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Autore: Old Fashioned    30/11/2018    19 recensioni
Las Vegas. Una donna si suicida saltando dalla sommità della celebre Stratosphere Tower. Poco dopo, un uomo condivide lo stesso destino, poi un altro ancora...
Cosa sta succedendo sulla torre? Perché la gente si butta?
Cinismo becero, sarcasmo, scorrettezza politica a man bassa. Chi non ama il genere è pregato di astenersi.
Prima classificata al contest "Politicamente Scorretto", indetto da WodkaEiffel sul forum di EFP, a pari merito con "La città maledetta", di Alessandroago_94.
Genere: Azione, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'SS'
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Lemming 1











LA NOTTE DEI LEMMING




Prima parte


Jesús Morales montò in sella alla sua cargo bike e prese a pedalare lentamente lungo il marciapiede. Era un buon orario: si era fatto buio e i turisti cominciavano a uscire dai casinò. Passeggiavano su e giù per la Strip guardando i grandi alberghi pieni di luci, e dopo un po’ ovviamente gli veniva fame.
Ne adocchiò un gruppetto che si faceva fotografare davanti all’enorme piramide nera del Luxor Hotel. Il cielo era già sufficientemente scuro e si vedeva bene il raggio bluastro che usciva in verticale dalla cuspide dell’edificio.
Passò oltre, lasciandosi alle spalle anche l’Excalibur, con le sue guglie dal tetto rosso e blu che sembravano costruzioni per bambini.
Un paio di ragazzotti orientali lo fermarono e si scambiarono selfie mentre compravano hot dog come i tipici personaggi dei telefilm americani. Fecero la foto anche al suo contenitore termico, su cui aveva disegnato, nera sulla superficie bianca, la silhouette di un cane con una fiammata che gli usciva dal culo, giusto per far capire che la sua roba era davvero piccante.
I due ragazzotti non diedero importanza al messaggio, o più probabilmente non lo colsero, fatto sta che in un inglese più approssimativo del suo gli chiesero altro chili, come se la salsa che aveva steso sulle salsicce non fosse già abbastanza forte di suo.
Li accontentò e se li lasciò alle spalle che rantolavano come asmatici, disposti anche a ficcare la testa in una fontana pur di avere un sorso d’acqua.
Salutò con un cenno del capo la Statua della Libertà posticcia davanti al NY Hotel e vendette un paio di hot dog a una coppietta talmente impegnata a sbaciucchiarsi che quasi dimenticava di fargli l’ordinazione. La cosa lo indispettì, per cui prese dalla rastrelliera delle salse quella contrassegnata con il teschio e le ossa incrociate e ne strizzò un bel po’ sui panini. Scomparve nella folla prima che i due li addentassero.
Ghignò tra sé e sé: niente sesso anale per un po’, piccioncini.
Dal Caesar’s Palace uscì una frotta di suoi connazionali che avevano fatto i soldi. Le femmine indossavano sgargianti abiti da sera, che si tendevano su forme perlopiù sovrabbondanti. I maschi erano rasati, vestiti di nero e tatuati ed esibivano pesanti catene d’oro al collo e ai polsi.
Jesús fece un rapido calcolo di quanti hot dog avrebbe dovuto vendere per comprarsi il più semplice di quei monili e il risultato fu sconfortante.
Considerò che invece degli hot dog avrebbe fatto meglio a vendere cocaina come quei tizi.
Continuò a risalire la Strip e nel passare gettò uno sguardo annoiato al Venice Hotel, con le barche nere a forma di banana che andavano su e giù nel canale finto.
Ricordava ancora quanto lo avevano colpito la prima volta che le aveva viste. Ora aveva solo voglia di cagarci dentro, in quel canale: un bello stronzo di quelli lunghi sarebbe sembrato una barca a banana in miniatura e magari nel buio qualche turista avrebbe anche cercato di prenderlo.
Raggiunse la Stratosphere Tower. Come ogni sera guardò in su e si stupì nel notare che le giostre erano tutte ferme. L’insanity pendeva immoto come una specie di ombrello mezzo aperto e l’X-scream, che normalmente basculava nel vuoto carico di turisti urlanti, era immobile e silenzioso.
