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Autore: _Kurai_    03/08/2018    1 recensioni
Erano passati vent'anni da quando il mare aveva stravolto la sua vita, strappandole l'affetto di suo padre senza darle nemmeno il conforto di una tomba su cui piangere.
Erano passati vent'anni, e nonostante tutto il mare era diventato la sua casa.
Quel giorno dell'inverno dei suoi cinque anni sembrava ormai lontanissimo, ma Allura ricordava perfettamente quella telefonata alle prime luci del mattino e la voce spezzata della madre che cercava inutilmente di non scoppiare a piangere mentre le veniva riferita la notizia che la nave da crociera di cui suo padre era il comandante era improvvisamente scomparsa dai radar, come se non fosse mai esistita.
C'erano stati anni e anni di indagini e ricerche finanziate con centinaia di migliaia di dollari, ma l'Altea, una nave maestosa che aveva già attraversato quella rotta decine e decine di volte, era svanita nel nulla. Volatilizzata, con il suo carico di trecentocinquantacinque persone.
Genere: Angst, Horror, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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IV

Into the eye of the storm

 

"Sai, le allucinazioni collettive in determinate circostanze hanno perfino delle spiegazioni scientifiche... ho letto un libro sull'argomento" esordì Lotor a colazione rivolto ad Allura, la mattina seguente. Solo lui aveva dormito, tornando in cabina come se niente fosse subito dopo il presunto avvistamento.

"Vorrei che lui fosse un'allucinazione collettiva" sussurrò Lance, facendo quasi esplodere Hunk in uno scoppio di risa, prontamente celato con un finto attacco di tosse. Il cubano era doppiamente nervoso perchè la notte in bianco gli aveva lasciato come souvenir un'ombra scura sotto gli occhi, che tuttavia impallidiva di fronte alle borse sotto gli occhi di Shiro, che ormai potevano essere considerate delle valige formato famiglia: nemmeno lui ricordava quando avesse dormito decentemente l'ultima volta, e sinceramente ormai non ci dava più peso.

"In effetti con tutta quella nebbia potremmo averla solo immaginata... eravamo tutti stanchi e pieni di aspettativa, può capitare che il cervello giochi dei brutti scherzi" convenne Allura, che in realtà non era troppo convinta di ciò che diceva ma non voleva contraddire apertamente Lotor, anche perchè ciò che avevano vissuto era decisamente inspiegabile.

Del resto, come chiunque abbia sperimentato un'esperienza fuori dal normale impara sulla propria pelle, cercare di darsi spiegazioni razionali è sempre il modo migliore per esorcizzare il panico di fronte a un fenomeno che non si può comprendere, anche se tali spiegazioni finiscono per essere più improbabili dell'avvenimento stesso.

 

"Comunque penso che dovremmo controllare lo scafo, stanotte mentre facevamo quella virata pazzesca siamo passati molto vicino a degli scogli affioranti, è sempre meglio prevenire falle che tapparle quando ormai il danno è grosso" disse Pidge, ricordando la notte precedente.

"Hai ragione... Lance, che ne dici di andare tu invece di continuare a sbuffare come una ciminiera? E potresti andare anche tu Keith, se dovesse esserci bisogno di riparazioni estemporanee è sempre meglio immergersi in due" disse Coran, prendendo il controllo della situazione. Keith e Lance si alzarono contemporaneamente, entrambi contenti per motivi differenti di alzarsi da quel tavolo.

 

Keith non aveva toccato cibo, e aveva decisamente lo stomaco chiuso. Forse lavorare gli avrebbe tolto dalla testa quel presentimento che stava decisamente iniziando a schiacciarlo, e che per un attimo quella notte aveva rischiato di diventare reale. Dopo aver scongiurato lo schianto notturno, Keith era tornato in cabina con Shiro invece che nella sua.

