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Autore: RadCLiff_    14/09/2018    0 recensioni
Quando la società è divisa per caste genetiche, solo i migliori possono arrivare a realizzare i propri sogni.
In un mondo dove solo i migliori tra i migliori potevano vivere, dove ogni rapporto era basato sulla genetica di appartenenza, lei non avrebbe rinunciato al suo sogno. Nonostante la sua classe genetica fosse la più infima, Clarke voleva arrivare disperatamente alla fonte della sua luce, alle stelle.
Sarebbe stata disposta a fare qualunque cosa, anche a morire.
Clexa Slow Burn
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Clarke Griffin, Lexa, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Prologo




Era una fredda e piovosa serata di dicembre, il vento soffiava con insistenza quelle goccioline che scendevano senza sosta.
Una piccola figura tentava di ripararsi dal vento gelido, che le pizzicava il viso, tirando sulle guance un lembo della sciarpa che le avvolgeva il collo.
Con calma proseguiva in avanti mentre sfidava il mal tempo munita solo di un ombrello.
Era la vigilia di natale e procedeva solitaria per la strada illuminata di mille colori scintillanti in mezzo a vetrate addobbate.
Il suo tragitto venne deviato verso una stradina che incrociava la via principale, con circospezione si incamminò tra quelle viuzze labirintiche fino a trovarsi davanti a una porta sopra un paio di scalini che ospitava un cartello con la dicitura - Riservato al personale -. 
Pochi passi la accompagnarono sino alla porta mentre poteva finalmente chiudere l'ombrello riparata sotto una tettoia più coperta e asciutta.
Allungò il braccio con la mano rivolta verso la porta. Seguirono due colpi sulla superficie metallica, una piccola pausa e altri due colpi.
Il ciclo venne ripetuto per due volte.
Magicamente la porta sì aprii, ma non di certo grazie a forze soprannaturali, venne accolta dal silenzio dell’uomo che le aveva aperto, la giovane figura seguì quell'ombra senza interrompere il silenzio verso vari corridoi come se già sapesse cosa avrebbe dovuto fare appena varcata l’entrata.
Sarebbe stato bello se nella vita davvero qualunque porta le si fosse potuto spalancare con un gesto tanto semplice e scontato.
Eppure, esisteva chi deteneva privilegi simili nel mondo reale.
O perlomeno tutti potevano essere potenziali detentori di quel potere, quel qualcosa che faceva sì che la porta potesse essere aperta dall'altra parte, quel qualcosa che aveva appena sperimentato in un certo senso, quel qualcosa che cercava disperatamente, quel qualcosa che non aveva e che forse poteva avere.
Una volta nel mondo esistevano varie distinzioni segregative, tra cui in primis spiccavano la distinzione razziale e sociale, che la società aveva portato avanti nel corso dei millenni sino a un punti di svolta durante epoche storiche precise.
Con il tempo esse si erano evolute insieme alla società stessa, ed ‘era stata proprio la società e il suo sviluppo tecnologico e progresso nel campo genetico a portare all’estinzione nonché rinascita di esse, inglobandole tutte in una nuova forma di distinzione: la distinzione genetica o genismo.
Il mondo si era aperto a una nuova era, si era evoluto in una “società superiore” come dicevano sempre gli storici contemporanei, dove non esistevano più legami affettivi, dove gli individui erano filtrati e ricombinati in vitro per evitare inutili fallimenti genetici.
Il futuro di un nascituro era deciso già da quando era un insieme di piccole cellule.
Però non è oro tutto ciò che luccica, infatti se il mondo fosse davvero basato unicamente su individui perfetti, lei non si troverebbe di certo lì.
Nonostante il numero sempre più crescente di parti assistiti intenti a manipolare il patrimonio genetico che avrebbero dato alla luce individui geneticamente perfetti, esisteva ancora una fetta di popolazione che non poteva permettersi un figlio in vitro o semplicemente perché credeva ancora in quel mito che raccontava di bambini più felici se concepiti naturalmente.
Lei era uno di questi bambini, una bambina nata dall’unione tradizionale di un uomo e una donna che condividevano un profondo sentimento comune noto come amore.
Tutto ciò era molto poetico da parte dei suoi, doveva ammetterlo, ma non toglieva il fatto che lei fosse un insieme di errori genetici: un’imperfetta, e in questo mondo gli imperfetti erano relegati ai margini sociali della società, nella casta genetica più bassa.
 



