgendole
un sorriso un po' fiacco:
«Tra
un paio d'ore arriva K. Gli dica di scendere nella "cella
frigorifera": non ho alcuna intenzione di schiodarmi da là
sotto finché non cala il sole,»
annunciò, con un ultimo gesto
eloquente al salone arroventato dalle vetrate.
***
Non
appena le porte si chiusero, Tony si accasciò contro la
parete di
fondo dell'ascensore con il ventilatore puntato in faccia, annaspando
nell'aria claustrofobica e pesante. La situazione gli
riportò alla
mente ricordi poco piacevoli e si assicurò con un vuoto allo
stomaco
che il reattore fosse ancora ben saldo al suo posto.
«JARVIS,
non hai qualche suggerimento per questo schifo?»
sbottò non
appena messo piede in laboratorio, liberandosi finalmente della
canotta fradicia e gettandola con ribrezzo sul divano, sentendo la
pelle madida di sudore.
«A
parte degli impacchi freddi o un bagno in mare, no, signore. E le
sconsiglio di abbassare ulteriormente l'aria condizionata, se non
vuole rischiare un colpo di freddo.»
Lui
sospirò, guardando con un senso di nausea la saldatrice sul
banco di
lavoro e inorridendo alla sola idea di avvicinarsi a qualcosa di
caldo. Per fortuna la temperatura glaciale del laboratorio iniziava a
mitigare l'impressione che il suo cervello stesse bollendo a fuoco
lento nella scatola cranica. Recuperò la borsa del ghiaccio
e se la
spalmò sul volto per accelerare il processo di
raffreddamento e
lenire l'emicrania.
Sprofondò nella sua sedia, imprecando a mezza voce
contro quell'ennesima seccatura. A
quanto pareva, l'intossicazione da palladio aveva sballato il suo
termostato naturale, convincendo il suo corpo di trovarsi nel Sahara
col sole a picco. Almeno, questa era la spiegazione che si era dato
negli ultimi giorni, quando il semplice fastidio per quell'ondata di
caldo improvvisa si era tramutato in un'insofferenza quasi patologica,
che gli faceva rimpiangere seriamente la sua scarpinata nel deserto
afghano.
Premette
alla cieca l'indice sull'ago del rilevatore di tossicità
poggiato
sul tavolo e scostò appena la borsa dall'occhio per
sbirciare il
risultato: 19%. Si
cacciò il dito in bocca per fermare il rivolo di sangue e
lasciò
vagare svogliato lo sguardo per il laboratorio, prima di rassegnarsi
a guardare la fonte dei suoi problemi: il reattore spiccava in mezzo
al suo petto attraversato da vene scure, ormai impossibili da
ignorare. Erano l'unico motivo per cui aveva evitato accuratamente la
spiaggia e la piscina, temendo di essere sorpreso a torso nudo da
Pepper. Dubitava che la scusa di un "tatuaggio all'avanguardia"
avrebbe retto quanto quella già traballante delle protesi
"non
ancora a tenuta stagna" con cui aveva giustificato la sua
riluttanza a nuotare nonostante il caldo.
Sospirò
ed ebbe l'improvvisa tentazione di rimettersi la maglietta,
così da
celare quella ragnatela venefica, ma così avrebbe rischiato
un colpo di calore.
Lanciò
di malagrazia la borsa del ghiaccio sul bancone, concentrandosi sul
nuovo progetto quasi ultimato e sbattendo con forza la porta in
faccia a quelle preoccupazioni moleste. Scacciò ogni
schermata
superflua dal banco di lavoro, poi selezionò da una playlist
un
brano a caso che sperò fosse abbastanza chiassoso, alzando
il volume
al massimo quando venne piacevolmente assordato da Innuendo.
Infine
impostò JARVIS in modalità silenziosa per evitare
commenti
non richiesti: aveva bisogno di qualcosa che gli anestetizzasse la
testa, e non era dell'umore giusto per sentirsi ricordare che non
c'erano alternative al palladio.
***
Pepper
rilesse dubbiosa l'intestazione del contratto e ricominciò a
scriverla da capo per la quinta volta. L'incerto ticchettio delle sue
dita sulla tastiera si arrestò nuovamente e si
ritrovò a fissare le
poche parole che aveva appena digitato con un piglio insoddisfatto.
Chiuse con un gesto secco il portatile, lasciando infine spaziare gli
occhi affaticati dallo schermo sul salone vuoto.
Si
sentiva tremendamente deconcentrata, e non era per i bassi smorzati di
una qualche canzone rock che provenivano dal piano di sotto. A quello
era ormai abituata; anzi, era rassicurante tornare a sentire la
musica molesta di Tony dopo il silenzio tombale che aveva regnato
alla villa nei mesi precedenti alla sua partenza. Non era neanche
colpa del caldo, che a dispetto delle sceneggiate del suo capo era
abbastanza sopportabile. Fissò la risma di scartoffie
accanto a lei
senza realmente vederle, mordicchiandosi sovrappensiero le labbra e
sapendo in cuor suo che per quel giorno non avrebbe più
concluso
nulla finché fosse rimasta alla villa. Avrebbe dovuto
radunare le
sue cose e spostarsi nel suo ufficio alle Industries: magari
là
avrebbe ritrovato la concentrazione, anche se a fatica. Rimase invece
sul divano, in una posizione leggermente più scomposta
rispetto ai
suoi standard di solito impeccabili. Si sentiva intorpidita per via
dell'afa e tuttavia inquieta, soprattutto quando il suo sguardo si
posava sulla cascata in cima alla rampa di scale che conduceva al
laboratorio.
Le
sue labbra si incresparono involontariamente e si costrinse ad
alzarsi per evitare di soffermarsi su ricordi ancora freschi e pronti
a riemergere. Salì sulla piattaforma rialzata un tempo
occupata dal
pianoforte, accostandosi al bancone al quale poco prima si era seduto
Tony, con l'intenzione di bere a sua volta qualcosa di fresco
–
doveva ammettere che anche lei iniziava ad accusare il caldo, e forse
avrebbe dovuto smorzare il suo astio per l'aria condizionata. L'enorme
bicchiere di aranciata aspra e gelida l'aiutò a scacciare la
calura,
ma non le sue riflessioni invadenti.
Come le era successo
regolarmente nel corso di quelle ultime settimane, nella sua testa
continuava a ripetersi in modo quasi ossessivo la discussione avuta
con Tony sull'Helicarrier. Lasciò che quel film si dipanasse
per la
centesima volta davanti ai suoi occhi e nelle sue orecchie, sapendo
ormai che era inutile tentare di ignorarlo o spegnerlo: sarebbe solo
tornato più tardi, più vivido e invadente, come a
ricordarle che
ignorare i problemi era sbagliato. Le
sue mani si contrassero appena attorno al bicchiere freddo e
appannato dalla condensa.
Era
sempre stata convinta di conoscere Tony meglio di chiunque altro,
inclusi i numerosi atteggiamenti indecifrabili a un occhio meno
allenato del suo, ma si era necessariamente dovuta ricredere. Quel
suo lato che aveva avuto modo di scoprire nei mesi precedenti la
destabilizzava più di quanto volesse e potesse ammettere.
Era come
se fosse infine riuscita a scorgere la ragnatela di crepe che solcava
la sua facciata apparentemente impenetrabile, rafforzata in passato
anche dalla corazza artificiale che si era costruito. Quando poi in
un sol colpo gli erano venute a mancare tutte le difese che aveva
eretto nel corso degli anni, era stato chiaro come lui non fosse
stato pronto ad abbandonarle, così come lei a vederle
crollare. Era
cosciente del fatto che Tony si fosse sempre fidato a tal punto di
lei da abbassare di tanto in tanto quelle protezioni, forse persino
in modo inconsapevole; ma era anche certa che non avrebbe mai voluto
che lei vedesse così apertamente quella
fragilità. Era altrettanto sicura che quel senso di profonda
umiliazione che si trascinava
dietro dal giorno dell'incidente fosse solo una delle tante cause che
gli avevano avvelenato la mente inducendolo a compiere un gesto
così
sconsiderato come il suicidio.
Avvertì
un fremito d'inquietudine al solo ricordo e strinse con
più
forza il bicchiere ora vuoto.
Eppure
era comunque riuscito a rialzarsi, e stavolta non aveva avuto bisogno
di lei. L'aveva cercata di sua spontanea iniziativa in modo quasi
improvvisato, non perché non avesse altra scelta. Tutto
ciò che le
aveva detto non sembrava far parte di un discorso preparato, anzi:
forse per una volta era stato davvero Tony a parlare, non la sua
maschera. Ciò la confortava, soprattutto nel sapere che
non la riteneva responsabile per l'incidente, anche se lo spettro del
senso di colpa continuava a pungolarla con disturbante insistenza e a
farle notare che, nonostante Tony fosse profondamente convinto di
ciò
che diceva, non poteva esserne del tutto certo finché non
avesse
ricordato i fatti di quel giorno ormai lontano.
La
sua sincerità era l'unico motivo che l'aveva spinta a non
rifiutare
la sua richiesta di chiarimenti e a non chiudere definitivamente una
porta che forse non avrebbe mai neanche dovuto aprire; era
anche
l'unica certezza a cui continuava ad aggrapparsi ogni volta che
veniva assalita da dubbi e immagini che minacciavano di farla
desistere dalle sue decisioni.
