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Autore: altman    21/01/2019    3 recensioni
"Quando due shinobi di valore si affrontano, e fanno scontrare i loro pugni, riescono a leggere l'un l'altro nei rispettivi cuori" .
Di questo è a conoscenza ogni shinobi, fin dalla più tenera età.
A questo non pensava Sakura Haruno, quando, nel corso della Grande Guerra, ha concentrato ogni fibra del proprio essere nel colpo sferrato a Madara Uchiha.
Genere: Angst, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Madara Uchiha, Sakura Haruno
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto Shippuuden
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Against the Red Burning   Sun 

-Eclipse’s Shine- 

I

 

Pietre dure, fredde, nere come l’abisso in cui lui era sprofondato innumerevoli anni prima; quelle iridi la trafiggevano con crudeltà.
Non una singola parola, ricevuta o dispensata, da quando aveva trascinato uno sgabello scricchiolante di fronte all’uomo, per poi sederglisi di fronte, a una irrisoria distanza di sicurezza -che non bastava a toglierle la viscida sensazione che lui potesse, da un momento all’altro, stendere una mano per carpirla e ghermirla, straziarla nella stretta di artigli invisibili e letali-.

-Vivo, lo hanno catturato vivo!- 
-Madara Uchiha non merita di respirare ancora, perché non lo hanno finito?- 
-Cercheranno di strappargli più informazioni possibile.- 
-E poi?-
-E poi chissà… carne da macello, se dipendesse da me.- 
Quelle voci origliate ad una bancarella del mercato centrale; il cesto che le era caduto di mano, inudito nel fragore della via chiassosa; la mano tremante che si era portata al cuore, tesa nella posa innaturalmente rigida delle dita che, così contratte, le ricordavano le zampe rattrappite di un ragno; il battito… così accelerato.

Sakura, caparbia, si rifiutava di infrangere quel silenzio. Lo guardava con severità, tuttavia consapevole del poco senso che aveva l’essersi recata alle sbarre di una cella buia solo per fissarne male l’occupante. Nell’ora trascorsa, la kunoichi aveva registrato un solo, significativo cambiamento: se anche all’arrivo della ragazza Madara Uchiha non aveva dato cenno di essersi accorto della sua presenza, mantenendo gli occhi ben serrati, infine li aveva sgranati, furioso con quella patetica signorina Nessuno -avrebbe riconosciuto ovunque quel chakra così debole-, insignificante e impertinente, che osava ignorare il proprio ignorarla e l’inespresso desiderio di essere lasciato in pace in quella reclusione umiliante. 

-Seiji, vorrei l’accesso all’area X delle prigioni.- 
-Haruno-san!- 
Seiji era schizzato su dalla sedia; qualche carta era scivolata ai suoi piedi, quando aveva abbandonato malamente il proprio solitario rovesciando metà del mazzo. 
La kunoichi aveva abbozzato un sorriso, tirato e stanco. Anni prima avrebbe pagato per ottenere quel rispetto, e adesso le sembrava solo un irrisorio contentino per tutto il dolore che quella guerra aveva portato loro. 
C’era stata una cerimonia a Konoha, dopo la guerra, non appena i reparti dei feriti si erano svuotati. Ogni paziente era stato dimesso: chi sulle proprie gambe; chi su qualche strano aggeggio, collaudato da Tsunade per donare un po’ di locomozione a coloro che altrimenti non avrebbero potuto più permettersela; chi in una cassa bianca e squadrata, levigata e intarsiata con vuoti messaggi d’addio, cui Sakura dava sempre, quando le capitava di leggerli distrattamente, la valutazione di “insufficiente”. 
In quella cerimonia le avevano cinto il capo con una fascia speciale; le avevano appiccicato sul mantello bianco di stoffa buona, quello della missioni importanti, una medaglia eccelsa; le avevano affibbiato il titolo di Jonin ad honorem; avevano applaudito, fino ad assordarla, lei e i suoi compagni di team: Sasuke, Sakura e Naruto; Kakashi alle loro spalle. Il team 7. La gloria, l’onore, i grandi ideali. L’amore che porta alla redenzione. Sasuke e Naruto in due non avevano un braccio intero, e quella grottesca menomazione veniva osannata come un simbolo d’amicizia eterna. Sakura aveva sorriso per tutto il tempo, con una grazia di plastica. Nessuno “Shannaro”; nessun cazzotto ai suoi amici imbecilli che, alla loro età, invece di farsi le seghe avevano preferito innescare la Quarta Guerra Ninja; nessun pianto liberatore. Si sentiva più morta lei di tutti quei cumuli di carne che avevano invaso il sottosuolo del cimitero del villaggio. 

