Lo
strizzacervelli
Lo
studio del dottor Grimini non
mi piace. Entro quando mi apre la porta e percorro il piccolo corridoio
fino
alla stanza dove facciamo le sedute. Sedute. Così le chiama
lui. Le sedute. Perché
dire che vengo qui a
parlare dei fatti miei a uno che non gliene può interessare
di meno, è troppo
lungo.
Mi
avvicino alla poltrona e
sospiro appoggiando la borsa per terra, sul tappeto rosso. Almeno la
poltrona è
comoda. Ma il resto è proprio brutto. No, non è
vero. Non è brutto. C’è un
vecchio camino sulla mia destra che penso abbia solo una funzione
ornamentale
perché è stato restaurato ed è troppo
pulito per essere stato usato per il suo
uso canonico. Le finestre davanti a me lasciano vedere uno scorcio
della città
vecchia e tutti i tetti delle case sono fantastici da osservare
perché siamo al
quarto piano e il mondo visto dall’alto è il mio
preferito. Tutto è bello, qui.
Sono io il problema.
Perché
non mi piace venire qui.
Non mi piace il dottor Grimini e odio dover far questa cosa. Ogni volta
che gli
racconto dei miei flashback, lui fa quella faccia strana, i suoi occhi
si
avvicinano e le sue sopracciglia si aggrottano mentre scrive sul
taccuino
giallo. Cosa scrive? Mi chiedo
tutte
le volte. Saranno cose su di me? Sicuramente sono cose su di me. Oppure
fa come
me e Sabina durante l’ora di Latino, e fa scarabocchi a
spirale o gioca a tris
da solo?
Una volta gli ho chiesto di
poter leggere
quello che c’è scritto. Ma lui ha detto che non si
può. Così mi è ancora meno
simpatico. Ormai rispondo solo alle domande che mi fa. Dovrei dire ai
miei
genitori di smetterla di spendere i soldi in questa maniera.
“Ciao,
Nicole” Un’altra cosa che
mi dà fastidio è il fatto che infila il mio nome
in ogni maledettissima frase. Oggi
è martedì, Nicole oppure Sta
piovendo, Nicole o ancora Gradisci
una tazza di tè, Nicole? e così
via. Sto per iniziare a odiare il mio nome. Giuro.
“Buongiorno,
dottor Grimini” dico,
sedendomi direttamente in poltrona. Dovrei raccontargli del flashback
di ieri,
ma non ne ho voglia. Lui si siede sulla sua, di poltrona, e mi fa una
smorfia
anche se immagino che sia un sorriso. Prende il taccuino giallo e lo
sfoglia,
leggendo quello che ha scritto le altre volte su di me.
“Hai
avuto altri flashback,
dall’ultima volta, Nicole?” Eccolo. Sospiro. Vorrei
dire di no. Vorrei
chiedergli di smetterla di chiedermelo e di dire il mio nome. Ma sono
una
persona educata. Vedo già lo sguardo di disapprovazione di
mio padre mentre ci
penso soltanto.
“Sì”
Lui alza lo sguardo su di me,
con gli occhi ravvicinati e aggrotta le sopracciglia. Eccolo ancora.
Cavolo, è
così prevedibile. “Ti va di
raccontarmelo?” dice, mentre gira la pagina del
taccuino per scrivere su una pagina nuova. Annuisco e glielo racconto.
***
“Così
ti ha spinto, Nicole?”
domanda il dottore quando ho finito il racconto. Già,
Stefano mi ha spinto. Ma
a me preoccupa tanto anche un’altra cosa: Dice che gli ho
detto qualcosa di
brutto. Cosa posso avergli detto? Alzo gli occhi al cielo. Dannazione,
non ero
io quella nel flashback! Neanche lo conosco, Stefano!
Guardo
ancora il dottore, che mi
fissa con i suoi occhi vacui. Devono insegnarlo
all’università, come fare le
espressioni giuste quando un paziente fa o dice cose strane. “Sì, mi
ha spinto contro il muro” Lui sorride
come se avesse vinto alla lotteria. “Allora eri tu nel
flashback!” ancora
quella smorfia vittoriosa.
Ogni
volta che vengo qui il dottor
Grimini mi fa domande a trabocchetto e gioisce quando pensa che io sia
caduta
in castagna. Lo odio immensamente quando fa così. Gli ho
spiegato che nei miei
flashback vivo tutto come se succedesse a me, ma io non conosco niente
di tutto
quello che accade. Non conosco Stefano, non conosco i posti dove mi
trovo. E
dannazione, a volte non so neanche quello che dico! So che il ragazzo
nei miei
flashback è il mio ex ragazzo perché la mia me
glielo ha detto una volta
e so
come si chiama perché l’ho nominato spesso. Ma il
resto… non so nient’altro. Ma
lui invece è convinto che…
“Ti
ricordi quando abbiamo parlato
di ‘Amnesia selettiva’, Nicole?”
Annuisco.
