"Evan,
muoviti, è tardi!" gridò spazientita Amelia,
sporgendosi
dall'ingresso della casa di zio Elijah, dove lei e i suoi fratelli si
erano trasferiti subito dopo la morte dei loro genitori.
Lanciò
un'occhiata all'orologio con i pianeti che i suoi genitori le avevano
regalato pochi mesi prima, per il suo diciassettesimo compleanno.
Erano in ritardo davvero; erano le 10 e 30, e se avessero atteso
oltre avrebbero rischiato di perdere l'Espresso per Hogwarts. "Guarda
che se non ti dai una mossa me ne vado!"
"Arrivo,
arrivo," borbottò l'interessato, precipitandosi
giù dalle
scale e facendo un gran baccano. Il suo gufo, Luthor, che
sonnecchiava dentro la sua gabbia, si riscosse infastidito.
Zia Henrietta e zio
Elijah li aspettavano davanti al camino da cui lei e Evan avrebbero
raggiunto la stazione di King's Cross, via Polvere Volante. Edgar
aveva raggiunto Florence in Galles da un paio di settimane, e sarebbe
arrivato a Londra in auto con i genitori di lei. Amelia
sistemò il
baule e il manico di scopa nel caminetto, poi si avvicinò
agli zii
per salutarli.
"Fai la brava,
mi raccomando," disse ironica la zia, ma Amelia sapeva che stava
cercando di nascondere la sua reale commozione. Dopotutto, nei tre
mesi che avevano passato a casa loro dopo la morte di Benjamin e
Julia, si era occupata dei tre ragazzi come una madre.
Abbracciò
Amelia e le diede due baci sulle guance. Lo zio fece lo stesso, ma
lui non si curò di dissimulare quello che provava; aveva gli
occhiali già appannati, e non disse nulla, ma se avesse
parlato
probabilmente gli si sarebbe spezzata la voce. Dopodichè,
Amelia
entrò nel caminetto, prese un pugno di Polvere Volante dal
vasetto
che la zia le porgeva ed esclamò: "Stazione di King's Cross!"
Quando
riaprì gli
occhi, poco dopo, si trovava nel familiare vicoletto dietro la
stazione che nascondeva uno dei camini ministeriali. Un giovane
inserviente in divisa verde smeraldo la aiutò ad uscire dal
caminetto e, mentre lei si ripuliva le mani e i vestiti macchiati di
fuliggine, le riconsegnò i bagagli. Un attimo dopo, anche
Evan
emerse da una nuvola di fumo, tossendo.
"Buon
anno
scolastico," li salutò il ragazzo. Amelia e Evan
ringraziarono
con un cenno e si allontanarono, diretti al binario 9 e 3/4. Entrambi
si guardavano intorno attenti, in cerca di volti familiari. Una volta
oltrepassata la barriera, Evan adocchiò un gruppetto di
amici del
quinto anno e, dopo aver bofonchiato un "Ci vediamo più
tardi,"
ad Amelia, si allontanò e li raggiunse. Amelia, intanto,
aveva visto
da lontano la sua amica Rosalind, un'altra Grifondoro come lei, e
aveva allungato il passo per raggiungerla.
Rosalind
Price era
una ragazza robusta, mascolina, dai tratti asiatici, con i capelli
neri e mossi. Lei e Amelia erano compagne di dormitorio dal primo
anno, e al secondo anno erano entrate insieme nella squadra di
Quidditch, nel ruolo di Cacciatore, Amelia, e di Portiere, Rosalind.
Oltre che compagne di squadra, Amelia e Rosalind erano soprattutto
amiche del cuore, da sempre; ma Amelia di questo non era più
così
sicura. Il fatto era che, nell'ultimo anno, i suoi sentimenti per
l'amica si erano evoluti in qualcosa che non sapeva bene come
definire. Rosalind non aveva mai nascosto la propria
sessualità;
aveva fatto coming out al terzo anno, con la sua solita disinvoltura,
e chiunque aveva anche solo provato a farla sentire a disagio si era
beccato un cazzotto sui denti senza troppe cerimonie. La sua
relazione con Bertha Jorkins era durata circa un anno e mezzo, e si
era conclusa quando quest'ultima si era improvvisamente resa conto
che dopotutto non era lesbica; tant'è che stava giusto
giusto
salutando con grandi effusioni e bacerie un ragazzotto occhialuto
dalla pelle scura che Amelia non riconobbe. Rosalind ci era rimasta
molto male; e ora Amelia si ritrovava, da circa un anno, con una
bella gatta da pelare. Non aveva più visto Rosalind dal
funerale dei
suoi genitori, e si può dire che allora avesse altri
pensieri per la
testa.
"Ciao,
Ames,"
la salutò Rosalind quando la vide. "Tutto a posto?"
"Ehi,"
Amelia ricambiò il saluto. "Sono arrivata adesso con la
Metropolvere. Saliamo? Mio fratello è già sul
treno con Flo."