-Perché?- esordì infine Sakura, rilasciando in un sospiro quella domanda così irrisolta. 

Madara inarcò un sopracciglio, per un attimo più stupito che accigliato. Il volto era sporco, contuso e scavato, eppure i gesti dell’uomo conservavano ancora una traccia di vetusta eleganza. 

Il suo viso rimase illeggibile per alcuni secondi, di pietra; qualcosa parve poi accendersi in lui: con un sorriso crudele -una curva inquietante, fatta di labbra sottili e spaccate-, e un gesto imperativo, le fece cenno di avvicinarsi alle sbarre. Madara si era alzato intanto, su quelle gambe che, ancora provate, erano scosse da piccoli spasmi, per lo sforzo di sostenere il peso massiccio dei muscoli. Nonostante ciò, l’uomo era avanzato dritto e col petto teso, con una fierezza che davvero stonava col contesto, fino alle sbarre, attorcigliando le dita lunghe al metallo scuro e poggiandovi il viso, rivolto a lei. E Sakura, allucinata, aveva mosso anch’essa i propri passi, esitanti, fino al confine che li separava. Sentiva ora una sorta di letale elettricità saturarle le vene, come veleno che, ingerito, scorre rapido verso il cuore, per essere poi pompato in tutto il corpo: nel cervello, annientato; negli occhi che vedono rosso; nello stomaco che si contorce come colpito da un pugno d’acciaio. Sakura percepiva chiaramente, come se lo stesse stringendo tra le dita, il proposito che l’animava: distruggere l’asettica sterilità respirata in quelle giornate ipocrite; riempire il buco nero della calma piatta, che rischiava ad ogni ora di risucchiarla.

-Mi chiedi il perché?- fu il soffio, roco e gracchiante, che le giunse vicino all’orecchio; con una pigra parte della propria mente, Sakura si chiese se quelle non fossero le prime parole pronunciate da Uchiha in tutti quei giorni di prigionia. 

-Sì.- lo guardava dritto negli occhi, e concentrava nei propri tutto l’odio che l’aveva trascinata, quella mattina al risveglio, davanti allo specchio, a guardare sconvolta il proprio riflesso, per poi impattare col pugno contro la superficie di vetro e disintegrarla in mille schegge -e alcune ancora frizzavano sottopelle-. 

Le gambe di Madara cedettero, facendolo rovinare al suolo con un tonfo secco. L’istinto medico di Sakura la portò a chinarsi, prima ancora di pensare a chi fosse il destinatario di quella premura, per verificarne lo stato di salute. Madara tremava, forse di dolore o forse di rabbia; i denti dello shinobi, digrignati, producevano un suono macabro, e la folta chioma corvina toccava terra, circondando il corpo dell’uomo come il manto di un corvo. Spasmi scuotevano le spalle incurvate, e, più che Madara cercava di rialzarsi, e lottare contro l’inaspettata debolezza che l’aveva colto, più che il volto sbiancava, e che la tosse scuoteva quel petto pieno di cicatrici. 

