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Autore: Antys    11/12/2018    3 recensioni
Derek con una mano teneva i manici del borsone e con l’altra si accingeva a chiudere il lungo portellone di metallo, pronto per dare un definitivo addio a quella vita che l’aveva privato di tutto quello che aveva amato e che aveva provato con tutto se stesso a ricreare e difendere.
[…]
«Lo so che ogni cosa qui ti ricorda i tuoi fallimenti ed errori. La famiglia e il branco che hai perso, i continui tradimenti che hai subito ed i sacrifici che hai fatto» articolò con precisione ed attenzione il figlio dello sceriffo con lo stesso dolore e afflizione che Derek aveva provato. «Sarebbe facile e meraviglioso andare in un altro posto e ricominciare. Ma io non sono abbastanza?» per rinunciare e restare. Per provarci.
[…]
Derek si sentì tirare un lembo dei suoi jeans della gamba sinistra, da una forza leggera e delicata, e si voltò confuso nell’immediato, incontrando degli occhi giganti dell’ambra più pura e spensierata; innocente. «Signore, sai dov’è la mia mamma?» domandò la piccola creatura con voce minuta ma squillante, educata e pulita.
«Stiles?» se Scott avesse sofferto ancora di attacchi d’asma, in quell’occasione un inalatore non sarebbe bastato.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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6° Capitolo

 

«È il sogno di ogni genitore riavere i figli a quest’età, eternamente» l’improbabile trio stava pranzando insieme, con Stiles seduto sulla scrivania dello sceriffo con le gambette sospese in movimento nel vuoto, la massima autorità della città che sedeva al suo posto da superiore e Derek che si trovava di fronte all’uomo, mangiando in silenzio. «In verità per un genitore i figli non crescono mai».

Stiles lo guardò dubbioso, inclinando la testa e sgranocchiando un’insalata di mais che il lupo aveva comprato per tutti loro, insieme ad una moltitudine di cibi salutari; non erano i suoi piatti favoriti, preferiva sempre qualcosa che contenesse della carne e dalla reazione sconsolata che suo padre aveva avuto quando Derek si era presentato con quel menù, deduceva che fosse lo stesso anche per lui, ma a dispetto di quanto sembrasse, si accontentò e non protestò. «Non devo crescere?».

Lo sguardò dell’uomo di legge si catapultò sul figlio, insieme a quello del mannaro, ma non riuscì a decifrare le loro espressioni. «Sì, devi crescere. Diventare grande e forte».

«Come Derek?» domandò il bambino, indicando con i ditini colui che si prendeva cura della sua persona.

Lo sceriffo ridacchiò leggermente ed il mutaforma arcuò un sopracciglio. «Un po’ meno del tuo lupo».

«Però Derek è molto forte» Stiles non vedeva perché non potesse diventare come lui.

«Sì, molto» confermò Noah, curvando lievemente le labbra spensierate. «Ma non è solo la forza fisica ad essere importante».

«No?» domandò in un eco insicuro, posando le iridi d’ambrosia in quelle di giada. «Ma può tenere al sicuro le persone, difenderle».

Quell’osservazione portò un velo silenzioso su di loro e Derek appariva più lontano di quanto non fosse mai stato.

«Ci sono molti modi per farlo» dichiarò lo sceriffo notando il distacco della creatura della notte, quanto in realtà quelle parole risultassero false alle sue orecchie animali. «E se ti dicessi che anche tu puoi proteggerlo?».

«Io? E come?» i grandi occhi di Stiles si spalancarono e tutta la sua concentrazione era interamente dedita al padre, ad una nozione che teneva per se stesso.

La massima autorità della città si avvicinò circospetta, adagio, come se dovesse confidare un grosso segreto e nessuno dovesse entrarne in possesso. «Con il cervellino che ti ritrovi, volpacchiotto» lo agguantò a tradimento, portandolo sulle ginocchia e prendendo a fargli il solletico in ogni parte del corpo in cui sapeva facesse effetto.

Stiles non riusciva a trattenere le delicate risate che quell’attacco aveva scatenato, ma era anche provato ed indispettito, come un qualsiasi bambino che veniva colpito senza preavviso nella tranquillità in cui si trovava, con la dominanza di qualcuno più autoritario che aveva la meglio su di lui. Ma quello era suo padre, tutto aveva un’esperienza ed effetto differente e Stiles stava bene.

«Davvero posso proteggerti, Der?» chiese il bambino quando il supplizio fu terminato, il fantasma di un sorriso ancora sulle labbra e le enormi iridi dell’ambra che lo fissavano attente e curiose.

Proteggerlo, Stiles era colui che aveva portato in salvo più persone di quanto avessero fatto le tanto decantate creature sovrannaturali, quelle che sarebbero dovute essere oltre la mortalità fragile dell’essere umano. Aveva salvato la città innumerevoli volte, aveva supervisionato su ogni membro del branco, che fosse il suo o quello di Derek, e non aveva mai lasciato nessuno indietro. Aveva tratto in salvo Derek stesso talmente tante volte da averne perso il conto, anche se continuava ad affermare il contrario e pregare nella sua morte. Stiles l’aveva salvato in così tanti modi e soprattutto da se stesso, da non poter essere immaginabile una vita senza di lui. «Sei capace di qualsiasi cosa».

Doveva averla presa come una risposta positiva perché arricciò la bocca verso l’alto e rubò un morso dall’hamburger vegetale di suo padre come ricompensa.

