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Autore: Nuwanda11    26/08/2018    0 recensioni
In un mondo simile al nostro ma situato in un limbo sospeso fra atmosfere “Mijazakiane” e avventure alla Alexander Supertramp Inko, in modo simile a molti di noi, ogni giorno, da quando ha memoria, svolge mansioni sempre uguali: si procura cibo, raccoglie legna per il fuoco e poi alla sera si siede accanto ad esso e scrive sul suo diario ciò che gli è accaduto durante il giorno, spesso rilegge ciò che ha scritto quasi come se non ricordasse nulla del suo passato e a volte scrive poesie su fogli di carta che infila in bottiglie vuote che poi lascia trasportare dal fiume chissà dove.
Ogni tanto dei misteriosi personaggi detti i Portatori gli consegnano generi di prima necessità come spezie, zucchero, caffè, ecc. Poi un giorno, qualcosa cambia; il sale finisce e i Portatori per qualche motivo non lo riportano più e poi anche la signora che portava il caffè non si fa più vedere.
Da questi eventi e dai ricordi che affiorano dal suo diario nasce il desiderio di capire cosa sia successo, dove siano e chi siano i Portatori. Tutto ciò sarà l'inizio di un viaggio, un percorso di vita che porterà Inko molto, molto lontano.
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Inko si scopriva spesso a trascorrere ore a sfogliare più o meno distrattamente il suo vecchio, enorme diario, ormai sembrava un’abitudine che lo occupava molto, a volte per tutto il pomeriggio. Cercava risposte alle domande che iniziavano ad affollare la sua mente, cercava un senso alla sua esistenza rapportandola a ciò che era accaduto negli ultimi mesi e a ciò che succedeva nella sua testa e che provava.
La sua ormai ossessiva quanto inconscia ricerca di dettagli attinenti a possibili viaggi, incontri riportati nei suoi diari o qualunque cosa potesse rievocare in lui qualche brandello di ricordo che desse un senso alle sue domande, fece cadere la sua attenzione su un episodio che doveva essere accaduto circa dieci anni prima, l’episodio in questione portava l’indicazione “Giorno 3786”.
Quel giorno Inko appuntò sul suo diario:
 
“…mentre tornavo dal bosco, sono stato subito punto al volto dall’aria gelida che faceva presagire altra neve, ma mentre mi avvicinavo a casa, guardando verso il lago, notai una figura che si muoveva nelle sue prossimità. Era quasi buio, ma il manto di neve che copriva la prateria faceva risaltare la figura di quell’uomo. Mi sono avvicinato e lui si è girato di scatto spaventandosi, era molto infreddolito e gli ho chiesto se andava tutto bene. Lui mi ha risposto che forse si era perso, ma che fin che stava vicino all’acqua sapeva almeno di seguire qualche direzione; ho provato a scambiare qualche parola con lui, ma non era in vena di chiacchiere, dopo aver percorso alcune gambe però, si è fermato e mi ha chiesto chi ero. Io gli ho risposto e lui ha riso. Continuava a ridere ed io gli ho detto di smetterla, pensavo che stesse male, ma poi ha smesso e mi ha detto delle cose sul fatto che mi ero avvicinato a lui con l’aria rassicurante di uno che sa tutto. Io gli ho detto che gli volevo solo chiedere se aveva bisogno di aiuto e lui mi ha detto qualcosa sul fatto che mentre io me ne stavo qui nella mia capanna il mondo continuava a girare, fregandosene di tutti. Sono però stato colpito dal fatto che quando gli ho chiesto dove stesse andando, lui mi ha fatto capire che era in viaggio da circa due lune e non aveva visto nulla di nulla, solo erba, alberi e beffardi spiriti del bosco e continuava a ripeterlo. Poi ha ripreso a camminare e mentre io gli dicevo di restare e aiutarmi a capire, lui parlava di un posto in cui aveva letto delle cose.... Ne parlava con rabbia e diceva che era stato ciò che aveva letto ad averlo indotto con l’inganno a viaggiare verso nord. Io non ho capito, ho sentito che diceva ancora che imprecava contro quelle pagine e disprezzava il luogo in cui le aveva trovate. Ho provato a chiamarlo ma non c’è stato nulla da fare e tra il buio e la burrasca di neve che ormai incalzava, se n’è andato.
È la prima persona che io abbia mai incontrato.” .
 
