6° Capitolo
«È il sogno
di ogni genitore riavere i figli a quest’età, eternamente» l’improbabile trio
stava pranzando insieme, con Stiles seduto sulla scrivania dello sceriffo con
le gambette sospese in movimento nel vuoto, la massima autorità della città che
sedeva al suo posto da superiore e Derek che si trovava di fronte all’uomo,
mangiando in silenzio. «In verità per un genitore i figli non crescono mai».
Stiles lo
guardò dubbioso, inclinando la testa e sgranocchiando un’insalata di mais che
il lupo aveva comprato per tutti loro, insieme ad una moltitudine di cibi
salutari; non erano i suoi piatti favoriti, preferiva sempre qualcosa che contenesse
della carne e dalla reazione sconsolata che suo padre aveva avuto quando Derek
si era presentato con quel menù, deduceva che fosse lo stesso anche per lui, ma
a dispetto di quanto sembrasse, si accontentò e non protestò. «Non devo
crescere?».
Lo sguardò
dell’uomo di legge si catapultò sul figlio, insieme a quello del mannaro, ma
non riuscì a decifrare le loro espressioni. «Sì, devi crescere. Diventare
grande e forte».
«Come
Derek?» domandò il bambino, indicando con i ditini colui che si prendeva cura
della sua persona.
Lo sceriffo
ridacchiò leggermente ed il mutaforma arcuò un sopracciglio. «Un po’ meno del
tuo lupo».
«Però Derek
è molto forte» Stiles non vedeva perché non potesse diventare come lui.
«Sì, molto»
confermò Noah, curvando lievemente le labbra
spensierate. «Ma non è solo la forza fisica ad essere importante».
«No?»
domandò in un eco insicuro, posando le iridi d’ambrosia in quelle di giada. «Ma
può tenere al sicuro le persone, difenderle».
Quell’osservazione
portò un velo silenzioso su di loro e Derek appariva più lontano di quanto non
fosse mai stato.
«Ci sono
molti modi per farlo» dichiarò lo sceriffo notando il distacco della creatura
della notte, quanto in realtà quelle parole risultassero false alle sue
orecchie animali. «E se ti dicessi che anche tu puoi proteggerlo?».
«Io? E
come?» i grandi occhi di Stiles si spalancarono e tutta la sua concentrazione
era interamente dedita al padre, ad una nozione che teneva per se stesso.
La massima
autorità della città si avvicinò circospetta, adagio, come se dovesse confidare
un grosso segreto e nessuno dovesse entrarne in possesso. «Con il cervellino
che ti ritrovi, volpacchiotto» lo agguantò a tradimento, portandolo sulle
ginocchia e prendendo a fargli il solletico in ogni parte del corpo in cui
sapeva facesse effetto.
Stiles non
riusciva a trattenere le delicate risate che quell’attacco aveva scatenato, ma
era anche provato ed indispettito, come un qualsiasi bambino che veniva colpito
senza preavviso nella tranquillità in cui si trovava, con la dominanza di
qualcuno più autoritario che aveva la meglio su di lui. Ma quello era suo
padre, tutto aveva un’esperienza ed effetto differente e Stiles stava bene.
«Davvero
posso proteggerti, Der?» chiese il bambino quando il supplizio fu terminato, il
fantasma di un sorriso ancora sulle labbra e le enormi iridi dell’ambra che lo
fissavano attente e curiose.
Proteggerlo, Stiles
era colui che aveva portato in salvo più persone di quanto avessero fatto le
tanto decantate creature sovrannaturali, quelle che sarebbero
dovute essere oltre la mortalità fragile dell’essere umano. Aveva
salvato la città innumerevoli volte, aveva supervisionato su ogni membro del
branco, che fosse il suo o quello di Derek, e non aveva mai lasciato nessuno
indietro. Aveva tratto in salvo Derek stesso talmente tante volte da averne
perso il conto, anche se continuava ad affermare il contrario e pregare nella
sua morte. Stiles l’aveva salvato in così tanti modi e soprattutto da se stesso, da non poter essere immaginabile una vita senza
di lui. «Sei capace di qualsiasi cosa».
Doveva
averla presa come una risposta positiva perché arricciò la bocca verso l’alto e
rubò un morso dall’hamburger vegetale di suo padre come ricompensa.
Lo
sceriffo, mentre rimetteva Stiles al suo posto, li guardò studiandoli. «I
genitori vorrebbero che i figli non crescessero mai, ma…» l’attenzione si
indirizzò tutta verso il mannaro e Derek sapeva di non poter scappare. «Stiles
ha già affrontato tutto questo. È diventato un ragazzo intraprendente, ha subito
le sue perdite ed è cresciuto andando avanti con ciò che gli mancava. Ha
affrontato l’inferno, l’umiliazione, si è preso cura di me quando era mio
dovere metterlo al primo posto. Si caccia sempre nei guai e sa far perdere la
pazienza come nessuno, ma ha le sue passioni, una formazione che gli ha
temprato il carattere e l’ha condotto verso un futuro che vuole inseguire»
trattenne il respiro, socchiuse le palpebre e prese una profonda boccata
d’aria. «Si è innamorato. È innamorato. È andato talmente oltre da essere
arrivato all’amare. Non voglio che tutto questo gli venga portato via. Questa è
la vita per cui lui ha combattuto ogni giorno e tu, Derek, ne fai parte».
