Film > Zootropolis
Segui la storia  |       
Autore: Leonhard    13/07/2018    2 recensioni
Judy si volse verso la sagoma della lontana Zootropolis. Vixen aveva detto che il cavallo era il pezzo più forte della scacchiera, Alopex aveva scelto un cavallo per guidare gli eventi: forse avevano previsto tutto, forse no, ma in fin dei conti era quasi giusto che fosse stato un cavallo a dare scacco matto e vincere la partita.
E la città, sapeva, avrebbe continuato a bruciare.
Genere: Guerra, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Capitan Bogo, Judy Hopps, Nick Wilde, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Distopian Zootopia'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Distopia Scarlatta
 

Uno sparo.

Era stato uno sparo: di questo ne era sicuro. La sua eco risuonava ancora nelle orecchie di Howler, inondandogli il corpo di un flusso caldo e la spina dorsale di un brivido tutt'altro che spiacevole. I muscoli si tesero ed il pelo punse da sotto il colletto, la vista si ampliò ed i suoni divennero più intensi, con una ridondanza mai sentita prima.

Ringhiò un sorriso e si passò la lingua sulla labbra: sapeva da dove era partito il colpo e con un po' di fantasia poteva anche capire chi ci fosse dietro l'arma, ma per arrivare a quel bianco, delicato, morbido collo da stringere tra le mascelle avrebbe dovuto passare per un branco troppo grosso di predatori troppo grossi.

Predatori che davano segni di irrequietezza a quello stesso suono, le cui ultime risonanze andavano disperdendosi nell’aria. Per qualche istante regnò il silenzio, poi dal gruppo dei predatori risuonò il primo ruggito: qualunque cosa volesse dire non doveva essere lusinghiero. A quel ruggito, se ne aggiunse un altro, poi un altro ed un altro ancora e nel giro di pochi minuti nell’aria risuonava un concerto di suoni gutturali, acuti, roboanti e taglienti.

Un secondo sparo fece saltare un piccola porzione di asfalto poco lontano dalla zampa di un puma: quasi fosse un segnale, i predatori palesemente pazzi di rabbia si lanciarono contro il palazzo, contro i lupi, con un’assordante cacofonia di battaglia.

Per i primi istanti, Howler si rifiutò di credere a ciò che vedeva: rimase paralizzato come tutti i suoi colleghi, fissando gli occhi di una iena lanciata verso di loro. In quello sguardo sterile lesse tutto e niente: vide la voglia di giustizia e di vendetta, di amore e odio, di sprofondare nella natura primitiva e di tornare indietro nel tempo a prima di quella infernale nube azzurra. Ed allo stesso tempo non lesse nulla di tutto ciò. Prese spunto dalla iena senza nome e, estratta la pistola, spense quegli occhi per sempre con una singola flessione del dito.

Il terzo boato cancellò l’ultimo baluardo di ragione: in un singolo istante, i lupi estrassero le pistole ed i predatori li assaltarono.
 


Judy rimase paralizzata dallo sguardo con cui Jack le parlò: erano freddi, ma rilucevano di qualcosa molto simile alla follia. Trovò chissà dove la forza di deglutire e la lepre si volse nuovamente verso il fucile, scrutando la piazza attraverso il mirino telescopico.

“Adesso te ne do la prova” disse: rivolse il fucile verso la piazza piena di predatori e, prima che Judy potesse fermarlo, esplose un secondo colpo.

“Ma sei impazzito?!” esclamò sconvolta.

“Forse…” rispose vago lui. “Ma credo che i predatori abbiamo apprezzato”. Nell’aria rimbombò un terzo sparo: la coniglietta guardò disorientata il fucile di Jack, poi capì cosa stava succedendo e, vincendo la sua stessa reticenza a vedere, si affacciò.
La piazza era una dedalo di lupi e predatori: le pistole la fecero da padrone per qualche secondo, poi vennero gettate e fu solo un miscuglio di pellicce multicolore che turbinavano tra loro e ruggiti e guaiti e latrati. La coniglietta rimase immobile a guardare con occhi vacui ed increduli la città

marcia

prendere fuoco esattamente, fu il pensiero, come Jack Savage voleva. La lepre pareva aver perso ogni attrattiva per la baraonda che aveva generato e, staccato il mirino telescopico dal fucile, scrutava l’edificio municipale.

