Love him
Stai
ancora stringendo quelle dita calde mentre Edward si è fatto sopraffare dal
sonno e ti ha lasciato vigile in camera sua. Sua, vostra semmai. Una volta non
faticavate certo a condividere la stessa stanza, gli stessi spazi. Tutto è
cambiato quando entrambi avete raggiunto la consapevolezza del ritorno del tuo
corpo; le cose si sono decisamente complicate, e quel rapporto profondo e
speciale, unico, che vi legava ora sembra aver tutt'altra valenza.
Non era l'armatura il problema dunque: era sempre stato quel filtro fisico che
vi permetteva la piacevole vicinanza. Per quanto possa sembrarti assurdo ancora
ora, ti manca.
«Che cazzata.» Ridi ironico, perché sai bene che lo scopo primario del vostro
viaggio e dei vostri sacrifici è stato raggiunto con successo. «Però, se fossi
ancora il vecchio Alphonse, ora potrei abbracciarti, infilarmi tra le coperte
che ti avviluppano e tenerti stretto durante la notte senza avere paura delle
conseguenze. Sì, è proprio una cazzata.»
«Certo.»
Sussulti inaspettatamente. Non credevi tuo fratello potesse sentirti, come non
ti saresti aspettato una sua risposta. Lo osservi e ti stupisci del fatto che
non abbia ancora aperto gli occhi nonostante il suo intervento.
«Dormi?»
«No, sto solo ascoltando le stronzate dette da un ragazzino.»
«Infierisci, eh?» Sbuffi divertito. Ultimamente scherzare con lui è diventato un
fatto più unico che raro. «Quando mi trovavo
rinchiuso tra quelle pareti di metallo, sembravi più felice, vero? Eri più
tranquillo, non puoi negarlo.»
Spalanca
gli occhi dorati incontrando i tuoi di una tonalità più scura
e brillante.
Si solleva seduto. «Sì, effettivamente era tutto più facile.»
Lo
immaginavi, eppure non credevi avrebbe fatto così male sentirselo dire.
Il problema è questo dunque: essere tornato umano. Lasci la stretta delle sue
dita e ti alzi senza dire una parola. Aspetti un attimo nella speranza che ti
richiami a sé, che si scusi o che tenti di trattenerti in qualche modo.
Non accade nulla di tutto questo.
Ti dirigi verso quella porta tanto familiare ed in un ultimo moto di speranza
indugi qualche secondo di più sulla maniglia.
«Al?»
Sapevi che non avrebbe potuto trattarti davvero così. Ti volti teso, vuoi
solamente sentirti dire che ha bisogno di te e che desidera la tua presenza
come quando eravate piccoli.
«Ho deciso di partire.»
Ti si spezza qualcosa dentro, lo senti distintamente: qualcosa di irreparabile,
un dolore che si è conficcato senza pietà. Una parte di te vorrebbe scappare
senza voltarsi; la tua irrazionalità invece ti sta guidando verso di lui. I
nervi tesi, così come i muscoli, ti portano ad afferrarlo per la canotta,
percependo per un attimo con i polpastrelli il duro metallo della sua spalla.
Rabbrividisci come tutte le volte al ricordo del dolore che tuo fratello ha
patito per poter farsi innestare quel dannato automail, eppure non stacchi gli
occhi dai suoi, non stavolta. Non più.
Vorresti dirgli tante cose: che non vuoi abbandonarlo, che hai bisogno della
sua vicinanza, che è l'unica famiglia che ti rimane e la persona più importante
che esista. Vorresti, ma non lo fai. Resti in silenzio, le lacrime che
pizzicano; le ricacci a fatica nel tentativo di non dimostrarti un debole, non
dopo tutto quello che avete passato. Regge il tuo sguardo senza neppure abbassare
le palpebre, ma quando senti le guance accaldate di rabbia inumidirsi
d'improvviso, si volta dall’altra parte.
Vigliacco.
«Non andartene...» Poco più che un sussurro. «Non farlo. Non abbandonarmi ora
che finalmente sei riuscito a riportarmi indietro...»
Un singhiozzo ti scuote il petto. Maledizione, ripeti a te stesso, non saresti
dovuto cedere, il tuo orgoglio non avrebbe dovuto permetterlo.
Spalanca le iridi luminose mordendosi il labbro. Con quelle ultime parole lo
hai scosso fin nell'anima, e ne sei consapevole: glielo leggi addosso. Le dita
si stringono maggiormente alla carne ed il tuo respiro accelerato si smorza nel
momento in cui Ed prende il tuo volto tra le mani.
Il tempo sembra fermarsi.
Non ti capaciti ancora di stare piangendo davanti a lui.
Ti sussurra accanto alle labbra, mosso da piccoli tremiti. Ti dice che non può,
che non deve. Ti rivela che è tutto tremendamente sbagliato, compreso quello
che sta succedendo adesso.
Sta fremendo più forte, ed il suo sospiro strozzato si spezza a metà.