Derek
doveva aspettarselo, prima o poi quella verità sarebbe saltata fuori, insieme
alla motivazione che aveva condotto Stiles ad assumere quell’aspetto di pura
innocenza. Lo sceriffo non aveva mai proferito parola in merito, si era
concentrato semplicemente sul godersi suo figlio dopo che l’aveva rifiutato la
prima volta non riconoscendolo come la figura genitoriale che invece era,
preferendo un uomo estraneo che non aveva alcun legame con lui, con loro. Gli
aveva consegnato Stiles ed il suo benessere fidandosi delle sensazioni che il
bambino, guidato dal Nemeton, manifestava, non
volendo nessuno vicino escluso Derek Hale. Noah non
aveva avuto scelta e non si era opposto, ma tutto ciò non significava che
perdonava le scelte che la creatura della notte aveva compiuto, causando un
problema che non sapevano risolvere. «Anch’io lo rivoglio indietro, signor
Stilinski».
La massima
autorità della città non poteva sperare in meglio, non credeva nemmeno che
esistesse una risposta diversa da quella. «Allora trova il modo».
Stiles si
era preparato per la notte senza fare troppe storie, dopo aver risolto un puzzle
e mezzo, indossando il suo pigiamino verde con i lupi, che Derek doveva sempre
lavare in tempi record, e sprofondando nel letto, lasciandosi sommergere dalle
coperte che il mannaro gli rimboccava quotidianamente.
Ma Stiles
non era affatto un bambino che crollava immediatamente nel sonno nel momento in
cui poggiava la testa sul cuscino, anche se era il suo prezioso e magico
cuscino che Allison era andata a prendere di persona sotto richiesta di Derek.
Doveva essere stanco fino all’ultimo, giungere ad una conclusione che lui
riteneva degna e crollare quando meno se lo si aspettava. Era soprattutto per
quello che Derek rimaneva con lui finché non si addormentava, restando in
ascolto e dandogli la possibilità di sommergerlo di quante più parole
desiderava, ma quella sera Stiles si era intestardito con uno dei nuovi libri
che avevano comprato e che ancora non aveva tentato di leggere. Era una pratica
che i primi giorni, quand’era arrabbiato, portava a compimento autonomamente,
tagliando chiunque volesse interagire con lui. «Posso leggere per te, se
preferisci».
Stiles
accarezzò la copertina rigida del libro, quasi volesse stirarla, benché non ve
ne fosse alcuna ragione. «Perché ti piace leggere?».
Possibile
che il cucciolo umano pensasse che anche quella fosse una fatica di Ercole,
credendo di essere un peso? «Perché vorrei leggere per te».
Il figlio
dello sceriffo voltò il viso verso di lui, tentando di scrutare l’autenticità
di quella proposta che non aveva secondi fini e Derek vide il tentennamento.
«Va bene».
Era una
vittoria, se pur piccola, era importante. «Da quale cominciamo?» il mannaro si
posizionò sul materasso, scostando le coperte e distendendosi al suo fianco,
poggiando parzialmente la schiena sulla testata del letto.
Stiles gli
passò il libro che aveva già tra le mani, quello che aveva accarezzato per
tutto il tempo, pronto a sfogliarlo ed a cimentarsi nella lettura con non poca
fatica. Era di dimensioni sotto la media e non conteneva molte pagine, ma la
copertina presentava diversi colori e delle stelle sullo sfondo bianco, al
centro spiccava una figura che ricordava un bambino. «Il Piccolo Principe. Una
motivazione in particolare?».
«C’è una
volpe» rispose Stiles immediatamente, aprendo il tomo e voltando qualche pagina
più avanti, mostrando le fattezze di un canide rosso dalla coda voluttuosa che
andava incontro al protagonista. «Mi piacciono le volpi».
C’era
qualcosa del regno animale che non fosse nelle corde di Stiles? «Forse perché lo
sei anche tu, piccola volpe» gli solleticò la punta del naso con dolcezza
bonaria e Stiles non trattenette la risata cristallina e timida che gli sfuggì.
«Lei sembra
molto intelligente, però…» il figlio dello sceriffo si fermò, appariva
disturbato da qualcosa, come se quello che conosceva fosse stato messo in
discussione. «Si lega ad un umano, le volpi non lo fanno, vero?».
Derek capì
che Stiles conosceva già la storia, che qualcuno l’aveva letta in precedenza
per lui. «Il Piccolo Principe è un bambino speciale, potrebbe anche riuscire ad
addomesticare una volpe» era la parola addomesticare
che Stiles cercava, ma che non era riuscito a pronunciare; aveva cercato in
qualche modo di trovare un sinonimo semplice con le parole di cui era in
possesso. «Ma no, le volpi in genere non si lasciano addomesticare, ma questa è
una volpe del deserto».
«Una volpe
del deserto?» domandò di rimandò il cucciolo d’uomo, udendo una definizione che
non aveva mai sentito prima.
«Sì» distese per bene la pagina che riportava il disegno
dell’animale in questione, indicandone il muso; era stata colorata erroneamente
di rosso, il manto delle Fennec era generalmente tendente al miele, come gli
occhi di Stiles. «Le orecchie sono lunghe, diverse da tutte le altre che
conosci, si sono adattate all’ambiente in cui vivono. La volpe del deserto è
l’unica volpe sulla Terra che può essere addomesticata dall’uomo, non è facile,
ma è possibile».
«Oh» soffiò Stiles con contemplazione e la sorpresa
che si dipingeva nelle iridi caramellate. «Quindi è una volpe speciale».
Piccoli
Principi speciali, volpi speciali, era tutto uno speciale da quelle parti.
Magari la storia era così magica proprio per quella ragione. «No, quella sei
tu» Stiles elargì una risatina contenta sotto il tocco pieno d’affetto di
Derek, che lo prendeva di peso e lo gettava sul letto per autentico
divertimento fine a stesso, lasciando cadere il libro tra le lenzuola. «Tu non
ti lasceresti mai addomesticare» Derek ne aveva ingiustamente le prove.
