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Autore: adovrelovato    07/10/2018    0 recensioni
Tutti si fermano a parlare di storie straordinarie, che hanno cambiato il mondo, esperienze che tolgono il fiato e sogni che si relizzano. Pochi decidono di scrivere di vite normali, come se ci fosse un criterio fisso per definire famiglie o ragazzi con questo aggettivo. La verità è che dentro la storia di ognuno c'è quella scintilla di pazzia o drammaticità che la rende speciale. Si potrebbe scrivere una biografia su ogni individuo che sia nato, morto o che continui a vivere su questo pianeta. Non dovrebbero essere gli altri a definire la nostra vita pazzesca o noiosa, tutti hanno attraversato tempi bui e di sfuggevole gioia. Alcuni si sono arresi, altri rialzati. Ma nessuno possiede un passato facile o già scritto. Se ci fosse un criterio per definire la normalità allora il mondo non avrebbe più niente da imparare, ma resterebbe rinchiuso nella propria ignoranza, senza alcuna speranza di migliorarsi e sopravvivere.
Nico, Agnese e Lara non sono normali, non sono pazzi, ma neanche banali. Sono solo tre persone diverse che cercano di vivere, non importa in che modo. Tanto alla fine del giorno ognuno sarà ritenuto fuori di testa da parte di qualcun altro. Allora meglio vivere come viene
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nico camminava sotto l'anonima alba che ricopriva il cielo. Erano le sei, aveva le mani fredde ma il cuore che gli scoppiava dalla rabbia, o dall'amore. Non lo capiva mai, non riusciva mai a distinguere cosa gli facesse bene e cosa invece lo faceva incazzare. Un passo dopo l'altro si allontanava da casa, auricolari che facevano rimbombare nelle sue orecchie vecchie canzoni che ascoltava per scaricare la rabbia o non pensare. Ma questa volta non funzionavano, la testa continuava ad alzare il volume dei pensieri, rendendo ridicolo ogni suo tentativo di dimenticare come si sentisse. Aveva così tanta energia da non riuscire a scaricarla, se la sentiva nelle vene e nel petto, scorreva veloce e impertinente senza lasciargli lo spazio per respirare. Corse senza freno oltre il parco, dopo la chiesa, scappando dal rumore e dal rumore delle auto in strada. Aveva bisogno di stare solo, ma nessun posto gli sembrava un rifugio adatto. E più correva più se ne rendeva conto. Il fiato ora cominciava a mancargli per davvero e lo costrinse a sedersi dietro delle siepi davanti a una vecchia casa abbandonata dai proprietari da troppo tempo. Ci giocava da bambino in quel cortile, ora sembrava una foresta di anime in pena. Abbassò lo sguardo e neanche se ne accorse che le lacrime gli stavano scorrendo per il viso, neanche provò ad asciugarsele o a smettere. Non stava pensando a niente, piangeva e basta. Come un bambino che non ha ottenuto qualcosa con le bizze. Avrebbe voluto tornare a essere piccolo, guardare tutto con occhi diversi, liberarsi di questi demoni per un po', ma più ci pensava più questi prendevano spazio dentro di lui, consumando ogni sua risorsa. Gli occhi bruciavano e le mani stavano iniziando a essere fredde, il clima autunnale era una culla per la sua tristezza. Assecondava il suo dolore e gli dava un motivo per continuare a sentirsi così, come fosse la più rassicurante delle carezze. Nemmeno lui sapeva se in realtà aveva voglia di sentirsi diversamente da così, se ci sarebbe mai riuscito. Forse il problema era che lui non voleva uscire dal suo stato d'animo attuale, che ormai ci era abituato. Come molte persone sono spesso felici lui era, per la maggior parte del tempo, vuoto. Un insieme di emozioni e pensieri che alla fine si spiegavano solo con quella parola che significava tutto e niente allo stesso tempo. Tutto, tutto perchè il suo corpo era interamente concentrato ad alimentare e provare ad assimilare quel dolore, perchè la sua mente era un continuo di pensieri tristi o malinconici. E niente, niente perchè alla fine lui si sentiva così, come un fantasma in un mondo senza Melinda Gordon. Con nessuno che lo capisse o cercasse di tirarlo fuori da quel turbinio di merda. Niente, qualcosa che non si riesce a spiegare e neanche ad immaginare, come se fosse l'unica realtà che manca nella nostra grande lista, quella che tutti pensano di aver completato prima di alzare lo sguardo e rendersi conto che in verità non hanno combinato un emerito cazzo.

