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Autore: SherlokidAddicted    03/08/2018    2 recensioni
- John, tu chi sei per me? – Si asciuga le lacrime con il palmo della mano. Mi sembra di guardare un bambino indifeso e impaurito. E quel bambino indifeso ha bisogno di qualcuno che lo aiuti e che lo sostenga, ed anche se non mi riconosce voglio essere io quel qualcuno che lo prende per mano e lo guida. Accenno un sorriso ed abbasso lo sguardo sulla punta delle mie scarpe.
- Vuoi davvero saperlo? – Lui annuisce. Il velo di paura nei suoi occhi sta pian piano svanendo, sembra ricominciare a fidarsi di me. – Ci arriverai da solo, con calma. -
Cosa mi passa per la testa, dite?
Perché non ho semplicemente detto “Sherlock, io sono tuo marito”?
Non lo so. Ho come l’impressione che questo sia il modo giusto per affrontare la cosa. In fondo non sa chi sono, credo che avrebbe reagito male se avesse saputo già da subito la verità. E questo non è mentire! Semplicemente lascerò che sia lui a capirlo… o spero a ricordarlo.
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Hiram Brown
 

Quando Sherlock ha visto la foto, dopo essere uscito gocciolante dal bagno con un asciugamano intorno alla vita, non ha capito subito di che cosa si trattava. Poi, dopo la mia spiegazione, i suoi occhi si sono inumiditi e per tutto il tempo non ha fatto altro che dire "avevo ragione, John".
La foto era rimasta dietro al divano probabilmente dal giorno dell'incidente. Rare volte lo spostavamo, la signora Hudson non ci riusciva, era troppo pesante per lei, e a me e a Sherlock non era mai venuto in mente di farlo. Cosa potevamo saperne in fondo?
Adesso siamo su un taxi. È Natale e non è facile trovarne, ma per una cosa del genere abbiamo deciso di partire in quarta verso casa di Lestrade. Non so esattamente che programmi abbia oggi, non ce ne ha parlato ieri sera, non ha nemmeno accennato a cosa avrebbe fatto tutto il giorno, ma è ovvio non si trovi a Scotland Yard in un giorno come questo.
Sherlock continua far tamburellare le dita sul sedile da quando il taxi è partito, e anche se lo amo con tutto il cuore non posso far altro che trovare insopportabile quel tic nervoso, così porto una mano sulla sua e la stringo, riuscendo a fermare le sue dita e facendogli sfuggire anche un lungo sospiro nervoso.
- Non agitarti. - Gli dico senza spostare lo sguardo dal suo viso teso. - Greg è sicuramente a casa. - Continuo mentre con la mano libera tengo ancora stretta quella foto fra le dita.
- Conoscendo la sua vita sociale probabilmente sì. - Dice lui in risposta mentre si allarga la sciarpa che porta al collo, quasi come se gli desse fastidio e fosse sul punto di soffocare. - Ma se non ci fosse? Dovrei aspettare la fine di questa giornata, rimandare tutto a domani? Io rimarrei con questo pensiero fisso e non sarei per nulla tranquillo, John. - Guarda fuori dal finestrino con attenzione, è come se stesse cercando l'uomo della foto tra la gente comune in giro per Londra.
L'unico dubbio che è sorto dopo aver capito la verità è stato uno solo. Perché Ellen avrebbe dovuto difendere questo tizio al punto da farsi incarcerare al suo posto? Ci teneva così tanto a quest'uomo da spingerla a un gesto così folle? E poi cos'era? Un fratello, un amico, un fidanzato, un marito... poteva essere chiunque, e sicuramente Sherlock lo sapeva prima dell'incidente, mentre adesso non ne ha la più pallida idea.
