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Autore: Vedra    21/04/2019    6 recensioni
Sherlock è in giro per il mondo, impegnato a smantellare la rete criminale di Moriarty. Un’odiosa convalescenza nel Sud Italia lo costringerà a venire a patti con i suoi sentimenti. [Soulbond!AU]
Scritta per l'evento "Easter Eggs" del gruppo facebook "Johnlock is the way... and Freebatch of course!"
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Profumo di limoni
 
 
Non c’è molto che tu possa fare con una frattura scomposta dell’omero, il crociato destro spezzato e un buco nel quadricipite. Il bastardo libico aveva mirato all’arteria femorale, ma aveva mancato il suo bersaglio, forse perché stava morendo dissanguato. Probabilmente dovresti essere in ospedale, ma non sarebbe una mossa intelligente farsi ricoverare, non quando tecnicamente dovresti essere morto. Per di più, tutto il mondo sa che sei morto: gli abbominevoli tabloid inglesi si infilano anche nelle edicole di Kigali, ammesso che lì ne abbiano. Non c’è un posto al mondo dove il gossip british non spopoli: probabilmente anche i medici del Guatemala hanno letto dello spettacolare suicidio del detective inglese, perciò farsi assistere in un rispettabile ospedale è fuori discussione.

Se sei ancora vivo, questa volta lo devi a tuo fratello e ciò ti riempie di stizza. Se ti avesse lasciato morire dissanguato sulla terra dura e secca della Libia almeno adesso non dovresti sentirti in debito con lui. Il Governo Inglese ha mandato un elicottero a riprenderti, con annesso qualche chirurgo per ricucirti in volo, e ti ha scaricato qui, in questo paesino siciliano dimenticato da Dio. Grazie al cielo Mycroft sapeva che questa sarebbe stata la tua prossima meta o ti saresti svegliato in una base militare segreta con diciotto livelli di sicurezza. Ottimisticamente, saresti riuscito ad evadere in non meno di dieci giorni, considerando la convalescenza, e invece sei già qui, in mezzo ai limoni, con la tua nuova rete criminale da smantellare a tre chilometri di distanza.

Sei partito dalla Siria, e la Siria ti ha portato in Libia, e la Libia nell’Italia del Sud: la mappa della criminalità organizzata è talmente prevedibile da essere terribilmente noiosa. La prossima destinazione sarà probabilmente Medellín o Hong-Kong, dipende se Moriarty si dilettava di più con la cocaina o con l’eroina.

Per ora, però, sei costretto a letto, e la tua convalescenza è stata affidata a una vecchina cieca: lei almeno i tabloid non li ha letti. Onestamente non hai la più pallida idea di come Mycroft possa avere certe conoscenze, né riesci a immaginare quali leve abbia toccato per convincere una siciliana di ottantatré anni ad accogliere in casa il reduce di uno scontro a fuoco con una banda di terroristi. Misteri su cui non vuoi indagare.
Lei si chiama Maria, ha i capelli bianchi e parla costantemente. Tu ovviamente non l’ascolti, ma non sembra che il tuo silenzio la offenda. C’è anche da dire che, nonostante tu parli l’italiano, il dialetto con cui si esprime è talmente stretto che non capiresti nulla nemmeno se l’ascoltassi. Forse pensa che tu sia muto, o forse è solo abituata a parlare da sola, d’altra parte porta due fedi all’anulare sinistro: vedova, probabilmente da più di dieci anni.

Sul comodino accanto al letto che ti ha ceduto ci sono vecchie fotografie incorniciate: sono i suoi figli e i suoi nipoti, tutti trasferitisi al Nord. La ragazza forse vive a Monza, ma non sapresti dirlo con certezza, perchè non conosci questo paese tanto quanto l’Inghilterra. La nuova tovaglia di plastica e la caffettiera IKEA ti dicono che qualche volta i suoi figli scendono a farle visita, ma l’anonimato di questi doni ti suggerisce che sono tutti più interessati al mare cobalto della Sicilia che alla sua compagnia.

Ad ogni modo, di lei ti interessa poco.

In realtà non ti interessa niente.