Piangeva con il viso rivolto verso il cielo, sperando che quel Dio di cui tutti parlano potesse aiutarlo in qualche modo, come se il suo silenzioso pianto potesse davvero diventare urlo di disperazione agli occhi di qualcun altro.

Lara era stazionaria in un'emozione contrastante. Il suo corpo le diceva di stare a casa e non andare, ma la sua mente lo faceva muovere e ondeggiare per la casa così da riuscire a prepararsi in tempo per l'autobus. Un passo dopo l'altro lasciava il calore di casa sua per sfidare il tempo autunnale. Solitamente non metteva mai la giacca, ma quel giorno provava più freddo del previsto. Lo aveva capito che aveva la febbre, se la sentiva premere addosso come una crema appiccicosa, ma non poteva saltare scuola. Aveva studiato duramente il giorno prima per quel compito e doveva a tutti i costi dare prova a sé stessa che ce la poteva fare. Si accasciò sui sedili di quel puzzolente mezzo e chiuse gli occhi, aveva un'ora per riposarsi ed era troppo stanca per passarla sveglia.

Nico non passò da casa prima di entrare a scuola, era senza zaino e libri, ma decise che in quanto a borse ne aveva già abbastanza sotto gli occhi. Il giorno prima si era preso un pugno da quel cafone che gli aveva rotto il cazzo per una sigaretta e lui gli aveva risposto che non gliel'avrebbe data neanche se fosse stato Dio sceso in terra. Rude, ma necessario. Quel figlio di papà non doveva neanche rivolgergli la parola, non gli interessava cosa avrebbe pensato una volta girato l'angolo. Nonostante il labbro rotto riuscì a mettere a segno anche lui qualche punto, costringendo il damerino ad andarsene senza pronunciare parola. Assurdo come un po' di nicotina e qualche sentimento represso possano risvegliare tanta rabbia.
Nico infilò le mani dentro la felpa e si nascose dietro l'edificio nel quale sarebbe dovuto entrare tra pochi minuti scartando una barretta al ciccolato che era ormai diventato un reperto dentro le tasche di pail.
Gliel'aveva passata Sofia un pomeriggio uscendo dalla loro classe per raggiungere un suo amico qualche piano più in basso. "Tieni" aveva detto lei "mangi troppo poco, tra poco caschi per terra". Ma lui in quel momento non ne aveva voglia e l'aveva conservata, dimenticandosela. Sarebbe stata fiera a vederlo mangiare il suo dono, ma lei non era lì. Era a qualche inutile conferenza con la sua stupida classe per smaltire le ore di alternanza prima che l'esame arrivasse. Si domandò se amasse Sofia veramente, se stesse con lei per abitudine o perchè provava seriamente qualcosa. Se l'avesse amata si sarebbe dimenticato della sua merendina? Avrebbe considerato inutili le conferenze alle quali partecipava o l'avrebbe sostenuta? Si sarebbe mai domandato per quale motivo un giorno portava il cappotto e il trucco mentre quello successivo solo una felpa, camminando struccata per il corridoio? E lei? Chissà se lei se lo domandasse perchè un giorno Nico sorrideva mentre l'altro tornava con il labbro spaccato. Chissà se lei si chiedeva perchè si fosse dimenticato la merendina. Chissà... chissà se lei si chiedeva mai se lo amasse veramente o se fosse solo sesso.