Aiutandosi
a
vicenda, riuscirono a caricare i bauli, le scope e la gabbietta con
il gatto di Rosalind, Shiva, sul treno; poi si allontanarono lungo il
corridoio, scansando studenti sovraeccitati che correvano su e
giù,
in cerca di uno scompartimento libero. Trovarono Edgar, Florence,
Sturgis Podmore ed Emmeline Vance stravaccati in uno scompartimento,
con l'atteggiamento tipico degli studenti dell'ultimo anno.
Oddio,
sono
tutte coppie..,
pensò Amelia, a disagio, ma intanto Rosalind era
già entrata e aveva già preso posto,
così fu costretta a fare lo
stesso. Un coro di saluti le accolse quando entrarono.
"Ciao,
ragazze," le salutò Edgar, che teneva un braccio attorno
alle
spalle di Florence e aveva al collo la sua immancabile macchina
fotografica. Non sorrideva; negli ultimi mesi, sorrideva poco. Si
rivolse ad Amelia: "Tutto a posto a casa? Dov'è Evan?"
"Non
so, se n'è andato con i suoi amici," sbuffò
Amelia. "Speriamo
non perdano il treno."
Sturgis
leggeva la Gazzetta del
Profeta insieme ad Emmeline, che teneva la testa bionda appoggiata
sulla sua spalla; in prima pagina, accanto al titolone: TERRORISMO;
SIAMO DAVVERO IN PERICOLO?, campeggiava una foto che fece
rabbrividire Amelia. Il teschio verde che pochi mesi prima era
comparso sopra la casa di Edgar e Amelia ghignava, e dalla sua bocca
si srotolava un serpente.
"Non
se ne
sono ancora convinti?" chiese Amelia ad alta voce, indicando il
giornale.
"Sai
come sono
alla Gazzetta," commentò Florence. "Non riconoscerebbero
la verità nemmeno se ballasse nuda davanti a loro." Emmeline
ridacchiò alla battuta. Amelia rimase seria. "La gente
muore, e
nessuno fa niente. Mi chiedo chi saranno i prossimi."
"Ne
stavamo
parlando ieri, io e Flo," disse Edgar, serio. "Che gli
eventi degli ultimi mesi...non so tu, ma a me hanno fatto incazzare.
E mi hanno fatto venire voglia di fare qualcosa." Florence
annuì. Sturgis riemerse dalle pagine del giornale. Era un
ragazzo
alto e magro, estremamente espansivo e vivace, ed era il migliore
amico di Edgar. E come lui, in quel momento non sorrideva.
"Tipo
cosa?"
chiese Rosalind.
Edgar
tacque.
Lanciò un'occhiata eloquente ad Amelia e poi alla porta
dello
scompartimento. Amelia si alzò e la chiuse.
"Vogliamo
unirci all'Ordine della Fenice, dopo i M.A.G.O," disse Florence
a bassa voce.
"Che
cos'è
l'Ordine della Fenice?" chiese Amelia, guardando dritto il
fratello.
"E'
una
società segreta che sta mettendo insieme Silente, per
combattere
Voi-Sapete-Chi. Mi ha scritto una lettera un paio di settimane fa per
parlarmi del progetto," spiegò Edgar, "e mi ha chiesto di
diffondere la voce fra gli studenti del settimo anno, quelli che
reputo più affidabili, ovviamente. Non te ne ho parlato per
evitare
che ne giungesse voce a Evan o agli zii," disse ad Amelia, in
tono di scusa. "So che non approverebbero."
Nessuno
disse nulla
per qualche attimo. Poi Sturgis chiese: "Chi ha reclutato,
finora?"
"Non
me lo ha detto," rispose Edgar. "Solo
i membri possono sapere i dettagli sull'organizzazione. Io e Flo ci
fidiamo di Silente, comunque." I suoi occhi grigi si spostarono
da Emmeline, a Sturgis, a Rosalind, e infine ad Amelia. La
conversazione finì lì.
Intanto
il treno
era partito, e si allontanava veloce per la campagna inglese. Amelia
guardava Edgar. Si era lasciato crescere la barba, si atteggiava a
uomo, ma lei vedeva che sotto la superficie aveva paura. E non ha
torto ad averne, pensò. Vuole schierarsi in prima linea
contro un
mago potente, che sta terrorizzando il Mondo Magico. Anch'io avrei
paura.
Anch'io
ho paura.
Di
colpo la prese
il terrore profondo di perdere anche Edgar. Non doveva toccare a lui,
pensò. Non era giusto. Non deve toccare a noi combattere per
sopravvivere. In silenzio, Amelia posò la testa contro il
finestrino
e guardò fuori. Il paesaggio era dolce e sereno, come solo
la
campagna inglese di fine estate sa essere. Amelia pensò che
avrebbe
dato qualunque cosa per essere un filo d'erba, una coccinella, una
nuvola, una parte della natura, ignara del male.