Aveva voluto parlargli, perchè normalmente esprimere a lui i suoi dubbi gli donava per un po' una certa calma apparente, e ne aveva seriamente bisogno. Non sapeva esattamente cosa aveva sperato di ottenere, visto che Takashi da giorni era decisamente diverso dal solito, ma per quella notte lo aveva visto così diverso che aveva sentito il bisogno di controllare se lo Shiro che conosceva fosse ancora lì, da qualche parte. Per un istante Shiro gli era sembrato lontano, assente, quasi un fantasma di sé stesso.

Poi quella frase, quasi sussurrata con sguardo vuoto.

"Per un attimo li ho rivisti. Erano tutti morti."

Subito dopo si era riscosso e aveva ammesso di essere stanco e di voler cercare di dormire almeno un po'.

Keith gli era rimasto accanto, seduto sul letto, finché Coran non li aveva convocati tutti per fare colazione e decidere il da farsi. Non riusciva a smettere di pensare a quelle parole.

 

"Vedo che sei ancora più silenzioso del solito, Mullet" disse Lance, mentre scendevano fianco a fianco verso la stanza delle attrezzature da immersione.

“Ho i miei motivi” rispose Keith, evasivo come sempre “Tu che ne pensi di quello che è successo stanotte?” aggiunse.

“Di sicuro non penso che ce lo possiamo essere immaginato… ma del resto è anche per questo che le chiamano “navi fantasma”, non è la prima volta che appaiono e scompaiono dai radar mentre le cerchiamo”

“Lance… scomparire dai radar e scomparire nel nulla un secondo prima di uno schianto davanti ai tuoi occhi è leggermente diverso” puntualizzò Keith, piccato.

“Lo so benissimo, sto solo cercando di darmi una spiegazione coerente mentre aspetto con ansia che questa missione finisca, così potrò avere la mia foto in prima pagina e soprattutto riavere la mia dannata cabina” sospirò Lance, che come sempre cercava di dissimulare il suo reale stato d’animo.

Infilarono le mute da sub in silenzio e approntarono in pochi minuti i kit per le riparazioni di emergenza, per poi tuffarsi e immergersi nel freddo oceano.

“Bene, andiamo a vedere che bello scherzo ci hanno fatto i fantasmi questa volta” disse Lance nell’interfono, che Pidge aveva aggiunto alla dotazione subacquea solo di recente.

“Preferivo quando almeno qui sotto c’era silenzio” commentò Keith, mentre nuotava rapidamente verso la fiancata destra dello scafo, mentre Lance nuotava in senso opposto per controllare l’altro lato.

“Keith?”

“Che c’è, hai visto uno dei tuoi fantasmi?”

“No, cioè… ho visto qualcosa muoversi con la coda dell’occhio, spero non ci siano squali da queste parti”

“Un ottimo ulteriore motivo per finire in fretta” rispose Keith, impassibile, nuotando in avanti più velocemente e lasciandosi dietro un turbinio di bolle.

 

Una volta individuati i segni, Keith si fermò di colpo. Quelli sullo scafo non erano semplici graffi.

Era una scritta, che sembrava incisa da un oggetto molto tagliente.

“HELP”

Rimase immobile per qualche istante, il sangue improvvisamente gelido nelle vene, poi decise di non dire nulla. “Ho trovato qualche graffio sul mio lato, provvedo a riparare tutto” disse nell’interfono rivolto a Pidge, cercando di non far trapelare la sua inquietudine nella voce. Non serviva un’altra scusa per lasciarsi prendere dal panico.

 

Lance aveva già controllato due volte il lato sinistro senza trovare nessun segno, falla o graffio, ma continuava ad avere la bizzarra sensazione di essere seguito.

“Keith, sei tu?”

Nessuna risposta, o almeno non da Keith.

 

“Laaaaaaaaaanceee”

Era una voce femminile, e non sembrava arrivare dall’interfono.

“Laaance, aiutaci… vieni con me…”

La situazione era decisamente inspiegabile, ma chi era lui per non reagire alla richiesta d’aiuto di una ragazza in difficoltà?

“Chi sei? Dove sei? Come posso aiutarti?” rispose, guardandosi intorno febbrilmente.

E poi di nuovo, un movimento alle sue spalle, un guizzo rosso-arancione a breve distanza da lui.