Fu a quel punto che notò una forma in movimento. Alzò lo sguardo e vide che si trattava di una persona, una donna a giudicare dagli abiti ampi e svolazzanti, che stava precipitando. Sulle prime pensò a un inconsueto bungee-jumping, ma gli bastò un’occhiata per capire che nessun cavo di sicurezza avrebbe frenato la caduta del corpo. “Madre de Dios!” esclamò, più per abitudine che per altro, giusto un attimo prima che si udissero un tonfo sordo e poi delle urla di orrore.
Si voltò quasi con nostalgia verso il punto in cui il corpo era atterrato, nascosto da alti pannelli, e rimpianse di non aver avuto il cellulare pronto: a casa si sarebbero goduti il filmato.
Era ancora immerso in quelle considerazioni quando un secondo corpo, questa volta di un uomo, seguì il primo.
Ci furono un altro tonfo e delle altre urla, più forti delle precedenti, poi si udì una sirena della polizia in avvicinamento.
Fece un rapido calcolo: suicidi, casino, curiosi, folla. Zona transennata. Niente da mangiare per la gente che voleva seguire lo svolgersi degli eventi.
Niente a parte i suoi hot dog, se fosse riuscito a sistemarsi nel posto giusto.
Spinse il carretto alla base della torre, quindi staccò dalla canna della bicicletta un tubo di piombo che vi teneva assicurato per i momenti di necessità e si diresse con fare deciso verso un concorrente, un altro messicano, che si era accaparrato un posto decisamente migliore del suo e aveva un chiosco più grande. “Smamma, qui ci sto io,” gli ingiunse torvo.
“E perché?” protestò l’altro, “Io ero qui prima di te.”
Jesús passò allo spagnolo: “Ma io ti spacco la faccia se non ti togli dalle palle.”
“Chiamo la polizia!”
“Che per prima cosa controlla se sei un irregolare.”
L'altro si mosse a disagio e fissò lo sguardo sul tubo di piombo, che continuava a ondeggiare sinistro a un palmo dalla sua vetrina dei panini. Ringhiò fra i denti cavron e hijo de puta, peraltro attento a non pronunciare le parole in modo troppo chiaro, poi però raccolse il carretto e si spostò di qualche centinaio di metri.
Padrone del campo, Jesús si installò nella piazzola, aprì l'ombrellone anche se ormai era notte fonda e con voce stentorea cominciò a declamare: “Hot dog! I migliori hot dog di Las Vegas! Patate fritte! Chili con carne!”
Frattanto sogguardava quasi con affetto il nugolo di lampeggianti rossi e blu che si stava radunando alla base della torre.
“Hot dog!” ripeté, a voce ancora più alta. “I più piccanti! Mira el perro, fuoco al culo garantito!”



L'agente Schneider smontò dall'auto di servizio e per prima cosa rivolse uno sguardo torvo alla cima della Stratosphere Tower. “Merda,” brontolò, “se quegli stronzi avessero deciso di saltare dieci minuti più tardi, avrei fatto in tempo a finire il turno e adesso sarei a casa mia a guardare la partita in televisione.”
Smontando a sua volta, l'agente Stevenson, che insieme al primo costituiva una coppia affettuosamente definita dai colleghi SS, solennemente proclamò: “Tutti questi tizi che salgono sui cornicioni e stanno lì a rompere le palle per ore sono solo degli stronzi. Ti vuoi ammazzare? Fallo e non rompere i coglioni, dico io.”
In quel momento, qualcuno balzò dalla piattaforma del bungee-jumping, sembrò rimanere sospeso a mezz'aria per un istante, quindi cominciò a precipitare, con gambe e braccia allargate in quello che appariva come un comico tentativo di rallentare la caduta.
I due poliziotti seguirono con lo sguardo i trecento e passa metri di traiettoria, quindi Schneider disse: “Questo è il terzo, stasera. Che cazzo c'è lassù, una colonia di lemming?”
Stevenson si voltò a fissarlo. “Di che?”
“Lemming. Sono quelle bestie che a un certo punto diventano matte, saltano tutte insieme da un'altura e si ammazzano.”
“Ma visti. Come sono fatti?”
Schneider alzò le spalle. “Boh. Come dei topi, credo.”
“Perché saltano?”
“Te l'ho detto, diventano matti.”