Aspetti soltanto che il tuo inutile corpo guarisca e passi il tempo a contare i minuti. La bellezza bucolica e rurale di questa casina in mezzo ai campi è straziante e il frusciare lieve del vento tra le foglie non è sufficiente per distrarre la tua mente dai pensieri. Alla destra del tuo letto si apre una finestra e tu vorresti solo che Maria la chiudesse, così questa stanza piomberebbe nell’ombra e il tempo potrebbe fermarsi. Maria invece la lascia sempre aperta: da quello che sei riuscito a capire, pensa che l’aria fresca aiuterà la tua guarigione. Stupida donna. Non hai detto niente solo perché così forse continuerà a credere che tu sia muto, ma ad ogni nuova alba cresce dentro di te la convinzione di star sprecando tempo prezioso. Se solo piovesse, o se almeno una qualche nuvola passeggera oscurasse questa luce accecante! Non sei mai stato sentimentale, ma questo sole ti fa rimpiangere le giornate grigie e uggiose di Londra, con la loro luce piatta e uniforme. Lì era bello guardare fuori dalla finestra, anche alle tre del mattino quando sembrava che la città fosse vuota. A Londra amavi il silenzio, mentre qui è insopportabile.

Tutto è immobile, anche tu sei immobile. Brami il pullulare frenetico della vita metropolitana e mentre questo sonnolento vento primaverile ti accarezza la pelle ti ritrovi a rimpiangere persino i terroristi siriani di qualche settimana fa. In questo luogo senza tempo ogni giorno scorre uguale al precedente. Potrebbero passare mille anni senza che tu te ne accorga. Odi il sole caldo di questo paese mediterraneo, e il profumo intenso dei limoni che maturano dietro casa, e i fiori rosa dei ciliegi che ondeggiano pigramente nel sole pomeridiano, e questa brezza che si porta dietro il loro odore dolciastro.

Di solito non odi queste cose, semplicemente non le noti. È sempre stato John quello che s’incantava davanti ai lillà, ma in questi giorni di immobilità forzata la tua mente ha tentato di mantenersi attiva registrando qualsiasi cosa attorno a te. Tutto sembra soffocarti. Il sole è troppo caldo, il profumo dei fiori troppo dolce e il vento troppo lieve. Forse in un altro tempo avresti amato questa vita, ma adesso smani di tornare alla tua caccia. Hai ancora molto da fare: molti uomini da smascherare, molti paesi da visitare. Vuoi fare in fretta per tornare presto a Londra, ai tuoi casi, a Baker Street con John che dorme al piano di sopra. La fretta richiede tensione, ansia, adrenalina: tutte sensazioni che stanno scivolando via da te, cancellate dal sole e dai profumi siciliani. La quiete trasuda da questi luoghi densa come melassa, e ti pesa sulla mente, acuendo una noia che ora non riesci combattere: non hai niente di davvero interessante a cui pensare e questo è un problema. Se la tua mente non può lanciarsi all’esterno, inevitabilmente si proietta all’interno e non va bene, perché iniziano ad emergere pensieri disturbanti, di cui non vorresti mai essere cosciente.

Qui è così difficile non pensare: il fruscio morbido del vento che spira dal mare culla i tuoi pensieri, e ti fa vagheggiare di futuri impossibili. Detesti immaginare, ma questo orrida amenità sembra drogare la tua mente di sogni. A Londra è facile non pensare: c’è Mycroft con le sue insulse crisi governative, Lestrade che prova a rifilarti anche i casi più semplici e la signora Hudson che deve essere convinta a comprare i biscotti allo zenzero. Occasionalmente c’è anche uno spacciatore. Oh, e poi c’è John, che riesce a riempire i vuoti della tua mente con la sua sola presenza.

Qui no.

Qui non c’è niente, solo il profumo dei limoni e i petali rosa che danzano nella brezza della sera.

John.

Ti passi distrattamente il dito sul tuo anello d’argento. Non c’è un assassino da smascherare oggi, né una pallina bruna in carta argentata pronta a trascinarti nell’oblio, e per quanto tu stia disperatamente cercando di silenziare i tuoi pensieri, alla fine affoghi nella luce rossa di questo tramonto di campagna. I tuoi occhi si bruciano nel sole che declina dolcemente oltre le colline.

 
Chissà che nome c’è sotto.