Si girò appena in tempo per vedere una chioma lunga e rossa svanire dietro la poppa del Voltron. Che fosse una sirena?

“No, idiota, le sirene non esistono” disse la voce di Keith nella sua testa, come a fare il verso alla sua coscienza.

Lance, senza pensarci due volte, seguì la creatura, che nuotava velocemente verso il fondo. Non sembrava una sirena, ma inspiegabilmente respirava sott’acqua. Una nuvola di stoffa verde le fasciava il corpo color avorio, e il cubano era ormai attratto da quell’apparizione come una calamita. Non gli importava più nulla.

 

Si riscosse solo dopo qualche istante. “Cosa sto facendo?” disse tra sè: la ragazza era scomparsa, come se avesse immaginato tutto. La voce di Keith gli arrivava come un ronzio sommesso, segno che aveva superato il raggio d’azione dell’interfono. Per quanto tempo aveva nuotato per inseguire un fantasma nell’oceano? Era stato un effetto della notte in bianco?

Iniziò a nuotare nuovamente verso il Voltron, lo scafo appena visibile decine di metri sopra di lui.

Per un attimo gli sembrò di percepire una sorta di resistenza, come se qualcosa (o qualcuno) volesse riportarlo verso il fondo, trattenendolo per una caviglia. Durò pochissimo, e concluse di esserselo immaginato.

 

“Lance? Dove cazzo eri finito? Non rispondevi più!” lo assalì la voce di Keith una volta raggiunta la distanza di ricezione dell’interfono.

“Ho visto… qualcosa” rispose Lance, evasivo. Nessuno gli avrebbe creduto, e lui stesso si sentiva un po’ stupido.

Riemersero insieme, nuovamente silenziosi e persi nei propri pensieri.

 

Allura e Lotor erano da soli nella stanza del comandante e stavano confrontando foto, mappe e riprese, cercando di valutare eventuali variazioni di rotta.

Almeno questa era la scusa ufficiosa di Lotor, che da quando avevano iniziato a parlare di lavoro non aveva perso nemmeno un’occasione per farsi bello davanti alla ragazza. Non che ad Allura il suo comportamento desse fastidio, visto che la stava aiutando a risolvere il mistero che l’aveva tormentata per gran parte della sua vita, e il generoso finanziatore dell’impresa era anche decisamente attraente.

Si era raccolto i capelli chiarissimi sulla nuca e sembrava molto assorto e coinvolto nella missione, come se anche lui avesse un obiettivo più alto di una semplice manovra pubblicitaria.

“Sai, anche mio padre ha lavorato in mare per tanti anni, quando ero bambino” cambiò discorso Lotor, lo sguardo rivolto alla grande foto con Alfor e Allura esposta nella cabina.

“Odiavo aspettare il suo ritorno e non mi portava mai con sé, però ogni volta mi raccontava le sue avventure… adoravo quei momenti, e avrei voluto che durassero per sempre…”

“Se non sono indiscreta, poi cosa gli è capitato?”

“Non ho problemi a parlarne, non preoccuparti. Non è morto in mare, se è quello che stai pensando… anche se per me è come se lo fosse. Non ci parliamo da molti anni, non so nemmeno se è ancora vivo da qualche parte, ma anche se il nostro rapporto si è deteriorato amo ricordare quei bei momenti.”

“Oh… Mi dispiace…”

“Davvero, non volevo ispirarti commiserazione” sorrise Lotor “volevo solo farti notare che abbiamo avuto un’infanzia molto simile”

 

Lance era seduto sul letto nella cabina di Hunk, lo sguardo fisso sulla propria caviglia destra.

Se si era immaginato tutto, perché allora c’era un segno rosso a forma di mano che gli avvolgeva il collo del piede?

Deglutì un paio di volte, la gola improvvisamente secca. Cosa stava succedendo?

La risposta non si sarebbe fatta attendere ancora per molto.