Lo sceriffo, mentre rimetteva Stiles al suo posto, li guardò studiandoli. «I genitori vorrebbero che i figli non crescessero mai, ma…» l’attenzione si indirizzò tutta verso il mannaro e Derek sapeva di non poter scappare. «Stiles ha già affrontato tutto questo. È diventato un ragazzo intraprendente, ha subito le sue perdite ed è cresciuto andando avanti con ciò che gli mancava. Ha affrontato l’inferno, l’umiliazione, si è preso cura di me quando era mio dovere metterlo al primo posto. Si caccia sempre nei guai e sa far perdere la pazienza come nessuno, ma ha le sue passioni, una formazione che gli ha temprato il carattere e l’ha condotto verso un futuro che vuole inseguire» trattenne il respiro, socchiuse le palpebre e prese una profonda boccata d’aria. «Si è innamorato. È innamorato. È andato talmente oltre da essere arrivato all’amare. Non voglio che tutto questo gli venga portato via. Questa è la vita per cui lui ha combattuto ogni giorno e tu, Derek, ne fai parte».

Derek doveva aspettarselo, prima o poi quella verità sarebbe saltata fuori, insieme alla motivazione che aveva condotto Stiles ad assumere quell’aspetto di pura innocenza. Lo sceriffo non aveva mai proferito parola in merito, si era concentrato semplicemente sul godersi suo figlio dopo che l’aveva rifiutato la prima volta non riconoscendolo come la figura genitoriale che invece era, preferendo un uomo estraneo che non aveva alcun legame con lui, con loro. Gli aveva consegnato Stiles ed il suo benessere fidandosi delle sensazioni che il bambino, guidato dal Nemeton, manifestava, non volendo nessuno vicino escluso Derek Hale. Noah non aveva avuto scelta e non si era opposto, ma tutto ciò non significava che perdonava le scelte che la creatura della notte aveva compiuto, causando un problema che non sapevano risolvere. «Anch’io lo rivoglio indietro, signor Stilinski».

La massima autorità della città non poteva sperare in meglio, non credeva nemmeno che esistesse una risposta diversa da quella. «Allora trova il modo».

 

Stiles si era preparato per la notte senza fare troppe storie, dopo aver risolto un puzzle e mezzo, indossando il suo pigiamino verde con i lupi, che Derek doveva sempre lavare in tempi record, e sprofondando nel letto, lasciandosi sommergere dalle coperte che il mannaro gli rimboccava quotidianamente.

Ma Stiles non era affatto un bambino che crollava immediatamente nel sonno nel momento in cui poggiava la testa sul cuscino, anche se era il suo prezioso e magico cuscino che Allison era andata a prendere di persona sotto richiesta di Derek. Doveva essere stanco fino all’ultimo, giungere ad una conclusione che lui riteneva degna e crollare quando meno se lo si aspettava. Era soprattutto per quello che Derek rimaneva con lui finché non si addormentava, restando in ascolto e dandogli la possibilità di sommergerlo di quante più parole desiderava, ma quella sera Stiles si era intestardito con uno dei nuovi libri che avevano comprato e che ancora non aveva tentato di leggere. Era una pratica che i primi giorni, quand’era arrabbiato, portava a compimento autonomamente, tagliando chiunque volesse interagire con lui. «Posso leggere per te, se preferisci».

Stiles accarezzò la copertina rigida del libro, quasi volesse stirarla, benché non ve ne fosse alcuna ragione. «Perché ti piace leggere?».

Possibile che il cucciolo umano pensasse che anche quella fosse una fatica di Ercole, credendo di essere un peso? «Perché vorrei leggere per te».

Il figlio dello sceriffo voltò il viso verso di lui, tentando di scrutare l’autenticità di quella proposta che non aveva secondi fini e Derek vide il tentennamento. «Va bene».

Era una vittoria, se pur piccola, era importante. «Da quale cominciamo?» il mannaro si posizionò sul materasso, scostando le coperte e distendendosi al suo fianco, poggiando parzialmente la schiena sulla testata del letto.

Stiles gli passò il libro che aveva già tra le mani, quello che aveva accarezzato per tutto il tempo, pronto a sfogliarlo ed a cimentarsi nella lettura con non poca fatica. Era di dimensioni sotto la media e non conteneva molte pagine, ma la copertina presentava diversi colori e delle stelle sullo sfondo bianco, al centro spiccava una figura che ricordava un bambino. «Il Piccolo Principe. Una motivazione in particolare?».

«C’è una volpe» rispose Stiles immediatamente, aprendo il tomo e voltando qualche pagina più avanti, mostrando le fattezze di un canide rosso dalla coda voluttuosa che andava incontro al protagonista. «Mi piacciono le volpi».

C’era qualcosa del regno animale che non fosse nelle corde di Stiles? «Forse perché lo sei anche tu, piccola volpe» gli solleticò la punta del naso con dolcezza bonaria e Stiles non trattenette la risata cristallina e timida che gli sfuggì.

«Lei sembra molto intelligente, però…» il figlio dello sceriffo si fermò, appariva disturbato da qualcosa, come se quello che conosceva fosse stato messo in discussione. «Si lega ad un umano, le volpi non lo fanno, vero?».

Derek capì che Stiles conosceva già la storia, che qualcuno l’aveva letta in precedenza per lui. «Il Piccolo Principe è un bambino speciale, potrebbe anche riuscire ad addomesticare una volpe» era la parola addomesticare che Stiles cercava, ma che non era riuscito a pronunciare; aveva cercato in qualche modo di trovare un sinonimo semplice con le parole di cui era in possesso. «Ma no, le volpi in genere non si lasciano addomesticare, ma questa è una volpe del deserto».

«Una volpe del deserto?» domandò di rimandò il cucciolo d’uomo, udendo una definizione che non aveva mai sentito prima.