Inko si passò la mano sulla fronte imperlata di sudore, mentre nella sua mente riprendeva il flusso di pensieri e congetture e domande. Questa lettura fece tornare alla luce sensazioni che Inko provò in quella determinata circostanza, solo che in quel momento le rivisse in modo molto diverso. La sorpresa nel vedere un uomo solo in mezzo ad una burrasca, nella rilettura gli fece sorgere molti interrogativi che all’epoca non gli erano venuti alla mente: da dove proveniva? In quale luogo era diretto? E soprattutto, cosa convinse quell’uomo a mettersi in viaggio? Perché tutta quella rabbia, quella disillusione? Poi ripensandoci capì che quello era stato uno di quei momenti in qui si era reso conto di quanto fosse fortunato ad avere una capanna, una casa dove vivere e come fosse fortunato ad avere dei Portatori che gli consegnassero ciò di cui aveva bisogno. Si chiese però, cosa ci dovesse essere di sbagliato nella vita di quell’uomo da fargli venire voglia di fuggire ma soprattutto cosa c’era scritto o cosa gli avevano indicato quelle letture di così importante da convincerlo ad affrontare un viaggio tanto pericoloso e disperato. Ripensò a se stesso e alle sue riflessioni su un possibile viaggio; in realtà, continuando a leggere il diario, si accorse di rimuginarci fin da quegli anni e forse da prima dell’incontro con quell’uomo: “...forse dovrei anch'io mettermi in  viaggio, cercare di capire cosa c'è oltre alla foresta. A volte è come se mi parlasse e mi rassicurasse, qui vicino provo un senso di protezione che difficilmente penso che potrei provare altrove...”.
Ma in fondo era anche probabile che quell'uomo fosse solo un pazzo vagabondo e la disperazione che Inko gli lesse negli occhi non fu certo di incoraggiamento all’idea di intraprendere un simile viaggio.
 
L’entusiasmo della scoperta fu in parte oscurato da una sensazione nuova, quella di aver perso un'occasione data dalla possibilità di conversare più a lungo con quell’individuo, di sapere un po’ della sua vita, di conoscere le risposte alle sue domande e magari la possibilità, ormai svanita, di dividere qualche tramonto o qualche alba con un altra persona. Una sensazione di privazione, qualcosa che avrebbe potuto essere ma non era stato. Qualcosa che ora sentiva di poter chiamare in un solo modo: solitudine.   
 
Nel primo pomeriggio Inko s’incamminò verso il lago e, attraversando il ruscello che lo formava, percorse la riva opposta a quella dove abitualmente si recava a pescare. Avanzò sul bordo del bacino naturale per tutta la sua lunghezza, scalciando qua e là una pietra o un pezzo di legno, quasi come se cercasse di togliere di mezzo tutti quegli assurdi pensieri che nelle ultime settimane si erano insinuati diventando dubbi e domande. Verso l'estremità a nord-est del lago, un albero piuttosto grande era caduto in acqua, i rami si erano conficcati nel basso fondale ancorando saldamente il tronco il quale fungeva da diga naturale contro la quale si era incastrato fogliame, rami secchi e qualcosa che Inko non riusciva a distinguere bene.
Si avvicinò il più possibile ma dalla riva era impossibile distinguere l'oggetto, si tolse i vestiti e si tuffò in acqua. L’impatto fu di grande sollievo, era pomeriggio e il sole scaldava già molto, inoltre era tanto che non faceva un bagno nel lago, provava una sensazione di beatitudine piacevole, rilassante e in qualche modo rassicurante; era come se la natura attorno al suo mondo gli stesse ricordando qual'era veramente la sua casa. 
Si avvicino al groviglio di detriti naturali incastrati contro l'albero e subito si accorse che l'oggetto che aveva notato era una bottiglia, la afferrò e si accorse subito che era ovviamente una di quelle che lui lasciava di tanto in tanto andare nel fiume. Nei giorni precedenti aveva piovuto, il ruscello si era ingrossato e poteva essere successo che l'ultima poesia fosse rimasta incastrata.
Inko si immerse sott’acqua diverse volte in modo da verificare con assoluta certezza che nessun'altra delle sue poesie fosse rimasta incastrata lì sotto e una volta che lo ebbe appurato decise di tornare a riva; si sdraiò sull’erba ad asciugarsi, semi-vestito, buttò quasi distrattamente la bottiglia appena trovata vicino a se e si appisolò.
Assopito e stretto nell’abbraccio del suo angolo di universo, Inko si ridestò improvvisamente e quasi come se qualcuno gliela volesse rubare, afferrò di scatto la bottiglia, la osservò alcuni istanti poi tolse il tappo di sughero che non aveva fatto penetrare nemmeno una goccia d’acqua, sfilò il tappo dalla bottiglia ed estrasse facilmente il foglio arrotolato e appena inumidito, lo srotolò, e con grande stupore si accorse che la poesia non era quella che aveva inviato poche sere prima ma una molto più vecchia che inspiegabilmente era finita in mezzo ai detriti. Pensò all'assurdo paradosso di questo evento senza trovare alcuna spiegazione logica e lesse, :
 