«Nemmeno i
lupi, vero?» chiese il pargolo di riflesso, in una continuazione di un
discorso, quasi volpi e lupi camminassero di pari passo e non potessero essere
separati. In effetti, per Stiles, la realtà era proprio quella, con il suo bel
pigiama con voraci predatori ululanti e piccoli fagotti rossi stampati sulle
tazze da latte.
«Dipende»
elargì la creatura della notte come premessa, prossimo ad annunciare un grande
mistero di madre natura. «Se un grosso lupo cattivo incontrasse una piccola e
bella volpe, potrebbe anche accadere».
Stiles era
veramente lusingato e gli sorrise di tutto cuore, Derek non sapeva nemmeno come
riuscisse a meritarsi certi premi.
«Der»
chiamò piano, una musicalità tutta sua che aveva in serbo soltanto per il
mannaro degli occhi blu elettrico. «Resti per sempre con me?».
Derek morì
nell’istante in cui sentì quella richiesta innocente che era la chiave di volta
dell’intera loro storia. «Vorrei».
Il viso di
Stiles si deturpò, il licantropo lo vide chiaramente ed un tonfo mancato partì
dal petto, ma quello non era lo Stiles diciasettenne a cui aveva spezzato il
cuore dopo innumerevoli rifiuti e la decisione di sparire dalla città per una
quantità di tempo illimitata, senza nemmeno degnarsi di avvisarlo. Quello era
uno Stiles che aveva bisogno di riconquistare la sua innocenza, che non era
stato sporcato da nessuna mano e dalla malvagità della vita. Era uno Stiles a
cui non aveva ancora fatto del male. «Non puoi?».
Era quella
la grande domanda, la domanda a cui non aveva avuto il coraggio di rispondere,
una domanda che se lo Stiles diciasettenne gli avesse comunicato, parandosi
davanti ai suoi occhi nell’istante in cui Derek aveva deciso i suoi piani, li
avrebbe mandati nel dimenticatoio senza nemmeno rifletterci. «È complicato».
Il fagotto
umano metabolizzò la notizia che rimaneva inconcludente ed ispezionò con lo
sguardò la penombra dell’angolo dedicato alla camera da letto del padrone di
casa. «Andrai da Cora?».
«Forse, un
giorno» benché Derek non ci avesse minimamente pensato nel momento in cui si
era ritrovato Stiles in quelle condizioni, sapeva che era soltanto questione di
tempo prima che il programma che aveva organizzato riprendesse da dove l’aveva
interrotto.
«Devi
scegliere tra la tua famiglia e qualcos’altro?» chiese il figlio dello sceriffo
seguendo quella linea, non essendosi dimenticato di nessuna delle poche persone
che aveva incontrato in quel lasso temporale limitato.
«Pensavo di
aver già fatto quella scelta» era stata tra le più difficili che avesse
compiuto e l’aveva fatto di getto, impulsivamente, quasi il suo stesso cervello
si fosse affaccendato per non meditare troppo sulle conseguenze che le sue
azioni avrebbero riportato.
«Non è
andata bene?» continuò ad interrogarlo il piccolo di casa, provando a seguire
il fiume dei suoi pensieri.
Derek lo
fissò, attento ad ogni sua sfaccettatura, osservando il prodotto che le sue
decisioni avevano creato. Le dita scivolarono sul volto del bambino,
disegnandone i tratti morbidi ed ancora da definirsi, totalmente opposti a
quelli già pronunciati dello Stiles ad un soffio dalla maggiore età, che
mostrava a pieno titolo chi fosse. «No, non è andata bene».
Stiles si
sciolse sotto il suo tocco, socchiudendo le palpebre e godendosi quella
manifestazione d’affetto che continuava ad essere unica ed irripetibile. «Puoi
cambiare idea?».
«Vorrei
soltanto aggiustare le cose» riaverti con
me, spezzare questo maleficio.
Le
incredibili e luminose iridi del nettare degli dei si mostrarono in tutto il
loro splendore, non c’era differenza tra lo Stiles di cinque anni e quello di
diciassette. «Dormi con me?».
Eccolo, eccolo lo
Stiles che sapeva salvarlo dall’oscurità del suo cuore, che sapeva come
riprenderlo e conquistarlo, rimediare al dolore ed ai sensi di colpa che non
sapeva colmare. «Sì, dormirò con te, piccola furba volpe» le nocche
accarezzavano con riverenza la fronte del bambino, creando un leggero solletico
restauratore tra la radice dei capelli, accompagnate da un tenue sorriso del
lupo cattivo.
Tutto il
viso del cucciolo umano si colorò di entusiasmo e contentezza e le braccine
andarono ad accerchiare il collo del mannaro, abbracciandolo teneramente e
Derek non sapeva più come sopravvivergli.
«Sono
passati dodici giorni» annunciò il lupo mannaro in una condanna
incontrovertibile, seduto sul divano di casa e con il cellulare poggiato
all’orecchio.
«Non sembri
il tipo che resta a contare i giorni» dichiarò Cora dall’altro lato della
cornetta, con una nota leggermente ironica e di burla delicata.
«Sta
passando troppo tempo, Cora» disse Derek con incisività, le meningi stanche ed
una spossatezza che non riusciva a far andare via.
«Non è
cambiato niente?» domandò la ragazza di conseguenza, in continuità ad una
risoluzione che non presagiva di giungere.
«No» nessuno sapeva che pesci prendere. Erano
esattamente al punto di partenza.
Cora esitò
dall’altro capo della linea, assorbendo la negazione in risposta. «Come sta?».