«Sì» distese per bene la pagina che riportava il disegno dell’animale in questione, indicandone il muso; era stata colorata erroneamente di rosso, il manto delle Fennec era generalmente tendente al miele, come gli occhi di Stiles. «Le orecchie sono lunghe, diverse da tutte le altre che conosci, si sono adattate all’ambiente in cui vivono. La volpe del deserto è l’unica volpe sulla Terra che può essere addomesticata dall’uomo, non è facile, ma è possibile».

«Oh» soffiò Stiles con contemplazione e la sorpresa che si dipingeva nelle iridi caramellate. «Quindi è una volpe speciale».

Piccoli Principi speciali, volpi speciali, era tutto uno speciale da quelle parti. Magari la storia era così magica proprio per quella ragione. «No, quella sei tu» Stiles elargì una risatina contenta sotto il tocco pieno d’affetto di Derek, che lo prendeva di peso e lo gettava sul letto per autentico divertimento fine a stesso, lasciando cadere il libro tra le lenzuola. «Tu non ti lasceresti mai addomesticare» Derek ne aveva ingiustamente le prove.

«Nemmeno i lupi, vero?» chiese il pargolo di riflesso, in una continuazione di un discorso, quasi volpi e lupi camminassero di pari passo e non potessero essere separati. In effetti, per Stiles, la realtà era proprio quella, con il suo bel pigiama con voraci predatori ululanti e piccoli fagotti rossi stampati sulle tazze da latte.

«Dipende» elargì la creatura della notte come premessa, prossimo ad annunciare un grande mistero di madre natura. «Se un grosso lupo cattivo incontrasse una piccola e bella volpe, potrebbe anche accadere».

Stiles era veramente lusingato e gli sorrise di tutto cuore, Derek non sapeva nemmeno come riuscisse a meritarsi certi premi.

«Der» chiamò piano, una musicalità tutta sua che aveva in serbo soltanto per il mannaro degli occhi blu elettrico. «Resti per sempre con me?».

Derek morì nell’istante in cui sentì quella richiesta innocente che era la chiave di volta dell’intera loro storia. «Vorrei».

Il viso di Stiles si deturpò, il licantropo lo vide chiaramente ed un tonfo mancato partì dal petto, ma quello non era lo Stiles diciasettenne a cui aveva spezzato il cuore dopo innumerevoli rifiuti e la decisione di sparire dalla città per una quantità di tempo illimitata, senza nemmeno degnarsi di avvisarlo. Quello era uno Stiles che aveva bisogno di riconquistare la sua innocenza, che non era stato sporcato da nessuna mano e dalla malvagità della vita. Era uno Stiles a cui non aveva ancora fatto del male. «Non puoi?».

Era quella la grande domanda, la domanda a cui non aveva avuto il coraggio di rispondere, una domanda che se lo Stiles diciasettenne gli avesse comunicato, parandosi davanti ai suoi occhi nell’istante in cui Derek aveva deciso i suoi piani, li avrebbe mandati nel dimenticatoio senza nemmeno rifletterci. «È complicato».

Il fagotto umano metabolizzò la notizia che rimaneva inconcludente ed ispezionò con lo sguardò la penombra dell’angolo dedicato alla camera da letto del padrone di casa. «Andrai da Cora?».

«Forse, un giorno» benché Derek non ci avesse minimamente pensato nel momento in cui si era ritrovato Stiles in quelle condizioni, sapeva che era soltanto questione di tempo prima che il programma che aveva organizzato riprendesse da dove l’aveva interrotto.

«Devi scegliere tra la tua famiglia e qualcos’altro?» chiese il figlio dello sceriffo seguendo quella linea, non essendosi dimenticato di nessuna delle poche persone che aveva incontrato in quel lasso temporale limitato.

«Pensavo di aver già fatto quella scelta» era stata tra le più difficili che avesse compiuto e l’aveva fatto di getto, impulsivamente, quasi il suo stesso cervello si fosse affaccendato per non meditare troppo sulle conseguenze che le sue azioni avrebbero riportato.

«Non è andata bene?» continuò ad interrogarlo il piccolo di casa, provando a seguire il fiume dei suoi pensieri.

Derek lo fissò, attento ad ogni sua sfaccettatura, osservando il prodotto che le sue decisioni avevano creato. Le dita scivolarono sul volto del bambino, disegnandone i tratti morbidi ed ancora da definirsi, totalmente opposti a quelli già pronunciati dello Stiles ad un soffio dalla maggiore età, che mostrava a pieno titolo chi fosse. «No, non è andata bene».

Stiles si sciolse sotto il suo tocco, socchiudendo le palpebre e godendosi quella manifestazione d’affetto che continuava ad essere unica ed irripetibile. «Puoi cambiare idea?».

«Vorrei soltanto aggiustare le cose» riaverti con me, spezzare questo maleficio.

Le incredibili e luminose iridi del nettare degli dei si mostrarono in tutto il loro splendore, non c’era differenza tra lo Stiles di cinque anni e quello di diciassette. «Dormi con me?».

Eccolo, eccolo lo Stiles che sapeva salvarlo dall’oscurità del suo cuore, che sapeva come riprenderlo e conquistarlo, rimediare al dolore ed ai sensi di colpa che non sapeva colmare. «Sì, dormirò con te, piccola furba volpe» le nocche accarezzavano con riverenza la fronte del bambino, creando un leggero solletico restauratore tra la radice dei capelli, accompagnate da un tenue sorriso del lupo cattivo.

Tutto il viso del cucciolo umano si colorò di entusiasmo e contentezza e le braccine andarono ad accerchiare il collo del mannaro, abbracciandolo teneramente e Derek non sapeva più come sopravvivergli.