Lara fu svegliata da un tocco maleducato e iruento sulla spalla, che le fece girare la testa poco dopo aver aperto gli occhi. Un ragazzo moro e sulla trentina aspettava qualche risposta al suo movimento, ma lei era troppo sconbussolata dalla febbre per potergliene offrire una immediata. Fece un respiro profondo e si sistemò sul sedile dritta, ma fu il tizio davanti a lei a parlare «Signorina è la seconda volta che fa la corsa completa, dove avrebbe dovuto scendere?»
E Lara si svegliò improvvisamente dopo aver sentito quelle parole, non sapeva neanche cosa dirgli, prese il suo zaino in spalla e corse fuori dalla corriera in preda al panico imprecando sottovoce. Era ancora in tempo per il compito, controllò l'orario sul cellulare, per poi aumentare il passo. La scuola era distante dieci minuti e sarebbe riuscita ad arrivare in meno di sette se avesse camminato abbastanza in fretta. Era già esausta dalla corsa, ma doveva riuscire ad entrare prima dell'inizio della seconda ora. Il compito di storia era il suo unico pensiero, aveva fatto una scommessa con sé stessa e doveva vincerla. La salita le mozzò il fiato, ma era riuscita a superarla, ancora pochi metri la separavano dalla scuola. Le gambe la imploravano di fermarsi, tremavano per la febbre e per il tempo inospitale senza darsi pace. Lara insistette fino all'ultimo, prima di sentire una voragine aprirsi sotto i piedi e gli occhi chiudersi mentre le ginocchia toccavano l'asfalto freddo del parcheggio.

Nico non era entrato, non aveva voglia di sopportare l'ambiente scolastico, era rimasto lì, seduto sul muretto a porgersi domande senza risposte fino al momento in cui le sue natiche non erano iniziate a diventare della temperatura del suo freezer. A quel punto si era alzato, aveva buttato la plastica dello snack nel bidone della plastica e aveva camminato per qualche metro con le mani in tasca e lo sguardo basso. Si sentiva privo di ogni interesse, come se fosse in stand-by da una vita. Andò avanti così fino a che un tonfo catturò la sua attenzione. Nico si girò e vide qualcuno a terra. In quel momento sperò non fosse morto, non avrebbe saputo gestire una situazione del genere. Avvocati e medici che ti fanno il terzo grado per sapere quanti uccellini cantavano nel momento dell'accaduto. No. Non ne aveva bisogno. L'ansia lo fece affrettare ad avvicinarsi al corpo, una ragazza. Appoggiò indice e medio della mano destra sul suo collo per accertarsi che non fosse morta e negli istanti che precedevano un battito da quello successivo cercò di ricordarsi il massaggio cardiaco che aveva visto quella volta insieme alla madre su Grey's anatomy, con scarsi risultati. Nico sospirò quando si rese conto di non aver a che fare con un morto. Le afferrò un braccio, sostenendole la schiena e le gambe. Non avrebbe voluto entrare a scuola, ma era l'unico modo per accertarsi che quella ragazza stesse bene. Il suo viso sembrava di ghiaccio, ma il suo corpo emanava calore. Lui notò le sue guance rosse, unico spiraglio di speranza in tutto quel pallore, forse era come lui, ricoperta da un solo colore, inconsapevole di averne centinaia al suo interno.

Lara si svegliò per la terza volta in poche ore, ma questa volta non fu disperata o ansiosa, era troppo stanca anche per provare sentimenti. Riuscì a mala pena ad aprire gli occhi, mentre cercava di proteggersi dalla luce nella stanza in cui si trovava. Qualche lacrima scese ugualmente, ma non le diede fastidio e quandò riuscì a distinguere i mobili intorno a lei si sentì immediatamente meglio. La voce rassicurante della bidella fu come la sua canzone preferita, non la amò mai così tanto.
«Prima che tu possa dire qualcosa ho già avvisato la tua professoressa dell'inconveniente, voi ragazzini siete pazzi a venire a scuola per una verifica quando avete la febbre» rise tra sé e sé, cambiando lo straccio sulla sua fronte «Vorrei avere la vostra forza di volontà nel venire a lavoro.»
Lara sorrise, ma lo fece solo dentro di lei perchè tutto il suo corpo sembrava troppo affaticato per poter compiere quel movimento realmente. Loredana stava dicendo qualcos'altro, ma lei sentì solo le prime parole, per poi addormentarsi nuovamente.