“E perché?”
“Che cazzo ne so? Se lo sapevo, facevo il fottuto veterinario, non lo sbirro.”
Memori della strage del Mandalay Hotel, andarono al bagagliaio, infilarono i giubbotti antiproiettile e presero i fucili, poi Stevenson disse: “Guarda là, c'è quel paraculo di Morales. Andiamo a prenderci un panino?”
Schneider annuì. “Per me, qua si fa mattina. È meglio che andiamo a rifornirci prima che quel mangia-tortillas vuoti la dispensa.”
“Ti ricordi quello che era salito sul cornicione e voleva che chiamassimo sua moglie?”
“Pezzo di merda. Cinque ore a parlare di cazzate per farlo scendere. Giuro che se alla fine non si fosse buttato da solo, l'avrei sbattuto giù io con le mie mani.”
“Da solo? Ma non sei stato tu a dirgli che sua moglie era a spassarsela alle Bahamas con dieci negri superdotati?”
“E magari era anche vero.”
Camminarono per un po' in silenzio, poi Stevenson considerò: “Però fece un bel botto, eh?”
“Sembrava che si fosse buttato un cazzo di tricheco.”
“Fu lui che fece fuori la macchina di Ross?”
“Nah. Una vecchia del cazzo gli attraversò la strada durante un inseguimento.”
“Queste vecchie rincoglionite creano sempre problemi.”



Morales stava consegnando un paio di panini a una coppia. Per quanto i due lo infastidissero – continuavano a guardare il telefonino invece di guardare lui – aveva rinunciato alla salsa super-piccante, per il semplice motivo che non poteva allontanarsi da quel posto e non voleva che i due spargessero la voce che la sua roba era immangiabile.
Probabilmente, considerò comunque, avrebbe potuto spalmare sui panini anche la merda di piccione, perché i due erano completamente assorbiti dalla visione di una pagina Facebook.
Guardavano il cellulare come i re magi avrebbero guardato Gesù bambino e ogni tanto si scambiavano smozzicate esclamazioni di stupore.
“Ma...”
“Guarda qui!”
“Oh, cazz...”
“Noo! Non ci credo...”
L'uomo spostò l'attenzione dalla coppietta col telefonino a una coppietta decisamente meno simpatica: gli agenti Schneider e Stevenson, appropriatamente noti come SS, si stavano avvicinando.
“Buona sera,” li salutò compunto, ripassando nel frattempo mentalmente tutte le scuse in grado di giustificare la sua presenza in quella piazza, o più in generale sul suolo statunitense.
Prima che i poliziotti potessero rispondere, la ragazza della coppietta, gli occhi spalancati fissi sullo schermo del telefonino, emise uno squittio particolarmente acuto e si mise la mano sulla bocca.
Schneider buttò un occhio sul filmato, forse aspettandosi un porno particolarmente spinto, ma appena vide di cosa si trattava in tono professionale disse: “Faccia vedere, signorina.”
Approfittando del fatto che nessuno faceva caso a lui, Morales aggirò il chiosco e si piegò a sua volta sull'apparecchio.
Il filmato ripartì. Una donna con un lungo abito chiaro era in piedi contro un cielo notturno. Alle sue spalle si estendeva la distesa di luci della città. Il vento le scompigliava i capelli sciolti.
La donna rivolse a chi la stava filmando un sorriso tranquillo, poi cominciò a recitare:

Possiamo passare la vita a farci dire dal mondo cosa siamo.
Sani di mente o pazzi.
Stinchi di santo o sesso-dipendenti.
Eroi o vittime. A lasciare che la storia ci spieghi se siamo buoni o cattivi.
A lasciare che sia il passato a decidere il nostro futuro.
Oppure possiamo scegliere da noi.
E forse inventare qualcosa di meglio è proprio il nostro compito.

Tacque per qualche secondo, allargò le braccia come una specie di Cristo Redentore quindi concluse: “Ho inventato qualcosa di meglio: scelgo da me. Decido da sola del mio futuro.”
Dopodiché si lasciò cadere all'indietro.
“Merda!” esclamò Stevenson nella generale costernazione. Alzò lo sguardo sulla torre come per avere una conferma che fosse proprio quella la struttura da cui la donna si era buttata.