A Sakura era abbastanza chiaro: Madara Uchiha, se anche inaspettatamente avesse avuto la voglia di sostenere una conversazione, non ne sarebbe stato in grado. Dunque a lei non restava altro che lasciare quella carogna a contorcersi per terra e sbavare come un cane rabbioso, più preoccupato del proprio orgoglio martoriato che del destino nefasto che con tutta probabilità lo aspettava al varco… e tornare a casa, dove avrebbe cenato da sola, ignorando gli inviti dei compagni, e cercando di non rigettare il cibo almeno per quella volta. Si era ripromessa di non rompere altri specchi, che di sfortuna ne aveva avuta già abbastanza per una vita intera, e dunque si sarebbe dedicata ad altro: avrebbe letto un bel libro, avrebbe riordinato la casa, abbandonata per troppo tempo, avrebbe sistemato l’armadio, cercando quella gonna fiorita che non ritrovava da prima della guerra… le veniva da piangere. E infatti una lacrima si era fatta strada, prima ancora che Sakura si fosse resa conto di averla versata, tra le ciglia chiare. La prima, da molto tempo. Pensare di averla mostrata al nemico -Madara, rapace seppur ancora accasciato al suolo, aveva predato quella stilla nel momento stesso in cui le si era affacciata agli occhi - perdeva inaspettatamente d’importanza: Sakura non sentiva più niente, non davvero, se non il desolante terrore di ritrovarsi da sola con se stessa -in una camera vuota o in una stanza piena di gente non faceva differenza, quando tutte le persone intorno a lei non riuscivano a toccarla-. Preferiva stare col nemico: lui la toccava, sì, in corde profonde; le smuoveva dentro un dolore sano, viscerale e non apatico, un sincero e gradito sdegno e biasimo, una rabbia energica che le imporporava le guance smunte. Non si era mai sentita più viva di quando lui aveva cercato di ucciderla, su quel rosso campo di battaglia, e anche ora la stava risvegliando da un sonno in cui neanche ricordava di essere piombata. I sensi tesi a percepire l’odore di pericolo dell’uomo; il cuore che pompa frenetico l’adrenalina. Le serviva, almeno in quell’oggi, un nemico che le dicesse chi lei fosse, anche solo per antitesi. E se quel nemico era reso muto dallo strazio del corpo, lei gli avrebbe dato una voce. 

Sakura si abbassò e, nel pugno teso che allungò ad attraversare le sbarre, lanciò una sfida che Madara accettò tacitamente con occhi ardenti di febbre. Uchiha prese un sospiro profondo, raccogliendo le energie. Gli occorse uno sforzo anche solo per chiudere le dita in un pugno da far impattare con le nocche di Sakura. Nondimeno, il colpo fu duro.

***


Ed ecco nuovamente quell’aria di nuvola dai colori pastello, nell’unico luogo che avesse mai visitato dove tutto era un’infinita distesa di spazio, di innumerevoli metri che racchiudevano le più disparate possibilità; non c’erano confini: non un cielo o una terra, un lontano o un vicino. E, fluttuando in quella morbidezza compatta, Sakura non riusciva a percepire l’esatta distanza a cui l’altro si trovasse. Lo scrutava con un misto agitato di diffidenza e curiosità. Sebbene sapesse che Madara, come prima era stato innocuo nella cella, schermata da sigilli e macchinari di ogni tipo, lo era a maggior ragione in quell’istante, in cui entrambi erano immateriali, il colpo d’occhio era ben diverso: Madara Uchiha non vacillava più sulle proprie gambe, col petto squassato da respiri faticosi. Si ergeva adesso, fiero e possente, in tutta la propria altezza; le braccia incrociate erano contratte, inutilmente, forse solo per mostrarne lo spessore, e gli occhi dardeggiavano infuocati, volendo incatenare Sakura al suolo in una dimensione dove un suolo neanche c’era. 

-Immagino la delusione di voi patetici abitanti di Konoha, nel non poter ancora pisciare sui miei resti.- parlo così, Madara: plateale come, suo malgrado, Sakura lo ricordava. 