Abbassi le palpebre e inizi a vagabondare per i corridoi del tuo palazzo mentale. Forse ripercorrendo vecchi casi riuscirai a distrarti almeno per qualche ora da questi pensieri deleteri. Vorresti davvero andarci, nella libreria dove hai archiviato ordinatamente tutte le tue avventure, ma i tuoi passi ti portano in un’altra stanza. È piccola e scura: è dove incateni emozioni e sentimenti, desideri e speranze, ossia tutta quell’inutile parte di te che non serve al lavoro. È per questo che è così disordinata: le immagini frammentate si affastellano l’una sull’altra, gli odori si mischiano, le date si accavallano e le parole si confondono. Ci sono ricordi recenti che brillano ancora vividi, e memorie lontane che sono ormai sbiadite. Inciampi sulla soglia, dove giacciono dimenticate le emozioni degli ultimi giorni con John. Inciampi su un profumo di pioggia londinese.

È una sera uggiosa e la luce di Londra si riflette sulle nubi notturne accendendole di un viola malsano. John ha appena preso a pugni per te il capo della polizia. Corri via con lui, puntandogli una pistola alla tempia, e lui si fida così tanto di te che ti lascia fare senza battere ciglio. L’acciaio delle manette sfrega gelido contro i vostri polsi uniti mentre fuggite in una corsa scoordinata. Gli prendi la mano, gliela stringi nel palmo, e senti il suo calore.

Un’emozione strana e violenta ti strappa via dai meandri della tua mente. Apri gli occhi bruscamente, con il cuore che ti batte impazzito nel petto. Al tempo forse l’adrenalina della fuga aveva smorzato la potenza di questa sensazione. La mano di John stretta nella tua. Adesso invece, sotto i raggi di questo sole morente, senti la pelle infuocarsi al ricordo e una voragine aprirsi nel petto.

L’anello scintilla di riflessi dorati, e il suo brillio quasi ti ferisce gli occhi.

 
C’è il tuo nome, John, sotto questo anello?
E se non c’è, allora perché la mia mano si adatta così bene alla tua?

Ti prendi la testa tra le mani e affondi le dita tra i ricci neri.  Li tiri, ti fai male: daresti qualunque cosa pur di riuscire a tenere sotto controllo i tuoi pensieri, che stasera fuggono impertinenti su sentieri dissestati. Allenti la presa sui tuoi capelli, e ti porti le mani davanti agli occhi. Tremano.

L’anello attrae di nuovo il tuo sguardo. Scintilla ancora malefico.

 
Toglilo.

Sono quattro giorni che il pensiero ti tortura e se non guarirai in fretta, o se qualcuno non ti venderà a breve l’oblio in pillole, sei sicuro che prima o poi cederai a questo imperativo. La prima volta che hai distintamente desiderato sfilarlo è stato quando John ha ammazzato il tassista per te. Stavi davanti all’ambulanza con una coperta sulle spalle e lo hai guardato negli occhi. Ricordi che le tue dita hanno pericolosamente indugiato sulla fascia d’argento: hai tenuto l’anello tra le dita per quasi un minuto, mentre John ti guardava con un sorriso appena accennato e Lestrade blaterava qualcosa sullo sfondo azzurro delle luci intermittenti della polizia. E poi è successo ancora il giorno dopo, mentre John sistemava la spesa nel frigo. Era stato un istante fugace, un’istantanea di quotidianità: l’hai guardato e ti sei chiesto se potesse durare per sempre. Poi te ne sei andato: non gli hai detto niente e sei sparito per tre giorni nel Sussex. Hai incarcerato il desiderio nell’inconscio, e ti sei imposto di dimenticarlo: lo hai allontanato, ma non te ne sei mai liberato. C’era sempre qualcosa che lo richiamava dai profondi abissi della tua coscienza, talvolta mentre suonavi nelle sere piovose, o quando Angelo portava una candela al vostro tavolo o in altri mille istanti insignificanti. Sentivi un terribile languore nel petto e il brillio dell’anello ti sembrava inspiegabilmente una dolce promessa. Ma Londra, con la sua feroce frenesia, ti distraeva ininterrottamente: è da quando te ne sei andato che il desiderio di levarlo è diventato quasi costante e adesso che sei costretto a letto passi il tempo ad accarezzarne la superficie liscia.
 
Toglilo.

C’è una voce odiosa dentro di te che lo comanda: ti martella la mente con questo insopportabile mantra e non riesci ad azzittirla. Non vuoi psicanalizzarti, perché non devi – non vuoi – pensare, ma una minuscola parte di te è orribilmente cosciente che dietro questo ordine si celano sentimenti ingarbugliati e profondi. Non vuoi capirli, vorresti solo liberartene.