“Io l'ho vista con questi occhi,” confermò Morales, fissando tutti con aria di importanza. “È stata la prima che è saltata.”



Quando i due agenti, ognuno con un panino in mano e un altro in tasca, raggiunsero i colleghi, la folla di volanti e ambulanze era aumentata ancora. La zona era stata transennata e già frotte di curiosi si assiepavano contro le barriere come se fossero stati a un concerto rock.
Il sergente Wilkes stava parlando in tono concitato al cellulare di servizio.
“No che non ho fatto irruzione!” sbraitò a un certo punto. “Vuole che quei pezzi di merda saltino giù in massa? Ci parla lei, poi, coi giornalisti?”
Il graduato camminò su e giù un paio di volte, come faceva solo quando era bestialmente incazzato. Alla fine chiuse la comunicazione, buttò il cellulare sul sedile dell’auto e ringhiò: “Vaffanculo! Possibile che me le devo beccare tutte io, queste rogne di merda?” Si voltò a squadrare i due poliziotti, poi proseguì: “Settantadue ostaggi del cazzo, tutti asserragliati sulla cima della Stratosphere, vaffanculo a loro!”
I due agenti si scambiarono un’occhiata, poi Schneider disse: “Beh, chiuda tutti gli accessi, sergente. Prima o poi dovranno scendere, in un modo o nell’altro.”
“Me le immagino già, le associazioni politicamente corrette del cazzo, a frignare sulla brutalità della polizia,” replicò Wilkes.
“La polizia deve anche essere brutale, quando serve,” intervenne Stevenson. “Sono i pompieri che trattano qualsiasi stronzo con i guanti bianchi.”
“Anche perché i pompieri raramente hanno a che fare con negri strafatti di crack che gli puntano delle pistole in faccia,” soggiunse Schneider.
Tutti annuirono, poi Wilkes riprese: “La Centrale ci manda un negoziatore, nientemeno.”
Schneider alzò un sopracciglio con aria scettica. “Uno di quei tizi che vanno dai sequestratori e li distraggono finché un cecchino non riesce a stenderli?”
“Già.” Il sergente emise un sospiro che sembrava l'ultima esalazione di un bufalo morente. “Settantadue, ce ne sono, di quegli stronzi. Settantadue. Mi faranno il culo a strisce.”
“Ormai sono sessantanove, capo,” gli fece notare l'agente.



Il negoziatore arrivò due suicidi dopo, quando ormai ai piedi della Stratosphere c'erano una distesa di poliziotti e paramedici in fibrillazione, più giornalisti che alla notte degli Oscar e un pubblico che sembrava quello di un concerto dei Queen. Gli ospiti dell'albergo, evacuati in emergenza, rumoreggiavano in un angolo miancciando interventi legali.
L'uomo dava l'idea del papà buono, o del simpatico curato di campagna: sulla cinquantina, piccolo di statura, un po' sovrappeso, brizzolato, espressione pacifica. Emanava una potente aura di 'Tranquillo, sono qui. Con me puoi parlare.'
Schneider lo scrutò con aria critica, quindi proferì: “Non funzionerà.”
Stevenson scosse la testa. “No davvero. Che cazzo crede di fare quello? È evidente che gli idioti lassù non li sta spingendo nessuno.”
“Già, basta guardare i filmati.” L'agente lanciò una fugace occhiata a un gruppetto di ragazzi che aveva conquistato la prima fila, ma nondimeno era avidamente chino su un cellulare. “Chissà quanto ci metteranno a oscurare la pagina Facebook dove li pubblicano?”
“Bah. Zuckerberg di merda. Se compare un porno, a farlo sparire ci mettono dieci secondi.”
Schneider annuì e imprecò: “Pezzi di merda.” Si voltò verso Morales, che con un sorriso che gli andava da un orecchio all'altro quasi faticava a gestire la frotta di clienti assiepata intorno al suo carretto, e disse: “A proposito di porno, non ti sembra che il mangia-tortillas assomigli a Ron Jeremy?”
Stevenson si voltò a fissarlo, poi rispose: “Cazzo, sai che non ci avevo fatto caso? È uguale. Stessi capelli unti, stessi baffi.”
“Stessa pancia.”
“Chissà se anche la dotazione è la stessa?”