 

«Sono passati dodici giorni» annunciò il lupo mannaro in una condanna incontrovertibile, seduto sul divano di casa e con il cellulare poggiato all’orecchio.

«Non sembri il tipo che resta a contare i giorni» dichiarò Cora dall’altro lato della cornetta, con una nota leggermente ironica e di burla delicata.

«Sta passando troppo tempo, Cora» disse Derek con incisività, le meningi stanche ed una spossatezza che non riusciva a far andare via.

«Non è cambiato niente?» domandò la ragazza di conseguenza, in continuità ad una risoluzione che non presagiva di giungere.

«No» nessuno sapeva che pesci prendere. Erano esattamente al punto di partenza.

Cora esitò dall’altro capo della linea, assorbendo la negazione in risposta. «Come sta?».

«Sta bene, ma…» Derek abbassò gli occhi sulla testolina che si era poggiata sulle gambe, il corpo tutto rannicchiato su se stesso, il dolce sonno che rendeva le palpebre serrate e le labbra lievemente socchiuse. «Ho come la sensazione che si addormenti sempre più velocemente e di frequente».

«Magari è soltanto stanco, Stiles brucia molte energie» spesso la mutaforma si era stremata soltanto guardandolo, ascoltandolo e per quanto in lei scorresse sangue sovrannaturale, il più delle volte non riusciva a stargli dietro e si esauriva come niente.

Il silenzio provenne dall’altoparlante dello smartphone, saturo e stanzio, la lupa percepiva esclusivamente il respiro calmo del fratello, l’immobilità dei suoi gesti e sicuramente teneva le spalle tese. Stiles è energia avrebbe ribattuto Derek, era un pensiero che esisteva da tempo immemore in lui, che esprimeva a voce in rare occasioni e mai con Stiles in giro. Cora le aveva sempre percepite quelle parole, dallo sguardo meticoloso che il mannaro dedicava all’umano quando non se ne accorgeva, quando straparlava e gesticolava ininterrottamente, riempiendo tutto il loft avvolto nell’oscurità privo di suoni da farlo risultare vivo. Nessuno si impegnava così tanto, in verità tutto il resto del branco – unito e diviso – rispettava la silenziosità del padrone di casa, non si imponeva e non portava una confusione che comunque non gli apparteneva. Andavano via così come arrivavano e sembrava quasi che di lì non fosse passato nessuno; Cora aveva percepito subito la differenza che quelle visite comportavano quando la figura di Stiles mancava o era presente, l’essenza di anima che continuava a persistere quando quella moltitudine di persone spariva, conducendo via perfino quella lieve luce che per qualche sorta a lei sconosciuta albergava.

Era Stiles l’anima che rendeva un po’ più luminoso quel monolocale tetro ed incolore, privo di arredamento se non l’essenziale. Era un aspetto che Cora aveva compreso quando Isaac aveva fatto le valigie, cacciato via dal suo Alpha e traferendosi da Scott, dopo la morte di Boyd e successiva alla schiacciante verità che rendeva Derek inerte, non sapendo come proteggere chi gli era più caro, chi aveva deciso di seguirlo.

Cora pensava che quel raggio di luce sarebbe svanito con lui, con l’unico altro abitante oltre lei, quello stesso raggio che aveva incontrato quando si era trasferita a sua volta dal fratello; era sempre stata certa che non appartenesse a Derek. Ma se quello spicchio di sole era presente al suo arrivo ed era rimasto dopo che in qualche modo il sangue del suo sangue aveva rinnegato Isaac, Cora l’aveva finalmente collegato alla perpetua esistenza di Stiles che per un motivo o per un altro girava intorno al licantropo dagli occhi rossi. Derek da quella luce ed energia veniva abbagliato. «Sta dormendo anche adesso?».

«Sì» le falangi fluivano sui capelli castani, scomponendoli con delicatezza, agevolando il perdurare del regno di Morfeo che teneva il bambino con sé.

«Su di te?» chiese la corvina con un ghignetto spudorato e la nota vocale che lo rendeva concreto all’udito del licantropo.

Le iridi verdi seguivano il sentiero che le dita tracciavano sulla cute del cucciolo d’uomo, la posizione studiata che non lo invadeva come spesso accadeva. «Per così dire».

«Pensavo si fosse tolto il vizio» onestamente si chiedeva se anche lo Stiles diciasettenne si sarebbe mai preso certe libertà con il lupo scorbutico per eccellenza, se un giorno suo fratello avrebbe abbassato le difese ed accaparrato ciò che gli spettava di diritto, godendosi l’amore sconfinato dell’umano.

Il Beta non ribatté in alcun modo e Cora non si aspettava nulla di diverso.

«A volte penso che sia in ascolto» rivelò Derek nelle tenebre nel monolocale, la voce impregnata di difficoltà e il credersi deliberatamente folle. «Che sia lì, che aspetti soltanto che io lo percepisca e lo tiri indietro» tacque e con la mano tutta intenta a ricoprire di attenzioni la piccola volpe addormentata, si massaggiò le tempie esauste. «A volte ho la sensazione che mi mandi dei segnali, sperando che io li colga, ma non accade e allora molla la presa».

Un groppo in gola si formò nella lupa, con le gemme nocciola che si spalancavano. «Derek».

«Se non tornasse?» gettò lì l’uomo che appariva distrutto, il tormento che non gli dava tregua e quelle possibilità che non volevano saperne di lasciarlo in pace. «Se non ci fosse il modo di farlo tornare? Se rimanesse così e lo Stiles che noi conosciamo non riemergesse più? Da chi si lascerebbe avvicinare? Chi dovrebbe crescerlo? Io?».