-So che non hai avuto modo di conoscere il nuovo mondo civilizzato, ma, ti assicuro: nella Konoha di oggi nessuno sarebbe così volgare. Troveremo un utilizzo migliore per la tua carcassa, e comunque potrai sempre fungere da concime.- 

Sakura rise, divertita di sé e della situazione, di fronte all'espressione impietrita con cui Madara accolse la sua risposta. Aveva cercato, in quei giorni, qualcuno su cui sputare il proprio veleno, o con cui condividere il dolore; si era sempre dovuta arrestare dinanzi a sorrisi incoraggianti, da cui era scappata con un senso di malessere sempre più pronunciato. 

-E, in attesa del momento in cui giungerà questo miglior utilizzo, non hai altro da fare se non venire a cercare me?- Madara glissò sull’insulto, trovandosi qualcosa di ben più succulento tra le mani: una falla, in lei, tastata già dal loro primo incontro; una dolce insenatura in cui scivolare. -Non hai compagni da cui andare, con cui gioire della vittoria? Sento da giorni le guardie parlare di festeggiamenti, cerimonie, proclamazioni… e tu ne sarai al centro, insieme ai tuoi insulsi amici. Siete gli eroi del nuovo mondo. Te lo dico per esperienza, la deificazione non aspetta.-

-No, non ho altro da fare.- sputò Sakura tra i denti -E questa non è una vittoria, è solo la fine di un massacro. Trovo stupido riempire gli angoli di ghirlande di fiori. Anzi, trovo che sia il moderno pisciare sui resti.-

-Ah, e invece i tuoi amici non la pensano come te. Loro sono felici. Tu no?- soffiò Madara, con un sorriso macabro. 

-Io non riesco a essere felice. Forse ho visto troppe cose.-

-E i tuoi compagni? Loro non sono stati forse in grado di vedere?-

-Oh, loro ci vedono benissimo. Ma immagino fossero troppo concentrati l’uno sull’altro, e sui rispettivi divergenti ideali. Io, al contrario, ho una visione meno macroscopica: sarà che il destino del mondo non è mai stato nelle mie mani, ma ho imparato anche a guardare al dettaglio, al singolo soldato ferito del singolo battaglione. E ne ho visti così tanti, che per me non esiste una grande vittoria che giustifichi ciascuna di quelle infinite “piccole” morti.-

Madara ghignò, amaro. -Abituati, ragazzina, se vuoi vivere a Konoha. Le cose non sono cambiate. E non cambieranno. La guerra è dinamismo, rivoluzione, arricchimento. Chi è al potere, o prima o dopo, finisce per vedere la pace come dannosa.- 

-Non conosci Naruto.- 

-E forse, fino in fondo, non lo conosci neanche tu.- 

Sakura si oscurò. In quelle notti agitate la propria mente crudele aveva proiettato poche immagini, infide, sempre le stesse: la vista di Naruto e Sasuke combattere fianco a fianco, e di lei in disparte, cupa, aliena; l’arrivo di Sasuke sul campo di battaglia: se in tutti quegli anni, in fondo al cuore, aveva pensato che una parte di lei avrebbe sempre riaccolto l’amore di una vita con lo stesso calore, beh, si era sbagliata. In fondo al cuore di Sakura era rimasta diffidenza, distanza, disprezzo. Non odiava Sasuke, rimaneva pur sempre una parte della propria storia e crescita personale. Ma ogni scelta di Sasuke per Sakura aveva avuto un peso, doloroso e schiacciante, indelebile. Non per Naruto, evidentemente, che invece pareva rifiutarsi dal seguire ogni apparente ragione del buon senso. Quando gli occhi color del cielo di Uzumaki si erano alzati a incontrare Sasuke, Sakura li aveva incrociati per un istante, che era bastato ad aprirle dentro una voragine: vi aveva scorto un amore talmente folle, e disperato, da portarla a chiedersi cosa Naruto alla fine avrebbe scelto, se fosse stato costretto a sacrificare qualcosa. Perché Naruto si sarebbe sacrificato, sì, mille volte, per ogni abitante del villaggio. Ma Naruto avrebbe mai sacrificato Sasuke? Lo avrebbe sacrificato per salvare lei, che invece gli era stata sempre a fianco? Per i loro amici? Per il villaggio, per una guerra, per l’umanità? Un’altra delle domande che Sakura aveva archiviato non appena formulata, schiacciata dal terrore di darsi una risposta. 