 



                                                                                                 
L’uomo si dileguò in fretta dopo che venne fatta accomodare in una piccola stanza che aveva tutta l'aria di essere uno studio, il cui carattere distintivo era rappresentato dall’essenzialità: una poltroncina in pelle nera dietro una scrivania con un computer e stampante affiancate da una lampada da tavolo, due sedie del medesimo colore davanti a sé e pochi altri mobili arredavano il piccolo spazio. Le pareti, di un bianco asettico le davano un senso asfittico visto anche l'assenza di qualunque finestra o apertura verso il mondo esterno; esse erano vivacizzate solo da pochi quadretti colorati, probabilmente di qualche sconosciuto autore passato dimenticato nel grande corso che era stato il tempo. Nonostante la modestia dello studio, in cuor suo sperava - anzi voleva - che quello potesse divenire il luogo dove tutto sarebbe potuto cambiare.
Il flusso dei suoi pensieri venne interrotto dal rumore di una porta che veniva fatta chiudere dietro di lei. Passi pesanti si fecero sempre più forti finché un uomo robusto non gli si presentò davanti,
«Sono davvero lieto della sua puntualità,» – allungò una mano davanti a sé, «e che mi abbia fatto finalmente visita alla fine, Signorina Griffin.»
La ragazza ricambiò con una veloce stretta di mano a quell’uomo di cui conosceva solamente il nome mentre ancora teneva nell'altra l'ombrello gocciolante di pioggia.

«Buonasera a lei Signor McCourt.»

Questo era un uomo sulla quarantina, il viso faceva trasparire un paio di rughe espressive su quel viso dai tratti così comuni. Il suo vestiario era impeccabile, nonostante fosse la vigilia di Natale e in un luogo tanto abbandonato, sembrava essersi preparato per una conferenza.

«Allora Signorina Griffin, a cosa devo la sua visita in una serata come questa? Non le nascondo che sono rimasto interdetto quando ho saputo che ha scelto proprio oggi per richiedere un incontro.»

La ragazza si sedette su una delle sedie di fronte alla scrivania.

Volevo porgerle i miei auguri di persona
» appoggiò la borsa e l’ombrello per terra, «Lo spirito natalizio mi ha pervasa.»

«Nonostante sia tentato nel credere che il suo spirito di natalizio sia stato tanto travolgente, purtroppo sappiamo entrambi che non è così» si strinse le mani come chi non volesse più perdere tempo.

«Mi dica cosa posso fare per lei?»

Clarke Griffin, quello era il suo nome, non riuscì ad impedire che un attimo di esitazione trasparisse dal suo giovane volto. L'uomo davanti a lei si era intanto accomodato sulla sua poltrona e impaziente aveva preso a ticchettare con la base del suo stilo sul tavolo. Probabilmente complice anche il fatto che la ragazza bionda, con lo sguardo esitante davanti a lui era piuttosto giovane, e si sa che i giovani hanno idee salde come il tempo londinese, oltre all’ovvio fastidio per la scelta della serata festiva, concluse, «Senta, chiaramente forse non sa nemmeno lei per quale motivo sia qui. Se non è interessata, io la inviterei a tornare a casa.»
Quelle parole tolsero ogni dubbio dal viso di Clarke, «Se non fossi interessata non sarei qui. Ho preso la mia decisione e vorrei che mi aiutasse.»

«È davvero convinta della tua scelta? Non mi faccia perdere ulteriore tempo.»

Senza esitare la ragazza seduta davanti a lui si fece più avanti e con convinzione disse, «Sono convinta al cento per cento.»
«Una volta intrapreso questo percorso non le sarà mai più possibile tornare alla sua vita di prima. È una scelta per sempre.»
«Ed è quello che spero» L’uomo aprì un cassetto sotto la scrivania e tirò fuori un fascicolo giallo.

Iniziò a sfogliarlo,
«Dunque… Clarke Griffin, 20 anni. Aspettative di vita medio. Tracciato clinico e psicologico» corrucciò un po’ la fronte e mormorò, «bè, poteva andare peggio.»

Hai un paio di predisposizioni a dipendenze. Meglio non iniziare mai a bere.
Clarke sapeva bene quello che stava dicendo, tutto quello era praticamente ciò che urlava ogni volta il suo genoma sin da quando ne aveva ricordo, ogni volta che andava ai colloqui di lavoro, ogni volta che aveva dovuto ripetere l’iscrizione a una scuola dopo il diploma, a ogni controllo medico.