«Essere cresciuto dall’uomo che ama, sarebbe davvero grottesco» sarebbe stato infame, fuori da ogni logica e buon senso, così crudele e malsano da non essere catalogabile, ma il fato era talmente ingiusto con loro che si presentava come una possibilità concreta e c’era soltanto da detestarla. «Stiles potrebbe trovarlo divertente o lo odierebbe. Lui ti vuole, ma non così».

«Non trovo una soluzione, Cora» affermò la creatura della notte angustiata, l’enorme respiro profondo che dimorava all’interno della trachea e che non veniva fuori. «Nessuno sa niente, nessuno sa come muoversi» perfino Deaton arrancava nel buio.

«Ascoltami un momento» disse la ragazza distante leghe intere, in un altro stato, lì dov’era stata accolta e cresciuta da sola, pensando di essere rimasta l’unica al mondo. «Mi sono sempre chiesta se le cose sarebbero andate diversamente se tu non ci fossi stato. Se in qualche modo avessi avuto una possibilità con lui senza che tu fossi presente» il respiro che premeva nella gola di Derek lo liberò lei stessa, al suo posto. «Ma se tu non ci fossi stato, non sarei mai tornata a cercarti. Ma se anche, in una remota eccezione, mi fossi mossa comunque, Stiles non sarebbe stato lì» ticchettò con la punta delle dita sul davanzale della finestra, fissando distante il paesaggio che si apriva dinnanzi a lei. «Scott sarebbe stato morso a prescindere, ma cosa mi avrebbe legato a loro? Chi mi avrebbe condotta a Stiles? Sono stata così stupida da immaginare una realtà in cui tu non fossi in circolazione».

L’inesistente provenne dalla rete telefonica e tutto il resto dava linea libera. «Non avevo capito».

«Che mi piacesse Stiles?» rise senza allegria la sorella ritrovata, provando pietà per se stessa. «È un po’ difficile resistergli. Peccato non ne sia consapevole».

Le gemme di giada si posarono sul frugoletto avvolto nella bella felpa rossa che Lydia gli aveva comprato appositamente e per quanto ne rimanesse incantato, la prova che si fosse abbandonato al sonno prima di indossare il suo adorato pigiamino verde con i lupi gridava incontrastata. «Sì».

«Anche Peter ha un debole per lui, in modo inquietante» ma quello era un dato di fatto, il loro zio si illuminava sempre quando trovava qualcuno particolarmente dotato e con un buon cervello. Stiles rispecchiava in pieno il suo interesse.

«Magari è una cosa da Hale» proferì Derek più a se stesso che alla sua interlocutrice, ragionando su qualcosa di non espresso.

«Magari» gli fece eco Cora con le labbra lievemente arricciate verso l’alto. «Quello che volevo dire è che mi ero un po’ cullata nell’illusione che Stiles potesse ricambiarmi, che ci fosse quell’intesa tra noi e che potesse evolvere in qualcosa di più concreto, ma Stiles ha sempre avuto occhi soltanto per te».

La linea libera tornò a farsi sentire e Cora non sapeva come interpretarla. «Non mi aiuta».

«Ti stai ancora crogiolando nei sensi di colpa, Derek?» domandò retoricamente la ragazza, fin troppo in sintonia con i pensieri dell’altro. «L’aver persistito a ignorare i sentimenti che prova per te? Il continuare a rifiutarlo senza esclusione di colpi. Sei stato talmente bravo che hai finito per scegliere qualcun altro» quella era una carognata, Cora lo sapeva benissimo, ma non era riuscita a tenerlo per sé. Derek non era stato nemmeno totalmente se stesso quando si era lasciato andare con la persona sbagliata.

Il fiato rarefatto venne trattenuto dalla bocca sigillata del mutaforma e lo sguardo si incollò al fagottino rosso che ronfava comodamente sul suo grembo. Se solo fosse stato più accorto.

«Derek» lo richiamò il sangue del suo sangue, sperando di essere ascoltato. «Anche tu hai occhi soltanto per Stiles, ma ti costringi a distoglierli».

«Non volevo scegliere qualcun altro» soffiò Derek in una litania piena di significati, scostando una ciocca castana che cadeva sul volto addormentato del cucciolo d’uomo.

«Lo so» se non fosse stato per il sacrificio delle vergini, del richiamo che quell’incanto aveva avuto su Derek, un canto simile a quello delle sirene, il mannaro non si sarebbe mai avvicinato a quella donna che aveva mosso i fili per manipolarlo sin dagli inizi del loro primo incontro. Derek non teneva a debita distanza Stiles perché gli era indifferente, ma perché pensava di meritarsi la solitudine in cui si era sigillato e per quanto avesse provato a spazzarla via, alleviarla, costruendosi un branco tutto suo, non aveva portato i risultati sperati ed al contrario erano stati rimpiazzati da ancora più oscurità, perdita e la consapevolezza di essere l’artefice della dipartita di due membri di quello stesso branco che aveva formato con fatica.

Se Derek non aveva lasciato entrare Stiles nella sua vita, se non quel minimo per non scottarsi, non l’avrebbe mai permesso a nessun’altro; soprattutto perché non esisteva quel nessun’altro.

Ma per quanto Derek fosse stato previdente, aveva finito per scottarsi comunque. E aveva arrecato un profondo male all’unica persona che non avrebbe mai voluto nuocere.

Stiles si agitò nel sonno, producendo un mormorio distinto che gli graffiò la gola e Derek lo calmò con un tocco delle dita, massaggiandogli il pancino accuratamente coperto dalla felpa rossa che di tanto in tanto sistemava. «Voglio che torni».

