Tom.
La
stanza era
immensa, luminosa, profumava di legno e tabacco. Camminavo con il naso
volto
all’insù impegnato com’ero ad ammirare
gli scaffali pieni zeppi di chitarre che
aspettavano soltanto di essere comprate dal sottoscritto: Gibson,
Jackson, Yamaha,
Ibanez, Fender! C’erano davvero tutte ed era come se mi
chiamassero. Si,
chiamavano il mio nome, quando una Gibson rosso fuoco volò
dallo scaffale più
alto, fluttuando nell’aria come sospesa ad un filo
invisibile, galleggiando
verso di me. Tesi le braccia pronto ad accoglierla, eccola! era quasi
mia,
quando cominciai inesorabilmente ad arretrate; la stanza si restringeva
vorticando, allontanandosi, portandosi via la mia Gibson ed io non
potevo
muovere le gambe, non potevo rincorrerla! Schiusi le labbra con
l’intenzione di
urlare, di gridarle di tornare indietro, ma mi accorsi di non riuscire
ad
articolare nessuna parola. Mi sentivo come Neo quando
l’agente Smith gli
cancella la bocca.
Che
pensiero idiota!
Ad
un tratto: la
luce. Un piccolo puntino luminoso sullo sfondo nero che la stanza aveva
lasciato dietro di se scomparendo; puntino che si allargava sempre
più, sempre
più grande, che diventava enorme, che mi inghiottiva, che mi
accecava.
BZZZZZZBZZZZZZZBZZZZZZ
Un
mugugno di
dissenso uscì dalle
mie labbra prima che
potessi reprimerlo, un rantolo per quella luce che mi aveva investito
senza
preavviso. Aprii un occhio, richiudendolo all’istante.
Era
un sogno!
Constatai
riprendendo
coscienza del mio corpo, ma ancora incapace di muovere un muscolo.
Ok
Tom, fai mente locale: Sono di sicuro in una
stanza d’albergo, il che implica la presenza di una ragazza,
il binomio è
inscindibile. Ho un mal di testa da far vomitare il che mi suggerisce
che ieri
mi sono preso una bella sbronza.
Fortunatamente,
sarà perché oramai erano anni che bevevo come una
spugna, sarà perché, proprio
quella sera, non avevo superato il limite come mio solito, ma in una
manciata
di minuti riuscii a ripercorrere con la mente tutta la serata, annessi
e
connessi compresi.
***
Io
e Georg avevamo
deciso di prenderci una serata libera, lontani dalle noiosissime
“olimpiadi
dello scarabeo”, per di più in inglese che
mettevano su Bill e Gustav una sera
si e una no con la scusante di voler prendere più
dimestichezza con la lingua.
Non me ne fregava un cazzo: il mio inglese faceva schifo e mi andava
bene così.
Decidemmo
di
lasciare le auto a casa: una BMW Cabrio Serie tre e un’Audi
R8 avrebbero dato
sicuramente troppo nell’occhio. Percorremmo a piedi mezza
Amburgo per poi
infilarci in un bar di periferia, pieno di fumo, ma non troppo
affollato. Ci
sedemmo sugli sgabelli grigi e appoggiai stancamente i gomiti sul
bancone,
quando una risata vicina mi fece voltare.
Era
una risata
bella, cristallina,come quella di Bill; di quelle che quando la senti
non puoi
fare a meno di sorridere, proprio come feci io, trovandomi faccia a
faccia con
una ragazza dai capelli biondo cenere. Era alta, nonostante portasse
degli
stivali con il tacco molto basso riusciva a guardarmi dritto negli
occhi, aveva
un vestitino nero, tanto semplice quanto stupendo,
era slanciata ed abbronzata: si
vedeva lontano un miglio che non era tedesca; forse italiana, o
americana,
magari della California o giù di li. Aveva gli occhi lucidi,
doveva già aver
buttato giù qualche bicchiere, il che poteva soltanto
facilitarmi le cose.
“Prendi qualcosa dolcezza?”.
Si
era così che le
avevo detto e lei mi aveva risposto “Sorry, i don’t
speak detusch very well!”.