L'altro fece una breve risata. “Perché, ti interessa, per caso?”
“Vedi di non fare lo stronzo,” replicò il primo piccato. “Sei stato tu a tirare fuori la faccenda di Ron Jeremy.”
“Tutti i messicani assomigliano a Ron Jeremy.”
In quel momento dall'alto provenne un urlo che poteva somigliare a “Io scelgo!” e poi un tizio saltò nel vuoto.
I due agenti non seguirono nemmeno più la traiettoria.
“Imbecille,” commentò Stevenson quando si udì il tonfo.
“Stronzo,” rincarò Schneider. “È colpa di questi idioti se adesso non sono a casa mia a bermi una birra e a guardare la partita.”

George Tabacchi, capo negoziatore della Polizia di Las Vegas, fissò il sergente Wilkes con aria comprensiva e gli chiese: “Lei è molto stressato, vero?”
Il graduato gli rivolse un'occhiata velenosa. “Che cazzo fa, Tabacchi, le prove?”
L'altro annuì col sorriso di chi si aspettava esattamente quella risposta, quindi gli assicurò: “Ma la capisco. Anch'io lo sarei, al posto suo, se dovessi gestire tutto questo.”
Wilkes alzò gli occhi al cielo. “Senta, il matto è lassù. Veda di convincerlo a scendere prima che qua sotto si riempia di cadaveri spiaccicati, vuole?”
Tabacchi sorrise come se il sergente gli avesse appena augurato di fare Jackpot in tutti i casinò della Strip, poi con calore gli rispose: “Ma certo, è un ottimo suggerimento. I suoi uomini hanno già approntato una postazione, non è vero?”
Il graduato si limitò a indicargliela con un cenno del capo.
“Lo immaginavo, sono molto efficienti.” Poi, in tono premuroso: “Nel frattempo faccia salire degli agenti, ma per le scale di servizio, mi raccomando. Non vorrei che gli ascensori in movimento mettessero il soggetto sotto pressione.”
“Ok.”
“Sia gentile ancora una volta: dica loro di non intervenire assolutamente, se non do il via libera. La situazione è molto delicata.”
Wilkes si limitò a emettere un grugnito.
“Non faccia avvicinare gli elicotteri.”
“E che cazzo! Vuole anche un pompino con l'ingoio?”
Tabacchi mantenne un cauto silenzio.



Schneider diede un'occhiata alle scale che salivano e disse: “Col cazzo.”
Al suo fianco Stevenson, che stava sbocconcellando distrattamente il secondo panino, chiese: “Col cazzo, cosa?”
“Che mi faccio cento e passa piani di scale.”
“Wilkes ha detto che il tizio non vuole che si usino gli ascensori.”
“E io me ne sbatto i coglioni del sergente, del tizio e di tutti i fottuti lemming che ci sono là sopra. Non ci penso neanche a salire per le scale.”
Stevenson guardò in su. “In effetti...”
“Sai che ti dico?” concluse Schneider, “Che io adesso prendo l'ascensore e fanculo.”
L'altro appallottolò la carta del panino e con un preciso lancio la spedì attraverso la porta, verso la postazione allestita per il negoziatore, poi disse: “Ok, fanculo le scale. Andiamo.”



Il negoziatore raggiunse un portatile e vi si sedette davanti. Sullo schermo c'era il primo piano di un uomo vestito di nero. La scarsa luce rendeva difficile cogliere i suoi lineamenti, inoltre aveva una specie di maschera che gli copriva la metà inferiore del volto. Una corrente d'aria gli agitava appena i capelli, lunghi fin sotto le orecchie. Dietro le sue spalle si intravedevano i tavolini e il bancone illuminato di verde dell'Air Bar. Tutt'intorno, le vetrate panoramiche del locale mostravano la distesa di luci della città, fantasmagorica da quell'altezza.
Secondo le informazioni raccolte, doveva essere una specie di santone e quelli che stavano saltando erano i suoi adepti.
Tabacchi gli rivolse il suo sorriso più amichevole, quindi disse: “Buona sera, Clifford, io mi chiamo George.”
“Jim,” fu la risposta dell'altro.
Il negoziatore si protese appena in avanti. “Scusami, credo di non aver capito bene.”