- Andrà tutto bene, vedrai. Tu rilassati. - Il pollice inizia ad accarezzargli il polso con dolcezza e il sospiro che gli sfugge questa volta sembra più rilassato, guardandolo mi sembra anche di aver notato che ha chiuso gli occhi per godersi quella piccola attenzione al meglio. - Ehi, per il regalo... - Dico, approfittando di quel momento di silenzio per tirare fuori quell'argomento di cui non avevamo avuto il tempo di discutere. Lui mi interrompe quasi subito.
- Una sciocchezza, lo so... -
- No, affatto. È bellissimo, il miglior regalo che tu mi abbia mai fatto. - Sul suo viso compare un sorriso riconoscente, poi abbassa lo sguardo, guardando le nostre mani unite sul sedile. In poco tempo afferra la mia e la stringe, lasciando che le dita si intreccino. - Ma il fatto che tu non mi abbia parlato di questo diario... - Lasciò la frase in sospeso e ridacchio leggermente, scaturendo la stessa reazione anche a Sherlock, che scuote appena la testa.
- Meglio tardi che mai, no? - Io sorrido e annuisco, sembra più tranquillo e questo mi rasserena. Se fosse arrivato da Lestrade sull'orlo di una crisi di nervi non voglio nemmeno immaginare come sarebbero andate le cose.
Il taxi si ferma davanti all'abitazione di Greg. La sua auto è parcheggiata lì, quindi è a casa, per fortuna. Sherlock non perde tempo e raggiunge la porta d'ingresso a grandi falcate, lasciandomi indietro come sempre pagare il tassista, con una somma considerevole di mancia per averlo disturbato nel giorno di Natale. Bussa freneticamente e di continuo, cosa che mi fa roteare gli occhi. Smette solo quando sente dei passi avvicinarsi e ad aprire la porta è proprio Lestrade, vestito di tutto punto e con un odore di colonia così nauseante che entrambi ci lasciamo sfuggire una smorfia infastidita. Ha perfino il gel ai capelli, e dal suo sguardo scocciato intuisco che abbiamo interrotto qualcosa. Infatti, dietro di lui scorgiamo il tavolo da pranzo abbellito a festa, delle candele accese al centro color rosso fuoco, e infine una donna seduta a un capo della tavola con un vestito verde e una lunga chioma bionda che arriva fino a sotto la schiena. Ci guarda confusa, ma resta composta al suo posto senza fiatare. Questa è una novità, sia per me che per Sherlock, che sembra altrettanto sconvolto.
- Che cosa volete? - Chiede quasi bruscamente. Sherlock mi strappa la foto dalle mani, noncurante di aver disturbato quello che sembra un pranzetto molto intimo, e la mostra a Lestrade che corruga la fronte senza capire. Mio marito sospira e si affretta a spiegare.
- È l'uomo che Ellen sta difendendo. - Dice infine. Greg afferra la foto e la osserva con attenzione, poi scuote la testa mentre guarda il tizio raffigurato in essa.
- Sherlock, mi sembra che ne abbiamo già discusso il giorno dell'arresto. Perché continui a insistere? -
- Stavolta ha ragione. - Mi affretto a dire. - È la foto per cui quel giorno Sherlock si è quasi fatto ammazzare da quel camion. - Il mio tono deciso sembra averlo convinto, almeno un po'. Si gira a guardare la donna seduta al suo tavolo, che in quel preciso momento sembra non fare tanto caso a noi, ma piuttosto al suo cellulare.