-Non sei il mio confidente, Madara.- rispose -Puoi mettere fine a questa squallida recita. Tradita, irata o ferita, io non volterò le spalle al mio villaggio. Il turbamento forse mi fa sentire più a mio agio tra i morti che camminano che tra gli schiamazzi dei miei compagni. Ciò non toglie che tu sia il più grande sacco di letame che il mondo abbia mai conosciuto. E che niente mi porta da te, se non il desiderio di vederti strisciare.-

-Ma non è per farmi strisciare che mi hai portato, di nuovo, in questa dimensione. Qui sono fiero, non provo dolore nella carne.- 

Sakura annuì, lenta. C’era qualcosa, nonostante tutte le proprie parole di disprezzo ostentato, che la affascinava; una solennità in quell’uomo, sospeso da secoli tra bestialità e nobiltà. 

-Ragazzina, non essere ipocrita, e non fingere tu stessa: la tua gioia non è la mia sofferenza. Hai un animo violento ma non crudele.- 

Madara le aveva dato le spalle, forse abituatosi alla sua presenza. Fissava l’infinito, respirando a pieni polmoni; aprì le braccia ai lati del corpo, le stese, aprendo le mani come per riempirle di tutta l’aria che gli era mancata in quella cella. Si accovacciò pronto a darsi lo slancio; stirò le membra, veloce e felino, e schizzò in alto a una notevole altezza. Si librò nell’aria con grazia, nonostante la massiccia armatura, e con una capriola si diede la spinta per riatterrare di fronte a lei, senza rumore alcuno. 

-Puoi colpirmi?- gli chiese lei, tutto d’un fiato, gli occhi di giada accesi d’eccitazione. 

-Non posso farti del male. Ma questo lo sai già.- rispose Madara perplesso. 

-Sì, lo so. Intendevo: ti è possibile colpirmi? L’impatto fisico.- 

-Questa dimensione consente la fisicità, sì, con le nostre caratteristiche intatte di forza, velocità, precisione. Non tollera la morte e il dolore, ma il resto è contemplato.- 

-Bene. Dunque, necessiti di un invito ulteriore?- 

Madara rovesciò la testa all’indietro, lasciando che una risata roca gli abbandonasse la gola.

-Allora sei davvero uno Shinigami che si nutre di sangue.-

Non esitò un secondo in più per passare all’attacco: si slanciò verso di lei con tutta la propria potenza. Non avrebbe usato nessun jutsu su di lei, no: l’avrebbe spazzata via con ogni briciolo della propria forza. In guerra, l’esplosione di potere, racchiusa nelle proprie membra, era stata preordinata a un fine: ferire, uccidere, conquistare, vincere. Adesso era rilascio di pura energia fine a se stessa. Madara intendeva unicamente travolgerla in quell’onda, inarrestabile come il mare che si infrange sugli scogli. E fu con follia che caricò il primo colpo: sospeso in un salto, tirò indietro il braccio, strinse il pugno e lo calò verso la spalla esile della giovane donna; lei ghignò: non aspettava altro. Incrociò fulminea le braccia per sostenere il colpo e, quando il pugno di Madara calò su di lei, vacillò ma non cadde al suolo; piuttosto, pronta, ghermì il braccio di Uchiha in una presa, sbilanciandolo, colpendolo con un calcio che lo fece volare per diversi metri. Iniziò a correre verso di lui, finché si trovava ancora a terra. -Shaaaannaroooo!- e rise dopo quell’urlo, di gusto; eccolo il grido di lotta liberatorio, sì, quello che la rendeva ebbra del combattimento, accompagnando la discesa aerea nel secondo prima dell’impatto. E sì, che quel grido si spense mentre Sakura, lanciatasi sul corpo del nemico, piombava su di lui, col proprio destro più micidiale. I due shinobi non sentivano il dolore, ma l’impatto, la forza di quei colpi, era invariata. L’elettricità dei corpi correva per tutte le terminazioni nervose; la pelle dell’altro, calda non appena colpita, aveva una consistenza meravigliosamente reale. 