«Sta bene,
ma…» Derek abbassò gli occhi sulla testolina che si era poggiata sulle gambe,
il corpo tutto rannicchiato su se stesso, il dolce
sonno che rendeva le palpebre serrate e le labbra lievemente socchiuse. «Ho
come la sensazione che si addormenti sempre più velocemente e di frequente».
«Magari è
soltanto stanco, Stiles brucia molte energie» spesso la mutaforma si era
stremata soltanto guardandolo, ascoltandolo e per quanto in lei scorresse
sangue sovrannaturale, il più delle volte non riusciva a stargli dietro e si
esauriva come niente.
Il silenzio
provenne dall’altoparlante dello smartphone, saturo e stanzio, la lupa
percepiva esclusivamente il respiro calmo del fratello, l’immobilità dei suoi
gesti e sicuramente teneva le spalle tese. Stiles
è energia avrebbe ribattuto Derek, era un pensiero che esisteva da tempo
immemore in lui, che esprimeva a voce in rare occasioni e mai con Stiles in
giro. Cora le aveva sempre percepite quelle parole, dallo sguardo meticoloso
che il mannaro dedicava all’umano quando non se ne accorgeva, quando
straparlava e gesticolava ininterrottamente, riempiendo tutto il loft avvolto
nell’oscurità privo di suoni da farlo risultare vivo. Nessuno si impegnava così
tanto, in verità tutto il resto del branco – unito e diviso – rispettava la
silenziosità del padrone di casa, non si imponeva e non portava una confusione
che comunque non gli apparteneva. Andavano via così come arrivavano e sembrava
quasi che di lì non fosse passato nessuno; Cora aveva percepito subito la
differenza che quelle visite comportavano quando la figura di Stiles mancava o
era presente, l’essenza di anima che continuava a persistere quando quella
moltitudine di persone spariva, conducendo via perfino quella lieve luce che
per qualche sorta a lei sconosciuta albergava.
Era Stiles
l’anima che rendeva un po’ più luminoso quel monolocale tetro ed incolore,
privo di arredamento se non l’essenziale. Era un aspetto che Cora aveva
compreso quando Isaac aveva fatto le valigie, cacciato via dal suo Alpha e
traferendosi da Scott, dopo la morte di Boyd e
successiva alla schiacciante verità che rendeva Derek inerte, non sapendo come
proteggere chi gli era più caro, chi aveva deciso di seguirlo.
Cora
pensava che quel raggio di luce sarebbe svanito con lui, con l’unico altro
abitante oltre lei, quello stesso raggio che aveva incontrato quando si era
trasferita a sua volta dal fratello; era sempre stata certa che non
appartenesse a Derek. Ma se quello spicchio di sole era presente al suo arrivo
ed era rimasto dopo che in qualche modo il sangue del suo sangue aveva
rinnegato Isaac, Cora l’aveva finalmente collegato alla perpetua esistenza di
Stiles che per un motivo o per un altro girava intorno al licantropo dagli
occhi rossi. Derek da quella luce ed energia veniva abbagliato. «Sta dormendo
anche adesso?».
«Sì» le falangi fluivano sui capelli castani,
scomponendoli con delicatezza, agevolando il perdurare del regno di Morfeo che
teneva il bambino con sé.
«Su di te?»
chiese la corvina con un ghignetto spudorato e la nota vocale che lo rendeva
concreto all’udito del licantropo.
Le iridi
verdi seguivano il sentiero che le dita tracciavano sulla cute del cucciolo
d’uomo, la posizione studiata che non lo invadeva come spesso accadeva. «Per
così dire».
«Pensavo si
fosse tolto il vizio» onestamente si chiedeva se anche lo Stiles diciasettenne
si sarebbe mai preso certe libertà con il lupo scorbutico per eccellenza, se un
giorno suo fratello avrebbe abbassato le difese ed accaparrato ciò che gli
spettava di diritto, godendosi l’amore sconfinato dell’umano.
Il Beta non
ribatté in alcun modo e Cora non si aspettava nulla di diverso.
«A volte
penso che sia in ascolto» rivelò Derek nelle tenebre nel monolocale, la voce
impregnata di difficoltà e il credersi deliberatamente folle. «Che sia lì, che
aspetti soltanto che io lo percepisca e lo tiri indietro» tacque e con la mano
tutta intenta a ricoprire di attenzioni la piccola volpe addormentata, si
massaggiò le tempie esauste. «A volte ho la sensazione che mi mandi dei
segnali, sperando che io li colga, ma non accade e allora molla la presa».
Un groppo
in gola si formò nella lupa, con le gemme nocciola che si spalancavano.
«Derek».
«Se non
tornasse?» gettò lì l’uomo che appariva distrutto, il tormento che non gli dava
tregua e quelle possibilità che non volevano saperne di lasciarlo in pace. «Se
non ci fosse il modo di farlo tornare? Se rimanesse così e lo Stiles che noi
conosciamo non riemergesse più? Da chi si lascerebbe avvicinare? Chi dovrebbe
crescerlo? Io?».
«Essere
cresciuto dall’uomo che ama, sarebbe davvero grottesco» sarebbe stato infame,
fuori da ogni logica e buon senso, così crudele e malsano da non essere
catalogabile, ma il fato era talmente ingiusto con loro che si presentava come
una possibilità concreta e c’era soltanto da detestarla. «Stiles potrebbe
trovarlo divertente o lo odierebbe. Lui ti vuole, ma non così».
«Non trovo
una soluzione, Cora» affermò la creatura della notte angustiata, l’enorme
respiro profondo che dimorava all’interno della trachea e che non veniva fuori.