Il sole è affondato nel mare e il cielo si è acceso dei colori pastello del crepuscolo. Il profili delle colline si stagliano contro l’arancione, che sfuma poco più sopra nel rosa, e poi nel viola, e infine nell’azzurro. Non ti abituerai mai all’intensità di questi colori. A John invece piacerebbero: ci porterebbe una bella ragazza con i capelli biondi e le labbra rosse.

 
Chissà lui quale nome ha inciso sulla pelle.

Anche John porta un anello sull’anulare: dice che lo toglierà solo quando avrà incontrato la donna che sposerà. Dice che lo toglierà solo per avere una conferma, ma tu non hai mai osato chiedergli cosa farà se scoprirà che quel nome non coincide con quello della donna che crede di amare.
 
Chissà se ha il mio nome.

Dio! Ti prendi di nuovo la testa tra le mani, maledicendo questi sciocchi pensieri che ti sovvengono incontrollati. È questo posto a tentarti con insensati vagheggiamenti. È la bellezza di questo tramonto che ti fa sognare di osservarlo con John. Lo odi. Odi i sogni. Odi l’immaginazione. Immaginare fa male. È John quello che sogna, che immagina, che sospira sotto le stelle.

Prendi un sospiro profondo, e cerchi di placare i battiti impazziti del tuo cuore. Obblighi la tua mente a pensare ad altro. A Maria, per esempio, che tra poco entrerà con il vassoio della cena in mano, e non se ne andrà fin quando non avrai finito tutto quello che ti ha preparato. In questo è così simile a John. Dio! Perché tutto porta sempre a John? Sembra che il suo nome non riesca a stare fuori dalla tua mente per più di dieci secondi. Ti arrendi con un sospiro, anche perché in realtà non hai molta voglia di lottare.

È odioso e meraviglioso pensare a John. Maria e John. I loro volti inconciliabili per un attimo si sovrappongono e ti chiedi cosa proveresti nel vedere John entrare da quella porta al posto di Maria. Se gliel’avessi chiesto sarebbe venuto con te.  Non serve nemmeno che tu chiuda gli occhi per immaginare il suo tocco delicato sulla pelle. Ti cambierebbe le fasce, e stenderebbe la pomata con la punta delle dita, e tu come sempre dovresti reprimere i brividi. Per un istante senti un grande vuoto dentro di te, un bisogno insopprimibile di sentire i suoi occhi su di te. Avverti germogliare nell’anima il desiderio di averlo accanto, di vedere il suo volto preoccupato per te.

Conficchi le unghie nei palmi. Non hai bisogno che qualcuno si preoccupi per te. Non ne hai mai avuto bisogno: sei sopravvissuto più di trent’anni senza che nessuno si curasse di te.
Però un po’ ti piaceva la premura di John. C’era una gioia sottile che ti scoppiava nel petto quando ti chiedeva come stessi, oppure quando ti sfiorava la pelle con le dita per controllare gli innumerevoli tagli e le molteplici contusioni che collezionavi costantemente. I suoi polpastrelli irradiavano calore, e quando la notte non riuscivi a dormire pensavi spesso a quella sensazione per calmarti.

John.


Non ne hai bisogno. Puoi finire tutto questo da solo.
Sospiri profondamente, perché quest’altalena di emozioni ti sfinisce. Una fitta di dolore alla gamba ti distoglie per un momento dalle tue elucubrazioni, ma l’istante successivo ti trascina all’improvviso di nuovo in Libia.

La terra è arida e sotto di te, e tu respiri la polvere. Il dolore è lancinante, quasi insopportabile. Ti tieni la ferita con una mano: cerchi di arginare il sangue e lo senti scorrere caldo tra le dita. Hai freddo, ma tenti razionalmente di non andare in shock. Il silenzio è assordante intorno a te, ma nella tua mente risuona il nome di John. John, John, John.

 
Se non ho bisogno di te, perché il tuo nome echeggiava nella mia testa?