- Ragazzi, ascoltatemi. Una foto non può provare niente. Mi servono delle prove più concrete. - Dice mentre restituisce la polaroid a Sherlock. - Insomma, sai come si chiama? Sai perché hai capito si tratti di lui e non di Ellen? - Quelle parole zittiscono mio marito, che fa saettare nervosamente gli occhi su ogni dettaglio della polaroid. Deglutisce rumorosamente e mi soffermo a guardare il suo pomo d'Adamo andare su e giù per un attimo. La sua fronte è già imperlata di sudore e la sua mano trema.
- No... non me lo ricordo. - Dice dopo un po', facendo sfuggire a Greg un sospiro pesante.
- Per questo ho le mani legate, ragazzi. Ne riparliamo domani, va bene? Come avrete notato sono un po' occupato adesso. - Lestrade sta per chiudere la porta, ma prontamente Sherlock la blocca con il piede e afferra la manica della giacca elegante dell'investigatore per trattenerlo. I suoi occhi sono imploranti e supplichevoli. Stavolta so che non si lascerà convincere a lasciar perdere perché sa di aver ragione.
- Lasciami interrogare Ellen. - Gli dice affievolendo la presa sulla sua manica, ormai sgualcita per quel gesto inaspettato. Greg guarda prima lui, poi me, come a cercare una conferma nel mio sguardo. Io annuisco leggermente in risposta. - Ti prego. -
- Diamine, va bene! - Esclama portandosi una mano in tasca e tirandone fuori un mazzo di chiavi, lo lancia verso di me e io lo afferro con i miei riflessi pronti. - Aspettatemi in macchina, vado a spiegare a Samantah cosa sta succedendo. -
- Grazie Greg. - E finalmente Sherlock lo lascia andare, facendo in modo che la porta si chiuda alle spalle dell'ispettore.
Pochi minuti dopo siamo già in viaggio sui sedili posteriori dell'auto di Greg. Non so di preciso cosa abbia detto a Samantah per andare via, ma non sembrava tanto arrabbiata quando è uscita di casa, stampandogli un bacio delicato sulla guancia sbarbata. Sembrava una donna molto paziente e comprensiva. Magari questa è la volta buona che Greg si sistemi e sia felice una volta per tutte.
Per tutto il tragitto Lestrade non ha fatto altro che ripeterci che gli dovevamo un favore, e non lo biasimo affatto, soprattutto nel giorno di Natale.
Adesso Sherlock si trova nella stanza degli interrogatori insieme a Lestrade, io sono dietro al vetro e aspetto che Ellen faccia il suo ingresso, accompagnata dagli agenti. Indossa la divisa arancione e porta le manette ai polsi. Il suo viso non è per niente contento mentre si siede di fronte all'ispettore.
- Credevo avessimo già fatto questo. - Dice lei dopo che i due agenti hanno lasciato la stanza. Probabilmente si riferisce all'interrogatorio, dove lei ha confessato il falso per proteggere un uomo come quello.
- Ellen, ti ricordi di Sherlock Holmes, vero? - Sherlock inarca un sopracciglio. Probabilmente si sta chiedendo il perché di quella domanda assurda di cui la risposta è così ovvia.
- Certo. - Dice lei, e dal suo viso non trapela alcuna emozione.
- Beh, lui... - Sherlock sospira pesantemente e interrompe Greg lasciando scivolare la foto sul tavolo in direzione della donna, che mi è sembrato di vedere deglutire.
- Perché lo sta coprendo? - È la domanda che le rivolge mio marito, suscitando l'esasperazione di Lestrade che voleva arrivare pian piano a quella domanda per fare in modo fosse più collaborativa. Ma Sherlock è fatto così, lo sanno anche i muri, soprattutto quelle quattro pareti in cui adesso è chiuso, che ne hanno visti già tanti dei suoi interrogatori.
- Io... - La sua voce sembra tentennare, ma con un finto colpo di tosse ritorna alla normalità.

