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Autore: RadCLiff_    14/09/2018    0 recensioni
Quando la società è divisa per caste genetiche, solo i migliori possono arrivare a realizzare i propri sogni.
In un mondo dove solo i migliori tra i migliori potevano vivere, dove ogni rapporto era basato sulla genetica di appartenenza, lei non avrebbe rinunciato al suo sogno. Nonostante la sua classe genetica fosse la più infima, Clarke voleva arrivare disperatamente alla fonte della sua luce, alle stelle.
Sarebbe stata disposta a fare qualunque cosa, anche a morire.
Clexa Slow Burn
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Clarke Griffin, Lexa, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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I




Un raggio di luce filtrava timidamente dalla finestrella mentre l'orologio da tavolo segnava le 9.06. Una testa di capelli paglierini si rigirava nel letto. Il rumore insistente del campanello l'aveva fatta risvegliare dal sonno profondo in cui era immersa, diede uno sguardo distratto alla sveglia ancora disorientata. Velocemente si alzò e si sedette. Il disturbante rumore continuava imperterrito a spingerla ad alzarsi. Le ci vollero pochi passi per raggiungere la porta del suo piccolo locale con ancora indosso il pigiama e gli occhi rossi dal sonno. Sblocco la chiusura a mano e aprì un piccolo scorcio alla porta chiedendosi chi potesse mai essere. La sua vita era sempre stata scandita da continui alti e bassi familiari, le amicizie erano scarseggiate in particolar modo dopo che venne a trovarsi sola al mondo in seguito alla morte di entrambi i suoi genitori. Da allora la sua vita era stata mera sopravvivenza.
 L'ospite inatteso fu presto svelato, la ragazza infatti non era sorpresa nel trovare appoggiato all’uscio di casa sua il Signor McCourt.


«Buongiorno signorina Griffin» cappotto sul braccio, sorriso in volto e vestiario impeccabile come la notte precedente, ad eccezione dell'aggiunta di una vivace cravatta rossa, con un pattern di alberelli natalizi, che risaltava particolarmente all'occhio. 

L'uomo varcò la soglia di casa senza aspettare l'invito, la ragazza non oppose obiezioni.
Clarke viveva in un piccolo locale malridotto che aveva giusto l'essenziale per essere considerato spazio vitale. In fondo c'era la stanza da letto ma sembrava più un angusto corridoio più che stanza da letto. La camera vedeva una sedia abbandonata, un banchetto basso e storto trasformato in una scrivania di fortuna con fogli sparsi sopra, un grande letto austero, pochi indumenti sdruciti abbandonati nell'armadio logoro e un asciugamano lezzo buttato sullo schienale del letto. Quello era il luogo segreto di un’anima desiderosa di cambiare e aspirare a una vita migliore.


«Vedo che ha già dato un'occhiata al fascicolo» indicò il tavolino.

«Ho cercato di prendere confidenza con l'identità.»

«Capisco,» si grattò la barbetta sulla guancia con una mano, proprio come aveva fatto la sera scorsa, forse era un’abitudine la sua, «Molto presto dovrà andare via da questa città e sparire per un periodo di tempo. Riceverà istruzioni non appena sarà pronta a prendere il posto di Sam Parker, del resto non si deve preoccupare.»