Ecco, tutte le maledizioni
che Bill e Gustav
mi avevano lanciato per aver snobbato la loro “lezione
d’inglese alternativa”
avevano fatto centro e si stavano abbattendo su di me in quel momento:
volevo
farmi una ragazza, inglese, che non capiva una mazza di quello che
andavo
blaterando.
Era
cominciata così
tra un bicchiere di Moijto ed una sua risata a causa del mio pessimo,
inascoltabile, orribile e rivoltante inglese. E poi, non so neanche
come, mi
sono ritrovato a parlare con lei, senza nemmeno chiedermi come
facessimo a
capirci, fatto sta che mi sentivo come se la conoscessi da una vita.
Uscimmo
dal bar, io, lei, Georg e un’altra americana, mi pare si
chiamasse Fay, o
comunque una roba del genere.
Ci
sedemmo sul
marciapiede freddo e lei non smetteva di ridere, di ridere per niente.
Doveva
averne mandati giù un bel po’ di bicchieri per
ridursi in quello stato.
Mi
alzai, incerto
sulle gambe ma ancora abbastanza lucido da darmi del cretino per quello
che
stavo per fare.
“Ma
tu hai capito
chi sono io vero?” balbettai facendo uno sforzo disumano per
trovare l’accordo
tra soggetto ed oggetto in quella lingua che non avrei mai fatto mia
del tutto.
Lei scosse la testa, continuando a sorridere, con quella dentatura
perfetta e
quelle labbra rosse, anch’esse perfette. Quando le dissi chi
ero, il
chitarrista della band più in voga del momento, Georg per
poco non si versò
tutta la birra sui pantaloni mentre, lei mi guardava scuotendo la
testa. Non mi
credeva! Mi afferrò per la maglietta tirandomi
giù, di nuovo sul marciapiede,
di nuovo a fissare i suoi occhi castani, banalissimi occhi castani nei
quali,
tuttavia mi persi.
“Tokio
Hotel or
not…” disse per poi baciarmi con una foga che non
pensavo potesse uscire da un
corpo così esile. E poi…
***
Un
tonfo mi
distolse dai miei pensieri. Mi girai su un fianco e , tirandomi su a
sedere, il
lenzuolo mi scivolò di dosso. Strizzai gli occhi una decina
di volte, ogni volta
mille aghi infuocati si infilzavano attraverso le palpebre chiuse.
Dio
e come bruciano!
I
rasta
scompigliati mi ricadevano disordinatamente sulle spalle, li odiavo
quando
erano così in disordine: mi sfilai il largo elastico che
portavo al polso e li
legai in una coda. Una volta dissipato quel velo opaco che mi copriva
gli
occhi, potei finalmente mettere a fuoco la figura che giaceva supina
accanto a
me. Dormiva ancora.
Presi,
con una
delicatezza che mi sconcertò, il lenzuolo che la copriva per
metà e, lentamente
lo feci scivolare sulla sua pelle abbronzata.
Cazzo
se è bella.
Lasciai
vagare i
miei occhi su di lei, avidi e brucianti, partendo dalle spalle seguendo
la
linea perfetta della schiena, arrivando fino alla curvatura del bacino
che mi
ritrovai a fissare imbambolato, come se non avessi mai visto una cosa
del
genere.
Merda
Tom è un culo! Uno stupido, normalissimo
culo!
Ma
dal sorriso che
mi si era aperto sul volto, quel pensiero non era niente se non una
grande,
gigantesca e stratosferica boiata.
Con
uno sforzo
disumano riuscii ad andare avanti fino alle gambe, per poi tornare su,
a fissare
il suo viso ancora beatamente addormentato. Mi costrinsi a toglierle
gli occhi
di dosso, mentre fu del tutto inutile il mio patetico tentativo di
cancellarmi
quella smorfia di soddisfazione dalla faccia. Infilai i boxer neri ed
alzai la
cornetta del telefono dell’albergo: avevo una fame da lupi.
“Si?” la
voce del ragazzo della reception mi
fece ritornare con i piedi sulla Terra.