“Bogo è sparito” annunciò. “Starà già urlando ordini dal telefono del suo ufficio”. Si volse verso Judy, che ancora guardava la piazza con occhi assenti, lontana, proiettata nel ricordo di quella stessa piazza invasa dal calore del sole estivo e popolata dal viavai frettoloso e distratto della varietà di mammiferi di cui Zootropolis andava famosa.

Quella stessa piazza che andava macchiandosi di brani di pelliccia e sangue che già annerito dal calore di macchine date alle fiamme. Quando si riscosse fu per lanciare a Jack uno sguardo talmente pregno di rancore da sembrare un coniglio predatore.
“Era questo quello che volevi?” digrignò rabbiosa. “Una guerra civile? Per questo mi hai dirottato qui? Per prendere parte al tuo folle piano?”. La lepre le restituì uno sguardo calmo, lucido, padrone della situazione.

“Guarda ancora la piazza” ordinò a mezza voce. “Guarda di sotto, Hopps”. Lei obbedì, sebbene riluttante. La voce di Jack continuò a scorrerle nelle orecchie, placida e pacata. “Dimmi che quello che vedi non era una cosa che avevi intuito: dimmi che questo abominio primordiale non l’avevi previsto quando hai visto i fucili appoggiati alla finestra.

“Dimmi che c’era un altro modo per soverchiare un potere concentrato su pochi a danno di molti: dimmi che si poteva raggiungere un accordo semplicemente con una chiacchierata con Bogo o che sarebbe bastato aspettare che la situazione si stabilizzasse. Non devi fare altro che darmi un’alternativa a tutto questo ed io scenderò in piazza ad affrontare sulla mia pelliccia le conseguenze di ciò che ho fatto”. Lo sentì allontanarsi dalla finestra, ma la sua voce continuò ad invadere la sua testa come se non ci fosse altro.

“Questo è quello che succede quando l’armonia è inesistente; questo è quello che succede a fare preferenze così sbilanciate, a prendere il potere con i sotterfugi e con la paura. L’hanno fatto i francesi con il loro re, gli italiani con i loro invasori durante la guerra: adesso tocca a Zootropolis”. Judy lo cercò con lo sguardo: era immobile a dardeggiare l’edificio al centro della piazza.

Lo scompiglio, la cacofonia sottostante non accennava a scemare e quell’odore acre di plastica bruciata e gomma fusa stava appestando l’aria: Judy pensò distrattamente che probabilmente altre macchine erano state date alle fiamme, o sicuramente molti cassonetti. Mai avrebbe sospettato che proprio in quel frangente sarebbe riuscita a smettere di pensare a Nick per più di cinque minuti: per quanto si sforzasse, l’immagine del partner non voleva comparire in modo nitido nella sua mente.

Vedeva solo una sagoma rossastra in mezzo a nero e fumo e figure contorte ed indefinite che le dava quello sgradevole odore di fango, fiamme e polvere da sparo delle pallottole esplose. Una distante melodia elettronica risuonò nell’aria, lontana ma non per questo totalmente fuori posto. Sotto gli occhi attoniti di Judy, Jack, estrasse il telefono e rispose senza nemmeno guardare lo schermo.

“Qui Savage” rispose. Pochi secondi e gli occhi si dilatarono: l’espressione sul muso annunciò l’identità del suo interlocutore prima che potesse farlo la sua voce. “…salve sindaco Bogo”.


 
Quella dall’altra parte del piccolo apparecchio era una voce che aveva pensato di non sentire mai più: non che ne avrebbe sentito la mancanza, ma era ovvio che la situazione nella piazza sottostante non poteva che degenerare. Così come era altrettanto ovvio che la sua carriera da bufalo predatore era nata morta o comunque messa molto male. Digrignò i denti e soppresse a forza l’impulso di scagliare il telefono contro il muro più vicino, costringendosi ad un tono di voce professionale e pacato come ad essere padrone della situazione. Come i veri bufali predatori.

“Immagino che sia al corrente della situazione nella piazza del municipio” disse: era una domanda retorica ed entrambi lo sapevano.

-Sì, ne sono consapevole- fu la risposta.

“Posso chiedere il motivo di ciò?” continuò. La risposta dall’altra parte non si fece attendere.

-No, non può- replicò la voce della lepre: anche se lievemente distorta dall’apparecchio, Bogo poté chiaramente visualizzare il suo musetto ghignante. –Ma può intuirlo se vuole-. Lui sospirò, chiamando a raccolta tutta la forza di volontà necessaria in quel momento per mantenere la calma.