«Nessuno sa niente, nessuno sa come muoversi» perfino Deaton
arrancava nel buio.
«Ascoltami
un momento» disse la ragazza distante leghe intere, in un altro stato, lì
dov’era stata accolta e cresciuta da sola, pensando di essere rimasta l’unica
al mondo. «Mi sono sempre chiesta se le cose sarebbero andate diversamente se
tu non ci fossi stato. Se in qualche modo avessi avuto una possibilità con lui
senza che tu fossi presente» il respiro che premeva nella gola di Derek lo
liberò lei stessa, al suo posto. «Ma se tu non ci fossi stato, non sarei mai
tornata a cercarti. Ma se anche, in una remota eccezione, mi fossi mossa
comunque, Stiles non sarebbe stato lì» ticchettò con la punta delle dita sul
davanzale della finestra, fissando distante il paesaggio che si apriva dinnanzi
a lei. «Scott sarebbe stato morso a prescindere, ma cosa mi avrebbe legato a
loro? Chi mi avrebbe condotta a Stiles? Sono stata così stupida da immaginare
una realtà in cui tu non fossi in circolazione».
L’inesistente
provenne dalla rete telefonica e tutto il resto dava linea libera. «Non avevo
capito».
«Che mi
piacesse Stiles?» rise senza allegria la sorella ritrovata, provando pietà per se stessa. «È un po’ difficile resistergli. Peccato non ne
sia consapevole».
Le gemme di
giada si posarono sul frugoletto avvolto nella bella felpa rossa che Lydia gli
aveva comprato appositamente e per quanto ne rimanesse incantato, la prova che
si fosse abbandonato al sonno prima di indossare il suo adorato pigiamino verde
con i lupi gridava incontrastata. «Sì».
«Anche Peter
ha un debole per lui, in modo inquietante» ma quello era un dato di fatto, il
loro zio si illuminava sempre quando trovava qualcuno particolarmente dotato e
con un buon cervello. Stiles rispecchiava in pieno il suo interesse.
«Magari è
una cosa da Hale» proferì Derek più a se stesso che
alla sua interlocutrice, ragionando su qualcosa di non espresso.
«Magari»
gli fece eco Cora con le labbra lievemente arricciate verso l’alto. «Quello che
volevo dire è che mi ero un po’ cullata nell’illusione che Stiles potesse
ricambiarmi, che ci fosse quell’intesa tra noi e che potesse evolvere in
qualcosa di più concreto, ma Stiles ha sempre avuto occhi soltanto per te».
La linea
libera tornò a farsi sentire e Cora non sapeva come interpretarla. «Non mi
aiuta».
«Ti stai
ancora crogiolando nei sensi di colpa, Derek?» domandò retoricamente la
ragazza, fin troppo in sintonia con i pensieri dell’altro. «L’aver persistito a
ignorare i sentimenti che prova per te? Il continuare a rifiutarlo senza
esclusione di colpi. Sei stato talmente bravo che hai finito per scegliere
qualcun altro» quella era una carognata, Cora lo sapeva benissimo, ma non era
riuscita a tenerlo per sé. Derek non era stato nemmeno totalmente se stesso quando si era lasciato andare con la persona
sbagliata.
Il fiato
rarefatto venne trattenuto dalla bocca sigillata del mutaforma e lo sguardo si
incollò al fagottino rosso che ronfava comodamente sul suo grembo. Se solo
fosse stato più accorto.
«Derek» lo
richiamò il sangue del suo sangue, sperando di essere ascoltato. «Anche tu hai
occhi soltanto per Stiles, ma ti costringi a distoglierli».
«Non volevo
scegliere qualcun altro» soffiò Derek in una litania piena di significati,
scostando una ciocca castana che cadeva sul volto addormentato del cucciolo
d’uomo.
«Lo so» se
non fosse stato per il sacrificio delle vergini, del richiamo che quell’incanto
aveva avuto su Derek, un canto simile a quello delle sirene, il mannaro non si
sarebbe mai avvicinato a quella donna che aveva mosso i fili per manipolarlo
sin dagli inizi del loro primo incontro. Derek non teneva a debita distanza
Stiles perché gli era indifferente, ma perché pensava di meritarsi la
solitudine in cui si era sigillato e per quanto avesse provato a spazzarla via,
alleviarla, costruendosi un branco tutto suo, non aveva portato i risultati
sperati ed al contrario erano stati rimpiazzati da ancora più oscurità, perdita
e la consapevolezza di essere l’artefice della dipartita di due membri di
quello stesso branco che aveva formato con fatica.
Se Derek
non aveva lasciato entrare Stiles nella sua vita, se non quel minimo per non
scottarsi, non l’avrebbe mai permesso a nessun’altro; soprattutto perché non
esisteva quel nessun’altro.
Ma per
quanto Derek fosse stato previdente, aveva finito per scottarsi comunque. E aveva
arrecato un profondo male all’unica persona che non avrebbe mai voluto nuocere.
Stiles si
agitò nel sonno, producendo un mormorio distinto che gli graffiò la gola e
Derek lo calmò con un tocco delle dita, massaggiandogli il pancino
accuratamente coperto dalla felpa rossa che di tanto in tanto sistemava.
«Voglio che torni».
Cora
comprendeva benissimo quel desiderio, lo capiva da quanto il suo fratello
impenetrabile si stesse sbilanciando. «Sei un tassello importante, Derek»
dichiarò senza riservatezza, dando finalmente voce al nocciolo di tutta la
questione e di ciò che voleva comunicargli fin dall’inizio di quella
conversazione. «Sono convinta che la chiave per riportare Stiles indietro, sia
tu. Devi solo trovare l’innesco».