Ora ricomincia a parlare di quella cosa della perdita dei ricordi. Da
quando
vengo qui, lui sostiene che i flashback che ‘vedo’
o ‘rivivo’ non
siano altro che ricordi che ho dimenticato. Ma è possibile?
Posso essermi
dimenticata così tante cose? E poi… è
impossibile. Mi sembra che lo avrei
saputo se effettivamente fossero stati miei ricordi. Invece no, anche
quando li
rivivo, continuo a pensare di essere un’estranea.
Uff…
“Quando
hai avuto l’incidente a
scuola, Nicole, devi aver subìto un
trauma…” Non ho più voglia di
ascoltarlo e
infatti stacco il cervello. Lo guardo come guardo la prof di Latino
quando
spiega e sorrido annuendo di tanto in tanto. Alla fine resta zitto e mi
guarda.
Sbatto gli occhi. Mi sono persa qualcosa di troppo? Mi avrà
mica fatto una
domanda? Sorrido ancora.
“Allora,
ci penserai, Nicole?” A
cosa? Oddio, dovevo stare attenta! Proprio come a Latino!
“Ehm…” cerco di
salvarmi. “Secondo me ti farebbe bene, Nicole. Magari parlane
prima con i tuoi
genitori” Mmm e di cosa parlerò con i miei
genitori? “I miei genitori?” cerco
ancora di prendere tempo in attesa che mi venga in mente una risposta
adeguata.
Lui
abbassa lo sguardo e
scribacchia qualcosa sul mio taccuino
giallo. Quello che riguarda me, quindi è mio,
ora. Strappa il foglio, lo piega e me lo allunga.
“Sì, parlane con loro,
Nicole. Potrebbe essere una soluzione. Così che tu possa
trovare un po’ di pace”
Annuisco ancora, un po’ sconvolta, e mi alzo dalla poltrona
per prendere il
biglietto che mi porge.
Una
volta che torno a sedermi
guardo il pezzo di carta che ho in mano e poi torno a guardare lui. Il
dottor
Grimini sta ancora scrivendo. “Hai sognato mentre dormivi,
Nicole?” infilo in
tasca il biglietto senza aprirlo e finisco la mia ora con lui. Gli
racconto di
quello che ho sognato la notte scorsa e lui scrive tutto soddisfatto.
Chissà se
nel suo mondo sognare il coniglio nano della mia amica Sabina che
scappa dalla
porta di casa ha un significato più interessante che nel
mio…
***
Quando
esco dal portone, mi
ricordo del biglietto che ho messo in tasca e lo prendo mentre mi
incammino
verso casa. Lo apro e leggo cosa ha scritto.
Dott.
Soluto
Davide
Psicoterapeuta
– ipnosi
Accartoccio
il foglio giallo ancor
prima di aver letto il numero di telefono. Questa storia è
assurda. Secondo lui
dovrei farmi ipnotizzare per evocare dei ricordi che non sono i miei?
Perché io
sono convintissima che non sono miei ricordi.
Due
settimane fa sono caduta dalle
scale a scuola. Mi sono fatta male a una caviglia e mi hanno portato al
pronto
soccorso. Tutto qui. Grimini parla di ‘incidente’
come se avessi fatto un
frontale in macchina e fossi stata sospesa fra la vita e la morte.
Mi
hanno fatto una TAC e non hanno
trovato niente. Ma Grimini sostiene che potrei aver battuto la testa
senza
accorgermene. Davvero? Avrei potuto? Mah… Io non ci credo. E
ora sostiene che
dovrei farmi ipnotizzare? Ma che siamo matti?
Mentre
attraverso la strada al
semaforo verde prendo la decisione di non parlarne neanche con i miei.
Semplicemente… non ne parlerò. Quando arrivo
dall’altra parte della strada tiro
fuori la mano dalla tasca e butto il foglietto giallo nel bidone vicino
al
marciapiede.
Ora
farò a modo mio. Per prima
cosa, prenderò in mano la situazione. E
come? Mi chiedo mentre sono ancora ferma davanti al bidone. Non lo so. Beh, devo scoprire chi
è
questo Stefano prima di tutto. Penso a quello che so di lui:
è un bel tipo, con
i capelli scuri e gli occhi scuri e deve essere più grande
di me, tipo sulla
trentina. Basta. Non so altro. Sospiro.
Vorrei
aver parlato a Sabina dei
miei flashback. Sarebbe più semplice. E ora mi sembra quasi
troppo tardi. Si
arrabbierà perché non glielo ho raccontato prima?
Probabile. Ma se non posso
contare sugli adulti… Prendo il telefono dalla tasca della
giacca, per mandarle
un messaggio e chiederle di vederci. Sarà una spiegazione
lunga.
Mentre
sto scrivendo il messaggio,
qualcuno mi urta e per poco il mio telefono non si spalma sul
marciapiede.
Riesco ad afferrarlo dopo che mi è sfuggito di mano e non
senza fatica. “Mi sei
venuta addosso” Alzo gli occhi sul ragazzo che mi ha urtato,
pronta a dirgli
che non gli sono per niente andata addosso, quando mi blocco. I miei
occhi si
spalancano da soli, lo sento.