 

Nel pomeriggio Shiro riuscì finalmente a sentirsi di nuovo in forma e produttivo, almeno un po’. Forse era un’illusione o forse se lo era imposto con così tanta forza di volontà che nonostante tutto si sentiva realmente meglio. Per la prima volta aveva trovato un indizio sul suo passato, e forse un giorno non troppo lontano avrebbe potuto davvero voltare pagina una volta per tutte, quindi non era il momento di farsi fermare da uno stupido malessere.

Keith era rimasto piacevolmente sorpreso, ma continuava a chiedersi se non fosse solo un momento di calma apparente, anche alla luce di quella scritta inquietante sullo scafo e dello strano comportamento di Lance, che era sparito in cabina dopo pranzo e non ne era più uscito.

 

Il sole era alto nel cielo privo di nuvole, il mare calmo e placido quando i radar iniziarono di nuovo ad emettere il suono che tutti avevano atteso con ansia e aspettativa:eccola fare capolino dall’orizzonte, in tutto il suo spettrale splendore. Evidentemente le manovre orchestrate da Lotor e Allura avevano raggiunto il risultato sperato.

L’Altea era meno inquietante alla luce del giorno, e il relitto mostrava ancora i segni della sua antica bellezza. Forse il lavoro sarebbe stato più facile del previsto: in meno di un’ora si approcciarono allo scafo della nave fantasma, collegando il Voltron e iniziando a montare le apparecchiature per salire a bordo.

Allura era ai limiti della commozione, con le lacrime appese agli angoli degli occhi: ce l’aveva fatta. Ce l’avevano fatta sul serio.

Coran aveva voluto brindare prima di salire sul relitto, e le sue guance rosate tradivano il bis che si era concesso. Hunk emise numerosi sospiri di sollievo: il ritorno a casa era vicino, presto avrebbe rivisto la sua Shay.

 

Pidge era rimasta sul ponte a guardare la nave, come ipnotizzata. Se Allura era riuscita nella sua impresa, magari anche lei ce l’avrebbe fatta, tanto più che aveva scoperto il coinvolgimento di Shiro… Era solo questione di tempo.

Poi, qualcosa attirò la sua attenzione sul ponte dell’Altea, come un luccichìo, seguito da un movimento.

Prese il binocolo e mise a fuoco: ciò che vide per un istante glielo fece scivolare dalle mani, incrinando una delle lenti.

Era Matt.

Un Matt molto più pallido ed emaciato, che la guardava con un’espressione terrificata, come se la prospettiva di vederla lì non fosse affatto positiva. Voleva che andassero via, ecco cosa diceva il suo sguardo.

Ma Pidge avrebbe fatto di testa sua, come sempre. Per questo iniziò a salire la scaletta per prima, incurante di tutto il resto.

Gli altri uscirono sul ponte quando era già a metà strada, come guidata da una forza misteriosa.

“Dovremmo seguirla, a questo punto… Non si sa cosa potremmo trovare, meglio non lasciarla da sola” disse Shiro, seguito immediatamente da Allura e dagli altri.

Coran e Hunk sarebbero rimasti a bordo del Voltron, per qualsiasi necessità: Hunk avrebbe dovuto portare i motori al massimo, perché rimorchiare una nave così imponente necessitava di ulteriore forza motrice. Non era affatto invidioso degli altri, perché non aveva nessuna intenzione di vedere con i suoi occhi che fine avessero fatto i trecento passeggeri dell’Altea scomparsi insieme alla nave. Il contenuto del suo stomaco stava benissimo lì dov’era.

 


Ebbene, dopo circa un milione di anni ho rimesso mano a questa fanfic... vi ero mancata? (suppongo di no, visto che non sono arrivate minacce per il punto stupido in cui mi ero bloccata, ma a questo punto è meglio così XD)
Spero di riprendere ad essere più costante e preannuncio un bel po' di colpi di scena nel prossimo capitolo, dove finalmente si entrerà nell'azione vera e propria! Spero che nonostante il ritardo vergognoso qualcuno abbia ancora voglia di seguire questa storia, quindi ringrazio già tutte le persone che avranno voglia di leggere e lasciare un piccolo commento!
Besos 
~

_Kurai_

 

   
 
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