Stiles
quella mattina si alzò simbolicamente presto, sgambettando a piedi nudi stretto
nel suo pigiamino verde verso l’angolo cottura, trovando la sua bella tazza con
la volpe già pronta per essere riempita con il latte caldo, la scatola dei
cereali al miele accanto ed il cucchiaio già in posizione per tuffarsi.
«’giorno, Der» spiaccicò con la bocca ancora impastata dal sonno, strofinando
con un pugnetto chiuso un occhio.
«Buongiorno,
piccola volpe» lo salutò il lupo mannaro con il solito calore controllato,
chiudendo il rubinetto ed asciugandosi le mani con un asciugamano.
Stiles gli
sorrise pienamente con quell’affettuosità bambinesca che l’investiva in pieno
ed il licantropo si apprestò ad avvicinarsi, prendendolo di peso ed issandolo,
scaturendo una risata deliziata nel cucciolo e Derek non riuscì affatto a
trattenersi dal riempirgli il viso di baci, volendo far perdurare quel suono
cristallino ed autentico per un lasso temporale più duraturo.
«Hai
dormito bene?» domandò il padrone di casa tra una risatina e l’altra della
volpe, mordendogli il naso per scherzo.
«Sì» affermò Stiles con convinzione, sorridendo
spensierato ed abbracciandolo di riflesso.
Derek gli
schioccò un bacio su una tempia, massaggiandogli la schiena e procedendo per
farlo accomodare al posto designato, davanti alla sua tazza accuratamente
scelta. Sì, Stiles cadeva in un sonno profondo quando la creatura della notte
restava con lui, nessun incubo, nessun turbamento, non si agitava nemmeno,
rimaneva perfettamente accoccolato contro di lui e respirava tranquillamente.
Era uno dei tanti fattori per cui alla fine Derek finiva sempre per rimanere la
notte in sua compagnia.
La cascata
di cereali mattutina nel latte bollente diede ufficialmente via alla giornata
ed il portellone scorrevole fu aperto, presentando le due figure femminili che
fin troppo spesso si invitavano senza autorizzazione.
«Allie!» esclamò il cucciolo d’uomo d’impeto, abbandonando
la sua posata e precipitandosi scalzo davanti alla cacciatrice, che lo agguantò
immediatamente, ruotando insieme a lui in una giravolta.
«Ciao, bel
Cappuccetto Rosso» lo salutò amorevolmente la mora, dondolandolo leggermente.
La risatina
gioiosa del bambino riecheggio e le iridi d’ambrosia si posarono su quelle
verdi, ma erano di un verde diverso da quello di Derek. «Ciao, Lyds».
La bionda
fragola si immobilizzò su posto, sgomenta e spiazzata. Fino a quel momento non
si era mai mosso nella sua direzione volontariamente, anche con il semplice
saluto; doveva tutto far parte di un grande gruppo che lo rassicurava e che
includeva Lydia nella cerchia, soltanto sotto quella luce Stiles si apriva con
lei, lasciandosi andare ed includendola nel suo gioco. Avere un rapporto con
Stiles era complicato, si procedeva in punta di piedi, non si potevano
commettere errori ed aveva bisogno della certezza, che il suo bel lupo gli
dava, che quelle con cui si relazionava fossero delle persone buone. Esitava,
studiava tutto ciò che lo circondava e soltanto in un successivo momento dava
il suo benestare. Nessuno doveva compiere un passo falso, si chiedeva se
valesse anche per Derek. «Ciao, Stiles» curvò le labbra verso l’alto con
complicità, scompigliandogli benevolmente le ciocche castane ed il figlio dello
sceriffo si illuminò di felicità. Stava bene, era in pace ed in buona compagnia
e tutto quello che voleva quel piccolo fagotto erano soltanto delle persone che
nutrissero amore per lui.
Vuoi soltanto amore, vero, Stiles? Autentico e sconfinato amore.
«Allora,
cosa vuol fare quest’oggi il nostro ometto?» domandò la cacciatrice con
allegria, strizzandogli un occhiolino e facendogli presente che avrebbe
partecipato a tutte le sue marachelle e strambe idee.
Derek non
udì la risposta affaccendato com’era a rimettere tutto a posto e prendere ciò
che gli sarebbe servito quel giorno. «Prima deve terminare di mangiare. Se il
latte diventa troppo freddo, dovrete scaldarglielo, gli piace bollente e per
pranzo non preparategli qualcosa di troppo complicato, preferisce la semplicità
e niente patatine fritte per nessun motivo».
«Oh» soffiò rammaricata Allison, arricciando le
labbra verso il basso e cullando lievemente il bambino dentro il suo pigiamino
preferito che andava cambiato. «Questo lupo cattivo vuole privarci di tutte le
cose buone» Stiles ridacchiò al suo broncio e le schioccò un bacio innocente su
una guancia, un premio di consolazione.
Allison gli
sorrise complice e lo abbracciò ancora di più in segno di apprezzamento. Stiles
era un bambino allegro a discapito di come si era presentato la prima volta,
era loro dovere e responsabilità proteggere quell’innocenza candida che il Nemeton aveva in tutti i modi cercato di ridonargli.
«Nessuna
obiezione» ordinò loro la creatura della notte e la cacciatrice mimò un rigido
saluto militare che non andò a colpo sicuro, ma quello accresceva l’ilarità del
pargoletto.
Soltanto
quando Derek procedette davanti alla porta di ferro lasciata per metà aperta,
con la sua giacca di pelle dietro, Stiles si rese conto di cosa stesse
accadendo. «Vai via?».