“Jim. Ho assunto questo pseudonimo quando ho capito qual era la mia strada.”
Tabacchi annuì come se la risposta spiegasse ogni cosa, come se fosse proprio quella che stava aspettando. “La tua strada,” ripeté. “Molto bene, trovo che sia bello avere una strada da seguire, dà senso alla vita. Ti andrebbe di parlami un po' della tua, Jim?”
Gli occhi dell'uomo si strinsero leggermente come per un sorriso. “Ma certo, perché no?”
Il negoziatore pensò agli uomini che stavano salendo, e che avevano bisogno di tempo per raggiungere l’ultimo piano. Sorrise di nuovo. “Beh, ti ascolto.”
Dalla finestra panoramica alle spalle di Jim si vide distintamente la sagoma di un corpo che precipitava verso il basso, qualche secondo dopo su udì il tonfo.
Gli occhi dell'uomo si fecero ancora più stretti, gli comparvero addirittura delle piccole rughe a raggiera sulle tempie. “Ci sei ancora, George?” si informò in tono cortese.
Tabacchi annuì. “Certo.”
Jim emise una risatina. “Avevi una faccia...”
“Ecco, vedi... non sono tanto abituato a certe cose. Sono rimasto un po' scosso, capirai.”
Le sopracciglia dell'uomo si sollevarono. “Come mai?”
“Queste persone... ecco... perché vuoi che saltino nel vuoto? Pensi che non potresti ottenere quello che vuoi senza ucciderli?”
La risposta fu categorica: “No.”
“Possiamo parlarne? Magari posso aiutarti a realizzare quello in cui credi. Magari possiamo provarci insieme.”
“Ma tu mi stai già aiutando. Tutti voi mi state aiutando.”
“Che intendi dire? Temo di non riuscire a seguirti.”
Per tutta risposta, Jim chiese: “Conosci i Veri Credenti?”
“I... Veri Credenti?” fece eco George perplesso. Intorno a lui, fuori dal campo della videocamera, ci fu un frenetico battere di tastiere alla ricerca di notizie. Infine, un agente gli mostrò una schermata su cui compariva la storia della setta russa del seicento.
Il negoziatore annuì e disse: “Quindi stiamo parlando di un problema religioso?”
Jim parve deluso. “No. Masada? Sai qualcosa di Masada?”
L'altro si illuminò. “Masada, certo! La miniserie TV con Peter O'Toole, giusto?”
“Sbagliato.”
Tabacchi si passò una mano sulla fronte per tergersi il sudore che cominciava a imperlarla. “Allora temo di non capire. Puoi aiutarmi?”
“Vedrò di essere più chiaro. Jim Jones. Ti dice niente questo nome?”
Di nuovo ci fu un frenetico digitare, poi su tutti gli schermi comparvero file di siti sul massacro del 1978.
Il negoziatore si costrinse addirittura a sorridere. “Jim come Jim Jones. Ti chiedo scusa, avrei dovuto capirlo subito. Vuoi creare una nuova società? È per questo che stai facendo tutto quanto?”
“No.”
Da dietro le spalle di Jim provenne una voce femminile che in tono ispirato gridava: “Possiamo passare la vita a farci dire dal mondo cosa siamo. Sani di mente o pazzi, stinchi di santo o sesso-dipendenti...”
Una voce infantile la interruppe: “Mamma, che cos'è un sesso-dipendente?”
Inalterata, la prima voce proseguì: “Eroi o vittime!”
“Mamma, ho paura, perché andiamo così vicino al parapetto? Non voglio cadere!”
“A lasciare che la storia ci spieghi se siamo buoni o cattivi!”
“No, mamma! Torniamo indietro, ho paura!”
“Possiamo scegliere da noi!”
“No, aiuto! Mamma, non voglio! No!” La voce del bambino si trasformò in un urlo raccapricciante. Due figure passarono a tutta velocità fuori dalla finestra panoramica, poi ci furono due tonfi, uno più grosso e uno più piccolo.
“Stavamo dicendo, George?” s'informò soavemente Jim.
Tabacchi si costrinse a riflettere più veloce che poteva. Conosceva la situazione: fare irruzione significava scatenare il suicidio di massa, ma d’altra parte aspettare significava vederli saltare uno dopo l’altro dopo aver proferito le loro massime deliranti, magari coi figli in braccio, magari tirandosi dietro gente che non aveva la minima intenzione di buttarsi.