Giorno 5225-La Signora del caffè”
 
E’ successo già stamane io di certo non credevo
Era anni, forse troppi che persone non vedevo
I suoi abiti eran verdi e colorati come un fiore
Forti e lenti i movimenti delle braccia e del suo cuore
 
Lei era giunta un’altra volta nel mio luogo di abbandono
E’ la Signora del caffè che portava a me il suo dono
Forte e intenso il suo profumo, come il buio e la foresta
Caldo e assai rigenerante, come il sole che si desta
 
Da dove giunge la Signora, perché porta questo dono
Forse è lei che cerca i semi, ma non trova mai il perdono
Che sia un dono anche per ella che risposte non ne trova
Forse è triste come me, ma a cercare dunque prova
 
Quella dama silenziosa ora sfugge dentro al bosco
Dove ormai lei sia diretta io quel luogo non conosco
So però di certo adesso, che un sentiero è anche per me
Lenta e forte lo ha indicato La Signora del caffè
 
Parole, ancora una volta le sue parole scritte, una poesia spedita circa mezzo lustro prima, ora pareva avere un nuovo significato. Sembrava che quelle strofe avessero preso nuova vita, come la maledizione di un tesoro di qualche pirata colato a picco col suo veliero che un bel giorno viene scoperto da qualche incauto esploratore il quale ne risveglia l’antico potere. All’epoca, gli sembrava adesso di ricordare, parole scritte di getto, dopo aver appena intravisto, nella mattinata di quel lontano giorno la sagoma di quella che sembrò essere una donna la quale portava il suo dono, quello che lui amava di più: il caffè. Troppe le domande su come e perché potesse aver ritrovato intatto quel manoscritto dopo tutto quel tempo e in quella assurda circostanza, ma anche troppa la tristezza nel pensare a quante sue poesie potevano essere andate perdute nel tempo. Rimase fermo, seduto sull’erba soffice della riva del lago, gli occhi inchiodati su quel pezzo di carta: La Signora del caffè.
Passarono alcuni minuti, forse mezz’ora, Inko riprese i suoi pantaloni e la maglia, si rivestì e si legò gli scarponi. I movimenti erano lenti, la sensazione era simile a quella di un risveglio e il sole caldo ne enfatizzava il torpore. Senza pensarci troppo prese la bottiglia vuota, vi rimise dentro la poesia e spinse con forza il tappo di sughero; riprese a camminare superando l’estremità del lago, inoltrandosi qualche gamba dentro al bosco, fino ad un punto nel quale il ruscello riprendeva il suo percorso regolarmente; lì, lasciò cadere la bottiglia in acqua e la osservò fino a quando non sparì alla sua vista. Perlomeno non era andata perduta, pensò sorridendo.
 