Madara, ancora disteso, allungò le gambe, colpendola sulla schiena e sbalzandola via; rotolò, poi, afferrandole una caviglia, storcendola per renderle impossibile esercitare la pressione necessaria per liberarsi. Sakura, ancora di pancia, strisciò verso di lui, non girandosi ma allungando l’altra gamba, che strinse insieme all’altra per esercitare una chiave articolare sul collo dell’avversario; digrignava i denti nello sforzo di comprimere, con la pressione delle proprie gambe esili, quel collo taurino. Madara le conficcò le unghie nella carne tenera dei polpacci: nella realtà, l’avrebbe lacerata. 

-Non sento il dolore, idiota.- lo apostrofò. Irato, l’uomo riuscì a scrollarsela di dosso, inchiodandola al suolo, schiacciandole lo stomaco con un ginocchio. Sakura istintivamente piegò la gamba, per colpirlo alle parti basse. Quando il proprio piede impattò col suo cavallo, ovviamente, Madara non fece una piega.

-Nemmeno io, idiota.- le sussurrò venefico; la afferrò per la chioma rosa, crudele, rialzandosi e lanciandola via, come se fosse una bambola. Sakura non aspettò di toccare terra: si accovacciò e toccò il suolo con il piede teso, per schizzare di nuovo contro Madara. Continuarono così per una quantità di tempo indefinita: un colpo, un morso, uno schiaffo; un insulto, un urlo, un calcio. In una successione devastante e frenetica: se il loro corpo avesse potuto riportare i danni reali che quei traumi fisici avrebbero inflitto, certamente sarebbero morti entrambi. 

Le vesti lacere e le pelli totalmente integre; il respiro pesante e il battito accelerato, ma la stanchezza inesistente. Sakura aveva classificato il primo incontro con Madara come l’evento più surreale della propria esistenza, ma doveva adesso ammettere che il secondo lo batteva di gran lunga. Per qualche ignota ragione, a lei incomprensibile, non riusciva a pentirsi di esserlo venuta a cercare, di aver esaudito quella richiesta che lui le aveva fatto sul campo di battaglia. Era, semplicemente, ciò di cui aveva avuto bisogno. 

-Ragazzina, io non ti ho chiesto un bel niente.- sbottò Madara, avendo percepito uno stralcio di quel pensiero. 

-Oh, sì che lo hai fatto. Quando hai avuto l’occasione di farmi fuori hai preferito spedirmi a fare un riposino tra le frasche, lontano dalla battaglia, chiedendomi di rivederci.-

-Non ho chiesto.-

-Oh, certo, tu non chiedi. Ordini, giusto?-

-Giusto.-

-Allora tieni a mente che un ordine che esprime un desiderio resta una richiesta.- 

-E tu tieni a mente che prima di pronunciarti sui desideri degli altri dovresti aver ben presenti i tuoi.- 

-Quanto riesci a vedere della mia mente?- 

-Abbastanza da capire che ti stai divertendo. Pari proprio una donna, ma nell’essenza sei una bestia brutale.- 

-Amo la lotta.- 

-Anche i maiali amano rotolarsi nel fango.- 

Sakura lo liquidò con un gesto spazientito della mano. 

