«E ora che faccio?» Elie si
sedette sulla panchina che si trovava all’ingresso del molo. Guardando il mare, pensò che sarebbe stato un posto
perfetto per fumare, ma lei non aveva questo vizio.
«Peccato,
dovrò iniziare a farlo. Cazzo, che freddo, guarda te
se quello stronzo proprio stasera mi doveva fare incazzare…» Il pensiero di “quello stronzo”,
che le diceva che era stufo di aspettare e che tutte le coppie per dimostrarsi
il loro amore lo facevano anche dopo solo una settimana, le fece venire un
impulso omicida che scaricò su una lattina abbandonata lì vicino. Si accomodò
contro lo schienale duro della panchina e si disse di stare calma, tanto avrebbe dovuto aspettare le quattro e mezza prima che suo
fratello passasse a prenderla.
«Mezzanotte
e mezza. Uff, non ho voglia di rintanarmi in qualche
bar per tre ore. Però se sto qui mi potrebbero
scambiare per una prostituta. Lo sapevo, non dovevo mettere la gonna, non lo faccio mai!» Si alzò di scatto e prese a camminare lungo il
mare. Sapeva che se avesse chiamato sua madre avrebbe dovuto raccontarle che in
realtà non era andata ad una festa, ma era stata con un ragazzo e lei non l’avrebbe più fatta uscire per i prossimi dieci anni. Meglio
evitare, ci aveva messo quattro giorni per farsi concedere il permesso di stare
via fino alle quattro e mezza e ora non voleva fare la figura della scema. In
fondo le piaceva camminare di sera da sola, perché la faceva sentire strana,
quasi importante.
Elie era
una ragazza abbastanza alta, di corporatura normale, anche se prosperosa e
tipicamente mediterranea. I capelli erano scuri e ondulati, con una leggera
frangetta e lunghi fin sotto le spalle, lasciati di solito
sciolti. Gli occhi color ambra avevano l’iride
contornata di nero. Nel complesso era carina, non si truccava pesantemente come
tante ragazze della sua età e non usciva ogni sera, faceva una vita tranquilla,
ma con tutti gli intoppi tipici dell’adolescenza. Aveva molti ragazzi che le
ronzavano intorno ed era uscita anche con tanti di loro, ma ogni storia non era
mai durata più di due settimane: non lasciava, ma si faceva lasciare in modo da
non poter essere rimproverata da nessuno.
«Che bello, mi sembra di essere un boss che passeggia nel suo
territorio, mi sento potente!» Con questa sensazione addosso affrettò il passo
e assunse un’andatura imponente, sguardo alto e fiero, da vero capo.
«Mm?
Non avevo mai notato quella strada. Deve essere proprietà privata, con tutta quell’edera che circonda l’entrata… Potrei dare un’occhiata, il tempo di certo non mi manca e poi
voglio proprio vedere dove porta»
Percorso
il sentiero buio si ritrovò in un bosco, si sentiva in lontananza il rumore del
mare, quindi non doveva essere lontana dal molo, però quel bosco non l’aveva mai visto prima.
«Figo!
Ma pensa te quante cose non si conoscono della propria
città, fai cento metri in più e ti ritrovi in capo al mondo!» Presa
dall’entusiasmo Elie iniziò a guardarsi intorno, in
cerca di una casa o qualcosa del genere. I suoi passi erano
illuminati solo dalla luce della luna, non erano presenti né lampioni né
alcun tipo di luce artificiale. Camminò fino a quando intravide una figura
muoversi ai piedi di un albero. D’istinto fece qualche passo indietro e scontrò
contro la corteccia di un arbusto.
«Chi
sei? Questa è casa tua? No, che dico, come può essere
casa tua un bosco… Scusa se ti ho disturbato, ora vado…»
Mentre pronunciava queste parole si spostò in avanti per vedere meglio chi
avesse di fronte ed i raggi della luna rischiararono la figura dell’uomo. «No,
non è un uomo» pensò, «sembra più un ragazzo, ma chissà perché sta così curvo…»
Il
ragazzo si spostò in avanti rivelandosi per intero: aveva i capelli mossi,
castani e scompigliati, una maglietta nera attillata e dei pantaloni dello
stesso colore, si appoggiava con la mano destra all’albero e con l’altra si
teneva il fianco, il quale, dopo un’attenta occhiata, si rivelò sanguinante.
«Che hai fatto? Stai sanguinando!» Elie
si avvicinò di qualche passo con la mano pronta a sorreggerlo, ma appena il
ragazzo alzò lo sguardo da terra, mostrando i suoi occhi chiari, la ragazza si bloccò. Sentì una scossa elettrica invaderle
il corpo, una fiamma gelida che partiva dalle gambe per arrivarle alla testa
passando per il cuore. Rimase qualche secondo con lo sguardo perso nei suoi
occhi, due perle grigie-azzurre come due tunnel verso l’anima, poi si riprese,
ma le mancava il coraggio di avvicinarsi ancora al ragazzo.