Nonostante tutto non era poi andata male, sotto al lago in fondo, aveva trovato solo una bottiglia, buona parte delle sue poesie erano in viaggio o già arrivate a destinazione, qualunque essa fosse. Stava bene, sulla pelle aveva ancora viva la sensazione piacevole del bagno nel lago, quel bacino d’acqua e l’ombra della foresta e ancora il sole, gli avevano fatto capire quanto la natura e gli eventi da essa guidati fossero sempre pronti a correre in suo aiuto attraverso situazioni apparentemente dettate dall’istinto e dal caso, ma che in realtà, almeno secondo la sua concezione della vita, dovevano essere accomodate da qualcosa di più grande. In qualche modo il ritrovamento di quella bottiglia ne era un segno. L'unica cosa che lo rendeva ancora inquieto era una strana sensazione di vuoto intermittente che percepiva nei suoi ricordi, come se fossero interrotti in più punti in modo tale da impedirgli di comprendere in modo chiaro il perché delle cose che succedevano e il perché delle domande che riempivano sempre più spesso la sua mente, al punto da indurlo a dubitare sul perché del suo esistere in quel preciso contesto.
 
Ciononostante con un sorriso sereno sulle labbra, Inko decise che quel pomeriggio avrebbe continuato la sua passeggiata ben oltre il lago, seguendo il bordo della foresta senza mai entrare nel bosco. Con la testa piena di pensieri, dubbi e qualche opaca risposta, camminò per quasi 7 o 8 leghe e forse più, fino ad un punto nel quale la foresta si diradava. Non si era mai allontanato così tanto da casa sua e soprattutto non si era mai avvicinato così tanto all'unico massiccio roccioso della zona. L’altipiano sul quale era adagiata la prateria nella quale viveva da sempre, in quel punto saliva di altitudine e diventava una calva e spigolosa protuberanza rocciosa la cui parete più a sud strapiombava nuovamente nell’immensa valle sottostante. Dopo un paio d’ore di cammino, di fronte a se, Inko poteva ammirare chiaramente la gola che prima, mentre costeggiava ancora la foresta, poteva solo intravedere in lontananza. Decise che l’avrebbe esplorata, anche se man mano che si avvicinava, pensava di aver fatto una scelta avventata, dal momento che la strada diventava più ripida del previsto. Ogni dubbio svanì quando, rivolgendo lo sguardo verso la valle a sud, si trovò ad ammirare l’incredibile tappeto di alberi che ricopriva l’intera valle sottostante fino ad arrivare alle montagne che in linea d’aria dovevano distare almeno quaranta leghe.
Alberi, alberi e ancora alberi. Un immenso tappeto verde solcato nel mezzo dal tortuoso corso del Grande Fiume. Guardando quel paesaggio splendido e desolante allo stesso tempo, sembrava che ogni sua domanda su cosa ci fosse nel bosco oppure oltre ad esso, trovasse la sua inesorabile ed ineluttabile risposta: nient'altro che alberi.
Continuò a camminare ancora per diverso tempo fino ad avvicinarsi all’imboccatura della gola, in quella zona il costone di roccia sulla parete sinistra della gola stessa, si alzava verticale fino in cima e produceva la sua ombra sul terreno. Alcuni abeti ne godevano il beneficio dopo aver preso una buona dose di sole per tutto il giorno; Inko seguì l’esempio degli alberi, si sedette sotto al più grande di essi e si riposò mentre questo, imponente, oscillava sopra la sua testa. Da quella posizione il paesaggio era mozzafiato, l’enorme manto verde della valle era visibile a perdita d’occhio e, quasi inconsciamente, Inko cercava di scorgere il pur minimo segno di vita in qualche punto della foresta, magari il filo di fumo di un focolare, qualche radura o magari costruzioni simili a quella in cui viveva lui, piuttosto che segni di qualche attività a ridosso delle rive del Grande fiume ma nulla, solo alcuni tratti del corso d’acqua, tanta vegetazione e qualche uccello rapace che volteggiava sul suo imminente pasto.
Doveva essere passata la metà del pomeriggio, Inko si sentiva ancora stanco per la nuotata e per la lunga camminata, ma non aveva nessuna intenzione di fermarsi; aveva molta sete, ma non aveva nulla da bere, era convinto che però da qualche parte più avanti, forse oltre la stretta gola, ci fosse qualche piccola sorgente, si mise in marcia e si inoltrò fra le due austere pareti di roccia. Era nel canyon.
 