 

Credo sia un elemento che Sherlock ha trovato sospetto.

 

- Non ho idea di cosa lei stia parlando. - Dice infine, allontanando con un dito la foto e poggiandosi con naturalezza sullo schienale della sedia.
- La sua esitazione mi dice il contrario. - Ellen distoglie lo sguardo verso il vetro, sembra quasi mi stia guardando ma non può vedermi, solo che io posso notare lei e i suoi occhi che mascherano un'improvvisa nuova realtà, probabilmente sul fatto che era stata appena smascherata da un individuo affetto da amnesia totale retrograda.
- Le ho già detto come sono andate le cose, signor Holmes. Avevo bisogno di quei soldi per i debiti così li ho presi. Non so chi sia quell'uomo. - La sua voce è fastidiosamente calma. - Sono stata io. - Tutto ci saremmo aspettati, ma non quella reazione da parte di Sherlock. Nel giro di pochi secondi ha sbattuto i pugni sul tavolo così forte da farlo tremare e far sobbalzare Lestrade, che ha strisciato la sedia all'indietro dallo spavento. Ellen ha solo sgranato gli occhi e spostato le braccia dal tavolo.
- Mi stia bene a sentire. - Nemmeno il suo tono è tanto calmo. - Ne ho abbastanza di sciocchezze, mi hanno ritenuto un pazzo con una ricaduta per colpa sua, quest'uomo è il responsabile, non so come, non so perché, non me lo ricordo, ma è per colpa sua se mi sono fatto investire, mia cara Ellen. - So cosa sta facendo, sta giocando sul punto debole di Ellen, la sua sensibilità. Sa che se tira fuori questioni come la sua condizione e tutto ciò che ha passato per colpa di quel maledetto caso lei si sentirà in colpa, e non posso far altro che pensare che quella sia un'ottima mossa, una geniale.
- Sherlock... -
- Sta' zitto, Lestrade! - Esclama senza nemmeno girarsi a guardarlo. - Lei adesso mi dirà chi diavolo è quest'uomo e perché lo sta coprendo. - C'è un momento di silenzio che che sembra durare un'infinità, poi tutti si accorgono che Ellen ha silenziosamente iniziato a piangere.
- Io... - Cerca di dire, mentre Lestrade intima a Sherlock di allontanarsi un po' da lei per non metterla ancora in soggezione, infatti teneva ancora i pugni sul tavolo così come li aveva sbattuti. Io sento lo stomaco in subbuglio e so che non è per la fame, ma perché finalmente stiamo per sapere tutta la verità di quel dannato caso che ci perseguita da mesi, da quel terribile giorno. Ellen si lascia andare a un pianto disperato, scuotendo più volte la testa. - Ho dovuto coprirlo. - Dice disperata. - Ha minacciato la mia famiglia. - Sherlock a quella nuova consapevolezza assume un'espressione quasi sorpresa. - Lui ha detto che... che se lo avessi accusato avrebbe fatto in modo che la mia famiglia finisse nei guai. - E poi si lascia andare a una serie di singhiozzi, portandosi le mani sulla fronte e facendo tintinnare le manette.

 

Sento una fortissima stretta al cuore. Forse tutti la sentiamo.

 

- Ellen, deve stare tranquilla, non succederà nulla alla sua famiglia, ha la mia parola. - Dice Lestrade con voce calma e rassicurante. La donna prende qualche respiro profondo e Sherlock prende posto accanto a Greg, non è più arrabbiato, ma vuole sapere e non esita a comunicarglielo.
- Ci dica chi è. - Dice infatti.
- Si chiama Hiram Brown. - Lestrade le passa un pacco di fazzoletti e lei ne estrae subito uno per asciugarsi le lacrime. I suoi occhi sono rossi adesso, e lucidi. - Era il mio fidanzato. Ma vi giuro che non avevo idea dell'uomo che era finché non ha fatto quello che ha fatto. Quando l'ho scoperto mi ha messo le mani addosso. Mi ha picchiata così forte che... - Non riesce a trattenersi e singhiozza di nuovo. Io ho bisogno di sedermi per non crollare esausto sul pavimento. - Dopo mi ha detto che avrebbe fatto del male ai miei genitori, e sono arrivata al punto di credergli dopo quello che mi aveva fatto. Ha sistemato il bottino nel mio scantinato, poi è come sparito. Da un giorno all'altro non si è più fatto vedere. Si è limitato a telefonarmi un paio di volte, per ricordarmi che dovevo tenere la bocca chiusa e per dirmi che prima o poi sarebbe passato a prendersi i soldi. Dovevo tenerli sotto controllo, diceva. - Sherlock si fa più avanti con il busto e la guarda dritto negli occhi.
- Ha detto dove è andato? - Le chiede con calma e scandendo bene le parole. Lei scuote la testa in un segno di negazione, per la quale sia io che Lestrade ci portiamo una mano sulla fronte. - Ma lei lo sa, non è così? - Ellen lo guarda in silenzio, sentendosi gli occhi speranzosi di tutti su di sé, probabilmente riesce a percepire anche i miei.
- Sì, lo so. -