Ripensare
a ciò che le aveva detto nel corso della loro surreale
chiacchierata
e a come si erano rapportati era un altro modo per vincere quei
dubbi. O per dare il via libera ad altri, meno tetri ma altrettanto
confusi, che la riportavano inevitabilmente a quella notte di molti
mesi prima, a quel suo sguardo sofferente, a quel "sei
bellissima" inaspettato, del tutto fuori luogo, ma indubbiamente
sentito che le aveva rivolto. Soffermandosi sul modo in cui Tony
l'aveva guardata mentre parlavano sull'Helicarrier, quelle poche volte
in cui era
riuscito a farlo senza vacillare, le era parso di percepire l'eco di
quelle parole, assieme a quella di molte altre che erano rimaste
inespresse, ma che erano trapelate inevitabilmente dal suo sguardo.
Non sembrava più alla disperata ricerca di un appiglio a cui
ancorarsi mentre annaspava per non andare alla deriva; non era
neanche quello sguardo cupo che sembrava inghiottire ogni colore dai
suoi occhi. In quel momento aveva visto in lui solo una nuova
determinazione, come se adesso sapesse perfettamente cosa stesse
cercando e dove trovarlo, anche se si avvertiva quanto fosse
dispiaciuto per tutto ciò che aveva fatto a lei e a se
stesso.
Ma Tony
era di nuovo lì,
in quell'iride vivace di un caldo color
nocciola
che, pur priva della sua gemella, era tornata ad ammorbidire le ombre
aguzze che solcavano il suo volto provato. Solo nel ritrovare quella
tonalità così familiare Pepper si era resa conto
di quanto le fosse
mancata e di quanto avesse bisogno di continuare a vederla e di
vederlo stare bene. E anche se lui continuava a sfuggire il suo
sguardo, era finalmente riuscita a scorgere una discreta ma sincera
richiesta da parte sua, invece del deciso rifiuto che le aveva
riservato nei mesi precedenti. Era riuscito ad aprirsi un poco, nel
suo modo indiretto e in un certo senso impacciato, pieno di occhiate
significative e sottile ironia che lasciava intendere tutto
ciò che
non riusciva o non voleva dire esplicitamente.
I
suoi occhi si posarono sulle scale che conducevano al laboratorio.
A
volte avrebbe solo voluto scenderle, abbracciarlo e fargli capire che
non era l'unico a voler riallacciare quei legami spezzati, costruendone
forse di nuovi, ma si
trovava puntualmente paralizzata in cima alla rampa, col cuore che
prendeva a batterle più profondamente e con sforzo, quasi
volesse
implodere non appena avesse osato scendere il primo gradino.
Lì
sotto si annidava ancora una buona parte di tutte le sue paure, e Tony
ne incarnava suo malgrado il resto. Lui aveva captato quel suo blocco,
che forse aveva dovuto superare
prima di lei: quando voleva dirle qualcosa era lui a
salire, e le aveva detto con la sua solita nonchalance
di
chiamarlo quando aveva bisogno delle sue firme, spacciandolo per un
gesto da gentiluomo per risparmiarle le scale. Non aveva aggiunto
altro, ma Pepper aveva notato come avesse puntato lo sguardo appena
sotto i suoi occhi mentre parlava e di come si fosse trattenuto a
più
riprese dal posare una mano sul reattore. Quel
suo tic nervoso era sicuramente disturbante, ma era anche una chiara
esternazione di quanto lui stesso fosse tormentato dal pensiero di
essersi quasi ucciso, anche se per fortuna non aveva avuto altri
attacchi d'ansia. Non avevano più parlato esplicitamente di
quell'argomento,
ma sembrava che quel silenzio assenso fosse la cosa migliore per
entrambi, per ora.
Lei dubitava che sarebbe mai riuscita a
perdonargli del tutto quel gesto egoista e insensato, né a
comprenderlo appieno, ma sapeva che il suo rancore per lui derivava
soprattutto dall'immensa paura che aveva provato al pensiero di
perderlo. Si rendeva conto degli sforzi che Tony stava facendo per
rimettere in sesto la propria vita e per renderla di nuovo stabile. Il
fatto che avesse esternato di volerla di nuovo accanto a sé
a costo
di ammettere i propri errori e mostrarsi vulnerabile le aveva dato
un'idea di quanto lui ritenesse fondamentale includerla in quella
stabilità. E di quanto lei avesse ancora paura di farne
parte. Ma,
si rammentò ancora, era tornata per restare.
«Signorina
Potts, il signor Andrews è arrivato,»
annunciò JARVIS, facendola
trasalire appena.
Abbandonò
subito lo sgabello sentendosi più leggera, sia per quella
interruzione più che gradita, sia per non essersi sottratta
ai suoi
pensieri ed averli fronteggiati senza cedere di un passo nelle sue
convinzioni. S'inoltrò
nell'atrio per accogliere Kyle con passo deciso e la sua solita,
elegante compostezza, stemperata da un lieve sorriso nel momento in
cui vide l'avvocato fare il suo ingresso alla villa. Il
volto del ragazzo si aprì in un'espressione di pura sorpresa
nel
riconoscerla.
«Virginia!»
esclamò, sospingendosi con brio verso di lei.
Pepper
si chinò per stringerlo in un breve abbraccio, che fu
energicamente
ricambiato. Kyle era rimasto gioviale come lo ricordava, col volto
costantemente rallegrato da un accenno di sorriso un po' furbetto e
gli occhi verdi e vivaci incorniciati dalla montatura scura degli
occhiali.
«Non
pensavo di trovarti qui,» osservò lui, con la
consueta schiettezza.
Pepper
si accigliò appena, ma non si lasciò turbare
più di tanto:
«To–...»
esitò per poi correggersi, «Il signor Stark non ti
ha detto nulla?»
chiese candidamente, pensando poi tra sé che la cosa non era
poi
così strana.
«Non
una parola.» Kyle alzò appena le spalle, ignorando
con tatto il suo
tentennamento. «Insolito, da parte sua. È così
riservato...»
commentò, alleggerendo il discorso.
«Il
signor Stark sa essere molto riservato... a modo
suo e per le
questioni sbagliate,» ribatté Pepper con un lieve
sospiro,
facendogli nel frattempo strada in salone. «Ti offro
qualcosa?»
aggiunse, prima di scivolare in argomenti spiacevoli.
«No,
grazie Virginia. Vado direttamente dal disastro ambulante per capire
cosa vuole.»
«Ti
ha convocato lui?»
Pepper rimase di sasso, allarmata da
quell'insolita volontà da parte di Tony di tuffarsi in
discussioni
legali.
«Mi
sto preparando mentalmente da stamattina,» si
limitò a rispondere
lui, condividendo il suo fatalismo e scuotendo appena la testa.
«Ti
avverto in
caso di un codice rosso, ma non credo sia il caso di
preoccuparsi,»
aggiunse, rivolgendole un sorriso incoraggiante.
«Lo
spero,» quella considerazione le sfuggì.
Incrociò
poi le braccia con fare nervoso, contraendo involontariamente le dita
in una stretta più rigida del normale. Sapeva che la sua
improvvisa
tensione non era sfuggita allo sguardo acuto di Kyle, che infatti
ruppe di nuovo il silenzio:
«Tu
come stai?» chiese, in tono cordiale ma sinceramente
interessato,
oltre che colmo di molti sottintesi e domande secondarie che non
erano difficili da intuire.
Lei
esitò, prendendo in considerazione l'idea di mentire, ma si
rimproverò subito per quel pensiero, e si chiese
perché ultimamente
il suo primo istinto fosse sempre quello. Il fatto di non riuscire a
darsi una chiara risposta la rese solo più inquieta. Si
affrettò a
chiamare l'ascensore per mascherare la propria confusione.
«È
piacevole essere di nuovo qui,» cedette infine senza
incrociare il
suo sguardo, quasi precipitosamente.
Captò
di sottecchi il sorriso che si aprì sul volto del ragazzo,
come se
quell'affermazione gli avesse appena rallegrato in modo definitivo la
giornata.
«Ma
è... difficile. Più di quanto
lo fosse prima, in realtà,»
confessò poi a mezza voce, e si sentì un po' in
colpa nel
pronunciare quelle parole, sapendo che avrebbero demolito il suo
entusiasmo.
L'ascensore
arrivò con un trillo, segnando la fine della discussione.
Prima di
salire, Kyle le rivolse ancora un'occhiata, senza aver perso un
briciolo del suo buonumore:
«Te
lo dico da esperto del settore: le cose difficili alla fine ripagano
sempre più di quelle facili,» asserì
convinto, per poi alzare le
spalle con ovvietà ed entrare nell'ascensore. «Ma
questo lo sai già,
altrimenti non saresti qui. No?» aggiunse, facendole
l'occhiolino e
lasciandola di stucco.
Lei
non poté arginare il rossore che le imporporò le
guance, e portò
una mano alle labbra per celare il sorriso imbarazzato che avrebbe
confermato quelle parole.