Derek si
piantò sul posto e dalla voce abbassata di un’ottava del figlio dello sceriffo,
quel turbamento che sfociò in un baleno, si rese conto che non tutto sarebbe
andato liscio come l’olio. «Ho alcune commissioni da sbrigare».
«Non posso
venire con te?» chiese Stiles di getto, comunicando ad Allison con i gesti di
metterlo giù, potendosi nuovamente muovere liberamente.
«Questa
volta no» proferì Derek in risposta, non scomponendosi in alcuna maniera.
Stiles
rimase fermo al centro del monolocale, lasciando le due ragazze alle spalle e
guardando il licantropo con occhi bassi; non era esattamente il modo migliore
di andar via.
«Mancherò
soltanto per alcune ore e qui ci sono Allison e Lydia che si prenderanno cura
di te» era l’unica soluzione che avesse escogitato, l’unica che gli permettesse
di allontanarsi e sperare che non accadessero disastri, affidandolo all’unica
persona dopo di lui di cui Stiles si fidasse. La cacciatrice era la persona
migliore a cui permettere di accudirlo.
Stiles non
emise un fiato, un rantolo d’ossigeno, l’osservò soltanto con le sue enormi
iridi dorate, la tristezza e la forma di abbandono che sentiva crescere
nefaste, senza controllo, senza ragione; ma la ragione c’era, Derek lo sapeva
bene. «Devi proprio?».
Se Derek
avesse avuto un cuore che potesse distruggersi, si sarebbe infranto in
quell’istante, al suono della voce arrendevole e carica di desolazione del
bambino per cui avrebbe combattuto in eterno. «Ehy,
Stiles» chiamò con profondità, inginocchiandosi davanti a lui e portandosi alla
sua altezza. «Lo sai chi sei?».
Il cucciolo
d’uomo lo guardò con le gemme giganti, un punto interrogativo stampato su tutto
il viso ed un cenno negativo del capo che gli comunicava la sua confusione.
Derek si
liberò in un sorriso caldo e pieno di tutte le risposte di cui il cinquenne
necessitava. «Sei la mia piccola bella volpe» gli annunciò in un grande segreto
che era stato appena svelato, quasi in una dichiarazione d’amore,
accarezzandogli il setto nasale con il dorso delle dita in una carezza di
velluto e piume d’oca. «La mia piccola bella volpe furba e tornerò presto da
te».
Stiles lo
guardò incantato, ammaliato ed attonito, con quell’incredulità crescente che
gli riempiva il petto e trasmetteva più di quanto detto. Gli gettò le braccine
al collo e lo strinse fortemente a sé, con un piccolo singhiozzo che sfuggì al
suo controllo senza remore.
Era la
prima volta che Derek si allontanava da lui da quando l’aveva incontrato in
quelle fattezze delicate; non si erano mai separati, non erano mai stati in
stanze diverse e non c’erano mai stati muri che potessero imporsi tra loro,
impedendo la visuale e qualsiasi tipo di contatto fisico o visivo. Stiles non
era mai stato con nessun altro se Derek non era nei dintorni ed in quel momento
non solo il mutaforma non sarebbe stato nello stesso edificio, ma sarebbe stato
distante, a dedicarsi a qualcosa di importante, lasciandolo alla mercé di due
figure che Stiles non riconosceva al cento per cento. «Tornerò da te» ripeté la
creatura della notte in una promessa solenne, ricambiando la presa e
trattenendolo per le braccia mentre si rimetteva in piedi, dondolando sul posto
per calmarlo e fargli sentire meglio la sua presenza. «Non andrò mai via senza
di te» non quando si trovava in quella veste.
Avrebbe
dovuto dirgli parole simili prima che lo Stiles diciasettenne preferisse andare
dal Nemeton che fidarsi di lui?
Avrebbe
dovuto dirgli esattamente quelle parole prima della partenza, promettersi a lui
e comunicargli che non sarebbe stato a lungo lontano? Anche se non era vero,
anche se non le aveva ancora pensate e gli venivano alla mente soltanto in
quell’istante? Avrebbe potuto provare a mentirgli, anche se Stiles sapeva
esattamente come smascherarlo; avrebbe fatto la differenza? Stiles sarebbe
stato ancora con lui?
Il bambino
singhiozzò per una seconda volta e Derek gli regalò un tenero bacio su una
palpebra serrata, inspirando il suo odore pulito e con l’ansia stagnante. «Ti
voglio bene, Derek».
«Anch’io,
Stiles. Tanto» dichiarò inequivocabile, accarezzandogli uno zigomo e
continuando a dargli ciò che chiedeva disperatamente. «Non immagini nemmeno
quanto».
Dall’abbraccio
sconfinato e prepotente che Stiles gli diede, Derek capì che non voleva in
alcun modo farlo allontanare da sé.
Tutti in
quel branco e fuori erano convinti che la soluzione al problema fosse proprio
lui, ma Derek non riusciva a capire come avrebbe potuto spezzare la malia e far
tornare Stiles tra loro, ridonargli la vita che gli spettava di diritto.
Aveva
passato tutto il giorno con Deaton a cercare un
rimedio, a sfogliare libri di ogni genere e Derek aveva cercato di recuperare
quei pochi volumi che l’incendio non si era portato via, ma non erano riusciti
a trovare un solo indizio, una mezza traccia, una singola parola che
annunciasse o trattasse quello che era capitato all’umano.
Non c’era
nulla.
«Come l’ha
presa?» gli domandò il veterinario, mentre sfogliava un volume particolarmente
polveroso e dalla lingua a lui sconosciuta.