 

***

 

- Andremo io e John. - Dice Sherlock quando scende dalla macchina. Ellen è stata in grado di fornirci l'esatto indirizzo, e subito dopo l'interrogatorio ci siamo precipitati sul luogo da lei indicatoci. Si trova un po' fuori dalla città, per non dare nell'occhio. E quando vediamo l'abitazione e ci rendiamo conto che si tratta di una lussuosa villa. Inizio a pensare che il tipo in questione sia abbastanza ricco. - Tu stai pronto con le manette, e nasconditi. - Lestrade si limita a sospirare e ad annuire, ormai credo senta di non avere più voce in capitolo per questa situazione.
Il cancello che precede il viottolo verso l'entrata è aperto, noi lo attraversiamo con calma. Il piccolo giardinetto che vediamo è ben curato, perfino le siepi sono simmetriche e tagliate in modo da creare diverse figure geometriche. C'è perfino una fontana sulla destra che ritrae un delfino.
- Se la passa bene, questo tipo. - Dico mentre arriviamo davanti alla porta d'ingresso.
- Non è casa sua. - Dice Sherlock dopo aver dato una breve occhiata attorno a sé.
- Ah no? - Lui scuote la testa deciso.
- C'è una finestra rotta al piano di sopra, mentre la porta è rovinata all'altezza della serratura.

 

Sorrido, perché sembra essere tornato in perfetta forma.

 

- E i veri proprietari? -
- È una casa affittata per le vacanze, la posta nella cassetta delle lettere si è accumulata troppo per essere stata imbucata in un giorno solo. - Non ho nemmeno notato la buca delle lettere al cancello, non credo di avere lo stesso radar così attento di mio marito in questo momento. Lui è sempre stato più bravo, e in più sono curioso di sapere se questo Hiram sia in casa.
- Bussiamo? - Chiedo. Lui nemmeno risponde e lo fa al posto mio, battendo il pugno ricoperto dal guanto nero sulla porta di legno. Ci vuole circa mezzo minuto prima che essa si apra, rivelando lo stesso uomo che avevamo visto sulla polaroid, solo un po' più trasandato, con le occhiaie ben marcate e i capelli spettinati. Ci guarda dubbioso per un attimo, poi indietreggia di un passo, come per mettersi sulla difensiva.
- Che volete? -
- Hiram Brown? - L'uomo strabuzza gli occhi, poi il mio sguardo cade per un attimo sulla sua mano e vedo che sta stringendo il pugno fino a far diventare bianche le nocche. Quando presto nuovamente attenzione ai suoi occhi sono furiosi.
- Ho detto... cosa volete? -
- È bella la sua casa, signor Brown. Da quanto tempo si è intrufolato? - Guardo Sherlock con stupore. Perché probabilmente non si è reso conto di quanto abbia azzardato con quelle parole. Infatti non ci vuole molto prima che l'uomo diventi rosso dalla rabbia.
Nel giro di soli pochi secondi, Hiram è scappato dentro casa e Sherlock è partito immediatamente all'inseguimento. Cerco di fermarlo in tutti i modi, chiamandolo a gran voce, ma lui non mi sente e l'unica cosa che posso fare è avvertire Lestrade con un cenno. Con quel gesto gli dico esattamente di correre dietro alla casa e di vedere se ci sono uscite secondarie. Poi inizio a correre anche io.
Si precipitano su per le scale e mentre raggiungo il corridoio al piano di sopra sento una porta di una delle stanze spalancarsi e sbattere rumorosamente contro la parete. La raggiungo e Sherlock e lì, sta per uscire dalla finestra per inseguirlo fuori, sul terrazzo.
- Fai il giro! - Mi urla poco prima di sparire dal mio campo visivo. Borbotto un paio di maledizioni prima di raggiungere un'altra stanza che affaccia sullo stesso terrazzo. È una cameretta, tutta sui toni del rosa, con decorazioni principesche e un maledettissimo giocattolo a forma di carrozza sul pavimento che quasi mi fa ruzzolare per terra. Apro la finestra di colpo, facendomi spazio fra la tenda fastidiosamente rosa, poi esco sul terrazzo e la scena che mi ritrovo davanti ha come protagonista Hiram, intento a scavalcare la balaustra mentre mio marito gli si avvicina con cautela. Mi sporgo un po' e noto Lestrade, nascosto dietro un muro nel giardino di sotto, la pistola ben tesa e pronto a intervenire non appena Hiram avesse toccato il terreno. - Arrenditi, Brown! - Nella corsa deve essersi ferito, perché Hiram non riesce a scavalcare con facilità e si tiene forte un punto della gamba. - Non puoi fare più niente adesso. - L'uomo guarda dall'altra parte, giù nel giardino, mentre io mi avvicino lentamente, ricevendo però un'occhiataccia da mio marito che mi intima di stare indietro con un cenno della mano. - È finita, Hiram! -
Succede tutto così velocemente che non ho il tempo di capire cosa stia realmente accadendo. Hiram porta una mano dentro alla giacca ed estrae una pistola. La punta dritta verso Sherlock e il cuore mi si ferma in gola, mentre sopra di me sento un elicottero avvicinarsi e un agente al megafono urlare all'uomo di mettere giù la pistola.