***
Tony
stava studiando con aria decisamente insoddisfatta il progetto per
nuovi propulsori della Mark IV che fluttuava davanti a lui, battendo
la punta del piede a ritmo con Born To Be Wild,
quando la spia
dell'ascensore in arrivo si accese su un monitor, distogliendolo dai
suoi calcoli. Si gettò uno sguardo alle spalle e
adocchiò Kyle che
faceva il suo ingresso nel laboratorio, quindi afferrò la
schermata
olografica e la cestinò in toto senza troppi rimpianti,
abbassando
poi la musica a un tenue sottofondo.
«Ehi,
K!» lo salutò, alzandosi con pesantezza dalla
sedia e sventolando
l'orlo della canotta viola dei Lakers per farsi
aria.
Si
era rivestito quel tanto che bastava per celare il reticolo bluastro
sul suo petto e i punti di giunzione delle protesi, ma anche la
leggera e atipica tenuta da basket metteva a dura prova la sua
resistenza al calore. Kyle ricambiò con un rigido cenno
della mano e
un sorrisetto stentato, evidentemente sotto shock per la temperatura
glaciale della stanza. Tony decise di poter alzare il termostato di un
paio di
gradi per evitargli l'ipotermia, e si accostò nel frattempo
al banco
di lavoro iniziando a liberarlo dalla miriade di attrezzi, prototipi
e appunti che lo occupavano.
«Forse
devo installare un turbo a quel tuo trabiccolo. Non è da te
farsi
aspettare,» lo prese in giro, prima che potesse porre domande
scomode sul microclima artico che regnava nel laboratorio.
«Mi
stavo improvvisando consulente di coppia,» ribatté
con prontezza
lui.
Tony
lo fissò perplesso per un istante, poi capì
l'allusione e sbuffò
seccamente. Scansò da parte un cumulo di scarti metallici
con il
bastone in un gesto irritato, facendone cadere alcuni per terra.
«Tu
e il Doc dovete piantarla di complottare alle nostre... alle mie
spalle,» si corresse in fretta.
«Poi ci ringrazierai,» cinguettò Kyle.
«K,
oggi ero partito con le migliori intenzioni, ma ti giuro...»
sollevò
eloquentemente un paio di pinze dall'aria letale, facendo il gesto di
lanciargliele contro.
«Dài,
non agitarti: ti fa male al cuore,» lo interruppe lui con
vivacità,
avvicinandosi a lui del tutto incurante della sua minaccia.
Tony
abbassò l'arma improvvisata, preso in contropiede da
quell'estrema
leggerezza. Scosse appena la testa, cedendo a un sorrisetto; si
convinse infine ad accettare l'ironia dell'amico invece di prenderla
dal verso sbagliato.
«Non
rubare il lavoro al Doc, lo sai che è permaloso,»
commentò a mezza
voce, dandosi una leggera pacca sul reattore a rimarcare il fatto che
il suo cuore stava benissimo.
Si
appoggiò mollemente al tavolo e incrociò le
braccia, facendo per
cambiare discorso, ma Kyle lo anticipò:
«Non
credo che Ian abbia molto da fare, ultimamente. Ti trovo in
forma.»
Stavolta
Tony sfoggiò un sogghigno appagato. Ora che ci pensava,
quando si
erano incontrati per il processo era ancora debilitato dalla sua gita
in spiaggia e impossibilitato a camminare. Per lui doveva essere una
sorpresa vederlo muoversi così facilmente, anche se in
realtà si
sentiva ancora molto impacciato. Era memore delle parole che Kyle gli
aveva rivolto durante la riabilitazione, e sapeva che anche ora era
sicuramente felice per lui. Sentì una bolla d'orgoglio
gonfiarsi nel
proprio petto: era passato molto tempo dall'ultima volta in cui aveva
suscitato l'ammirazione di qualcuno. Voleva solo bearsi di quel
senso di pienezza che lo pervadeva nel realizzare di essere di nuovo
in grado di riuscirci.
«Diciamo
che sono in una fase per lo più positiva,» disse,
roteando il
bastone da passeggio con una mossa teatrale. «C'è
qualche
problemuccio qua e là, ma nulla di irrisolvibile,»
aggiunse, con una
noncuranza un po' forzata.
«Che
intendi?»
«Beh,
le protesi sono in stallo: al momento non posso migliorarle
più di
così.» Alzò le spalle, a
significare
che non se ne faceva un
cruccio, per poi aprirsi in un sorrisetto enigmatico. «Per
questo mi
sono dedicato a te.»
Lo indicò a sorpresa con il
bastone e vide i
suoi occhi sgranarsi appena, meravigliati. Ridacchiò
nel vedere la sua reazione e si staccò dal banco per sedersi
sulla
sua sedia e scivolare accanto a lui, aprendo a colpo sicuro un paio
di schermate a mezz'aria.
«Che
c'è? Pensavi che ti avessi chiamato per discutere di noiosi
tafferugli legali?» lo prese in giro, vedendolo ancora senza
parole
mentre seguiva rapito ogni suo gesto.
«Mi
aspettavo che non fosse per quello,» rispose dopo un po',
mascherando la sua palese euforia e riuscendo a malapena a non
agitarsi sulla sua sedia.
«Ma
non ti aspettavi che fosse per questo,»
lo rimbeccò lui,
gongolando compiaciuto; Kyle non trovò di che ribattere e
abbassò
lo sguardo, puntandolo sulle proprie mani.
Tony
allargò una schermata cripticamente denominata "Progetto
Ph.01
X-K", su cui campeggiavano tre cartelle del tutto anonime e
oscurate; giunse le dita davanti a sé, prendendosi un
momento per
costruire un po' di sana suspense.
«Dunque,
ti ricordi il nostro "piano A", giusto?» esordì
Tony,
aprendo con un tocco la prima cartella e ingrandendo un'immagine.
«Il
reattore spinale,» annuì Kyle, con prontezza,
sfregandosi il naso.
«Allora
c'è qualcuno che mi ascolta!» Tony alzò
con finto stupore le
sopracciglia, per poi tornare a concentrarsi sul progetto sospeso
davanti a loro. «Comunque, sarei un grande fan del piano
A...»
incrociò le braccia, assumendo un'espressione critica.
«Ma...?»
lo spronò Kyle.
Tony
scrollò le spalle, indeciso su come formulare la sua
spiegazione
senza scoprirsi troppo. Il suo sorriso si affievolì appena.
«Ma
comporta dei rischi non indifferenti.»
Tamburellò
sul reattore con
fare assorto, senza neanche cercare di impedirsi quel gesto
rassicurante.
«Pensavo
che il rischio più grosso fosse un flop.»
«Il
palladio è tossico,» disse d'un fiato Tony,
impegnandosi al massimo
per mantenere lo sguardo puntato sull'ologramma. «Il reattore
verrà
impiantato nel tuo midollo spinale e non so che conseguenze potrebbe
avere a lungo termine,» spiegò il più
concisamente possibile e
cercando di non fornire alcun appiglio per eventuali sospetti.
Kyle
rimase in silenzio per qualche secondo, assorbendo l'informazione.
«Hai
riscontrato effetti collaterali?» chiese poi, circospetto.
«No,»
ribatté seccamente lui, messo in allarme dalla sua
perspicacia.
Diede
una schicchera distratta al modellino virtuale, quasi a scacciare
anche quei pensieri molesti.
«Se
bevo la mia clorofilla ogni giorno da bravo bambino, camperò
cent'anni. Ma io non ho micro-reattori arc nella
mia spina
dorsale.»
Si girò verso di lui sfoggiando
sicurezza, senza sapere
se la sua espressione fosse davvero impenetrabile.
«Hai
un reattore nel petto,» osservò l'altro con
ovvietà.
«È
diverso,» tagliò corto lui schioccando la lingua
con improvvisa
irritazione. «K, sto cercando di dirti che il piano A non
è
un'opzione sicura a meno che non riesca a trovare un'alternativa al
palladio. E voglio che tu ne sia cosciente,»
rimarcò, continuando a
fissarlo con insolita serietà e notevole impazienza di
chiudere la
questione.
Kyle
si limitò a un piccolo cenno d'assenso, chiaramente
perplesso dal
suo scatto inatteso, ma evitò con sensibilità di
insistere
ancora su
quel punto.
«So
che ci sono dei rischi. Sono diposto a correrne qualcuno,»
disse
soltanto, in tono definitivo.
Tony
fu tentato dal fargli notare che non aveva la più pallida
idea di
che razza di rischio fosse un'intossicazione da metallo pesante, ma
serrò le labbra per imporsi il silenzio e tornò a
maneggiare
l'ologramma.
«Il
piano B non è auspicabile, anche se ha più
possibilità di
successo,» riprese aprendo la seconda cartella, deciso a non
soffermarsi ulteriormente su quell'argomento spinoso.
Trascinò
il modello delle due protesi inferiori tra loro, sostituendolo a
quello del reattore spinale.
«Con
queste non avrei problemi,» commentò Kyle, anche
se sembrava
comprensibilmente poco entusiasta dall'idea di doversi amputare le
gambe per impiantare delle protesi.