-Io non riesco a leggere i tuoi pensieri. Ho percezioni più nitide, nel colpirti, quando ti tocco: avverto qualcosa che non proviene da me. Ma non ha una vera forma.- 

-In questo posto non si leggono i pensieri, si leggono le anime.- 

-Le… anime?- 

-Sì. Tutti ne abbiamo una o, almeno, così dicono.- 

Sakura riflettè un attimo: dunque non era stata una suggestione, quando, durante la Guerra, aveva percepito le emozioni di Madara, le sue vibrazioni. Ricordava di essersi stupita nell’incappare in quel tumulto interiore. Aveva dato per scontato che quel folle maniaco fosse un uomo spento, arido, che ci fosse in lui solo l’istinto della supremazia: una marionetta mossa dall’incolore brama di potere. Invece vi aveva trovato un fuoco, lo stesso che aveva fondato la foglia, per poi arderla: passione, rabbia, dolore, una residua commozione nel vedere, dinanzi a sé, la discendenza di tutto ciò che era stato suo, che da lui era partito; rimpianto, determinazione, nostalgia, rinnegazione; strazio, amore frustrato, devozione, eccitazione. Quel concentrato implosivo le era arrivato, tutto insieme, come un pugno nello stomaco, più devastante di ogni percossa inflittale in precedenza. L’aveva lasciata, colpita e disorientata, a barcollare di fronte a tutto quello. E poi quel tutto si era spento, la fiamma dirompente si era consumata e trasformata in cenere, grigia, volata a impolverargli il cuore. Ma Sakura aveva sentito quel battito di vita, per un solo istante, represso non appena il possessore, più abile di lei nella conoscenza di quella dimensione, aveva ripreso il controllo. 

La ragazza rifletteva ora su quel caleidoscopio di umanità che le era battuto nel petto, come se provenisse dal proprio stesso cuore. 

-E perché tu sembri cogliere precisamente i pensieri che formulo, invece?- 

-Non passo dal cuore, passo dalle tue viscere.-

-Poetico.-

-Qualcuno dice che questa fantomatica anima si trovi lì.-

-Che c’è? Non vuoi rivelarmi i segreti della tua stanza dei giochi?- 

-Nessun segreto, sono solo allenato. Percepisco più chiaramente quello che hai dentro. Talvolta abbastanza nitidamente da dar la forma di un pensiero.-

-E cosa penso?-

-Che hai bisogno di me, ora, come mai finora hai avuto bisogno di qualcuno.-

Sakura non riuscì a trattenere la risata che le squassò il petto, selvaggia, troncandole il respiro; in pochi secondi si trasformò in un urlo. Le emissioni di fiato non vibravano più nel riso, ma in suoni aspri e acuti. L’urlo che nessuno aveva sentito, ma che lei adesso aveva bisogno di liberare in quella landa sicura quanto desolata: nessuno spettatore; solo il suo nemico; solo un uomo con cui condividere la follia che l’aveva posseduta in tutti gli squallidi momenti di lucidità imposta degli ultimi giorni. 

Si ricompose infine, senza però che il rossore febbrile le sparisse dalle guance. 

-Pensavo avessi imparato a non sottovalutarmi, Madara. Mi credi davvero una sciocca donnetta che, amareggiata da chi non l’ha saputa amare, corre al tuo grigio capezzale per lasciarsi lusingare da quelle che sembrano le fusa di un gatto d’appartamento? Quale sarà il prossimo passo, mi chiederai di liberarti magari, sì? E poi? Scapperemo insieme e costruiremo un mondo d’ideali? Uccideremo tutti? Ci vendicheremo di quel cattivone di Sasuke-kun? Ma certo, perché dopo che mi hai ficcato un bastone di chakra nello stomaco, io sono già innamorata di te. Follemente. Ti desidero in ogni notte insonne, tu, carcassa vecchia di secoli che non si è putrefatta solo per qualche diavoleria da shinobi.- 

Madara aveva abbandonato l’aria tediata; la fissava con una bramosia cupa, nutrendosi dei racconti di una vita giovane, del cuore pulsante che era giunto ad animare l’aria umida e stantia della cella dove l’avevano relegato. Gli occhi chiari di quella strana ragazzina si erano trascinati laggiù, nelle viscere della terra, a brillare per lui, cadavere sepolto sotto secoli fatti di abnegazione di sè. E adesso, in quella dimensione, in mezzo alle parole dure e sarcastiche c’erano ancora quelle verdi iridi tremule, che mostravano il terrore di essersi perse e di non ritrovarsi mai più. 