Cora comprendeva benissimo quel desiderio, lo capiva da quanto il suo fratello impenetrabile si stesse sbilanciando. «Sei un tassello importante, Derek» dichiarò senza riservatezza, dando finalmente voce al nocciolo di tutta la questione e di ciò che voleva comunicargli fin dall’inizio di quella conversazione. «Sono convinta che la chiave per riportare Stiles indietro, sia tu. Devi solo trovare l’innesco».

 

Stiles quella mattina si alzò simbolicamente presto, sgambettando a piedi nudi stretto nel suo pigiamino verde verso l’angolo cottura, trovando la sua bella tazza con la volpe già pronta per essere riempita con il latte caldo, la scatola dei cereali al miele accanto ed il cucchiaio già in posizione per tuffarsi. «’giorno, Der» spiaccicò con la bocca ancora impastata dal sonno, strofinando con un pugnetto chiuso un occhio.

«Buongiorno, piccola volpe» lo salutò il lupo mannaro con il solito calore controllato, chiudendo il rubinetto ed asciugandosi le mani con un asciugamano.

Stiles gli sorrise pienamente con quell’affettuosità bambinesca che l’investiva in pieno ed il licantropo si apprestò ad avvicinarsi, prendendolo di peso ed issandolo, scaturendo una risata deliziata nel cucciolo e Derek non riuscì affatto a trattenersi dal riempirgli il viso di baci, volendo far perdurare quel suono cristallino ed autentico per un lasso temporale più duraturo.

«Hai dormito bene?» domandò il padrone di casa tra una risatina e l’altra della volpe, mordendogli il naso per scherzo.

«Sì» affermò Stiles con convinzione, sorridendo spensierato ed abbracciandolo di riflesso.

Derek gli schioccò un bacio su una tempia, massaggiandogli la schiena e procedendo per farlo accomodare al posto designato, davanti alla sua tazza accuratamente scelta. Sì, Stiles cadeva in un sonno profondo quando la creatura della notte restava con lui, nessun incubo, nessun turbamento, non si agitava nemmeno, rimaneva perfettamente accoccolato contro di lui e respirava tranquillamente. Era uno dei tanti fattori per cui alla fine Derek finiva sempre per rimanere la notte in sua compagnia.

La cascata di cereali mattutina nel latte bollente diede ufficialmente via alla giornata ed il portellone scorrevole fu aperto, presentando le due figure femminili che fin troppo spesso si invitavano senza autorizzazione.

«Allie!» esclamò il cucciolo d’uomo d’impeto, abbandonando la sua posata e precipitandosi scalzo davanti alla cacciatrice, che lo agguantò immediatamente, ruotando insieme a lui in una giravolta.

«Ciao, bel Cappuccetto Rosso» lo salutò amorevolmente la mora, dondolandolo leggermente.

La risatina gioiosa del bambino riecheggio e le iridi d’ambrosia si posarono su quelle verdi, ma erano di un verde diverso da quello di Derek. «Ciao, Lyds».

La bionda fragola si immobilizzò su posto, sgomenta e spiazzata. Fino a quel momento non si era mai mosso nella sua direzione volontariamente, anche con il semplice saluto; doveva tutto far parte di un grande gruppo che lo rassicurava e che includeva Lydia nella cerchia, soltanto sotto quella luce Stiles si apriva con lei, lasciandosi andare ed includendola nel suo gioco. Avere un rapporto con Stiles era complicato, si procedeva in punta di piedi, non si potevano commettere errori ed aveva bisogno della certezza, che il suo bel lupo gli dava, che quelle con cui si relazionava fossero delle persone buone. Esitava, studiava tutto ciò che lo circondava e soltanto in un successivo momento dava il suo benestare. Nessuno doveva compiere un passo falso, si chiedeva se valesse anche per Derek. «Ciao, Stiles» curvò le labbra verso l’alto con complicità, scompigliandogli benevolmente le ciocche castane ed il figlio dello sceriffo si illuminò di felicità. Stava bene, era in pace ed in buona compagnia e tutto quello che voleva quel piccolo fagotto erano soltanto delle persone che nutrissero amore per lui.

Vuoi soltanto amore, vero, Stiles? Autentico e sconfinato amore.

«Allora, cosa vuol fare quest’oggi il nostro ometto?» domandò la cacciatrice con allegria, strizzandogli un occhiolino e facendogli presente che avrebbe partecipato a tutte le sue marachelle e strambe idee.

Derek non udì la risposta affaccendato com’era a rimettere tutto a posto e prendere ciò che gli sarebbe servito quel giorno. «Prima deve terminare di mangiare. Se il latte diventa troppo freddo, dovrete scaldarglielo, gli piace bollente e per pranzo non preparategli qualcosa di troppo complicato, preferisce la semplicità e niente patatine fritte per nessun motivo».

«Oh» soffiò rammaricata Allison, arricciando le labbra verso il basso e cullando lievemente il bambino dentro il suo pigiamino preferito che andava cambiato. «Questo lupo cattivo vuole privarci di tutte le cose buone» Stiles ridacchiò al suo broncio e le schioccò un bacio innocente su una guancia, un premio di consolazione.

Allison gli sorrise complice e lo abbracciò ancora di più in segno di apprezzamento. Stiles era un bambino allegro a discapito di come si era presentato la prima volta, era loro dovere e responsabilità proteggere quell’innocenza candida che il Nemeton aveva in tutti i modi cercato di ridonargli.