Tony
tossicchiò, improvvisamente a disagio:
«Ti
ho mai parlato delle interferenze che vengono a crearsi tra
più
reattori arc?»
L'altro
sospirò, scoccandogli un'occhiata abbattuta.
«Illuminami,»
lo incitò con un'alzata di spalle.
«Oh,
non c'è molto da dire, in realtà. I flussi
elettromagnetici entrano
in conflitto, gli impulsi nervosi vanno in tilt e muoversi diventa...
complicato, senza qualche aiutino,»
sollevò il bastone da passeggio
a riprova di ciò che diceva, «Magari
hai fortuna e le interferenze saranno minime, come nel mio caso. In
caso contrario,
avresti buttato via due gambe ipoteticamente funzionanti per un nulla
di fatto.»
«In
realtà le mie gambe non sono...» iniziò
a correggerlo Kyle,
confuso.
«E
qui arriva il bello,» annunciò
Tony, di nuovo sorridente e
aprendo l'ultima cartella con una mossa teatrale.
Kyle
assottigliò gli occhi, scrutando con evidente
perplessità il nuovo
ologramma che roteava davanti a lui, probabilmente senza riuscire a
identificare di cosa si trattasse.
«È
un work-in-progress,»
puntualizzò subito Tony, ingrandendo
il modello di quello che sembrava una sorta di telaio di stecche
metalliche.
«Sono...
sostegni?» tentò Kyle, inclinando qua e
là la testa per osservare
il congegno da diverse angolazioni.
«Tutori,»
lo corresse lui, accigliandosi nel vedere l'espressione poco convinta
del ragazzo. «Risponderebbero
direttamente ai tuoi impulsi cerebrali, quindi non ci sarebbe neanche
bisogno di impiantarti qualcosa che riattivi i nervi delle tue gambe;
tanto per cambiare sono alimentati da energia arc e...»
«Ho
già provato a usare apparecchi simili,»
lo fermò Kyle, corrucciato «ma...»
«...
ma erano solo squallidi prototipi o ferrivecchi
obsoleti e
decisamente ingombranti, non certo delle meraviglie all'avanguardia
firmate Stark,» lo interruppe a sua volta lui, con un
sorrisetto
immodesto.
Kyle
tacque, ma la sua dubbiosità era palpabile. Tony
sospirò seccato,
perdendo a sua volta il suo entusiasmo.
«Ehi,
non sarò stato un modello di comportamento corretto negli
ultimi
mesi, ma non sono ancora diventato un incompetente nel mio campo.»
L'avvocato
scrollò le spalle e fece per ribattere, ancora accigliato,
ma Tony
lo zittì con un gesto perentorio della mano meccanica,
aprendo poi
un'altra schermata e trascinando una proiezione della nuova Mark
accanto ai tutori. Lo scetticismo del mondo intero verso le sue
invenzioni iniziava a snervarlo. A quel punto avrebbe anche potuto
fare un falò delle sue lauree al MIT e di tutte le
onorificenze,
premi e attestati ad honorem che aveva collezionato
in ogni
ambito scientifico da quando suo padre gli aveva messo un cacciavite e
un saldatore in mano. Prese
un grosso respiro per riprendere la calma, poi additò
l'armatura:
«Visto
che hai bisogno di garanzie: la tecnologia di questo
gioiellino è la stessa che intendo usare per quelli,»
indicò
i tutori, non riuscendo a evitare di suonare indispettito.
«La
Mark
III era ad oggi il più avanzato esempio di robotica mai
realizzato,
e stiamo parlando di un modello ormai obsoleto. Questa è la
Mark IV,
e continuerà ad essere la più sofisticata
meraviglia tecnologica
esistente,» sottolineò con fierezza.
«Stark,
non stavo mettendo in dubbio...» cominciò Kyle,
parando le mani
avanti nel rendersi conto di essersi posto in modo un po' troppo
prevenuto.
«Farò
finta che non lo stessi facendo,»
ribatté Tony, scoccandogli
un'occhiata eloquente. «Ora, se
prima di bocciare a priori la proposta vuoi dare ascolto
all'esperto...» rivolse un gesto verso se stesso
calcando
quelle parole con ironia, ma con un chiaro sottotono irritato.
Kyle
gli fece infine un cenno con la testa e lo invitò a
continuare,
abbozzando un mezzo sorriso di scuse, e Tony si assicurò che
non
volesse interromperlo ancora.
«Per
te i tutori sarebbero la scelta più ovvia. Tu al contrario
di me hai
tutti gli arti che ti servono; avrei dovuto pensarci prima, ma ero un
po' impegnato a... a fare stronzate,» si portò una
mano alla nuca
con fare impacciato, «e il mio giudizio era troppo offuscato
dai miei
problemi per pensare fuori dal mio
schema.» Scrollò le spalle. «Il tuo
è semplicemente uno schema
diverso; è bastato inquadrarlo per arrivare a un paio di
idee
brillanti. Questo progetto è fatto su misura per
te,» concluse
incrociando le braccia.
«Per
fortuna sei rinsavito,» commentò Kyle, adesso
fissando con più
interesse e meno pregiudizi il progetto proiettato dinanzi a loro.
Tony
rispose con un vago mugugnio d'assenso, per poi riportare il discorso
su un terreno più solido:
«Insomma,
con un po' di tempo e impegno potremmo riuscire a rimetterti in piedi
senza alcuna spiacevole operazione. E con stile! Pensavo a
un'estetica in stile Tron,
magari
non rosa fluo, se
non ti dispiace, e... »
«Sembra
troppo bello per essere vero,» ridacchiò Kyle,
interrompendo le sue
digressioni su design futuristici e stringendo incosciamente la
stoffa dei pantaloni sulle sue gambe esili. «Ma tutto questo
costerebbe milioni di dollari ed è un progetto a parte che
ti
prenderebbe molto tempo, non posso chiederti di...»
cominciò Kyle,
aggrottando le sopracciglia con fare preoccupato.
«Avvocato
Andrews, deve migliorare le sue arringhe;
così mi mette
in pensiero per la prossima udienza,» declamò
pomposamente Tony,
mettendolo a tacere.
L'avvocato
era diventato paonazzo, come sempre quando si agitava.
«K,
eravamo d'accordo dall'inizio e non sono tipo da rimangiarmi le
promesse... di solito,» aggiunse,
spostando lo sguardo di
lato con fare giocoso.
«Vedrò
di impegnarmi al massimo per tirarti fuori dai guai, allora,»
assicurò l'altro, stavolta sorridendo raggiante.
«C'è
un solo problema.»
Tony
si schiarì appena la gola e alzò l'indice
meccanico, prendendo a
guardare ostentatamente l'altro capo della stanza.
«Appunto.»
Kyle alzò gli occhi al cielo, col sorriso che già
sfumava.
«La
tecnologia di cui ti parlo non esiste... per ora.»
Kyle lo fissò basito e Tony parò le mani avanti a
mo' di scudo.
«Te
l'ho detto che è un work-in-progress,»
si giustificò. «Ci sto lavorando per la nuova
armatura. Finora
rispondeva ai miei movimenti quando la indossavo, ora voglio che
reagisca anche ai miei impulsi nervosi a distanza e sto lavorando su
un dispositivo prensile che...» iniziò a spiegare,
entusiasmandosi
involontariamente nel parlare, ma notando l'espressione implorante di
Kyle si obbligò a risparmiargli ulteriori digressioni
tecniche.
«Insomma, per ora il tuo è un progetto collaterale
a Iron Man e ho
una tabella di marcia piuttosto serrata da rispettare... ma non
appena ci sarà qualche progresso tangibile te lo
dirò.»
Kyle
si fece meditabondo e chinò il mento sul petto, scrutando di
sottecchi il modello dei tutori, quasi fosse timoroso di riporvi
troppe speranze.
«E
pensi davvero che sia possibile?» chiese esitante.
«Per
me tutto è possibile,» si
vantò Tony con un sogghigno
tronfio. «Aspetta e vedrai.»
***
23 Agosto, 11:30, Villa Stark
Il
modellino 3D della Mark IV ruotava lentamente su se stesso sotto lo
sguardo attento di Tony, impegnato a capire cosa non lo convincesse
di quell'ennesimo prototipo.
"La
placca frontale è orribile," concluse infine, zoomando sul
componente in questione per poi rimuoverlo dall'armatura.
Tornò
al computer, riprendendo a lavorare sulla progettazione della
corazza; tra un collaudo fallito e l'altro si era concesso qualche
breve pausa per rinnovare il design di Iron Man, un ottimo modo per
svagare il suo cervello sovraccarico. Lo
sviluppo della nuova Mark lo stava facendo impazzire. Principalmente
perché non riusciva ad accettare l'idea di cedere l'armatura
a terzi
e stava rimandando costantemente la progettazione del sistema per
comandarla a distanza; secondariamente perché smaniava dalla
voglia
di indossarla di nuovo e si era trovato più volte a un passo
dal
riassemblare la Mark II per farsi un voletto; infine perché
l'essere
legato a doppio filo alla tecnologia arc iniziava a diventare un
problema insormontabile, snervante e sempre più
preoccupante. Non
importava quale approccio tentasse di intraprendere: si ritrovava
puntualmente a sbattere la testa contro i reattori, i loro limiti e i
loro difetti. Si
era reso conto già da tempo di essere incappato in un vicolo
cieco:
non poteva usare l'armatura sfruttando il reattore cardiaco per via
del consumo di palladio, ma non poteva neanche dotarla di un reattore
indipendente a causa delle interferenze elettromagnetiche. La sua
scelta era ancora quella tra una rapida intossicazione e un infarto
fulminante,
se voleva tornare ad essere Iron Man. Non
era molto dissimile da un altro suicidio.