Erano molte le domande che affollavano la mente di Clarke riguardo Sam. Dal fascicolo in suo possesso sapeva che, oltre alle prestanti credenziali scritte nel suo genoma, era una ragazza poco più grande di lei. Aveva una spiccata predisposizione per le materie scientifiche. Nessun legame. Origini russe nonostante il cognome.
C’erano anche informazioni molto più scientifiche e dettagliate, ma di poca utilità se non si aveva un base antropologica con cui decodificare le diciture come South_baltic e North_Central_Euro con contributi East_euro e West_Asian. Riassunto con Nordoide/Pontoide. Derivazione Yamnaya III.
Si chiedeva tante di quelle cose sul conto di Sam ma sapeva che erano questioni che andavano al di là di una semplice domanda e risposta.
Una cosa era certa, a volte era meglio non insistere a chiedere, una persona come il Signor McCourt non l'aveva di certo trovato sull’elenco telefonico.
Individui superiori come Sam Parker potevano ottenere qualunque cosa dalla vita, realizzare qualunque sogno, arrivare dovunque, ma persino loro non erano immuni a eventi probabilistici dettati dal caso. Dopotutto non esisteva qualcosa come il gene del destino e quando costoro andavano incontro a un fato avverso il loro patrimonio genetico diventava merce preziosa sul mercato nero. Molte identità venivano riciclate una volta che i portatori erano andati incontro alla morte; le morti naturali erano più difficili da riciclare mentre le morti per omicidio erano merce assai più appetibile. Più di rado succedeva che un proprietario rinunciasse volontariamente alla sua identità, per un motivo o un altro, in cambio di un compenso in denaro o di altro genere.
Prima di intraprendere questo percorso, Clarke aveva fatto le dovute ricerche in contesti poco legali e aveva scoperto molte cose.
Una parte di lei sperava che Sam non avesse fatto una fine troppo brutta, ma in cuor suo, avidamente desiderava trasformarsi in questa sconosciuta, aveva sacrificato troppo della sua vita ed era arrivato il momento di rigirare le carte.


«Non appena si sarà spostata, le manderò delle persone che la aiuteranno a correggere e mascherare difetti e differenze fisiche e/o visive. Ogni cosa che possa ricondurre al fatto che lei non sia veramente lei, ogni elemento che possa suscitare il minimo sospetto.»

«Cosa succederebbe se così non fosse?» Lo sguardo dell'uomo era serioso, la fissò senza lasciar trapelare alcunché, «Nel nefasto caso nella quale si possa verificare ciò, la parcella versata non sarà restituita, saranno restituite tutte le eventuali apparecchiature concesse, non sarà riconosciuto una nostra conoscenza di nessun genere ed infine lei finirà in prigione per pirateria genetica e truffa aggravata ai danni dello stato. Le prospettive migliori vedono una condanna di parecchi parecchi anni, nella peggiore delle ipotesi,» fece una pausa, «che prevedono aggravanti ulteriori, non rivedrà mai più la luce del sole.»

«Solo questo? Nient'altro?» scherzò ironica. Quelle parole erano scivolate fuori dalla sua bocca senza che se ne accorgesse.
Doveva fare molta attenzione da adesso in avanti, aveva scelto di giocare a un gioco pericoloso, di vivere in un costante fuoco e non poteva permettersi neanche una scottatura o la pena sarebbe stata insostenibile.


«Una volta stabilita e integrata, è consigliabile limitare i contatti interpersonali ma senza escluderli completamente. Sarebbe pericoloso per la sua identità esporsi quanto sospettoso astenersene.»

Fortunatamente Clarke non era una persona così socievole da intraprendere una conversazione con chiunque ma non legare con nessuno per il resto della sua vita, probabilmente sarebbe stato fonte di sofferenza persino per lei. In quel momento le balenò in mente che era arrivato il momento di andarsi a comprare un amico a quattro zampe, come aveva sempre sognato da piccola ma che purtroppo non si era mai avverato poiché sua madre era stata allergica al pelo animale. Si fece un appunto mentale su una delle cose da fare non appena sarebbe diventata Sam Parker.
Lo sguardo del Signor McCourt era posato insistentemente su di lei, forse aspettandosi dubbi e domande da parte sua.


«Cosa ne sarà di tutto questo?» indicò allargando le braccia a mezz’aria, «Cosa ne sarà della mia vita di ora? Le persone che ho conosciuto, quelli che mi conoscono?»

«Quello che sta per fare è per sempre e come tale, affinché lei possa ricominciare, deve lasciarsi dietro tutto quanto. Deve sparire dalle loro vite» un momento si silenziò scese sulla stanza - Clarke Griffin deve morire.»

