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Autore: heliodor    23/12/2018    2 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Trionfo

 
Un arco alto settanta metri delimitava il confine tra Malinor e i confini della città. Prima ancora di arrivare al cancello, Joyce aveva attraversato a piedi la città che circondava le mura.
Sembrava che Malinor, nonostante da quella distanza si intuisse già la sua enormità, non fosse abbastanza grande per accogliere tutti quelli che volevano abitare in città.
Interi quartieri sorgevano fuori dalle mura alte cinquanta metri. Si trattava per la maggior parte di baracche mal messe collegate da strade di terra battuta.
Non c'era un solo edificio in mattoni e anche quelli di legno scarseggiavano. Le zone più periferiche, le prime che aveva attraversato, erano formate da tende erette alla rinfusa.
"Mai vista una cosa del genere" disse un vecchio seduto su un carro sgangherato. "Re Alion deve essere proprio impazzito per consentire una cosa del genere."
Dopo la brutta esperienza con Kaduk e i suoi era diventata prudente e non aveva più avvicinato i viandanti che incontrava sulla strada. Per tre giorni aveva viaggiato senza la certezza di raggiungere la sua meta.
Rabo o Niss o qualunque fosse il suo nome l'aveva portata di proposito su un sentiero che faceva un giro più lungo rispetto alle strade più battute. Forse per tenderle una trappola in un luogo isolato, senza alcun dubbio.
Fino a quando non aveva ritrovato la più affollata strada costiera non aveva dormito nel timore di vedersi piombare addosso Kaduk o qualcuno dei suoi venuto per vendicarsi.
Solo quando si era sentita più sicura si era concessa qualche ora di sonno accucciata in una grotta che aveva trovato per strada.
Sono finita a dormire in una grotta, si era detto. Io, la principessa Joyce di Valonde. Fino a un anno prima l'avrebbe creduto impossibile e avrebbe riso in faccia a chi le avesse fatto una simile profezia.
Alla fine aveva raggiunto la periferia di Malinor e si era unita al flusso di viandanti che si dirigevano verso la città. Tra questi c'era il vecchio che si era lamentato della situazione.
"Attento, vecchio" l'aveva ammonito una donna dai capelli arruffati che camminava insieme ad altre contadine. "I malinor hanno spie dappertutto e se ti sentono dire certe cose sul re potresti passare un guaio."
Il vecchio fece una smorfia. "E allora? Lo sanno tutti che i malinor sono pazzi."
Bardhian non le era sembrato pazzo.
Borioso e spocchioso, questo sì.
Ma niente affatto pazzo.
Se lo fosse stato, Vyncent gliel'avrebbe detto.
Prima dell'entrata vera e propria i soldati avevano formato una lunga fila dove i forestieri dovevano presentarsi e dichiarare il motivo per cui erano venuti in città.
Joyce aveva riflettuto su una buona scusa nei giorni precedenti, ma non ne aveva trovata nessuna soddisfacente.
Nei suoi pensieri i soldati si insospettivano sempre e lei commetteva un errore, rivelando la sua vera identità di maga.
La paura più grande era che tra di loro vi fossero degli stregoni con la vista speciale. Uno solo di loro poteva scoprire che era trasfigurata in Sibyl e insospettirsi.
Per quel motivo aveva annullato la trasfigurazione ed era tornata a essere Joyce.
E se tra quei soldati qualcuno mi riconoscesse? Aveva pensato.
Era un rischio che doveva correre. Per quello aveva pensato a molte scuse e ne avrebbe scelta una sul momento.
Aveva rinunciato all'idea di studiare un piano alternativo per entrare. Le mura erano alte e di certo sorvegliate. Se avesse cercato di entrare volando l'avrebbero scoperta e allora sì che sarebbe stata nei guai.
Fu così che verso mezzogiorno, sotto un cielo grigio per via delle nuvole che lo coprivano e promettevano copiose piogge nel pomeriggio, si avviò verso l'entrata della città.
Dopo essersi incanalata nel flusso dei pellegrini che premevano per entrare, si lasciò trasportare dalla folla.
In breve raggiunse uno dei drappelli che montavano la guardia. Il cancello era così ampio che la via era stata divisa da una decina di transenne di legno attraverso le quali i forestieri venivano fatti scorrere a gruppi di cinque o sei.
I carri e i cavalieri venivano dirottati verso un altro passaggio dove i controlli sembravano ancor più serrati. Mentre era in fila vide mezza dozzina di soldati salire su di un carro per esaminarlo.
Un cavalieri venne costretto a smontare e il suo bagaglio ispezionato.
"Tu, vieni. Tocca a te."
Il soldato le fece un cenno sbrigativo con la mano.
Joyce si guardò attorno.
"Dico a te dai capelli di fuoco" fece il soldato spazientito. "Se non vieni tu vengo a prenderti io. Ultimo avvertimento."