Si
staccò con stizza dallo schermo, turbato da quel pensiero e
incapace
di lasciarsi distrarre ulteriormente da dettagli futili come la
cromatura della corazza. Sorseggiò un po' di clorofilla e si
forzò
a svuotare l'ennesima borraccia con una smorfia schifata, per poi
scoccare uno sguardo poco convinto al banco di lavoro, dove stava
armeggiando con un dispositivo di ricezione per la nuova armatura
teleguidata. Il suo sguardo divenne astioso e non si
avvicinò.
Sapeva di poter completare il lavoro con una giornata di impegno
costante, ma non riusciva ad obbligarsi a iniziare e continuava ad
accampare scuse con Fury riguardo a problemi e difficoltà
tecniche
inesistenti. Non voleva consegnargli un giocattolino che chiunque
sarebbe stato in grado di guidare: voleva farlo lui col suo stesso
corpo, anche se a distanza.
Ma
non sapeva come. Finora i suoi tentativi di controllo remoto erano
caduti nel vuoto come i pezzi della sua armatura durante i test. Si
era anche arrischiato a coinvolgere il reattore cardiaco in un
paio di collaudi, ma il livello di palladio era aumentato
così
vertiginosamente da spaventarlo, prima di stabilizzarsi a un meno
preoccupante 21% dopo una settimana di clorofilla triplicata ed
estenuante esercizio fisico. Forse
era semplicemente troppo presto per quel tipo di tecnologia. Magari
avrebbe dovuto rendersene conto prima di fare
promesse a K...
Si
abbandonò contro lo schienale, facendo ruotare lentamente la
sedia
su se stessa mentre fissava il soffitto del laboratorio in cerca di
calma, concentrazione, pazienza, lampi di genio e qualunque altra
cosa potesse farlo uscire da quello stato di impasse
soffocante. Si posò una mano sulla fronte, cercando di
alleviare il
cerchio alla testa e allo stesso tempo verificare di non avere di
nuovo la febbre per l'idea che continuava a rimbalzargli in testa da
giorni come una pallina da ping pong fuori controllo. Chiuse
l'occhio, concedendo un minuto a quel pensiero assurdo per sloggiare
dalla sua mente, ma quello rimase piantato dov'era, continuando a
rimbalzare sul posto in un ritmo martellante. Scostò
la mano dalla fronte, dandosi infine per vinto.
"Ma
certo, aggiungiamo anche il mio cervello alla lista di cose che non
funzionano," sbuffò tra sé, al limite
dell'esasperazione.
Si
alzò di malavoglia, zoppicò fino all'ascensore e
salì al
pianterreno, guardandosi quindi attorno con fare circospetto: per una
volta fu contento che Pepper non fosse nei paraggi e sperò
che per
quel giorno rimanesse alle Industries. Attraversò l'atrio,
accostandosi poi al piccolo pensile in cui erano appese le chiavi
delle sue auto. Nell'aprirlo notò con disappunto il velo di
polvere
che vi si era depositato nel corso di quei mesi. Si riscosse e prese
a colpo sicuro la chiave della Ford Flathead rivelandone dietro
un'altra, che afferrò impedendosi di esitare ancora. Ripose
la
chiave dell'auto e si rigirò l'altra nella mano sana,
osservandone
la fattura spartana e un po' antiquata, in netto contrasto con quella
villa sontuosa e all'avanguardia.
Richiuse
il mobiletto e si diresse con passo claudicante ma deciso verso il
piccolo disimpegno seminascosto che occupava il fondo del salone, su
cui si apriva
un'unica porta. A differenza delle altre non era mai stata intaccata
dalle numerose ristrutturazioni della villa: era in legno bianco un
po' tarlato, con una maniglia d'ottone ormai scurita dal tempo e
screziata di verderame. Infilò con qualche
difficoltà la chiave
nella toppa, incontrando resistenza da parte della serratura indurita
dagli anni. Riuscì infine a far scattare le mandate con due
schiocchi rugginosi; la porta si schiuse appena da sola, ruotando sui
cardini allentati.
La
spinse con cautela e mise infine piede nell'ex-studio di suo padre,
inspirando l'odore di chiuso, carta e mobili vecchi che permeava
l'aria ferma. Cercò a tentoni l'interruttore, e una
tremolante
lampadina proiettò una luce giallognola nello stanzino,
talmente
pieno da disorientarlo per qualche istante. Il piccolo spazio era
riempito da una mezza dozzina di portadocumenti ricolmi di cartelle e
raccoglitori straripanti di progetti; una libreria occupava la parete
di fondo, stipata di libri su ogni argomento scientifico
immaginabile; davanti ad essa, tra un baule e un plastico per la Expo
del '74 poggiato al muro, era incastrata la massiccia scrivania di
rovere ingombra di schizzi e bloc-notes ammassati alla rinfusa,
assieme a qualche cianfrusaglia elettronica ormai obsoleta.
Tony
sospirò nell'aria stantia e accostò la porta alle
sue spalle: se
davvero c'erano altre informazioni sulla tecnologia arc, le avrebbe
trovate lì.
***
23 Agosto, 16:00, Villa Stark
L'ennesimo
fascicolo in triplice copia riguardante il Progetto Rebirth
volò
attraverso la stanza, atterrando a faccia in giù sulla pila
già
accumulata in un angolo; accanto si ergeva una piramide di fogli
appallottolati prossima al collasso.
In
sottofondo gracchiava il vecchio giradischi che aveva ripescato tra
quelle anticaglie, e nello stanzino si diffondevano le note morbide e
un po' smielate di una raccolta di Ben E. King trovata tra i vinili
di sua madre, un vano tentativo di placare i suoi nervi logorati da
quelle impreviste pulizie di primavera. Neanche Stand By Me
stava riuscendo nell'intento.
Tony,
a gambe incrociate per terra, accartocciò l'ennesimo
progetto
incompleto e lo lanciò con precisione sugli altri. Si
concesse un
sospiro stremato che terminò in un forte starnuto,
probabilmente il
trentesimo da quando si era immerso in quelle scartoffie impolverate.
Tirò su col naso, con l'occhio che lacrimava.
Fissò con fare
sconsolato la montagna di carta straccia davanti a lui e i pochi,
miseri fogli che aveva recuperato e che parevano avere qualcosa a che
fare con i reattori arc. Iniziava
seriamente a pentirsi di non aver dato una parvenza d'ordine alla
mole di scartoffie accumulate da suo padre nel corso degli anni. Del
resto, nel '91 era stato un po' troppo impegnato a far finta che
tutto ciò non esistesse per pensarci.
Afferrò
l'ultimo dossier un
po' ammuffito, sfogliandolo con occhio ormai allenato a cogliere
qualsiasi formula o schema riguardanti fusione a freddo, palladio o
campi elettromagnetici; pochi secondi dopo il dossier in questione
decollò dalle sue mani andando a far compagnia al resto
della carta
destinata al macero. O più probabilmente allo SHIELD: era
certo che
avrebbero fatto i salti di gioia alla scoperta di avere altri
documenti da digitalizzare.
Lanciò
un verso d'esasperazione e si sollevò a fatica da terra,
facendo leva su uno scaffale e scrollandosi il fondo
dei pantaloni impolverato. Aprì l'ultimo cassetto
dell'ultimo
schedario, in cui si annidava il successivo e ultimo carico di
documentazione da esaminare. Se da una parte era lieto di aver
concluso parte della sua ricerca, dall'altro era consapevole di non
aver trovato assolutamente nulla
d'illuminante. Più si
riduceva
il materiale a disposizione, più si assottigliavano le
possibilità
che in esso si celasse la risposta che cercava. Non era neanche del
tutto certo di cosa
stesse
cercando, in effetti, ma doveva esserci qualcosa
che gli era
sfuggito. Suo padre aveva inventato il reattore da solo, in un'epoca
in cui un aiuto come JARVIS e le tecnologie di cui disponeva lui non
erano neanche lontanamente
immaginabili: per quanto lo infastidisse ammetterlo, doveva
saperne per forza più di lui, no?
Si
sedette di nuovo per terra, barcollando sotto la bracciata di
incartamenti che stringeva al petto e dandosi da fare con ansia
crescente per farne la cernita. A
metà della pila si entusiasmò nel captare la
forma conosciuta di un
reattore arc e sfilò il foglio dal suo fascicolo con
esultanza, per
poi adombrarsi nel notare che erano semplicemente degli schemi
riassuntivi del vecchio reattore originario ormai distrutto. Stava
per accartocciarlo in preda alla frustrazione, ma si costrinse poi a
riporlo sulla sottile risma accanto a lui, in un ostinato
attaccamento alla speranza che avrebbe comunque potuto cavarne
qualcosa di buono. Stava iniziando a sperare in qualche messaggio
cifrato nascosto nei progetti, ma finora l'unico "codice"
che aveva rilevato era la grafia incomprensibile di suo padre, che
aveva suo malgrado ereditato.