«Aiutami…» le disse il ragazzo. La sua voce non era
quella di un uomo, ma neanche quella di un ragazzino. «Che
voce calda» pensò lei, ma neanche al suono della richiesta del ragazzo riuscì
ad avvicinarsi.
«Che aspetti? Non mi dire
che hai paura… Non ti mordo mica» Il tono strafottente del ragazzo scosse Elie che avanzò di qualche passo e distolse lo sguardo da
quello di lui. Un leggero rossore le invase le guance quando gli fu abbastanza
vicino da sentirne il profumo.
«Si può sapere come hai fatto a ridurti così? Hai
fatto a botte con qualche ragazzo, che era palesemente più forte di te?» gli
chiese senza un vero interesse. Ora, quello che le interessava di più era
capire che cosa le succedeva. Era stata sempre una ragazza espansiva, che non
si vergognava a parlare con i ragazzi che non conosceva ed in fondo si riteneva
abbastanza superiore agli altri da farla comportare da spavalda.
«Non mi pare che t’interessi davvero saperlo» Le
sue parole erano pungenti, senza alcun motivo iniziava ad essere in imbarazzo.
Lo aiutò a sedersi per terra e vide la pozza di sangue che in pochi minuti
s’era formata ai loro piedi.
«Devi andare all’ospedale» gli disse d’impulso. «Rischi
di morire dissanguato!» ma subito dopo si pentì di aver pronunciato quelle
parole. Lui la guardò con superiorità «Non mi serve l’ospedale. Mi serve il tuo
aiuto» le rispose.
«Ma certo, dimmi che devo
fare! Posso chiamare qualcuno più esperto di me in queste cose e-»
«No. Tu sei più che adatta» il ragazzo le prese il
viso fra le mani lasciandole una striscia di sangue sulla guancia, le avvicinò
il volto, ma Elie si rialzò e sbottò arrabbiata «Ma che fai?! Ora me ne vado!» Quindi si girò e prese a
camminare verso il sentiero da cui era entrata.
«Guarda che non volevo
mica baciarti. Stavo guardando i tuoi occhi»
«Ma a chi vuoi darla a
bere?!» gli urlò contro. «Ti credi così importante? Solo perché stai morendo dissanguato non è
detto che puoi fare quello che vuoi!» Lui si mise a ridere e lei capì che
quello che aveva appena detto non aveva senso, lui stava davvero morendo, non
poteva lasciarlo lì.
«Vedo che hai cambiato idea… Ormai sono allo
stremo. Devi darmi un po' di te» Questa volta fu lei a ridere, ma appena vide
che lui era rimasto serio, smise subito. Gli si avvicinò di nuovo e questa
volta lo guardò senza indugio negli occhi esclamando «Ti sei fatto di coca?»
Il ragazzo scosse la testa «Se
ti dicessi davvero chi sono non mi crederesti. Voi umani siete tutti così
stupidi…»
«Noi umani? Se mi dai anche della
stupida come pensi che io ti voglia dare una mano?» Allungò la mano per
sfiorargli il fianco ferito, ma lui la bloccò e le disse «Sono stato
ferito da un cacciatore di demoni. Naturalmente non in modo serio, ma è passato
troppo tempo e non riesco più a resistere. Se mi darai una parte della tua
energia vitale in cambio ti darò un po' del mio
potere. Voglio fare un patto con te, saremo legati. La
cosa non mi attira per niente, ma se stavolta non voglio lasciarci le penne
devo farlo. Non sto scherzando»
«Ah ah ah! Credi che io ci caschi? Sei fuori di
testa, probabilmente perché hai perso troppo sangue. Ora chiamo un’ambulanza» Estrasse il cellulare e compose il
numero, ma prima che qualcuno dall’altra parte potesse rispondere il telefono
si fuse diventando plastica sciolta, che le bruciò la mano. «Ma
che cazzo?! Brucia, brucia!»
Agitò la mano in aria per raffreddarla.
«Mi spiace per il telefono, ma se non mi vuoi
aiutare è meglio che tu…» Il ragazzo si accasciò e iniziò a tremare.
«Hei aspetta…
Non puoi mica morire! Poi mi sentirei in colpa e-» Le parole le morirono
in bocca quando alzò il viso del ragazzo con la mano e vide un’espressione di
dolore che non avrebbe mai immaginato. Gli occhi erano spenti e lui, prima così
spavaldo e arrogante, ora sembrava una persona completamente diversa, come ad
un bambino che ha perso la madre. «Vattene… Stanno
venendo a prendermi… Forse è meglio così» Si alzò e scomparve fra gli alberi,
barcollando e lasciando sulle foglie secche una scia di sangue rosso vivo.