Capelli di fuoco, pensò Joyce divertita.
Quello era un soprannome che avrebbe gradito più di Strega Rossa.
"Allora?" fece il soldato.
Joyce lo raggiunse con passo svelto.
"Che hai nella borsa?"
"Tutto ciò che possiedo" rispose lei.
"Fai vedere. Aprila."
Joyce ubbidì.
Il soldato gettò una rapida occhiata all'interno. "Quelle monete sono vere?"
"Ne vuoi una?" fece Joyce.
Il soldato allontanò la borsa. "Per chi mi hai preso? Se stai cercando di corrompermi hai scelto la persona sbagliata."
"Volevo solo dimostrarti che sono vere" disse Joyce sulla difensiva.
Il soldato si guardò attorno. "Sei una sfacciata. Ti costerà cinque monete, visto che hai così tanta voglia di scherzare."
Joyce gli allungò il denaro e il soldato lo fece sparire in una tasca. "Ora vattene. Svelta."
"Sai dirmi se c'è una buona locanda in città?"
"Evita quelle del quartiere commerciale, sono delle topaie. Invece vai al Cigno Dorato. Si mangia bene e le stanze sono pulite."
"Il Cigno Dorato" ripeté Joyce.
"E di' a Jensen che ti ha mandato Kynde."
"Sei tu Kynde?"
"Sparisci" ringhiò il soldato.
Joyce non se lo fece ripetere e proseguì.
Oltre l'entrata si apriva una immensa piazza circolare. Joyce cercò di misurarne l'ampiezza e concluse che doveva misurare almeno mille passi in ogni direzione.
Nemmeno a Valonde esistevano piazze così grandi, tranne forse quella antistante il circolo stregonesco.
E quella doveva essere una piazza secondaria.
Tutto intorno sorgevano chioschi e bancarelle ingombre di ogni merce immaginabile. Ne contò decine che esponevano vestiti, stoffe, vasellame, monili di ogni forma e persino giochi per bambini.
E il cibo.
L'odore di spezie le pizzicò il naso, costringendola a respirare con la bocca mentre passava davanti ai carretti ingombri di ogni tipo di pietanza.
Una donna le urlò di servirsi ai suoi tavoli improvvisati e assaggiare la sua zuppa di pesce e frutti di mare.
Un uomo abbigliato con vestiti di almeno due taglie più grandi quasi riuscì a trascinarla verso il carretto dove esponeva conigli spellati e ancora sanguinanti.
L'odore penetrante della carne fresca si unì a quello dei piatti cucinati sul momento.
C'era persino un grande forno dove donne dall'aria indaffarata cuocevano interi piatti di focacce rotonde condite con olive e verdure che no aveva mai visto prima di allora.
Tra un carretto e l'altro perse il conto dei venditori di noci e frutta secca.
Joyce adorava quei frutti e ne approfittò per comprarne qualcuno mentre si aggirava nella piazza.
Stava spellando una castagna ancora calda quando lo squillo lamentoso delle campane fece voltare la testa a tutti quelli che erano attorno a lei.
"Inizia" disse una donna con tono eccitato.
"È già l'ora?"
"Manca poco."
Joyce si guardò attorno per capire se si riferissero al trionfo di cui aveva sentito parlare.
"Andiamo" disse una donna trascinandosi dietro un uomo della stessa età che sembrava piuttosto riluttante.
"Che fretta c'è?" si lamentò puntando i piedi.
"Non voglio perdermi il passaggio della Strega Dorata" rispose la donna.
Strega Dotata, pensò Joyce. È il soprannome di Bryce.
Senza rendersene conto si accodò alla folla che si stava dirigendo verso le stradine laterali della piazza.
Da lì attraversò un lungo viale alberato che confluiva in una strada più grande e ampia. Si ritrovò sotto un lungo colonnato che sosteneva un ampio balcone dove si era radunata una piccola folla.
Mentre si aggirava lì attorno notò una scala che portava alla balconata. Dovette sgomitare per farsi strada tra la folla che premeva da tutte le parti, ma alla fine riuscì a trovare un posto in prima fila che dava proprio sul viale.
La strada era così larga che il pubblico assiepato sul lato opposto al suo sembrava minuscolo.
Era come essere sulla sponda di un grande fiume. Misurò a occhio la distanza che la separava dall'altra parte. Dovevano essere almeno duecento passi.
Era più ampia del grande viale che tagliava in due Valonde e collegava tramite un ponte le due metà della città.
Ed era lunga. Dal punto in cui si trovava vide che la strada terminava davanti a un edificio dall'aria imponente e il tetto a cupola che svettava verso l'alto riflettendo i raggi del sole.
La cupola dorata del circolo di Malinor, pensò.
Ne aveva sentito parlare a Valonde da sua madre, quelle poche volte che le raccontava dei suoi viaggi in gioventù.