Terminò
di scandagliare senza successo e con molti starnuti anche l'ultimo
plico, per poi rimanere con lo sguardo fisso nel vuoto a chiedersi
perché avesse appena gettato al vento quattro ore della sua
giornata. Non era riuscito a trovare nessuno dei preziosi quaderni di
appunti di suo padre, di cui aveva una chiara immagine che non
riusciva a collocare all'interno di quel marasma di libri,
cianfrusaglie e ricordi. Ci sarebbero voluti giorni per
disseppellirli e non aveva neanche la certezza che fossero davvero
lì. Forse li aveva nascosti chissà dove,
paranoico com'era. Non poteva biasimarlo. Scoccò
un'occhiata sbieca al baule di sua madre: sperava che non fossero lì,
perché non aveva la minima intenzione di aprirlo, ne andasse
pure
della sua vita. Seguì poi indolentemente la successione di
copertine
colorate che ravvivava la libreria di legno scuro, riconoscendo a
colpo d'occhio i titoli che aveva letto nel corso della sua
adolescenza: manuali, trattati e saggi scientifici che conosceva
quasi a memoria, inutili in quel momento. Forse però poteva
valere
la pena esaminare i fogli spiegazzati che sporgevano qua e
là tra le
pagine.
Scorse
uno scaffale in alto, occupato da una mezza dozzina di volumi dalla
copertina simile, e sorrise appena nel riconoscere la "versione
commentata Stark" di alcuni libri di Jules Verne, in cui lui e suo
padre si erano impegnati a mettere in luce e correggere tutte le
assurdità scientifiche e ingegneristiche in essi contenuti.
Suo padre enunciava le teorie e formule corrette, appuntandole
tra le righe, e lui ascoltava rapito, disegnando modelli alternativi del Nautilus a bordo
pagina.
I libri
erano di sua madre: suo padre gli aveva fatto giurare di non dirle
nulla quando avevano iniziato a scarabocchiarli da cima a fondo senza
ritegno, in concorde complicità. Era
uno dei rarissimi ricordi piacevoli che serbava di lui, se non
l'unico. Affondò il mento nel palmo della mano, incupendosi.
Probabilmente nei suoi primi anni di vita la novità del suo
arrivo
era stata ancora abbastanza interessante da spingere suo padre a non
ignorarlo del tutto. Ricordava ancora il momento in cui, a poco meno
di quattro anni, era entrato speranzoso in quello stesso studio con
Dalla Terra alla Luna in mano, solo per sentirsi
rispondere
seccamente che "ormai era grande per quelle sciocchezze".
Un modo come un altro per dire che non aveva più tempo per
lui.
Si
guardò ancora attorno: dovunque posasse lo sguardo si
rievocavano mille
immagini conosciute, per lo più sgradevoli. Stava iniziando
a
sentirsi oppresso. Non era quello il momento per fare un nostalgico
tuffo nel
passato ed elaborare tutto ciò che si era rifiutato di
affrontare
nel corso di quei lunghi anni. Si
costrinse a rialzarsi aggrappandosi a uno schedario,
recuperò il
bastone e si cacciò nella tasca posteriore i pochi documenti
reperiti, imponendosi
un ultimo sopralluogo prima che l'aria là dentro diventasse
troppo
soffocante. Sollevò il braccio del giradischi che ormai
grattava a
vuoto e ripose con cura il vecchio vinile, per poi mettersi
all'opera.
I foglietti che reperì nella libreria non erano altro che
vecchi appunti del MIT e ritagli di articoli scientifici. Sulla
scrivania e nei suoi cassetti non trovò nulla di rilevante,
a parte
degli spartiti di sua madre ingialliti dal tempo e una solitaria foto
di famiglia formato portafoglio. E a parte a una fialetta appoggiata
quasi distrattamente sul fondo di un cassetto che, a occhio,
conteneva qualcosa come cinquantamila dollari in vibranio grezzo,
concentrati nei pochi grammi di una scheggia bluastra delle
dimensioni di un'unghia. Probabilmente era un souvenir non del tutto
autorizzato del Progetto Rebirth.
Il
resto era tutta carta straccia. Inserì la foto tra le pagine
degli
spartiti e li ripose dove li aveva trovati non prendendo neanche in
considerazione l'idea di portare qualcosa fuori di lì, ma
chiedendosi allo stesso tempo dove fosse finito l'unico album di
famiglia che avesse mai visto circolare per casa. Soppesò
la fialetta impolverata scrutandone brevemente in controluce il
contenuto, poi mise a posto anche quella: in un altro momento si
sarebbe probabilmente fiondato in laboratorio trattenendo a stento
l'euforia, ma sapeva già che il vibranio non era applicabile
alla
tecnologia arc. Poi, con quella misera quantità sarebbe
riuscito solo
a condurre qualche test e simulazione improduttivi; stava
già perdendo troppo tempo e sentiva l'urgenza di concludere
qualcosa
di effettivamente utile, prima che il problema del palladio
diventasse ingestibile. Richiuse
con fermezza il cassetto, sigillandone il contenuto almeno allo
sguardo.
Prima
di costringersi ad uscire si avvicinò con un passo sbilenco
al
plastico della Expo. Scostò il telo che lo copriva con un
unico
gesto del bastone da passeggio, rivelando l'ordinata disposizione di
edifici, strade e parchi al di sotto. Rimase
a fissarlo per lunghi secondi, riconoscendo l'estrema cura infusa in
ogni linea e dettaglio e la minuziosità con cui persino ogni
singolo
albero era stato collocato. Inclinò appena la testa di lato
con
lieve rammarico: suo padre si era dedicato alla Città del
Futuro con
tutto se stesso, venendone risucchiato soprattutto negli ultimi anni.
Da ragazzo aveva pensato a una sua fissa senile e utopistica che
sostituisse quella per lo scudo in vibranio e il suo attempato
proprietario ormai irrintracciabili. All'epoca non era riuscito a
concepire cosa ci fosse di così importante in un "contentino
per gli ambientalisti", come lo chiamava spesso Stane. Adesso capiva
che suo padre era stato alla disperata ricerca di
un'opera che potesse rivelarsi all'altezza di quell'unica "cosa
giusta" che sentiva di aver fatto. O forse era lui a volerla
vedere così, col senno di poi e col peso di qualche errore
di
troppo
sulle spalle. Si
scoprì accigliato: non si era reso conto della tensione in
cui si
era a poco a poco contratto il suo volto.
C'era qualcosa che potesse
essere all'altezza di Iron Man? Quel pensiero lo lasciò a
fissare
smarrito quel progetto mai realizzato.
Il
suo sguardo fu catturato dall'Unisfera al centro del plastico, dalla
quale si diramava a raggiera tutto il resto del complesso con
ordinata rigorosità. Arrivò a soffermarsi sulla
targhetta metallica
infissa in un angolo: Stark Expo, 1974.
Aveva
dei ricordi confusi ma molto vividi dell'anno della Expo: le
passeggiate con sua madre tra le bancarelle della fiera, le ore e ore
passate a gironzolare nel parco addobbato a festa, le migliaia di
invenzioni che lo avevano affascinato e che aveva puntualmente
tentato di emulare in proprio, tutte le volte in cui si era
intrufolato in aree riservate... certo, se fosse stato lui ad
organizzare il tutto, l'evento sarebbe stato molto più
scenografico. Si sarebbe impegnato un po' di più per le
cerimonie d'apertura e chiusura, per esempio. Più fuochi
d'artificio, tanto per
cominciare, e più pin-up e champagne. Iron Man sarebbe stato
sicuramente la mascotte della fiera; magari avrebbe piazzato ovunque
sponsor per l'energia pulita; forse ci sarebbe stato un padiglione
dedicato esclusivamente alla biomedica.
Coprì
con la punta del bastone la data incisa sulla targhetta, meditabondo.
"Stark
Expo, 2010," scandì mentalmente dopo qualche
istante.
Il
suo volto fu attraversato da un sorriso sghembo.
"Perché
no?"
***
Quando
accostò la porta dello studiolo dietro di sé, la
sua mente era
ancora in bilico tra la frustrazione per aver imboccato l'ennesimo
vicolo cieco e il quieto senso d'aspettativa al pensiero di una
futura Stark Expo. Al
momento, la frustrazione stava avendo la meglio assieme al mal di
testa latente che iniziava a sovrastare gli antidolorifici, causato
molto probabilmente dal palladio. Però aveva appena trovato
un nuovo
modo utile per tenersi occupato, e in cuor suo non vedeva l'ora di
lanciarsi in un nuovo progetto con dei solidi sbocchi che compensasse
quello frustrante di Iron Man e che lo distogliesse dal reticolo
violaceo che continuava ad allargarsi sul suo petto.
Era
talmente assorto che non si rese conto di Pepper finché non
se la
trovò a un passo di distanza, con occhi accesi di stupore
nel
vederlo uscire da quella porta.
