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Autore: Aryuna    21/07/2009    2 recensioni
Inverno:"Osservo nuovamente la strada davanti a me. Per me, il grande principe dei demoni, essere immortale, il tempo non ha importanza. Eppure, senza rendermene conto, mi ritrovo ad accelerare il mio passo lungo il cammino."
Primavera:“Cosa sei andato a fare oggi?”, domando sospetta e – anche se mi costa ammetterlo – preoccupata, “Non dovevi semplicemente benedire una casa?”.“Ehm… sono caduto da un albero”, liquida lui. Inarco le sopracciglia, allentando un poco la presa.“E che ci facevi su un albero?”.
Estate: “È la luna”, dico come uno stupido, forse pensando che la sua curiosità richieda spiegazioni. Ma lei continua ad allungarsi, con enorme sforzo, verso la sfera d’argento. “Guarda che non puoi mica prenderla”. Altra frase da stupido. È ovvio che non può prenderla! Mica devo spiegarglielo io.
Autunno: Gli umani sono così superficiali. Quella fu la prima volta che mi ritrovai a pensare in maniera così altezzosa riguardo la mia stirpe. Adesso lo faccio spesso.
Raccolta di quattro Shot prima classificata al concorso "Four Seasons" indetto da Roro e Emiko92.
Genere: Commedia, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Four Seasons

-Raccolta-


 

Estate

 

Inuyasha –Kagome

 

 

 

Depressione post-parto.

Non ho mai sentito una parola del genere.

Cosa significa che Kagome è in depressione post-parto?!

Inuyasha, mi stai ascoltando?”. Scuoto la testa, e mi concentro su Kaede. O almeno ci provo, continuo a fissare il fagotto che la vecchia ha tra le braccia. Il fagotto che, in quei giorni, ho solo intravisto. Ho una seria paura ad avvicinarmene: sembra troppo delicato per poterlo toccare con i miei artigli, e strilla troppo forte e troppo spesso.

“Capita che le donne con un parto difficile non accettino il fatto di essere diventate madri”, continua a dirmi Kaede, “lasciare con lei la bambina sarebbe un rischio”.

“Non capisco dove vuoi arrivare vecchia”, sibilo, fissandola bieco. Lei sospira, e mi molla il fagotto davanti.

Kagome potrà solo allattarla, ma per il resto devi badare tu a lei. Io non posso, già questi primi dieci giorni sono stati infernali, e non ho più l’età per queste cose. Ho già abbastanza daffare con i bimbi di Sango”.

La fisso. Lei si volta ed esce.

“Sei impazzita?!”, urlo scattando in piedi. Pessima idea, il fagotto comincia ad emettere urli e strilli. Lo osservo in preda al panico. Deglutisco, e lentamente lo prendo in braccio, facendo attenzione a tenere le mie unghie ben lontane da lei.

Da mia figlia.

Rabbrividisco al pensiero. Come sono finito in questa assurda situazione?

La creatura sembra calmarsi, e mi fissa. Mi fissa con due grandi occhi dorati, con sguardo confuso e curioso.

“Che c’è?”, domando brusco, squadrandola. Lei ride. Agita le manine felice, cercando di raggiungere una ciocca dei miei capelli.

“Che c’è da ridere?”, borbotto confuso. Lei si limita ad acchiapparmi la ciocca in questione e a tirarla.

La mia relazione con mia figlia è cominciata così. Con il mio urlo, con il suo pianto e con Kaede che accorre – sospirando – dal cortile.

 

“Ti assomiglia molto”.

Storco il naso a questa affermazione, e Kagome ridacchia. La bimba ciuccia avida il latte dal suo seno, e io mi limito a fare presenza perché obbligato da Kaede. Dice che ha paura a lasciare la bambina da sola con lei.

“Hai deciso come chiamarla?”. Storco nuovamente il naso.

“Perché devo deciderlo io?”, domando guardandola male.

“Perché hai bocciato tutte le mie proposte”, si limita a sbuffare lei. La guardo, mentre fissa la bambina. Ha uno sguardo strano. In pochi attimi gli occhi le si riempiono di lacrime.

Scatto in avanti, togliendole la bimba dalle braccia. Kaede si è molto raccomandata: stai attento agli sbalzi d’umore.

“Non voglio! Ho solo diciannove anni!”, strilla lei di colpo. Sango entra attratta dagli urli, e mi caccia dalla stanza dicendomi che ci penserà lei. Esco dalla casa, la bambina sta piangendo.

Inuyasha, stai bene?”. Concentro il mio sguardo su Miroku, che mi fissa confuso. “Hai una faccia sconvolta”. Mi limito a mugolare in risposta.

“Stai attento, con questo caldo non devi portare fuori la bambina di giorno”, si raccomanda il monaco prima di andarsene. E io rimango solo, in mezzo al cortile e con una neonata urlante tra le braccia.

Uccidetemi.

 

È notte.

E io sono stato svegliato dagli urli di quel maledetto fagotto.

Non vuole saperne di smettere di piangere, ed è riuscita a svegliare persino Shippo. Il quale mi ha cacciato via per cercare di dormire.