“Si
salve, sono il
signor Kaulitz, vorrei ordinare la colazione in camera”
sussurrai per evitare
di svegliarla. Ma cosa diavolo stavo combinando? Io,Tom Kaulitz
sussurro per
telefono per paura che la ragazza della “botta e
via” si svegli? Ma stiamo
scherzando! Dovevo riprendere il controllo, ma il ricordo di quella
sera, non
il sesso, ma le risate e la sintonia che subito si era creata tra di
noi mi
spiazzava totalmente.
“Una,
Signor
Kaulitz?” rispose la voce dall’altro capo come se
fosse una cosa
ovvia,scontata, anche loro mi conoscevano, anche loro sapevano come
funzionavano le cose,ma senza dare al mio cervello il tempo di fermarmi
risposi, inaspettatamente “Nein, facciamo due”
guardandola di nuovo, bella e
addormentata; e senza aspettare la risposta proveniente
dall’altro capo
riagganciai, colto dall’improvvisa consapevolezza del fatto
che ricordavo tutto
di quella sera, tutto, tranne il suo nome.
Su
dai, fa uno sforzo! Non puoi ordinare la
colazione per due senza sapere nemmeno il nome di colei che ti ha fatto
fare
sta grande cazzata.
Nessuno,
nessuno
prima d’ora era rimasto con me più di una notte.
Di solito le ragazze
preferivano andarsene prima che mi svegliassi, in caso contrario ero io
a
sbatterle fuori appena aprivo gli occhi. Ero fatto così.
Prendevo ciò che
volevo, senza troppi complimenti e poi tanti saluti. Non legavo con
nessuna da
anni, ma in fondo era anche giusto così no? Dopotutto ero o
non ero una star? E
le star fanno quello che vogliono, senza soffrire, senza correre il
rischio di
rimanerci di merda. E allora perché sentivo che sapere il
suo nome era l’unica
cosa che contasse in quel momento?
Afferrai
il
cellulare abbandonato sul comodino, feci scorrere le dita velocemente
sulla
tastiera, il numero lo conoscevo a memoria oramai.
“Tom?”
la voce
impastata di sonno di Georg sembrava lontanissima, oltre che incredula.
“Georg!”
chiamai,
stavolta senza curarmi che il tono di voce potesse svegliarla
“si, ciao bello!
Senti mi serve un favore” cominciai ricevendo in risposta
nient’altro che uno
strano verso. Sorvolai.
“Mi
serve il nome
della ragazza di ieri…” sputai tutto
d’un fiato aspettando trepidante la
risposta di Georg. Ci mise un po’ per capire di che diavolo
stessi parlando.
“Ma
chi, quella del
Mojito?” chiese incredulo. “Si quella del Mojito
bravo!” esultai
silenziosamente, sentendomi terribilmente stupido, fortunatamente Georg
non
poteva vedermi.
“Tom
non mi
ricordo, ma che cazzo vai cercando a quest’ora! Lasciami in
pace, appena mi
viene in mente ti chiamo ok?” il cuore mi scese
giù nello stomaco, toccandone
il fondo provocando un rumore sordo e metallico. NO, doveva
ricordarselo ORA.
“Cazzo Georg fa
uno sforzo!” gridai
impaziente.
“Scusa
Tom, forse
sarò io che ancora devo svegliarmi del tutto, ma mi
è sembrato di capire che tu
voglia sapere il nome di quella che ti sei scopato stasera!
È assurdo no?”rise
Georg. Era assurdo davvero, ma non potevo farci niente, volevo saperlo
ed era
inutile stare li ad arrovellarmi in cervello alla ricerca del motivo,
anche
perché di certo non avrei trovato una risposta plausibile a
quella voglia così
irrazionale e così insolita per uno come me. Già,
uno come me…
“Perché
vuoi sapere il suo nome?” chiese
serio,aveva intuito qualcosa e lo sapevo, ma avevo sperato davvero che
non mi
chiedesse spiegazioni, anche perché non ero in grado di
fornirgliele. Potevo
sentirlo mentre si muoveva tra le lenzuola. “Senti Georg,
‘sta qui è diversa,
cavolo la faccio restare a colazione, ho già ordinato per
due, se non vuoi
farmi fare la figura del coglione, e so che non vuoi, cerca di
ricordarti quel
cazzo di nome!”.
“Merda!