«Signor
Stark!» la sua voce tradì una squillante nota di
sollievo.
«Ehi,
Pep,» la salutò sovrappensiero, per un istante
dimentico della loro
situazione ancora precaria, dei problemi irrisolti e delle loro
"esistenze complicate".
«Finalmente
l'ho trovata,» sospirò, e Tony colse un'ombra
d'imbarazzo sul suo
volto; si affrettò a ritornare presente a se stesso:
«Signorina
Potts, sono costretto a farle notare che oggi è meno
impeccabile del
solito...» accennò alle ciocche di capelli
sfuggite alla sua solita
coda alta, al fatto che fosse a piedi nudi e all'acceso rossore del
suo volto che quasi oscurava le sue lentiggini, come se avesse corso.
«L'ho
cercata ovunque, non ha idea di
quanto...»
«...
ma questo look spontaneo le dona,» continuò
imperterrito lui,
terminando la frase con un sorriso ammiccante, che ovviamente cadde
nel vuoto di fronte ad anni di consumato allenamento alle sue
galanterie da dongiovanni.
Mise
a fuoco solo allora il voluminoso plico di documenti che la donna
portava sottobraccio, con tutta l'aria di essere destinato a lui.
«Non ho pensato a cercarla lì,» ammise
Pepper, lanciando una rapida
occhiata alla porta appena socchiusa dietro di lui.
«Sono
disposto a tutto, pur di evitare il lavoro d'ufficio,»
scrollò le spalle lui, badando bene a tenersi fuori dalla
portata
delle scartoffie. «Si
è
preoccupata?»
aggiunse a bruciapelo,
e fu chiaro che quella domanda la mise in difficoltà.
«No,
è solo che... non sapevo dove fosse,» rispose
debolmente.
«Si
è preoccupata,»
concluse
lui, sospirando a metà tra il deluso e il colpevole.
«Un
po',» ammise lei, nel chiaro sforzo di mantenere ferma la
voce.
«Si
vede che non mi sono ancora impegnato abbastanza,»
commentò lui con un'alzata di spalle un po' sconsolata.
«Ammetto che
in altre circostanze ci sarebbe sicuramente stato un qualche intento
masochista nel voler rientrare là dentro, ma le assicuro in
questo
caso era una pura necessità tecnica, del tutto
innocua,» spiegò in
tono leggero.
Pepper
annuì appena, molto poco convinta e palesemente turbata dal
fatto
che fosse entrato nello studio di suo padre di sua sponte
uscendone persino di buonumore.
«Ora
che ci penso, lei non ha mai visto lo stanzino inutile,»
realizzò
Tony un po' a sproposito, schiudendo appena la porta alle sue spalle
col bastone
per rivelare il caos che regnava oltre la soglia.
«Può sbirciare,
non ci sono mostri nell'armadio, polvere a parte,» la prese
in giro
nel vedere la sua esitazione, facendole cenno di affacciarsi.
Lei
eseguì quasi con timore, non riuscendo a trattenere uno
sguardo
meravigliato nel trovarsi davanti quella babele. Nel farlo, si
portò
al suo fianco, e Tony si scoprì a trattenere appena il
respiro quando
captò il profumo dei suoi capelli appena lavati –
un sentore di giglio.
Scostò cautamente
lo sguardo dalla stanza alla donna, non riuscendo a impedirsi di
osservarla di sottecchi. Seguì i tratti delicati del suo
volto, il
profilo aggraziato del naso, la curva delle labbra appena schiuse, la
linea elegante del collo... ritornò bruscamente in alto e
stavolta
venne calamitato dall'iride ceruleo che intravedeva oltre le ciglia
chiare e arcuate. Da quanto non si trovavano così vicini?
«Prima
era messo meglio,» disse in fretta, distogliendosi dai suoi
pensieri
fuori controllo.
Il
fatto che indossasse quel suo tailleur scuro a pois che le lasciava
scoperte le spalle, rivelando le leggere efelidi che le
punteggiavano, non lo stava affatto aiutando.
«E
quello è opera mia,» accennò
rigidamente alle pile di fogliacci
accatastate per terra. «Dovrò spedirne una parte
allo SHIELD,»
aggiunse con la bocca secca.
Non
riusciva a staccare gli occhi dal suo volto e si frenò
appena in
tempo quando si accorse di essersi inclinato appena verso di lei.
"Datti
una calmata," si rimbrottò duramente, allo stesso tempo
confuso dall'improvvisa indisciplinatezza del proprio corpo.
Pepper
voltò la testa verso di lui, del tutto ignara del modo fin
troppo
intenso in cui l'aveva osservata e del brusco movimento con cui si
era ricomposto. Nell'incrociare il suo sguardo fu molto vicino a
ricadere nell'espressione inebetita di poco prima. Si
affrettò a
fissare lo studio fingendosi rilassato, invece di indugiare ancora
sulle lentiggini del suo décolleté.
«Da
quanto non ci entrava?» gli chiese lei, con cauta
curiosità.
Lui
si appoggiò allo stipite, riflettendo e approfittandone per
mettere
qualche centimetro di distanza in più tra loro.
«Come
minimo dieci anni,» stabilì infine. «Lo
sa che non sono un tipo
nostalgico,» aggiunse poi, con una smorfia ironica ma un po'
tirata.
Il
denso silenzio da parte di Pepper gli fece capire che forse stavano
entrando in un terreno un po' troppo delicato e fece per sviare il
discorso, ma lei lo anticipò:
«Non
c'è nulla di male ad essere un po' nostalgici. Anche se si
è Tony
Stark,» specificò, con un piccolo sorriso che lo
colse di sorpresa
facendogli mancare un battito.
Sfuggì
di nuovo il suo sguardo e lo puntò sulla piccola stanza
polverosa e
stipata di ricordi. Si trovò ad accostare la porta e
chiuderla a
chiave senza neanche rendersi conto di essersi mosso.
«Un
po' di nostalgia va bene, ma a piccole dosi,»
chiarì, adesso un po'
in soggezione di fronte a quegli occhi tersi che come sempre
sembravano leggergli dentro.
Sperò
che non riuscissero a intuire proprio tutto quello
che gli
passava per la testa, o avrebbe dovuto fornirle delle spiegazioni
molto imbarazzanti. Si rigirò la chiave in mano, prendendo a
passare
il pollice sulla dentallatura seguendone il profilo.
«Mi
farebbe un favore?» esalò dopo qualche secondo,
prima di perdere il
coraggio per parlare.
Pepper
arcuò le sopracciglia, lasciando spazio all'espressione
circospetta
e assolutamente irremovibile che assumeva nel fronteggiare le sue
richieste eccentriche.
«Signor
Stark, dieci anni con lei mi hanno insegnato a non rispondere mai
di sì a questa domanda prima di sapere di cosa si
tratti.»
«È
sempre così
sospettosa,» si
lamentò lui, inclinando appena la testa e fissandola con
fare
offeso.
«Ne
ho buon motivo.»
«L'ultima
volta che le ho chiesto esplicitamente un favore è stato per
spogliarmi, non mi dica che le è dispiaciuto così
tanto,» insinuò lui, per poi notare la sua
reazione decisamente
poco divertita e fare subito dietrofront. «Ha il diritto di
rimanere
in silenzio di fronte alla mia palese
mancanza di tatto,»
aggiunse
rapido, alzando le mani in segno di resa e con un'espressione quasi
implorante stampata in volto.
Pepper
rimase in attesa senza commentare, con una pazienza che ritenne
invidiabile ma probabilmente non inesauribile, così
evitò di
testarla più del necessario. Si schiarì un poco
la gola, segnando
la fine del suo umorismo fuori luogo, forse dettata dall'assenza di
sangue nel suo cervello.
«La
chiave va là dentro,» additò il
mobiletto dall'altra parte del
pianterreno e piazzò l'oggetto in questione a un palmo dai
suoi
occhi azzurri e sorpresi, «luogo che ritengo fin troppo
lontano per
qualcuno in condizioni precarie come le mie; perciò, magari
non
subito, ma quando ha tempo, possibilità e voglia, sarebbe
così
gentile da...»
Pepper
gli sfilò con gentilezza la chiave dalle dita, sfiorandole
appena e
tradendo una lieve titubanza. Tony frenò il flusso
incoerente di
parole che aveva portato un assurdo, tenue calore sulle sue guance.
«Le
farò questo favore,» gli accordò
semplicemente lei, stringendo poi
la chiave in mano con un gesto che gli sembrò quasi
premuroso.
Tony
si rilassò in un sorriso sincero, contento di averle
affidato quel
pezzo di sé che non aveva mai avuto modo di condividere,
sebbene in
modo un po' impacciato. Dubitava che lei sarebbe mai entrata nello
studio per conto suo, ma era il gesto che contava ed era convinto che
lei fosse abbastanza perspicace da interpretarlo nel giusto modo.
«Grazie,»
disse soltanto, in modo un po' goffo e sottintendendone molti altri.
«Prego,»
rispose lei con un'espressione improvvisamente scaltra, e gli
mollò
a sorpresa il plico di documenti che aveva tenuto in mano fino a quel
momento.
Tony
lo afferrò d'istinto, rendendosi conto con una frazione di
ritardo
del raggiro.