«Nessuna obiezione» ordinò loro la creatura della notte e la cacciatrice mimò un rigido saluto militare che non andò a colpo sicuro, ma quello accresceva l’ilarità del pargoletto.

Soltanto quando Derek procedette davanti alla porta di ferro lasciata per metà aperta, con la sua giacca di pelle dietro, Stiles si rese conto di cosa stesse accadendo. «Vai via?».

Derek si piantò sul posto e dalla voce abbassata di un’ottava del figlio dello sceriffo, quel turbamento che sfociò in un baleno, si rese conto che non tutto sarebbe andato liscio come l’olio. «Ho alcune commissioni da sbrigare».

«Non posso venire con te?» chiese Stiles di getto, comunicando ad Allison con i gesti di metterlo giù, potendosi nuovamente muovere liberamente.

«Questa volta no» proferì Derek in risposta, non scomponendosi in alcuna maniera.

Stiles rimase fermo al centro del monolocale, lasciando le due ragazze alle spalle e guardando il licantropo con occhi bassi; non era esattamente il modo migliore di andar via.

«Mancherò soltanto per alcune ore e qui ci sono Allison e Lydia che si prenderanno cura di te» era l’unica soluzione che avesse escogitato, l’unica che gli permettesse di allontanarsi e sperare che non accadessero disastri, affidandolo all’unica persona dopo di lui di cui Stiles si fidasse. La cacciatrice era la persona migliore a cui permettere di accudirlo.

Stiles non emise un fiato, un rantolo d’ossigeno, l’osservò soltanto con le sue enormi iridi dorate, la tristezza e la forma di abbandono che sentiva crescere nefaste, senza controllo, senza ragione; ma la ragione c’era, Derek lo sapeva bene. «Devi proprio?».

Se Derek avesse avuto un cuore che potesse distruggersi, si sarebbe infranto in quell’istante, al suono della voce arrendevole e carica di desolazione del bambino per cui avrebbe combattuto in eterno. «Ehy, Stiles» chiamò con profondità, inginocchiandosi davanti a lui e portandosi alla sua altezza. «Lo sai chi sei?».

Il cucciolo d’uomo lo guardò con le gemme giganti, un punto interrogativo stampato su tutto il viso ed un cenno negativo del capo che gli comunicava la sua confusione.

Derek si liberò in un sorriso caldo e pieno di tutte le risposte di cui il cinquenne necessitava. «Sei la mia piccola bella volpe» gli annunciò in un grande segreto che era stato appena svelato, quasi in una dichiarazione d’amore, accarezzandogli il setto nasale con il dorso delle dita in una carezza di velluto e piume d’oca. «La mia piccola bella volpe furba e tornerò presto da te».

Stiles lo guardò incantato, ammaliato ed attonito, con quell’incredulità crescente che gli riempiva il petto e trasmetteva più di quanto detto. Gli gettò le braccine al collo e lo strinse fortemente a sé, con un piccolo singhiozzo che sfuggì al suo controllo senza remore.

Era la prima volta che Derek si allontanava da lui da quando l’aveva incontrato in quelle fattezze delicate; non si erano mai separati, non erano mai stati in stanze diverse e non c’erano mai stati muri che potessero imporsi tra loro, impedendo la visuale e qualsiasi tipo di contatto fisico o visivo. Stiles non era mai stato con nessun altro se Derek non era nei dintorni ed in quel momento non solo il mutaforma non sarebbe stato nello stesso edificio, ma sarebbe stato distante, a dedicarsi a qualcosa di importante, lasciandolo alla mercé di due figure che Stiles non riconosceva al cento per cento. «Tornerò da te» ripeté la creatura della notte in una promessa solenne, ricambiando la presa e trattenendolo per le braccia mentre si rimetteva in piedi, dondolando sul posto per calmarlo e fargli sentire meglio la sua presenza. «Non andrò mai via senza di te» non quando si trovava in quella veste.

Avrebbe dovuto dirgli parole simili prima che lo Stiles diciasettenne preferisse andare dal Nemeton che fidarsi di lui?

Avrebbe dovuto dirgli esattamente quelle parole prima della partenza, promettersi a lui e comunicargli che non sarebbe stato a lungo lontano? Anche se non era vero, anche se non le aveva ancora pensate e gli venivano alla mente soltanto in quell’istante? Avrebbe potuto provare a mentirgli, anche se Stiles sapeva esattamente come smascherarlo; avrebbe fatto la differenza? Stiles sarebbe stato ancora con lui?

Il bambino singhiozzò per una seconda volta e Derek gli regalò un tenero bacio su una palpebra serrata, inspirando il suo odore pulito e con l’ansia stagnante. «Ti voglio bene, Derek».

«Anch’io, Stiles. Tanto» dichiarò inequivocabile, accarezzandogli uno zigomo e continuando a dargli ciò che chiedeva disperatamente. «Non immagini nemmeno quanto».

Dall’abbraccio sconfinato e prepotente che Stiles gli diede, Derek capì che non voleva in alcun modo farlo allontanare da sé.

 

Tutti in quel branco e fuori erano convinti che la soluzione al problema fosse proprio lui, ma Derek non riusciva a capire come avrebbe potuto spezzare la malia e far tornare Stiles tra loro, ridonargli la vita che gli spettava di diritto.

Aveva passato tutto il giorno con Deaton a cercare un rimedio, a sfogliare libri di ogni genere e Derek aveva cercato di recuperare quei pochi volumi che l’incendio non si era portato via, ma non erano riusciti a trovare un solo indizio, una mezza traccia, una singola parola che annunciasse o trattasse quello che era capitato all’umano.

Non c’era nulla.

«Come l’ha presa?» gli domandò il veterinario, mentre sfogliava un volume particolarmente polveroso e dalla lingua a lui sconosciuta.