“Perché lo fai?” chiese. “Voglio dire, è un credo di qualche genere? Pensi che ci sia un paradiso nel quale andrete tutti insieme? È la stella Sirio che vi sta chiamando?”
Jim scosse la testa. “Nessuna di queste cazzate.”
“Allora spiegami di cosa si tratta, per favore. L’ultimo che è saltato era un bambino, Jim.”
“Ho notato,” rispose lui con distacco.
“E allora? Vuoi ammazzare i bambini?”
“Tutti dobbiamo morire.”
“Sì, ma...” esordì di getto Tabacchi, pensando ai suoi due figli. Poi ricordò il motivo per cui si trovava lì, inspirò, espirò e in tono pacato proseguì: “Correggimi se sbaglio: questa mi sembra più che altro una tua questione personale, Jim. Dico bene?”
“Diciamo di sì.”
“E allora, perché non fai scendere gli altri?”
Jim alzò le spalle, quindi rispose: “È semplice: perché non vogliono.” Si alzò in piedi portandosi dietro il telefonino col quale stava comunicando tramite videochiamata, salì alcuni gradini, si affacciò su una terrazza in cui si trovavano almeno una cinquantina fra uomini e donne e chiese: “Amici, chi di voi vuole tornare nel mondo?”
Il coro dissonante di varie espressioni di diniego fece tremare per un attimo l’impianto audio del computer di Tabacchi.
Successivamente, i presenti cominciarono a scandire in coro: “Possiamo passare la vita a farci dire dal mondo cosa siamo. Sani di mente o pazzi. Stinchi di santo o sesso-dipendenti. Eroi o vittime. A lasciare che la storia ci spieghi se siamo buoni o cattivi...”
Jim li abbandonò alla loro recitazione, tornò alla sedia nel bar, si accomodò e chiese: “Hai sentito?”
Sì, certo.”
A me sembra che non vogliano scendere. Perlomeno non con l’ascensore.” Fece una risatina. “Tu che ne dici?”
La risposta di Tabacchi giunse di getto, aggirando alla grande di ogni regola della negoziazione: “E allora spiegami, per favore. Fammi capire, perché tutto questo mi sembra assurdo.”
Gentilissimo, l’uomo rispose: “Ma certo. Vedi, è tutta la vita che mi preparo a questo. È tutta la vita che studio come controllare gli altri, come spingerli a fare quello che voglio dando loro l’impressione di essere essi stessi a volerlo disperatamente. Ho studiato storia delle religioni, psicologia, filosofia, comunicazione, motivazione e sociologia. Ho raccolto i maggiori miti contemporanei, ne ho fatto una specie di dottrina, ho cominciato a insegnarla alla gente e in breve ho avuto i miei seguaci. Questa è una società povera di mitologie, affamata di rituali, vuota. Convincerli ad abbracciare le mie idee è stato facilissimo.”
Quindi la tua cosa sarebbe, una specie di religione new age?”
Jim alzò le spalle, gli occhi gli si strinsero di nuovo come per effetto di ilarità. “Ma no, figurati. La religione non è altro che l’oppio dei popoli. Io voglio entrare nella Storia.”
E come conti di farlo?”
Scatenando un suicidio collettivo. Certo, non saranno i novecento della Guyana, ma sono pur sempre una settantina, più o meno quelli di Waco. È un bel numero. Inoltre, la location è molto più suggestiva, non trovi?”
Un agente mostrò a Tabacchi un tablet su cui era aperta la pagina di Wikipedia che parlava del massacro di Waco, in cui i settantasei membri della setta dei davidiani, assediati dalle forze speciali, avevano dato fuoco al ranch in cui vivevano ed erano periti nell’incendio.
Aspetta,” disse il negoziatore, con una certa precipitazione nella voce. “Aspetta, non puoi fare una cosa del genere.”
Perché?”
Non puoi spingere settanta persone al suicidio solo per entrare nella Storia, come dici tu.”
Non vedono l’ora di saltare, non vedono l’ora di scegliere, di decidere da soli del loro futuro.”
Solo perché tu li hai plagiati!”