Tom, come
diversa? Che cazzo vuol dire < questa qua è
diversa!>!? Solo perché è
bella da far schifo? O forse… dai Tom non dirmi che tu, il
ragazzo in perenne
tempesta ormonale…” lo bloccai prima che potesse
dire una sola parola di più al
riguardo. “Lascia stare non so il perché e non
sono fatti tuoi, però cazzo
sembra una modella!” cercai di rimediare.
Non
posso ammetterlo, nemmeno a Georg, forse non
sono pronto ad ammetterlo nemmeno a me stesso, ma cavolo non mi
succedeva da
anni una cosa del genere! Io stavo parlando con una ragazza, e lo
facevo con
cognizione di causa, lo facevo perché volevo parlare con
lei, e non perché
volevo soltanto scoparmela.
“Ok
amico, ho capito l’antifona, fammici pensare un secondo
d’accordo!
Vediamo…Jane..no…July..nemmeno…Jude…”
eccolo! Come un fulmine a ciel sereno
quel nome era schizzato nel mio cervello rimbalzando di qua e
dilà
illuminandolo tutto ad un tratto.
“
Jude,ecco! Sei
grande amico, ci vediamo dopo!” esultai euforico.
“Sisi
certo”
sbiascicò Georg prima di chiudere la comunicazione.
Scaraventai
di
nuovo il cellulare sul comodino.
Jude.
I'd
never dreamed that I'd need somebody like you
Mi
alzai dal letto
con il cuore un pochino più leggero.
Jude.
And
I'd never dreamed that I'd need somebody like you
Percorsi
il
corridoio che portava al bagno in tre secondi netti.
Jude. No, I wanna fall
in love
Entrai sbattendo la porta.
Jude this world is only gonna break your heart
Mi
fiondai sotto
l’acqua bollente della doccia cercando di capire
perché i miei pensieri fossero
composti da una sola, monotona e fastidiosamente insistente parola.
Jude. No, I wanna fall in
love..with you
Era
una sensazione
strana. Faceva quasi paura, tanto che mi faceva star bene. Sublime,
l’avrebbe
definita qualcuno. Però! Era un bellissimo nome, aveva una
musicalità tutta
sua, dolce e melodioso, si, quel nome era dolce e melodioso.
E
tu stai andando in cortocircuito!
Risi
sotto la
doccia, con l’acqua che mi scorreva tra i rasta, finendomi
sulle spalle. Risi
perché mi andava;
risi perché mi sentivo
strano; risi perché avevo paura di quello che stavo facendo;
risi perché in
fondo mi andava bene così; risi perché, una volta
uscito dalla doccia l’avrei
trovata ancora lì, perfetta ed immobile. E allora
l’avrei svegliata, e lei
avrebbe capito che non solo ero il vero Tom Kaulitz, ma che avevo una
voglia
fottuta di star li con lei a parlare.
Uscii
dalla doccia
e mi legai un asciugamano alla vita, mentre con un’altra mi
tamponai i rasta
che continuarono però imperterriti a gocciolare.
Ma
fanculo pure voi!
Gocciolando,
mi
richiusi la porta del bagno alle spalle, ripercorsi il piccolo
corridoio e mi
affacciai nella camera da letto.
Nel
momento esatto
in cui i miei occhi vagarono per la stanza, mi resi conto che
c’era qualcosa che
non andava.
What a wicked game to
play, to make me feel this way
Qualcosa di diverso.
What
a wicked thing
to do, to let me dream of you
Qualcosa che mancava.
What
a wicked thing
to say, you never felt this way
Immediatamente
mi
girai verso il letto, pregando mentalmente che non fosse accaduto
ciò che
invece pensavo fosse successo.
What
a wicked thing
you do, to make me dream of you
E
lei non c’era
più.
This
world is only
gonna break your heart!
No,
non poteva
essere vero.
Boccheggiavo.
Il respiro mi mancava, non era
possibile che fosse andata via. Non poteva finire così! Non
adesso che mi aveva
incasinato il cervello con i suoi occhi, con le sue parole, con il suo
nome.
Non
avevo messo in
conto una reazione del genere. Mi aspettava di trovarla lì.