Pensi a quanto sia assurdo che una persona all’apparenza così forte riesca a
cedere tanto rapidamente. Lo riadagi sul materasso stando attento a lasciargli
i dovuti spazi, ma lui si aggrappa a te annaspando in cerca di ossigeno. Sa di
stare sbagliando, ne è consapevole come è consapevole di non dover fare nulla.
Eppure ti strattona baciandoti.
Il sapore dolciastro delle labbra mischiate alle lacrime che scivolano sul viso
di entrambi ha un che di nostalgico, proibito, ricercato…
Meraviglioso.
Questo il termine che cercavi, questa la parola che meglio descrive ciò che
stai provando: non solo però. Disperazione, aspettative, consapevolezza
dell’errore stesso, delle distanze bruciate.
Tutto scompare, mentre le tue unghie si aggrappano alla sua schiena ed il contatto
diventa più profondo. Il resto non ha importanza perché sta accadendo ciò che
per anni è stato un tuo chiodo fisso, malato, assurdo: il sapore di tuo
fratello.
Ti stendi su di lui, sentendolo cercarti ancora, aggrapparsi ai tuoi capelli
color del sole, attingere alla tua bocca come fosse vitale. Riesci a notare il
rossore sul suo volto nell‘unico istante in cui i vostri sguardi si incrociano.
Non riesci a reggere le pupille liquide di dolore.
Serri le palpebre più che puoi, muovendoti su di lui e scorrendo le mani sul
suo automail. Intrecciate le vostre dita, pelle su metallo, mentre i respiri si
uniscono e stridono, si rincorrono nel tentativo di fondersi e trovare una sola
possibilità misera di salvezza per tutto ciò che sta accadendo.
È sbagliato e lo sai.
È
probabilmente la cosa più meschina che farai nella tua vita, ma insinui il tuo
ginocchio tra le sue gambe, strappandogli un gemito strozzato e malcelato.
Non deve succedere.
Eppure profuma di buono, sa di buono, e tu non riesci a fare a meno di
desiderarlo.
Le tue dita scendono sulla sua canotta nel tentativo di farsi strada sul suo
corpo; il punto di non ritorno ormai è stato raggiunto nel momento in cui avete
ceduto e vi siete sfiorati. Non avrebbe senso tornare indietro, non ora: è
questo che ti stai ripetendo nel tentativo di dare una spiegazione, cercare un
briciolo di razionalità.
Un secondo gemito spezza il silenzio nella stanza, e d’improvviso immagini e
ricordi confusi degli anni della vostra infanzia si appropriano della tua
ragione e ti fanno vacillare. Il suo sorriso innocente, quel divertimento
tipico dei bambini, l’allegria data dall’affetto fraterno e dalla
consapevolezza di avere sempre qualcuno accanto di cui fidarsi. Ti fermi come
per un attimo il tuo battere in petto. Fiducia. Certo, come se ora contasse
qualcosa. Quello che sta accadendo va al di là di ogni singola aspettativa
ricreata nella tua testa; quel tipo di pensiero che t’eri ripromesso di non
considerare dal momento in cui la vostra quotidianità aveva raggiunto di nuovo
un equilibrio ti sta accompagnando nel baratro, e non sei il solo. Ti fermi e
ti senti bloccato, mentre ancora lo sovrasti con il peso del tuo corpo e lo
tieni fermo sotto di te. Finalmente hai il coraggio di guardarlo meglio,
stringendogli i polsi tra le tue dita.
«Al… Alphonse…»
«Dimmi.» Vibri al suono del tuo nome pronunciato con tale desiderio.
Fermati.
Le perle che scivolano dai tuoi occhi si infrangono silenziose sul suo viso.
Fermati.
Spalanca le pupille e ti guarda. Trema. Quasi non respira.
Fermati adesso.
Sussurri qualcosa di incomprensibile sulle sue labbra coprendole con
maggior forza. Il tuo bacino si muove impercettibilmente da sensazioni mai
avresti pensato di provare davvero.
Alphonse, ti prego. Fermati.
Credi di essere impazzito, perché la voce che impera nella tua mente e che
ordina perentoria non è altro che quella di Edward. Vorresti assecondarlo, ma
non lo fai. Anzi, non lo vuoi.
Sei consapevole di una cosa sola: la risposta delle vostre viscere, dei
neuroni, di ogni singola cellula che riempie il vostro essere è chiara ed urla.
Amalo.
Questo richiede.
Amalo.
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Ahhh
non sentite il profumo di angst nell’aria? Io sì! Come mi sono ripromessa prima
di cominciare con
questa serie di storie sull’amore fraterno in difficoltà, non sono andata nel
particolare, però non è stato affatto facile. Mi sono mantenuta alla lontana
proprio, anche se una vocina dentro di me sussurrava continuaaaa, continuaaaaa…
No, io da brava mi sono trattenuta e ho mantenuto fede al mio impegno.
(Mannaggia!) Mi auguro chiudiate un occhio e comprendiate le limitazioni
imposte dai piani alti.
Al
prossimo capitolo dunque, augurandomi di non continuare a pensare a come
dovrebbe continuare questo. Ringrazio tutti voi che mi sostenete sempre e
riempite la mia attività di entusiasmo e sorrisi. Grazie!
-Stefy-