«Ed infine classe genetica di appartenenza: G»

Gamma. G, che brutta lettera. G, come l'iniziale del suo cognome, davvero ironico. 
Era stato il suo stigma da sempre. Nonostante tutta la sua buona volontà e il suo impegno, Clarke era perseguitata da quella lettera. Era come un’enorme buco nero che risucchiava chiunque fosse nelle vicinanze senza alcuna distinzione. Non si poteva scappare, era il suo “marchio di fabbrica”.
Il marchio che tutti guardavano prima ancora di iniziare a parlarle. Il marchio che spaventava la gente e la faceva bollare come scarto genetico senza futuro.
Esisteva un divieto di fare genismo nella società, la classe genetica veniva tenuto nascosto nei documenti ma esistevano molti altri modi per ricavare la classe genetica di appartenenza di una persona durante un colloquio o incontro.
Si poteva ricorrere a un test medico in loco che veniva fatto passare per un legale accertamento antidroga quando in realtà il vero obbiettivo era stilare le potenzialità genetiche.


«Sa già chi può fare al caso mio?»

Il Signor McCourt mise la penna dentro il taschino interno della sua giacca, abbassò gli occhi sul suo computer e iniziò a digitare qualcosa. Il silenzio che era sceso veniva interrotto solo dal rumore dei piccoli tasti che venivano battuti con disinvoltura sulla tastiera. L’attesa venne interrotta quando venne girato lo schermo del dispositivo elettronico in direzione della ragazza.

«Ha davanti a lei il suo Babbo Natale.» Si grattò la barbetta che gli riempiva le guance, «Ho una candidata perfetta.»

Gli occhi di lei iniziarono a scorrere il foglio digitale che aveva dinanzi, era un file che conteneva ogni tipo di credenziale e dato relativo a una sconosciuta di nome “Sam Parker”.

«Con il suo nome potrà arrivare dove vorrà, il suo profilo è eccezionale con prestazioni fisiche e intellettuali al di sopra persino della media dei perfetti. Stima di vita eccellente, nessuna traccia di patologie e malattie ereditarie» si alzò e fece il giro del tavolo finché non si trovò a tu per tu con la sua interlocutrice, classe genetica A, «In un’unica parola: perfetta.»

«In realtà mi aveva già convinta a “potrà arrivare dove vorrà”» sorrise Clarke. 

Era questo l’inizio della scalata in quel mondo tanto agognato, nel mondo dei validi o uomini geneticamente perfetti.
I due discussero sul futuro di questo “investimento” che Clarke voleva fare su sé stessa, eventuali costi e procedure; la ragazza ricevette un fascicolo con i dettagli inerenti alla nuova identità che si accingeva ad assumere per iniziare a prendere confidenza con quelli che sarebbero divenuti i suoi dati, il suo passato, la sua vita. Prese il fascicolo e lo mise dentro la borsa che aveva posato a terra accanto all’ombrello.
Prima di concludere venne fatto scivolare sulla scrivania un paio di pratiche che avevano tutta l’aria di essere qualcuno di quei noiosi documenti battuti da qualche vecchio avvocato con mille clausole e occhielli a prova di tribunale in caso di imprevisti al limite della legalità.
Riprese lo stilo dal taschino interno della sua giacca e con un veloce click suggerì a Clarke di prenderlo. 


«Adesso deve solo mettere una firma qua e molto presto potrà fare il suo ingresso nella società come una donna dalle innumerevoli potenzialità.»
«Di che cosa si tratta?»
«Scartoffie legali in cui viene dichiarato che nega il coinvolgimento di qualsivoglia altra persona o società entro la sua decisione,» concluse con un sorriso che solo un uomo d’affari era abituato a fare, «dopotutto anche io devo prendere le mie precauzioni.»

Senza pensarci due volte la ragazza prese la penna dalle mani dell’uomo e firmò i documenti dopo aver dato una veloce occhiata.
Prima che Clarke uscisse dallo studio del Signor McCourt, si chiese chi fosse davvero questa Sam e come mai ora potesse passare a lei questa identità,
«Questa ragazza, Sam, che fine ha fatto?»
L’uomo la fissava in volto e con un cordiale saluto rispose, «Le auguro una buona vigilia e spero che quest’anno possa ricevere il regalo che desidera da tanto.
Clarke uscii da quel piccolo studio dove ad attenderla c’era di nuovo l’omuncolo che l’aveva accolta all’arrivo. Come prima, le fece strada nello stesso percorso con cui era arrivata sino alla porta che collegava con l’esterno. Una folata di vento le ricordò il tempo che l’aspettava fuori non appena la porta fu aperta. Le raffiche erano più terribili di prima e l’acqua non si risparmiava a scendere a catinelle.
Riaprì l’ombrello e, come era arrivata, ritornò in mezzo al maltempo mentre affondava il mento nel petto tentando inutilmente di coprirsi.    

 
  
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