Ancora
addormentata, proprio come l’avevo lasciata. Mi sentivo
vuoto, impotente
dinanzi all’inevitabilità di ciò che
stava accadendo. Non avevo mai pensato di
trovarmi in quello stato. Mi sentivo usato.
Forse
è questo che tutte provano, forse è
così
che si sentono, loro.
E
per un attimo mi
feci schifo da solo. Per un attimo avrei volentieri preso a sberle Tom
Kaulitz.
Per un attimo
desiderai essere qualcun
altro. Qualcuno per cui lei sarebbe restata. Potevo correre, potevo
riacciuffarla, dirle che non poteva farlo, che non poteva lasciarmi
così, come
un qualunque idiota da una scopata e via.
Perché
io non sono
quello!
Non
lo sono, non lo sono, non lo sono.
Continuavo
a
ripetermelo, incessantemente, cercando di convincermene mentre ero
ancora
aggrappato alla porta come se fosse stata l’unica cosa in
grado di mantenermi a
galla, a galla in quel mare di sensazioni nel quale stavo
inesorabilmente
sprofondando. Annaspando per risalire.
Ecco!
Ecco cosa succede!
Mi
davo dello
stupido, mi sentivo uno stupido…ero stato uno stupido, ed
ora ne pagavo le
conseguenze.
Afferrai
il
cellulare e pigiai il tasto dell’ultima chiamata effettuata.
“Tom?”
ora Georg
era sveglio, lo si sentiva dalla voce: ferma ed impostata come sempre.
“Puoi
venirmi a
prendere?” e senza aspettare la risposta buttai
giù.
Al
diavolo! Al diavolo Jude, al diavolo Jude e i
suoi occhi, al diavolo Jude ed i suoi capelli, al diavolo Jude e la sua
voce,
al diavolo!
Mi
afferrai la
testa tra le mani, con l’infantile pretesa di scacciare la
sua immagine dalla
mia mente. Volevo estirparla, come andrebbe fatto con un tumore
maligno, con un
fungo velenoso. Avrei voluto non averla mai incontrata, avrei voluto
tornare
indietro e farmi quella stramaledetta partita a scarabeo,
perché da quel
momento avrei cercato l’ombra del suo volto in ogni ragazza.
Avrei cercato
qualcosa di lei, qualcosa che non avrei mai più trovato.
Avrei cercato quegli
occhi in mille volti diversi, senza mai più ritrovarli.
Nobody loves no one
FINE
Eccomi
^^
finalmente ho postato anche quest’ultimo capitolo!
Grazie
a tutte per
le recensioni, siete state davvero carinissime! Mi fa piacere che molte
di voi
abbiate espresso il vostro apprezzamento soprattutto nei confronti di
Jude, e
non solo attraverso le recensioni, e questo mi fa piacere.
Ho in cantiere
un’altra FF, più lunga stavolta
XD, che vede sempre come figura centrale Jude, anche se avrà
a che fare con
tutti e 4 i TH, e in una situazione molto diversa. Spero di postarla
presto,
appena finisco gli esami!
Quindi,
il mio
ringraziamento particolare va a:
-Tiky
Poi, per gossipkiss , _Pulse_ , Black_DownTH:
Come
ho già detto
nell’introduzione, non ho intenzione di continuare questa FF,
mi piace pensarla
così, con lei che se ne va e Tom che si crogiola nel dolore,
finalmente
consapevole di quello che provano le sue ragazze da “una
botta e via”. Anche se
devo dire che per un momento, ho pensato di farlo, di continuarla; ma
per ora
lascio perdere, chissà! Grazie mille per le vostre
recensioni! Mi avete fatto
davvero piacere!
Ah!
Quasi
dimenticavo!
_Pulse_ , spero che con
questo capitolo si
capisca perché Tom pensa che Jude sia diversa dalle altre,
non mi sembrava
giusto svelare tutto nel capitolo precedente, dato che dal suo punto di
vista.
Jude, non poteva cerco capire una cosa del genere.
Ecco,
ora è davvero
tutto!
Vi
lascio un
abbraccio ed un altro grazie, a presto!
Vostra,
Fè
P.S.:
la canzone è Wicked
Game H.I.M