-Tu vuoi il mio veleno.- Madara le si era avvicinato; Sakura poteva sentire il suo respiro addosso, come un qualcosa di fosco e incombente -E io voglio bere il tuo dolore, fino all’ultima goccia.-

Sakura valutava, stregata, la follia che si rifletteva nel Rinnegan di Uchiha, in quegli ipnotici cerchi concentrici. Paradossale che non avesse paura di lui, o almeno, non più di quanta non ne avesse di se stessa. 

Lui le pigiò un indice sul segno del Byakugo, che scintillava placido sulla fronte ampia della ragazza. 

-Ci sono ferite da cui questo non potrà guarirti, ragazzina.- 

-Io non voglio guarire.- 

-E cosa vuoi?- 

-Voglio scavare, estirpare il marcio prima che cicatrizzi.-

-E dunque sei venuta ad estirpare me?- Madara sembrava realmente divertito, sfrenato nei ghigni animaleschi che le rivolgeva. 

-Sono qui per bere io il tuo dolore, e lasciare invece a te il mio veleno.- 

Uchiha porse una mano guantata verso di lei. C’era una minaccia perversa, nel suo sguardo, che la sfidava a tirarsi indietro. 

Sakura non esitò: strinse con ferocia la mano dell’uomo, avvicinandosi a quel volto ombroso per osservarlo da vicino. 

Non arretrò e non distolse lo sguardo, mentre i contorni che li circondavano si sfocavano per poi svanire; i dettagli del viso di Madara erano nitidi, e Sakura li scolpì nella mente: ogni angolo duro dello zigomo, ogni ruga severa intorno alla bocca; il violetto degli occhi letali, il sinistro guizzare della mascella tesa. 

E, anche quando ormai la dimensione onirica si era dissolta, e le pareti di pietra delle prigioni erano tornate a sovrastarli, la mano di Sakura conservava il calore e la pressione della stretta prepotente dell’uomo. 

Sakura nascose il braccio dietro la schiena, turbata da quel ricordo tattile, dalla consapevolezza non spiacevole ma non per questo meno terrificante. 

Il Madara della realtà, emaciato e scavato, pareva tuttavia aver tratto energia fisica dal loro incontro: era riuscito ad alzarsi in piedi, e si era appoggiato pesantemente alle sbarre della cella. 

-Sakura...- sussurrò roco. Assaporò il potere che quel nome gli dava. -Sarai l’ultimo fiore che appassirà tra le mie mani-.

Colta da un brivido, la kunoichi gli diede le spalle e si incamminò veloce verso l’uscita, senza voltarsi indietro. 

La risata gutturale di Madara, sputata tra i colpi di tosse, la seguì fino agli sdrucciolevoli gradini della scala che l'avrebbe riportata alla normalità. Dopo la prima rampa -quando lui non l’avrebbe più potuta vedere- Sakura iniziò a correre.

 





Momento TADAAAAAAAAANNNNN:
Il capitolo precedente era una OS, e adesso non lo è più. Il concetto mi piaceva troppo per lasciarlo lì e non riprenderlo, come mi piace questo canon tutto ombre e foschie. E avevo deciso che prima o poi avrei approfondito questi due personaggi. 
L'ora è tarda, e dopo così tanto tempo che non pubblico mi serve un po' per riprendere la mano con questa tecnologia (???) di EFP; maledetto editor. 
Non ho piani e non ho niente di preciso in mente per questa storia: seguirà il suo corso. Non mi pronuncio sulle tempistiche perché poi tanto mi dovrei rimangiare tutto come faccio sempre ^^
Intanto spero che vi sia piaciuto il capitolo... e, per favore, se trovate qualcosa che non fila me lo fate notare? Insomma, se i personaggi vi sono sembrati snaturati, se le loro interazioni sono assurde... cosette del genere xD. Sono un po' arrugginita, e dunque esito di più su certe dinamiche. 
Vi ringrazio per aver letto, 
alla prossima <3

 

   
 
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