“Ha scatenato il panico nella mia città” disse piano, scandendo le parole e badando bene di non perdere il controllo. “Ho disordini nella piazza e probabilmente ne avrò per tutta la città grazie alla sua bravata: lei sa cosa succederà se non arriviamo ad un accordo, vero Savage?”.

-Certo che lo so- fu la risposta. –Ma non scenderò a patti con lei-.

“Posso sguinzagliare il corpo di polizia di tutto il paese contro di lei” annunciò: era incredibile come si sentisse improvvisamente calmo. Si sedette alla scrivania e fece ruotare la sedia, che scricchiolò sotto il suo peso. “Venga nel mio ufficio e discutiamone: è nell’interesse di tutti”.

-In questo momento lei non può sguinzagliarmi contro nemmeno un cucciolo di tartaruga- rispose Jack. –I suoi uomini si stanno divertendo troppo ad ammazzare predatori presi dal panico e credo che nessuno le presterà attenzione: dovrà aspettare che la rivolta sia soppressa, cosa che naturalmente ci darà tempo più che sufficiente per svanire-. Bogo aggrottò un sopracciglio, lasciando che il suo interlocutore continuasse a dare aria alla bocca.

Ci?

-Questa cosa finirà in un modo solo e lei sa perfettamente quale- continuò. –I disordini nati nella città non sono stati provocati da me: io ho solo dato il segnale di partenza-.

“Impeccabile, Savage” assentì lui. Sentiva i latrati, i ringhi ed i ruggiti attraverso la finestra sfondata appena fuori dalla sua porta e gli venne inspiegabilmente voglia di un caffè. “Ritengo che lei abbia fatto molto più di quanto le era stato assegnato”.

Non è solo?

-Non ho fatto nulla che il mio istinto non mi dicesse di fare- rispose Jack. In sottofondo, poteva indovinare dei secchi scatti, come di un fucile che veniva smontato. O caricato. –Lei ha trasformato Zootropolis in una distopia ed io l’ho solamente portata al suo zenit-.

“Come ho già detto, impeccabile” replicò lui. “Adesso mi perdonerà se la lascio ai suoi affari: non voglio più scartoffie da compilare di quante non me ne arriveranno già per questa rivolta. Già che ci siamo, potrei parlare con Hopps?”.

 

Jack le lanciò uno sguardo sterile e poi le porse il telefono; Judy guardò l’apparecchio come se fosse una bomba a mano senza sicura, ma lo prese e lo accostò lentamente all’orecchio.

-Salve Hopps- salutò la voce scocciata di Bogo dall’altra parte. La coniglietta si sentì proiettata indietro nel tempo, all’interno di un assolato ufficio di polizia: non era cambiato nemmeno il tono di voce, che lasciava trasparire tutta la seccatura che l’intera faccenda doveva provocargli.

“Capitano Bogo…” salutò con voce mesta. Avrebbe voluto digli di tutto: aveva la testa talmente piena di domande che non sentì la voce redarguirla sul chiamarlo sindaco e non capitano. Alla fine optò per la singola domanda che più di tutte lampeggiava e vorticava tra la sua testa ed i suoi occhi. “Perché?”.

-Non sono qui per dare spiegazioni, Hopps- replicò lui. –Solo per farle notare che non è stato molto cauto da parte vostra rintanarvi in un appartamento così vicino alla rivolta: non quando un lupo conosce perfettamente il tuo odore-.

Successivamente avrebbe riconosciuto che un tempismo del genere non sarebbe capitato nemmeno se si fossero messi d’accordo: nell’istante in cui Bogo terminò la frase, la porta sgangherata dell’appartamento venne sfondata. La serratura saltò per aria ed i cardini danneggiati cedettero, facendo cadere la porta con un tonfo ed un piccolo sbuffo di polvere ed intonaco scrostato. Sulla soglia apparve il muso stravolto, sbavante e ringhiante di Howler.

“…coniglietta” ringhiò. “Me lo dai l’uovo di cioccolato? Ho fatto il bravo cucciolo, sai? Ho ucciso, desiderato di uccidere, fatto finta di uccidere e poi ho ucciso ancora: visto? Sono un angelo”. Il cellulare cadde dalla zampa di Judy, paralizzata a guardare il predatore immobile alla porta. Sentì Jack poco lontano da lei trattenere il fiato.

“Tu sei pazzo…” sussurrò.