Nico se ne andò dalla presidenza e si sentì come se avesse appena confessato un omicidio. Non si sentiva in colpa, ma odiava le domande. Per fortuna ad alcune aveva saputo rispondere senza produrre ulteriori domande, ma dal momento che stava palesemente saltando scuola, il preside finse di non averlo mai visto. A Nico non sarebbe importato comunque se si fosse cacciato nei guai, in quel momento voleva solo andare a vedere come stava quella ragazza. Attraversò tutta la scuola per arrivare in quella specie di infermieria ficcata dentro un ripostiglio.
Loredana uscì con il viso concentrato, ma senza stress evidente. Era tranquilla, come se fosse solo routine per lei.
«Sta dormendo di nuovo, si è svegliata e ho provato ad accennargli di te, ma nel momento in cui gliene stavo parlando i suoi occhi hanno ceduto.»
«Non importa» sussurrò lui per paura di svegliarla o di essere sentito «per favore non le dica il mio nome, non vorrei essere considerato un eroe o qualcosa del genere, queste ragazzine fraintendono spesso.» In verità mentiva, avrebbe voluto che qualcuno lo considerasse un eroe, un giorno.
«Oh lei non è come le altre, credimi» rise «ma se davvero preferisci così, lo farò.»
«La ringrazio. Se le va però mi potrebbe aggiornare sulle sue condizioni.»
«Conpiacere» accettò «vuoi entrare per un minuto? Dubito si svegli, dorme dellagrossa.»
Nico annuì ancora prima di poter pensare a cosa stava facendo. Loredana chiuse la porta e lo lasciò solo con quella ragazza di cui gli sfuggiva anche il nome. L'aveva già vista, qualche anno prima. Forse era nel suo stesso corso di boxe o l'aveva vista in una pubblicità in televisione. Si avvicinò al lettino, esaminando il suo corpo come fosse un dipinto in un museo. Per quanta tranquillità ci fosse lui, la sentiva scatenare una tempesta dentro la sua mente. E non poteva fare niente per fermarla. Il viso pallido si era ridipinto di rosa, donandole una nuova visione di esistere. Non era più la ragazza stesa sul cemento, indifesa dal mondo dove la sua unica scelta era poter essere salvata. Aveva una grinta che prima era sfuggita dagli occhi di Nico e che ora glieli stava riempiendo. Il pensiero del ragazzo si spostò e si immaginò l'evenienza in cui lui non sarebbe stato lì ad aiutarla, a portarla al sicuro. Un'evenienza in cui lei fosse ancora stesa sulla ghiaina con le gote troppo bianche e le labbra colorate da un dolce viola. Poi pensò che invece qualcuno ci sarebbe stato, che qualcun altro avrebbe avuto la possibilità di vederla cadere e aiutarla ad alzarsi. Qualcuno che si sarebbe vantato del fatto, raccontandolo a tutti e ritraendola come una principessa bisognosa del suo cavaliere. Lui l'aveva salvata in un certo senso, ma non si sentiva né cavaliere né principe, tanto meno re. Però per la prima volta si sentiva qualcuno. Qualcuno che aveva avuto il coraggio di vivere e cambiare per un secondo. Qualcuno, e non più un'anima tra tante. Avvicinò la sua mano alle dita esili della ragazza con l'intenzione di sfiorarle, per poi tirarsi indietro. Avrebbe potuto svegliarla e invece doveva solo lasciarla riposare. Indietreggiò, uscendo dalla porta. Avrebbe potuto innamorarsi e invece doveva solo scappare. 

   
 
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