«Cosa dovrò fare?»

Un sorriso apparve sul volto dell'uomo, «Lei non deve fare niente. Risulterà semplicemente vittima di uno sfortunato incidente, deceduta all'estero nel corso di un viaggio, tutti i suoi eventuali effetti personali saranno confiscati da un personale apposito.»

Dalla tasca interna della giacca appesa al braccio apparve un biglietto con uno stemma rossa racchiuso in una circonferenza verde, indicante la compagnia. Era un biglietto aereo di sola andata con il suo nome.

«Russia?!» chiese a bocca aperta con lo sguardo sconvolto appena focalizzò la destinazione.

«Si rilassi, è solo un biglietto per creare una falsa partenza. Spero che le piaccia la Russia perché Clarke Griffin rimarrà per sempre nelle gelide terre russe. La sua meta reale sarà Washington.»

Tirò fuori un secondo biglietto dalla stessa tasca, «Userà un nome di transizione e prenderà questo volo, all'arrivo si rechi al seguente indirizzo e ci resti. Riceverà presto visita» concluse allungando un biglietto su cui era appuntato un indirizzo in nero.

Che ironia, Clarke Griffin sarebbe morta dove è nata Sam Parker.
Clarke prese l'indirizzo e il biglietto dalle mani del robusto uomo.


«Non porti niente, cerchi di non attirare l'attenzione e...» fece una pausa per pensare a cosa dire, «Buon Natale.»
 

 


 
Il viavai di persone era notevole e questo consentiva una perfetta mimetizzazione. Passavano tutti con gran fretta senza badare minimamente alle altre persone nell’aeroporto. Nessuno sembrava veramente notarla.
Si sedette a un tavolino nella zona d’attesa per il gate che avrebbe ospitato il volo diretto a Washington DC. Dalla sua posizione poteva vedere fuori dalla vetrata la pista di volo, una piccola figura guidava un veicolo che tirava una fila di blocchi di valigie, scese dall’auto e iniziò ad aiutare i colleghi a scaricare i bagagli su un nastro trasportatore collegato con l’interno.
Guardò l’orologio su uno dei pannelli che segnava tutti i voli in partenza ed arrivo, 19.02. Sarebbe già dovuta essere sul volo ma purtroppo questo aveva subito un brutto ritardo per via di un tempo davvero poco simpatico. Con aria un po' scocciata si guardò intorno presa dalla noia e una leggera fame, decise di dirigersi verso il bar della zona ristoro, anche se dubitava fortemente della qualità delle materie prime.
Arrivata al bar, si sedette al balcone e ordinò un panino e una bevanda al volo. Il ragazzo che la servì le lanciò uno splendido sorriso malizioso, in tutta risposta Clarke ricambiò il sorriso mentre il ragazzo – Finn, da quello che si leggeva dal cartellino sul petto - le porgeva gentilmente un piatto con un panino caldo e le versava la bevanda in un bicchiere.


«Ritardo scommetto» le rivolse un caldo sorriso mentre appoggiava la bevanda sul balcone.

«È davvero così semplice leggermi?» sbuffò la bionda divertita.   

«I miei cari genitori mi hanno fatto il favore di includere i poteri paranormali nel mio genoma, quale lettura della mente» ridacchiò senza ricevere risposta, si schiarì la voce, «Perdonami forse sono stato un po' inopportuno. È che tutti quelli che vedi, sono qui per un ritardo o un altro» si spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, «Piacere, Finn.»

Finn era un bel ragazzo dai capelli castani e occhi nocciola. I suoi occhi trasmettevano un senso di calore e il suo sorriso contagioso metteva quasi di buon umore.

«Piacere mio, Finn.»