 

Lestrade ha chiamato i rinforzi.

 

Inizio ad avvicinarmi velocemente, ma mentre quell'uomo con le braccia tremanti tiene ancora l'arma sollevata, Sherlock non demorde e mi urla di stare indietro.
- Metti giù la pistola! - Dico io, ma in tutta risposta non fa altro che togliere la sicura e puntare proprio verso di me. Il colpo parte e io lo guardo come se stesse arrivando a rallentatore. In un attimo mi sembra di essere stato catapultato al giorno in cui mi hanno sparato in guerra. Mi ricordo il dolore del foro di una pistola, mi ricordo ogni cosa, le mie mani tremano al solo pensiero, e chiudo gli occhi, pronto a ricevere quella tortura per la seconda volta.
Vengo strattonato via, mi ritrovo catapultato sul pavimento e sento le orecchie fischiare, mi fanno perdere l'orientamento per un po' ma poi sento il suo urlo, sento Sherlock gemere di dolore e quando mi giro è disteso sul pavimento del terrazzo con un buco sulla spalla. Non faccio caso a quello che sta succedendo intorno a me, sento solo dei frammenti confusi.

 

"Hiram Brown, ti dichiaro in arresto per..."

 

Sherlock...

 

Mi precipito su di lui e faccio pressione sulla ferita con entrambe le mani. Sembra grave, e io no... non posso perderlo ancora.
- Non ci provare, Sherlock, non di nuovo! - Urlo mentre lui mi guarda smarrito, ha perfino smesso di urlare e la cosa non fa altro che spaventarmi. Si aggrappa a me con il braccio sano e mi guarda disperato. Io sollevo lo sguardo. Un paio di agenti stanno portando via Hiram, non so nemmeno da dove siano sbucati. Greg è al telefono, sta chiamando un'ambulanza mentre guarda la scena sbigottito. - Continua a guardarmi, hai capito? - Gli dico mentre continuo a fare pressione e sento il suo corpo iniziare a tremare.
- John... -
- No, non dire nulla. - Una lacrima scorre fino alle mie labbra, e solo in quel momento mi rendo conto di aver iniziato a piangere
- John... io non ti lascio più... - Mi dice prima di chiudere gli occhi lentamente.

 

Nota autrice:

Ebbene sì, questo è l'ultimo capitolo. Ci credete?
Wow, non ci credo sia già finita, ma vi ringrazierò a dovere all'epilogo, perché state tranquillissimi, c'è un epilogo, che pubblicherò anche questa volta molto presto.
Che ne pensate?
Fatemelo sapere.
Baci!

  
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