Non era
difficile capire a chi si stesse riferendo, nella vita del mannaro giunti a
quel punto c’era spazio per un’unica persona. «Ha quasi pianto» e quell’aspetto
non lo tranquillizzava affatto.
«Potevi
portarlo qui» gli riferì il druido perfettamente composto, non lasciando
trasparire alcun tipo di emozione.
Un
sopracciglio di Derek si arcuò forzatamente, quasi a sfiorare la radice dei
capelli, osservando attorno a lui quel luogo pieno di attrezzi taglienti ed
appuntiti, pasticche di ogni tipo ed uno sconsiderato numero di provette
misteriose, con etichette bizzarre, insieme alla moltitudine di libri pieni di
acari e che tendevano a tingere le dita di nero. «Non è il posto adatto a lui»
era sconsigliato per la sua goffaggine di diciasettenne, infilando il muso
ovunque, figurarsi a cinque anni che non era in grado di fermarlo nessuno.
«Devi
capire una cosa, Derek» proferì l’uomo dalla pelle più scura, girando una nuova
pagina ed esaminando con gli occhi attenti ciò che gli si parava dinnanzi. «In
questo momento Stiles dipende da te, ha scelto te, senza di te non può muovere
un passo, separarvi non è la scelta migliore».
Tradotto in
parole elementari: era stata una pessima idea ed aveva commesso un errore
magistrale. «Non sto sparendo, non sto andando dall’altra parte del mondo, sto
soltanto cercando una soluzione».
«Non
troveremo niente in questi vecchi libri» dichiarò Deaton,
sbattendo una mano su un foglio di carta ed alzando la nuvola di polvere grigia
che vi era rinchiusa. «Quello che gli è successo è strettamente collegato a
lui, a te» chiuse il tomo scatenando un’altra ondata scura e se Derek non
avesse avuto dei polmoni d’acciaio, avrebbe cominciato a tossire da minuti
interi. Era stata la scelta più saggia non portarsi Stiles dietro. «A voi».
Era facile
per tutti loro sparare sentenze, rimettere tutto nelle sue mani e lasciare che
se ne occupasse lui, che si spremesse le meningi e con un tocco di bacchetta
magica riportasse tutto esattamente all’origine, riportasse Stiles all’istante
in cui gli aveva irrimediabilmente spezzato il cuore. L’attimo in cui l’aveva
visto sgretolarsi per sempre. «E se non volesse tornare?» poteva fargliene una
colpa? Avrebbe desiderato la stessa cosa.
«Potrebbe
volerlo» affermò nel silenzio saturo, in quella penombra che annunciava il
calare dell’astro di Apollo e l’arrivo prossimo del tramonto, tingendo le
pareti di rosso fuoco. «Ma credi davvero che una volta che hai preso la
decisione di restare, per Stiles non conti nulla?».
Derek lo
fissò nel mutismo, tutto l’insieme che ognuno del branco continuava a
ripetergli come un mantra, per renderlo indimenticabile nella sua mente che non
riusciva ad accettare quelle parole. Quel gruppo scapestrato sembrava saperne
più di lui, ma in realtà non conoscevano nulla di loro due.
«Devi
fargli tornare la voglia di appartenere a questo tempo» gli confidò il druido
con cautela, ma con quell’imposizione da vecchio saggio che tutto vedeva e
tutto sapeva. «Devi dimostrargli che lo vuoi con te».
Erano solo
accurate e belle parole, Derek in ogni attimo di ogni giorno cercava di rendere
evidente quanto rivolesse Stiles nella sua vita, ma non otteneva alcun
risultato.
Il
cellulare prese a squillare ininterrottamente, con insistenza e pressione,
vibrando sconclusionatamente e con impeto, richiamando disperatamente
l’attenzione del lupo mannaro.
Derek non
era un grande amante di quegli oggetti tecnologici e lo incendiò con lo
sguardo, ma non ottenne un istante di tregua e fu costretto a rispondere,
premendo sullo schermo l’icona verde. Non riuscì a mettere in fila una sola
lettera perché un affanno impetuoso si abbatté sull’altoparlante, accompagnato
da un respiro pesante e per nulla segno di buone novelle. «Non riusciamo a
trovarlo».
Quell’unica
frase fu tutto quello che riuscì a udire, con il tremore dalla voce femminile e
la preoccupazione, i tacchi frenetici che si abbattevano sul pavimento ed il
fiatone che non poteva essere nascosto. Era un déjà-vu, un tremendo déjà-vu.
«Chi non riuscite a trovare?» Derek sperava seriamente che gli stesso giocando
un brutto scherzo.
«L’abbiamo cercato dappertutto» tergiversò la
cacciatrice, il tono vocale spezzato ed un groppo in gola a impedirle di
deglutire, la corsa che diveniva più assordante e veloce, procedendo senza meta
e con il panico come unico condottiero. «Stiles… Stiles è sparito».
Non
è un mistero che tutti all’interno di questa storia conoscano i reali sentimenti
di Stiles e Derek, più quelli di Stiles, e che vengano esternati da più voci,
una con una motivazione ben diversa; ognuno di loro ha chiaro determinate cose
che cercano di far comprendere a Derek, anche se Derek non è che ne sia proprio
all’oscuro.
Il
rapporto con il nostro lupo e il piccolo Stiles è intenso, cresce sempre di più
ed è chiaro quanto per Derek sia vitale, ma allo stesso tempo non può fare a
meno di volere lo Stiles adolescente nella sua vita.
Qui
per la prima volta abbiamo un distacco totale tra i due e Stiles non la prende
proprio benissimo, tanto che il licantropo ne conosce quasi immediatamente le
conseguenze, ma sarà davvero quella la motivazione?
A
martedì,
Antys