“Facciamo così” propose Howler, muovendo finalmente un passo verso di loro. “Io adesso ti prendo il collo tra i denti e ti uccido; poi ucciderò il tuo compagno e scenderò di nuovo in piazza a sedare la rivolta. Una volta che le acque si saranno calmate, andrò a cercare il tuo peloso tesorino e gli sparo: che pensi, non è una trovata geniale? Eh? Dai, dimmi se non è un piano perfetto!”.

Sentì la resistenza del muro sulla schiena: quando era arretrata così tanto? Era convinta di trovarsi al centro della stanza mentre parlava con Bogo. La divisa del lupo era strappata e stropicciata, il pelo arruffato e macchiato di rosso, la fondina vuota e la radio era sparita. Jack, che lo ricordava alle sue spalle, era magicamente apparso poco lontano da lei, immobilizzato, con gli occhi sbarrati e dilatati ed il naso che fremeva, le orecchie sull’attenti e le braccia che penzolavano sui fianchi, senza un briciolo di forza.

Judy trovò chissà dove la forza di riscuotersi: afferrò la zampa del compagno e studiò la stanza, alla ricerca di qualche via di fuga. La lepre si riscosse e la prima cosa che fece fu tastare con urgenza la fondina vuota sotto l’ascella.

“Niente ferri?” chiese ancora Howler. “Peccato eh?”. Il cervello della coniglietta cominciò a marciare.

Howler davanti a loro. Un appartamento diroccato. Un divano sgangherato e due tavoli. La porta sfondata alle spalle del lupo. Il fucile smontato appoggiato alla finestra. La piazza sotto di loro che ancora ruggiva e guaiva.

E un’altra cosa ancora: un suono lontano che fece fremere le orecchie dei due conigli e scattare in alto quelle del lupo. Un suono allo stesso tempo familiare e sconosciuto, terrificante e confortante, orribile e stupendo. Judy scommise la sua vita e si volse verso la piazza, con il naso che fremeva disperatamente e la speranza negli occhi.

Quel suono sovrastò per un istante tutti i versi ed i rumori della rivolta: serpeggiò destreggiandosi tra mille versi, clangori di tombini e crepitii di aiuole ed esplosioni di parabrezza lambiti dalle fiamme. Colpì le orecchie di tutti ma solo pochi lupi si fermarono ad annusare l’aria, prima di voltarsi verso una stradina limitrofa che costeggiava la stazione di polizia.

Da dietro l’angolo fece capolino Carlile Otocyon.

Scattò fuori dal nulla e s’immobilizzò in mezzo alla strada; gli occhi neutri puntati sulla piazza, le zampe leggermente allargate e la coda sollevata da terra. Tutto ciò che indossava era un vecchio e consunto paio di pantaloncini neri; sull’orecchio sinistro, ciondolava un orecchino. Rimase a fissare la folla che lo ignorava per qualche secondo, poi lanciò in suo richiamo e venne affiancato da un suo simile, poi da un altro ed un altro ancora.

Judy si ricordò della presenza di Howler alle sue spalle quando sentì la sua voce: era attonita, come se anche lui si stesse domandando come fosse possibile. Non era stato che uno dei tanti, ma chiunque si sarebbe ricordato un cognome così nella lista delle vittime del caso Tujunga. I quattro si lanciarono verso la piazza e la stradina dietro di loro vomitò una valanga di pellicce rosse, marroni, grigie, bianche e nere.

“Volpi…” mormorò Howler, dimentico dei due conigli accanto a lui.
 




NOTA DELL’AUTORE:

Sorpresa: non sono morto.

Salve a tutto coloro che hanno avuto la pazienza di aspettare. Voglio scusarmi con tutti per l’attesa e per aver fatto un po’ il “prezioso”: in questo periodo ho dovuto fare un lavoro di rielaborazione dello scritto, cancellare un po’ di parti inedite e sostituirle (certe volte interi capitoli). Mi sono preso questo periodo per cercare il meglio che avessi da offrire: se l’ho trovato, spetta a voi lettori deciderlo.

La buona notizia è che la storia è completamente ideata: tutto quello che devo fare è aggiornarla anche qui sul sito. Ancora pochi capitoli e questa serie arriverà alla sua conclusione; ovviamente lascerò un messaggio all’ultimo aggiornamento, ma ci tengo già adesso a ringraziare tutti coloro che stanno leggendo queste righe per la pazienza e la tolleranza dimostrata.

Alla prossima, stay tuned.
Leonhard
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Zootropolis / Vai alla pagina dell'autore: Leonhard