"Nei giorni in cui non è nuvoloso la cupola sembra un piccolo solo che si è acceso in terra" diceva sua madre. "Mi sarebbe piaciuto saper levitare solo per poterlo guardare dall'alto. Deve essere uno spettacolo irripetibile."
Aveva sempre cercato di immaginare come sarebbe sembrato dall'alto il piccolo sole di Malinor. E adesso era lì e con un po' di fortuna sarebbe riuscita a dare una risposta anche a quella domanda.
Le campane risuonarono a festa.
Joyce contò ventidue rintocchi prima che tacessero.
L'eccitazione delle persone sulla balconata aumentò. Qualcuno iniziò a intonare una canzone con voce incerta.
"Malinor, Malinor al di sopra di tutti."
"Che ci ispirino nobili azioni lungo tutta la nostra vita."
A questo punto altri si unirono al canto, battendo le mani per accompagnare il testo.
"Forza, giustizia e libertà per la nostra patria."
"Fiorisci nel fuoco di questa gloria."
Le voci salirono d'intensità e ora tutti lungo la strada stavano cantando al stessa canzone.
"Fiorisci grande Malinor!"
L'ultima frase venne seguita da un grido collettivo e dal battere delle mani.
"Malinor, Malinor, Malinor" gridò qualcuno subito imitato dagli altri.
Poi all'improvviso le voci tacquero tutte insieme e le teste dei presenti si voltarono verso il fondo della strada, quello opposto al circolo della città.
Braccia si protesero verso quel punto come a indicare qualcosa.
"Arrivano" disse una ragazza con voce convulsa.
"Eccoli, eccoli" gridò un'altra più giovane ed eccitata.
Joyce si sporse per guardare meglio e vide la sagoma di qualcosa di enorme che si muoveva lungo la strada.
Da quella distanza riconobbe un carro trainato da dodici cavalli bianchi che avanzava lento tra due ali di folla festante.
Il carro era decorato con incisioni di oro e platino. Sul tetto sventolavano bandiere nero e oro che sembravano le ali di un gigantesco uccello pronto a spiccare il volo.
Un auriga in uniforme scintillante reggeva le redini salde tra le mani. Al suo fianco si ergeva una figura che salutava la folla con la mano alzata.
"È il principe Ronnet" disse una ragazza.
"Quell'antipatico?" fece una ragazza con tono seccato. "Perché gli fanno aprire il corteo?"
"Lui è il maggiore" rispose un uomo di mezza età dai capelli radi e chiari. "E ti sconsiglio di parlare in quel modo del principe. Qui anche le colonne hanno occhi e orecchie."
La ragazza arrossì e tacque.
Il carro di Ronnet avanzò verso di loro e subito dietro il suo ne apparve un altro.
"È Bardhian" gridò la ragazza di prima. "È il carro di Bardhian."
Joyce si sporse di nuovo per guardare meglio. Proprio in quel momento il carro di Ronnet stava passando davanti a loro.
Dalla folla si alzarono applausi e grida miste a fischi. I soldati lottarono con gli spettatori nelle prime file per respingerli prima che invadessero la strada.
Ronnet passò fissando con sguardo fiero e irriverente la folla. Non smise per un solo attimo di salutare il pubblico, anche quando lo fischiò.
Solo per un attimo si accigliò o a Joyce sembrò che la sua espressione cambiasse, indurendosi e facendosi più severa.
Ma fu solo un attimo e quello successivo era già passato.
Bardhian stava già sopraggiungendo.
Il suo carro era anche più imponente e splendido di quello di Ronnet. Il numero di cavalli che lo trainavano era lo stesso, ma le decorazione sembravano più elaborate e i vessilli che vi sventolavano sopra in maggior numero.
Il principe di Malinor indossava un completo nero e oro e sopra le spalle aveva il mantello scuro di Malinor.
Salutava la folla sorridendo.
"Bardhian, Bardhian" gridavano le ragazze più giovani e anche parte di quelle che potevano avere almeno dieci anni più del principe.
Qualcuna lanciava dei petali rossi e viola presi a generose manciate da cesti di vimini intrecciati.
Bardhian passò davanti a loro salutando la folla con ampi gesti della mano e una volta inchinandosi anche. Quel semplice gesto strappò altre grida di approvazione e applausi prolungati. Qualcuno tra il pubblico non riuscì a trattenere la commozione e si mise a piangere.
Joyce non aveva mai visto niente del genere. Anche il giorno del suo matrimonio, quando aveva sfilato con suo padre sul carro cerimoniale per le strade di Valonde, la folla l'aveva festeggiata ma non in quella maniera.
Il pensiero di quello che era avvenuto dopo le tolse in parte l'eccitazione che stava provando.
Poi qualcuno gridò: "Arriva la Strega Dorata. Arriva la Strega Dorata" e dalla folla si levò un boato assordante.

Prossimo Capitolo Lunedì 24 Dicembre (se ce la faccio :) )
  
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