La stretta valle era larga poco più di una ventina di gambe e le due pareti laterali si alzavano in verticale per almeno sessanta, Inko s’incammino all’interno muovendosi su di un terreno decisamente pietroso, i passi erano incerti. Avanzò per circa mezza lega e a quel punto osservò che il piccolo canyon nei periodi di piena fungeva da letto per un impetuoso ruscello. Poco dopo la sua sensazione divenne certezza. Il suono inconfondibile di un corso d’acqua, forse di una cascata era ora ben udibile; capì anche perché in mezzo a due pareti così’ rocciose crescesse così tanta vegetazione. Infatti man mano che si spingeva all’interno della gola il terreno diventava più umido e le piante aumentavano di densità. Piccoli cespugli e fili d’erba che proseguendo nel percorso diventavano un soffice prato dal quale di tanto in tanto spuntavano grossi massi. Mentre si avvicinava al corso d’acqua questi si moltiplicavano forse perché trasportati per tutta il canyon da piene precedenti. Camminò ancora per quasi una lega e il paesaggio diventava sempre più affascinante, gli alberi che costeggiavano i bordi della gola erano più striminziti ma verdissimi, tuttavia l’ambiente rimaneva in netto contrasto con le ripide pareti che incombevano sui lati. Una sorta di oasi incastonata nella roccia.
Finalmente, percorse altre centocinquanta gambe, un ruscello rumoreggiava davanti a lui. Scendeva giù dalla gola costeggiando il lato destro della stessa, la quale più in alto curvava improvvisa verso il lato opposto, mentre nel punto il cui egli si trovava il corso d’acqua virava improvvisamente verso una grossa fenditura trasversale che si affacciava sulla pianura del Grande Fiume formando una spettacolare cascata.
Proseguì seguendo il letto del ruscello verso la sua sorgente, non prima di essersi rinfrescato e aver bevuto; una volta superata la curva, Inko si trovò di fronte ad uno spettacolo che lo lasciò senza respiro.
 
Dinnanzi a se, la gola s’interrompeva bruscamente, le due pareti laterali in quel punto si allargavano fino a quasi cento gambe per poi unirsi chiudendo completamente il percorso formando un anfiteatro naturale di forma quasi perfettamente circolare. Nel punto in cui le due pareti si incontravano vi era un foro nella roccia, a circa quindici, forse venti gambe di altezza, dal quale una spettacolare cascata sgorgava selvaggia creando un piccolo bacino dal quale nasceva il ruscello in cui Inko si era appena rinfrescato. Quella cavità di forma circolare, le cui pareti salivano per oltre cento gambe e forse più, era parzialmente illuminata dagli obliqui raggi del sole che, facendo breccia fra la moltitudine di goccioline prodotte dall’infrangersi delle acque sulla roccia, le facevano scintillare come lucciole, creando giochi di luce dagli incredibili cromatismi.
Un luogo magnifico, che sprigionava un’energia rinnovatrice e rivelatrice delle incredibili bellezze e della forza della natura, per Inko questa immagine regalava emozioni difficilmente descrivibili. Magia, pura e autentica. Le microscopiche particelle d’acqua che venivano sprigionate dalla cascata inumidivano la pelle e l’aria, impregnandosi delle essenze di erba e abete, un abbraccio rinfrescante e rigenerante che scacciava la stanchezza.
Lo sciabordio della cascata era fortissimo, copriva ogni altro suono, era quasi assordante ma Inko notò qualcosa dal lato opposto del bacino.
 