Non era difficile capire a chi si stesse riferendo, nella vita del mannaro giunti a quel punto c’era spazio per un’unica persona. «Ha quasi pianto» e quell’aspetto non lo tranquillizzava affatto.

«Potevi portarlo qui» gli riferì il druido perfettamente composto, non lasciando trasparire alcun tipo di emozione.

Un sopracciglio di Derek si arcuò forzatamente, quasi a sfiorare la radice dei capelli, osservando attorno a lui quel luogo pieno di attrezzi taglienti ed appuntiti, pasticche di ogni tipo ed uno sconsiderato numero di provette misteriose, con etichette bizzarre, insieme alla moltitudine di libri pieni di acari e che tendevano a tingere le dita di nero. «Non è il posto adatto a lui» era sconsigliato per la sua goffaggine di diciasettenne, infilando il muso ovunque, figurarsi a cinque anni che non era in grado di fermarlo nessuno.

«Devi capire una cosa, Derek» proferì l’uomo dalla pelle più scura, girando una nuova pagina ed esaminando con gli occhi attenti ciò che gli si parava dinnanzi. «In questo momento Stiles dipende da te, ha scelto te, senza di te non può muovere un passo, separarvi non è la scelta migliore».

Tradotto in parole elementari: era stata una pessima idea ed aveva commesso un errore magistrale. «Non sto sparendo, non sto andando dall’altra parte del mondo, sto soltanto cercando una soluzione».

«Non troveremo niente in questi vecchi libri» dichiarò Deaton, sbattendo una mano su un foglio di carta ed alzando la nuvola di polvere grigia che vi era rinchiusa. «Quello che gli è successo è strettamente collegato a lui, a te» chiuse il tomo scatenando un’altra ondata scura e se Derek non avesse avuto dei polmoni d’acciaio, avrebbe cominciato a tossire da minuti interi. Era stata la scelta più saggia non portarsi Stiles dietro. «A voi».

Era facile per tutti loro sparare sentenze, rimettere tutto nelle sue mani e lasciare che se ne occupasse lui, che si spremesse le meningi e con un tocco di bacchetta magica riportasse tutto esattamente all’origine, riportasse Stiles all’istante in cui gli aveva irrimediabilmente spezzato il cuore. L’attimo in cui l’aveva visto sgretolarsi per sempre. «E se non volesse tornare?» poteva fargliene una colpa? Avrebbe desiderato la stessa cosa.

«Potrebbe volerlo» affermò nel silenzio saturo, in quella penombra che annunciava il calare dell’astro di Apollo e l’arrivo prossimo del tramonto, tingendo le pareti di rosso fuoco. «Ma credi davvero che una volta che hai preso la decisione di restare, per Stiles non conti nulla?».

Derek lo fissò nel mutismo, tutto l’insieme che ognuno del branco continuava a ripetergli come un mantra, per renderlo indimenticabile nella sua mente che non riusciva ad accettare quelle parole. Quel gruppo scapestrato sembrava saperne più di lui, ma in realtà non conoscevano nulla di loro due.

«Devi fargli tornare la voglia di appartenere a questo tempo» gli confidò il druido con cautela, ma con quell’imposizione da vecchio saggio che tutto vedeva e tutto sapeva. «Devi dimostrargli che lo vuoi con te».

Erano solo accurate e belle parole, Derek in ogni attimo di ogni giorno cercava di rendere evidente quanto rivolesse Stiles nella sua vita, ma non otteneva alcun risultato.

Il cellulare prese a squillare ininterrottamente, con insistenza e pressione, vibrando sconclusionatamente e con impeto, richiamando disperatamente l’attenzione del lupo mannaro.

Derek non era un grande amante di quegli oggetti tecnologici e lo incendiò con lo sguardo, ma non ottenne un istante di tregua e fu costretto a rispondere, premendo sullo schermo l’icona verde. Non riuscì a mettere in fila una sola lettera perché un affanno impetuoso si abbatté sull’altoparlante, accompagnato da un respiro pesante e per nulla segno di buone novelle. «Non riusciamo a trovarlo».

Quell’unica frase fu tutto quello che riuscì a udire, con il tremore dalla voce femminile e la preoccupazione, i tacchi frenetici che si abbattevano sul pavimento ed il fiatone che non poteva essere nascosto. Era un déjà-vu, un tremendo déjà-vu. «Chi non riuscite a trovare?» Derek sperava seriamente che gli stesso giocando un brutto scherzo.

«L’abbiamo cercato dappertutto» tergiversò la cacciatrice, il tono vocale spezzato ed un groppo in gola a impedirle di deglutire, la corsa che diveniva più assordante e veloce, procedendo senza meta e con il panico come unico condottiero. «Stiles… Stiles è sparito».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non è un mistero che tutti all’interno di questa storia conoscano i reali sentimenti di Stiles e Derek, più quelli di Stiles, e che vengano esternati da più voci, una con una motivazione ben diversa; ognuno di loro ha chiaro determinate cose che cercano di far comprendere a Derek, anche se Derek non è che ne sia proprio all’oscuro.

Il rapporto con il nostro lupo e il piccolo Stiles è intenso, cresce sempre di più ed è chiaro quanto per Derek sia vitale, ma allo stesso tempo non può fare a meno di volere lo Stiles adolescente nella sua vita.

Qui per la prima volta abbiamo un distacco totale tra i due e Stiles non la prende proprio benissimo, tanto che il licantropo ne conosce quasi immediatamente le conseguenze, ma sarà davvero quella la motivazione?

A martedì,

Antys

   
 
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