Sbaglio o ultimamente tutti mi cacciano?

Riciclerò frasi di Kagome – delle quali ho capito il senso ma non il significato –, ma voglio essere eletto specie protetta!

Sospiro, e decido di portare la bambina a prendere un po’ d’aria fresca, dato che di giorno non può uscire per il caldo. È una fresca notte estiva, e le cicale – fastidiose per il mio orecchio – sembrano divertirla.

Comincio a correre, prima lentamente e poi veloce come una scheggia. Avevo paura di spaventarla, ma sembra invece curiosa di sperimentare la velocità. Finché non arrivo nel luogo dove desideravo portarla.

In riva al mare, vicino a Musashi.

La luna piena si riflette nel mare, e le onde si infrangono dolcemente sulla sabbia bianca.

“Ecco qua”, esordisco rompendo il silenzio, “qui puoi piangere quanto vuoi senza scocciare a nessuno”. La tolgo dalle fasce in cui è avvolta, e la metto a sedere sulla sabbia. “Su! Piangi e agitati quanto vuoi!”.

E, invece, lei mi fissa confusa con quegli occhi troppo simili ai miei. Questa somiglianza mi da quasi fastidio. Poi distoglie lo sguardo da me, e allunga le sue manine paffute verso un punto imprecisato.

Seguo il suo sguardo fino all’oggetto delle sue attenzioni: la luna.

“È la luna”, dico come uno stupido, forse pensando che la sua curiosità richieda spiegazioni. Ma lei continua ad allungarsi, con enorme sforzo, verso la sfera d’argento.

“Guarda che non puoi mica prenderla”. Altra frase da stupido. È ovvio che non può prenderla! Mica devo spiegarglielo io. Questa bambina penserà che ha un padre idiota.

P-Padre?!

E io che mi sono tanto sforzato per non pensare quel particolare. Non riesco ad adattarmene. Non mi sono bastati nove mesi, figurarsi tre giorni con la creatura!

Ma lei continua a sporgersi, fino a cadere inevitabilmente a faccia avanti sulla sabbia.

E comincia a piangere.

Sbuffo, avvicinandomi e sollevandola da terra.

“Non so chi sia più scemo tra me e te”, borbotto fissandola, tenendola ben lontana. Lei piagnucola ancora un po’, prima di smettere nuovamente. Fissa di nuovo la luna, e allunga nuovamente le manine verso di essa.

Sospiro, sedendomi e mettendola sulle ginocchia.

“Mi assomiglierai pure, ma sei tutta tua madre”, farfuglio fissandola mentre ride, divertita dai suoi tentativi. “Anche lei quando la portai qui disse che avrebbe voluto prendere la luna dal cielo”. Mi blocco di colpo. Già, l’aveva detto. Perché diceva che le ricordava me. Scuoto la testa, riconcentrandomi sulla bimba. Mi fissa, additando insistentemente la ruota d’argento. E poi, inaspettatamente, avvicina le mani ai miei capelli, cercando di prenderli. Faccio una smorfia, tirandoli lontano dalla sua portata: non intendo fare il bis.

“Sì, anche tua madre ha dato questa motivazione”, mi lamento, fissandola male.

E lei ride.

Ma cosa ci sarà mai da ridere?

“Ti piace così tanto, la luna?”, domando, sapendo benissimo che non potrà rispondermi. Diventa seria, mi fissa confusa.

“Se ti piace così tanto… , non posso rubarla al cielo per dartela, ma posso fare in modo che stia sempre con te”, sussurro, guardandola.

E lei sorride.

“Ti piace questa idea… Mitsuki?”.

 

Inuyasha!”.

Sbuffo, tappandomi le orecchie.

“Non voglio saperne. Non voglio saperne”, continuo a ripetere da ormai diversi minuti.

“Aiutami a cambiarla forza!”, si lamenta Kagome da dentro, ma io non mi avvicinerò mai a lei in quel momento. Non a quella mistura velenosa. Avvicinarmi è uguale a morire.

“Non c’è riuscita neppure quella mummia di Kaede a farmela cambiare quando stavi depressa! Arrenditi!”, urlo testardo. La sento lamentarsi, ma alla fine la vedo uscire dopo alcuni minuti con la bambina in braccio.

“Che antipatico che sei”, borbotta sedendosi accanto a me, “E non mi hai ancora detto perché l’hai chiamata Mitsuki”.

“È la punizione per avermi lasciato da solo con quella creatura per dieci giorni!”, borbotto io, distogliendo lo sguardo da lei. Lei sbuffa, concentrandosi sulla bimba.

“Che papà cattivo, non è così Mitsuki?”. La fisso con la coda dell’occhio, per ammirare mia figlia mentre le lancia un’occhiata perplessa. Trattengo a stento una risata.

“Nemmeno mia figlia mi da retta”, si arrende Kagome con disappunto, “sarà già in fase di ribellione adolescenziale?”.

“È questo che succede quando i padri e le figlie hanno segreti tra loro”, la canzono io divertito, guardando la mia complice figlia. Anche lei mi guarda, con i suoi occhi dorati.

E sorride.

  
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