Un grosso masso alto quasi una gamba e mezza e largo due. Dietro ad esso, l’improvvisato esploratore riusciva a scorgere quella che sembrava essere la sagoma di uomo sdraiato sull’erba. Ormai con l’acqua che gli arrivava a metà coscia, si allontanò dalla cascata, per dirigersi verso la riva opposta, dove giaceva quel grosso masso e subito si accorse che la figura che aveva visto era veramente la sagoma di un uomo, morto da parecchio tempo.
Nonostante l’umidità e le abbondanti bevute ad Inko si era asciugata la gola, deglutì dolorosamente. Non aveva mai visto un uomo morto. Carcasse di pesci, uccelli, piccoli roditori e qualche volta di grossi animali ma di un uomo mai. Si avvicinò lentamente, quasi in soggezione dinnanzi al suo eterno sonno, sembrava infatti che quell’uomo fosse spirato dormendo. Coricato per terra su un fianco, dava le spalle ad Inko, la testa era appoggiata e rivolta verso il terreno. Ebbe la sensazione che quell’uomo avesse scelto tale luogo per riposare in pace e del resto come biasimarlo. In un posto così meraviglioso era difficile essere disturbati, Inko però era riuscito a scovarlo anche lì, in nome di una curiosità tipica di quasi tutti gli esseri viventi, si sentiva un po’ come i castori che frugavano fra le sue poesie. Poi avvicinatosi fino a poche gambe dal corpo, notò i vestiti, le scarpe e un bastone di legno consunto; del corpo rimaneva solo lo scheletro con qualche brandello di pelle secca e qualche ciocca di capelli che spuntava da sotto a ciò che una volta doveva essere un pesante cappello di lana. Proprio il copricapo incuriosì Inko, il quale avvicinandosi ulteriormente, cercò un pezzo di legno da usare allo scopo di smentire o confermare quello che il suo istinto e forse i suoi ricordi gli stavano dicendo. Con il bastone saldamente in mano e con molta tensione, provò a ruotare il cappello per ottenere la risposta che cercava, insistette un po’ e vedendo che il cappello non si sfilava, provò con forza a ruotare il teschio del cadavere che si staccò dal collo facendo sprofondare la situazione nel grottesco.
Inko balzò all’indietro dallo spavento ma ora il cappello era ben visibile, era di lana grezza e copriva il capo fino all’altezza delle orecchie, esattamente come ricordava di averlo visto portare al viaggiatore riaffiorato dalle pagine del suo diario. Grazie a questo incidente ebbe la conferma: quello era il corpo dell’uomo che molti anni prima aveva visto in mezzo alla bufera di neve.
Lo sconforto assalì il giovane come un attacco di asma, quel viaggiatore burbero, che aveva rifiutato la sua ospitalità e che sosteneva di essere stato indotto con l’inganno ad intraprendere il suo viaggio, aveva probabilmente cessato di vivere pochi giorni, forse poche ore dopo che si erano incontrati. La sensazione che provò Inko era di profonda amarezza, quasi riusciva a sentirla nella sua bocca ancora asciutta. Bevve un sorso d’acqua.
L’immagine di un uomo in viaggio che finiva la sua corsa in fondo ad una gola di fredda roccia nel mezzo di una bufera di neve, diventava desolante se associata al fatto che quel bianco manto di neve di quel rigido inverno, non era poi molto diverso da quello verde della foresta nella quale Inko, almeno nella sua mente, di tanto in tanto desiderava inoltrarsi per intraprendere il suo viaggio. Si sedette di fianco al viaggiatore e ci stette per quasi mezz’ora, come a vegliare sull’amico che dormiva, dopodichè il sole iniziò a tramontare. Man mano che la luce si attenuava quella nicchia di rocce diventava più fredda e cupa pur mantenendo intatta la sua bellezza; “Un buon posto per morire” pensò. Ricompose il corpo come meglio potè, si alzò e riprese il suo cammino fra mille incertezze, molte domande e tanta, tanta spossatezza.
Quando arrivò a casa era già buio da un pò, accese il fuoco, mangiò il pesce che aveva preparato prima di pranzo e scrisse qualche appunto sulla giornata poi andò a dormire.
 