«Questo
è tradimento!» riuscì a protestare
mentre lei già si allontanava,
decisamente soddisfatta della sua mossa.
«Buon
lavoro, signor Stark,» si limitò ad augurargli, e
Tony colse il
sorriso nella sua voce.
«Anche
a lei, signorina Potts,» sorrise di rimando.
***
26 Novembre, Villa Stark
Un
giorno o l'altro avrebbe finito per sgozzarsi, vista la combinazione
tra la mano mancina malferma e la protesi incontrollabile che
decideva di dare il meglio di sé proprio mentre si radeva.
All'ennesima
scalfittura che si rimediò sul mento si decise a sciacquarsi
il
volto dalla schiuma da barba e a rimandare l'incombenza al giorno
dopo. Ripose stizzito il rasoio nell'armadietto... con un po' troppa
foga, visto che finì per far cadere a terra metà
del suo contenuto. Imprecò,
fissando sconsolato il disastro di boccette e accessori da bagno
disseminati sulle piastrelle e maledisse la protesi che si ostinava
ancora a muoversi come voleva lei. Meditò di lasciare tutto
così
com'era, ma poi pensò che avrebbe dovuto fornire delle
spiegazioni a
Pepper e accantonò l'idea.
Odiava
inginocchiarsi o chinarsi: erano movimenti che gli facevano ancora
vedere le stelle, ma si rassegnò a stringere i denti e ad
accucciarsi con una smorfia sofferente per rimediare a
quell'incidente. Almeno non si era rotto nulla. Stava
giusto per raccattare l'ultimo oggetto quando si bloccò a
metà del
gesto nel riconoscerlo. Rovesciò distrattamente nel
lavandino tutto
ciò che aveva appena raccolto e afferrò il
rilevatore di tossicità,
facendo poi leva sul bordo di ceramica per rimettersi in piedi.
Fissò
con malcelata apprensione quella scatoletta metallica, cosciente che
dalla sua incursione nello studio di suo padre non aveva più
controllato il livello di palladio. In realtà si era
volontariamente
dimenticato di farlo, forse illudendosi che, se avesse messo da parte
per un po' il diabolico congegno, questo gli avrebbe finalmente
annunciato buone notizie, quasi fosse un essere senziente e
suscettibile. Aveva addirittura riprogrammato JARVIS
affinché
smettesse di ricordargli di controllare regolarmente lo stato
dell'intossicazione.
Soppesò
lo strumento nella mano meccanica, tentato dal disintegrarlo con una
semplice stretta.
Erano
stati mesi sereni, addirittura riposanti: Pepper sembrava essere
tornata quella di molti anni prima, in quella fase iniziale in cui
non si conoscevano ancora così bene da poter passare intere
ore a
battibeccare, ma comunque abbastanza per poter scherzare e
chiacchierare con una disinvoltura che andava oltre il puro rapporto
lavorativo. L'ultimo processo si era risolto vittoriosamente sia sul
fronte Iron Man che su quello delle protesi e lasciava scoperta solo
l'annosa questione di Stane, ma l'influenza sotterranea dello SHIELD
gli aveva ritagliato un lungo periodo di pausa da quelle beghe legali
fino al nuovo anno. La Mark IV era ormai in fase di assemblaggio:
forse era venuto a capo di quei dispositivi di controllo remoto e il
progetto
per Kyle procedeva di conseguenza meglio di quanto avesse sperato.
Persino i
Vendicatori e Rhodey lo contattavano regolarmente per avere
novità su lui
e Iron Man, incluso Thor, che aveva ammorbidito un po' i toni nei
suoi confronti. E
lui fantasticava spesso, volentieri e per ora in segreto su una futura
Stark
Expo, riempendo taccuini su taccuini di appunti e progetti e
programmi forse irrealizzabili, ma che lo mettevano di buon umore.
L'unica
nota stonata era che le protesi avevano infine imposto i loro limiti
definitivi a causa delle interferenze tra i reattori, ma non era
qualcosa di cui potesse realmente lamentarsi: era autonomo e
camminava, seppur con un bastone da arzillo vecchietto. Magari non
avrebbe mai corso una maratona, ma poteva ancora sperare di rientrare
nell'armatura, prima o poi. A vedere il lato positivo, in
virtù di
quel fatto si era deciso a sottoporsi alla perizia tecnica per le
protesi, ovvero mezz'ora di estenuanti diatribe con quell'incompetente
di Hammer sotto la supervisione di Kyle e Knight. Un incubo coi
fiocchi, ma adesso era in impaziente attesa del responso e, sperava,
della licenza che l'avrebbe finalmente reso libero di lasciare sulle
sue gambe quelle
quattro mura che iniziavano ad andargli più che strette.
In fin dei conti, andava tutto bene.
Poi
c'erano quei lievi, subdoli sintomi in preoccupante aumento, al punto
che ormai si stupiva quando si rendeva conto di non avere mal di
testa, nausea, o riusciva a dormire una notte intera senza che i
moncherini o l'ansia lo svegliassero. Il
rilevatore di tossicità sembrava fissarlo e giudicarlo
attraverso il
display spento, come a ricordargli che tutto ciò che aveva
occupato
la sua mente e i suoi giorni fino ad allora non erano state altro che
distrazioni per coprire il problema più grave e pressante,
che aveva
ancora una volta scelto di ignorare per far finta che
andasse tutto
bene.
Premette
il pollice sull'ago con un'angoscia torbida, venata da una punta di
speranza che i suoi timori venissero smentiti.
Il
27% lampeggiò minaccioso, riportandolo bruscamente coi piedi
per
terra. Scrollò
la mano intorpidita con aria assente, osservando da dietro un velo
plumbeo la goccia di sangue che si allargava come un fiore vermiglio
sul suo polpastrello, in un tacito monito di quel che stava
accadendo. Ripose in tasca il rilevatore di
tossicità.
Non
aveva più tempo per le distrazioni.
Sssalve!
Rieccoci sintonizzati su questi schermi! Queste note saranno lunghe anche per i miei standard, vista la quantità forse eccessiva di eventi nel capitolo. Lettori avvisati, mezzi salvati :P
-Innanzitutto: i sintomi che ho affibbiato a quel poveraccio di Tony sono davvero riscontrabili nelle intossicazioni da metallo pesante, incluse le vampe di calore improvvise. Sì, mi hanno praticamente servito su un piatto d'argento una scusa per fare un po' di fan-service :'D
-Parlando di fan-service: qui passiamo da Tony capellone stile Iron Man post-Afghanistan a un aspetto più simile a quello che ha in Iron Man 3. È un dettaglio forse irrilevante, ma visto che dal punto di vista psicologico è adesso più vicino a "quel Tony" ho pensato di farlo emergere anche nell'aspetto.
-Passando a Kyle <3 I tutori che cito sono ripresi da quelli di Rhodey in Civil War. Quando abbiamo iniziato la storia non avevamo idea degli sviluppi del MCU, ma visto che le vicissitudini di Rhodey cadono a pennello, perché non sfruttarle?
-Tutta la faccenda dell'armatura prensile/teleguidata rimanda alle migliorie che Tony apporta in Iron Man 3 e nei film successivi; qui è tutto anticipato di un paio d'anni, quindi le difficoltà che incontra nel progettarla sono accentuate rispetto a quelle di IM3. Per capirci, l'obiettivo è sviluppare un'armatura come quella che si vede in Homecoming quasi 10 anni dopo, ovvero controllata da lui ma a distanza.
-Le problematiche relative alle interferenze elettromagnetiche, già introdotte nei capitoli precedenti, sono un tentativo di spiegare perché in Iron Man 2 Tony non fornisca l'armatura di un reattore indipendente, invece di continuare a usare il proprio anche quando l'intossicazione è alle stelle. Spiegazione labile, ma credo sia meglio di rendere Tony ottuso per il 90% del film (sì, Favreau, sto guardando te).
E niente, alla fine arriva
Concludo col dire: godetevi lo pseudo-fluff, finché potete :P
Un ringraziamento enorme a _Atlas_, 50shadesofLOTS_Always, Emyclarinet e Sherlock_Watson che hanno recensito gli scorsi capitoli :D <3 E anche a tutti coloro che leggono e basta, seguono o hanno aggiunto la storia tra le preferite/ricordate :)
Ah, il capitolo successivo è stato il primissimo che ho scritto quando ho ripreso Phoenix e probabilmente quello che più mi è piaciuto scrivere e sviluppare assieme a Show&Tell, quindi ammetto che sto scalpitando da mesi per arrivarci :D
Un bacione e spero a presto,
-Light-
P.S. Smoke and mirrors è un modo di dire inglese che vuol dire all'incirca "mascherare la realtà", o comunque offuscarla per dirottare l'attenzione su altre cose, spesso irrilevanti o frivole. Capito, Tony?
P.P.S. Momento-stronzata: la menzione ai Lakers deriva dallo spot di Homecoming per la finale dell'NBA (qui), in cui Tony invita, tra gli altri, il presidente della squadra "Magic" Johnson a vederla a casa sua. Ho dedotto che potesse essere un tifoso dei Lakers e nessuno mi convincerà mai del contrario :P
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