Jim emise un teatrale sospiro. “Chi può dire di non essere plagiato da qualcosa o qualcuno al giorno d’oggi? Loro almeno moriranno felici, convinti di essersi liberati del controllo e delle imposizioni della società.”
Ma non è così.”
Magari sì. Magari siamo noi che non abbiamo capito niente, i veri saggi sono loro.”
Il negoziatore respirò profondamente. Ricordò a se stesso che aveva trattato con dirottatori strafatti di crack, con rapinatori chiusi nei caveau assieme a decine di ostaggi, persino con un’infermiera che si era asserragliata nel reparto di neonatologia pieno di incubatrici e minacciava di spegnerle tutte. Si costrinse a non cedere all’emotività. Il tizio mascherato era chiaramente un narcisista con una struttura megalomanica di personalità e come tale doveva trattarlo.
In tono tranquillo chiese: “Puoi dirmi quando hai sentito per la prima volta questa esigenza di controllare gli altri?”
“Andiamo indietro nel tempo,” fu la risposta, proferita col tono di una banale conversazione. “A scuola lessi Demian, di Hesse, e capii tutto.”
Tabacchi annuì, tuttavia chiese: “Puoi essere più preciso, per favore?”
“Hai presente l'interpretazione di Demian del mito di Caino e Abele? Il marchio impresso sulla fronte del fratricida non è segno di colpevolezza, ma di superiorità e forza di carattere.”
“È questo segno che senti di avere, Jim?”
“Avrei potuto diventare un serial killer,” proseguì l'uomo, ignorando la domanda, “Avrei potuto produrre snuff movie, ma a che pro? Che gusto c'è a uccidere un corpo? Non c'è controllo in questo, non c'è superiorità. Dire a qualcuno che farebbe bene a uccidersi e vederlo saltare da una torre di trecento metri, felice di farlo e convinto che sia la cosa più giusta e migliore: questo è controllo, questa è superiorità.”
“Ed è questo che stai cercando?”
“La Storia dovrà fare i conti con me. Potrà chiamarmi mostro, ma non potrà ignorarmi.”
“Ci sono altri modi per non essere ignorati dalla Storia, modi che non comportano la morte di persone innocenti.”
Jim alzò le spalle come di fronte a una considerazione molto sciocca. “Questo è solo stupido buonismo. La Storia va avanti sulla morte di innocenti, come li chiami tu. Cento, mille, un milione muoiono affinché uno possa vivere in eterno.”
“Beh, Fleming non ha ucciso nessuno, eppure la sua memoria vivrà in eterno.”
“Ah, sì? Ferma cento persone per strada e chiedi loro se sanno chi era Fleming, poi fermane altre cento e chiedi loro se sanno chi era Hitler. Vogliamo scommettere su quale sarà il gruppo che ti darà più risposte positive?”
Tabacchi annuì con l'aria del cacciatore che ha appena preso di mira il cinghiale. Dovette faticare per non sorridere fra sé e sé nel momento in cui si preparava a sparare il siluro. Poi chiese: “E secondo te, Jim, quanti sono i passanti che sanno chi erano Jim Jones o David Koresh? Più o meno di quelli che sanno chi era Fleming?”
Alla domanda seguirono non meno di venti secondi di silenzio, durante i quali si udirono distintamente in sottofondo le frasi del proclama sulla libertà di scelta recitate da due voci. Subito dopo, due corpi sfrecciarono verso il basso.
Infine, Jim con calma chiese: “Mi stai provocando, George? Vuoi sapere fino a che punto sono disposto a spingermi?”
Il negoziatore deglutì. Gli venne in mente un filmato che aveva visto su Youtube: un tizio tagliava un albero, ma quando gli dava il colpo per farlo cadere, esso invece di abbattersi sul prato si inclinava, dapprima con estenuante lentezza e poi sempre più veloce, verso il tetto della casa che aveva a fianco e infine vi piombava sopra sfasciando tutto.
Si rese conto con orrore di aver appena dato la fatidica spintarella al tronco. “No, io...” si trovò a balbettare.
Con surreale tranquillità, Jim gli rispose: “Sono più di cento piani e ci sono tre ascensori, io sto per uscire sulla terrazza. Pensi che i tuoi riusciranno ad arrivare su prima che l'ultimo di questi stronzi sia saltato urlando Geronimo?”
   
 
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