Prese un morso del suo panino, mentre lo assaporava si rendeva conto che tutto quello era piuttosto surreale. Era lì, seduta al bar a parlare con un barista in attesa di prendere un volo per la capitale e non tornare mai più. Si era quasi dimenticata di quel giovane ragazzo davanti a lei, quando richiamò la sua attenzione dicendo qualcosa.

«Scusami Finn, cosa stavi dicendo?»

La fissò divertito con i suoi caldi occhi color nocciola, «Ho detto, e tu come ti chiami?»

Bella domanda.
E lei ora chi era? Sam Parker? O Clarke Griffin? No, quelli erano gli ultimi istanti di vita di Clarke Griffin, della sua vecchia vita. Tra meno di poche ore avrebbe lasciato tutto quanto alle spalle, tutto quello che l’aveva caratterizzata fino a quel giorno, la sua vita sarebbe cambiata totalmente.
Finn attendeva con un sopracciglio alzato mentre seguiva un silenzio riempito solo dal rumore caotico del un bar e il vociare di persone in mezzo all’aeroporto.


«Clarke. Mi chiamo Clarke.»

Seguì una piacevole conversazione con Finn che aveva distratto Clarke dalla noiosa attesa del suo volo mentre prendeva un morso dal suo panino ogni tanto, quando il ragazzo doveva allontanarsi per servire altri clienti.
Cercò sempre di centrare il discorso su Finn, evitando così le domande su sé stessa. Quell’incontro era stato inatteso e più di una volta non aveva saputo cosa rispondere. Aveva scoperto che Finn era una delle tante vittime indirette della perfezione umana, era un gamma. Voleva da sempre intraprendere la carriera militare ma, nonostante sembrasse un ragazzo in perfetta forma, era cagionevole di salute ed era stato respinto più volte poiché “geneticamente inadatto”. L’esercito, come moltissimi altri settori, ricercava e accettava solo il top dei giovani con classe genetica di tipo Alpha e Beta. Benché sulla carta fosse diverso, nessuno aveva interesse ad investire o accogliere tra le file individui geneticamente sfavorevoli per lavori in team, leadership, prestanza fisica, spirito d’iniziativa e così via in base a ciò che veniva richiesto, quando potevano avere uomini perfetti.
Dopo la diffusione e naturalizzazione dei bambini in vitro, la società ha iniziato a rimodellarsi su questa base. Nacquero le prime etichette di Alpha, Beta, Gamma e le prime tabelle di calcolo di perfezione. Gli Alpha erano i cosiddetti uomini perfetti, in tutto per tutto con imperfezioni genetiche al di sotto del 10%. Gli Alpha erano solitamente selezionati in vitro anche se era possibile la nascita di uno di loro attraverso il concepimento tradizionale, ma assai impossibile se le caratteristiche genitoriali non sfioravano la perfezione assoluta.
I Beta erano gli uomini quasi perfetti che avevano un margine di imperfezione che andava dal 10% al 50%, i Gamma erano gli scarti che, secondo complessi calcoli genetici, venivano determinati come tali poiché avevano un margine di errore che andava dal 50% in su.

Il suono di un avviso riempì l’aeroporto – Si avvisano i gentili passeggeri del volo 82ZYP3 diretto a Washington DC delle ore 21.00 di recarsi al gate 32 per l’immediato imbarco. – L’avviso fu ripetuto un paio di volte in più lingue.

Avrebbe voluto salutare il giovane ma visto che era impegnato con l’affluire sempre maggiore dei clienti e l’imbarco immediato, non poté fare altrimenti che alzarsi e andarsene.
Lasciò un semplice biglietto scritto al volo insieme a una piccola mancia.
Al ritorno di Finn, Clarke era già scomparsa in mezzo al viavai di persone, lasciando l’unica traccia del suo passaggio sul balcone.

 
Grazie della compagnia. Addio -Clarke
 
Mentre Clarke si dirigeva al gate pensava che quello era un addio non solo a Finn, era l ultimo saluto che volgeva alla sua città, alla sua vita, a lei.
Addio Clarke Griffin.
  
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