Inko non osava ammetterlo nemmeno a se stesso, ma in qualche modo aveva sperato che il viaggio intrapreso nella gola e in molte altre passeggiate nella prateria successive al ritrovamento del cadavere, lo avessero fatto crescere, lo avessero fatto diventare più saggio e più capace di mettere a fuoco le cose. Gli sembrava di aver camminato seguendo un percorso circolare senza andare da nessuna parte, solo passeggiate e nulla più. Troppe cose non si spiegavano, a partire dalla bottiglia trovata nel lago e dal cadavere del burbero viaggiatore; nell’ultimo mese gli era capitato di terminare altri prodotti come il pepe e l’olio i quali gli erano stati subito riconsegnati dai Portatori, ma del sale nessuna traccia. Non capiva, era confuso e per giunta il suo lato cinico non poteva smettere di considerare che il cibo senza sale non aveva più lo stesso sapore di prima. Ma questo era solo l’aspetto più epidermico di una sensazione di piattezza esistenziale che paradossalmente provava proprio in un momento della sua vita in cui aveva esplorato più luoghi, anche della sua mente e della sua anima, di quanti ne avesse mai esplorati in molti anni.
Inko viveva imprigionato tra la realtà e un sogno che non aveva mai il coraggio di vivere fino in fondo o forse, semplicemente, non possedeva la chiavi di lettura o le conoscenze necessarie a decodificare gli eventi degli ultimi mesi. In qualche modo pensava di non essere ancora pronto ma pensava anche che il “non essere ancora pronto” fosse soltanto una scusa che ripeteva a se stesso.
L’estate era nel pieno e le giornate erano calde, Inko a volte veniva sorpreso da una sensazione di apatia che non aveva mai provato prima, ed ogni minima variazione di questo stato di pace forzata, provocava in lui scatti di ira; un pomeriggio colto dalla noia decise di prepararsi un caffè, ma si accorse che lo zucchero era finito, non si spiegava perché non avesse messo il sacchetto sulla mensola, forse se ne era dimenticato, ultimamente era distratto, si innervosì molto e scalciò con rabbia il secchio dell’acqua mentre un uccello rapace tornava col cibo dai suoi piccoli che cinguettavano affamati nel loro nido in cima ad un grande tiglio. La nota stonata non fu tanto accettare di dover bere il caffè amaro, ma scoprire che anche il caffè stava finendo, sarebbe bastato solo per quella sera.
Dopo cena, mesto, sbrigò le solite faccende, preoccupandosi stavolta di sistemare i sacchetti vuoti di zucchero e caffè sulla solita mensola poi si coricò per cercare con fatica qualche serena ora di sonno. Ripensò per un attimo al nido, al rapace e ai suoi piccoli. Pura bellezza ma era triste, depresso e abbattuto nell’animo perché comprendeva in realtà di non aver fatto nessun passo avanti, erano ormai passate 6 settimane dal suo viaggio nella gola ed era come se negli ultimi tempi avesse vissuto nell’illusione di iniziare un nuovo percorso ed invece non aveva fatto altro che correre sul posto cadendo e facendosi anche molto male. Nella sua mente sentiva che si erano aperte delle voragini, ma ogni volta che aveva provato a fare qualcosa per chiuderle se ne erano aperte altre. “Prima di iniziare un viaggio con le gambe, bisognava iniziarlo con lo spirito, dentro la propria anima” gli ricordava una voce nella sua testa. Invece ad Inko pareva che i suoi pensieri venissero sballottati come piccole barche in un oceano in tempesta, per essere infine riportati, semi distrutti, al luogo di partenza.
Forse era ora di fare qualcosa. Prendere un bel respiro, smettere di lasciarsi travolgere dalle nuove emozioni di quei giorni e cercare di prenderle come normali eventi della vita, perché se avesse magari deciso di partire chissà cosa sarebbe potuto succedere. Se partire lo avesse portato alla stessa fine di quell’uomo trovato nella gola? E se si fosse ritrovato a vagare per la foresta per mesi o anni, senza cibo, ferito e col cuore lacerato dal dolore per aver lasciato il luogo in cui aveva sempre vissuto?
Cominciava a pensare che tutte queste voci dentro di lui non erano altro che un modo per sopperire all’attesa. Aspettava una risposta a tutti questi interrogativi, ma non c’erano ne oracoli ne altre persone a cui chiedere consiglio. Sapeva che la risposta era dentro di lui, non sapeva dove ma da qualche parte c’era. Con questi tormenti cercò di addormentarsi mentre piccole lacrime segnavano il suo viso.
   
 
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