Dove sei, John? Ti prego vieni, vieni. John, ti prego aiutami. Stringi la presa sulla gamba con forze che non hai, e senti la testa leggera. John, John. Guarda John, lo sto facendo per te. Lentamente tutto inizia ad oscurarsi. John. Senti freddo. John. In lontananza il rumore confuso delle pale di un elicottero. John…

Il rumore di una porta che si apre ti strappa ai tuoi pensieri. È Maria che entra con la cena. Ti piazza in grembo un vassoio stracolmo, e per un po’ riesci a pensare solo alla zuppa che devi ingoiare. Quando Maria finalmente esce, sorprendentemente riesci a importi di non pensare più né all’anello né a John. Forse il suo chiacchiericcio incomprensibile ha allentato la pressione sulla tua mente quanto basta perché tu possa riprendere il controllo dei tuoi pensieri. Aspetti che chiuda la porta dietro di sé e poi abbassi le palpebre, premendo le dita contro le tempie. La tua mente apparentemente di nuovo sgombra segue di nuovo diligentemente i tuoi ordini. Ripercorri le ultime confessioni della tua ignara fonte: le parole che ti hanno portato qui. Le svisceri, le analizzi, evochi il tono, richiami i suoi gesti e tutti i dettagli del suo viso e delle sue vesti. Quando riapri gli occhi è notte fonda. In realtà non hai voglia di dormire, ma devi farlo, o questo corpo spezzato non si riprenderà mai in tempi brevi. Scivoli sui cuscini e chiudi di nuovo gli occhi.

 
*

Ti svegli di soprassalto nel cuore della notte con il viso bagnato di lacrime e i capelli umidi di sudore. La luce della luna filtra appena dalle persiane accostate. Gli stralci del sogno da cui sei appena riemerso scompaiono velocemente, ma ti lasciano addosso ansia e tremori. Il tuo inconscio ti ha mostrato John che precipitava giù dal tetto del Bart’s ed eri tu questa volta a guardare. Hai pianto nel sonno, e adesso una morsa dolorosa ti stringe il petto, rendendoti faticoso respirare. Lo vuoi qui, accanto a te. Non c’è nessuno ora che possa sentirti, perciò sussurri il suo nome, così che ti sembri di averlo vicino.

«John…» Assapori questa parola sulle labbra. Non sai che cosa ti stia succedendo e ne sei spaventato, ma sei anche esausto, stanco di provare ad arginare questa marea che monta violenta dentro di te, perciò quando senti gli occhi pizzicare non trattieni il pianto e ti ritrovi a singhiozzare nel letto come un ragazzino. Saranno passati anni dall’ultima volta che hai pianto. Il nodo dentro di te risale fino alla gola, e quasi ti soffoca, ma ogni volta che una lacrima scivola sul tuo volto ti sembra che la stretta si allenti un po’.

«John…»

Ti manca terribilmente.

 
Perché mi manchi, corpo e anima, così fortemente che non riesco a respirare?

Porti una mano alla bocca per attutire i singhiozzi. Non hai mai provato un vuoto così grande. Non sei abituato alle emozioni ed è per questo che la loro potenza su di te è amplificata. Sarà il sogno, sarà quest’immobilità che ti sta facendo precipitare negli abissi della mente, sarà l’esplosione di sentimenti repressi per anni, chissà… ma intanto tu piangi e lui ti manca. Lo immagini al cimitero, davanti alla tua tomba. Immagini il suo dolore, e ti spaventi del male che gli hai fatto. Il respiro ti si spezza in gola quando vagamente ti rendi conto che lui potrebbe non perdonarti mai più. Immagini i suoi occhi farsi duri e la sua schiena allontanarsi lungo una via ombrosa. Ti stringi le mani al petto, nel vano tentativo di arginare il dolore. Sulla pelle delle guance, fredda per le lacrime vecchie, senti quelle nuove rotolare bollenti. Non può andarsene: hai bisogno di lui.
 
Se non avessi bisogno di te, perché starei piangendo nel mio letto?
Perdonami, ti prego.
Lo sto facendo per te.

Perché? Chi è John Watson? Hai sacrificato per lui ciò che avevi di più caro: la sua amicizia, e sei felice di averlo fatto, se questo significa che lui è al sicuro. Ti stai annientando e stai offrendo la tua vita per la sua. Chi è John Watson per te? Sei un sociopatico vergine, ma questa notte, sotto una luna d’argento, capisci per la prima volta che non puoi chiamare amicizia quello che provi per lui. Qualcosa di dimenticato risale rapidamente verso la tua coscienza: è la stessa sensazione che provi quando ti sovvengono le intuizioni, dati processati troppo rapidamente per essere compresi consapevolmente.

Guardi l’anello.

 
Sei tu, John Watson?

Hai infilato quella fascia proprio perché non volevi tutto questo, proprio perché non volevi lacrime e turbamenti, ma c’è una parte di te che, masochisticamente, è contenta di questo dolore. Saresti felice di soffrire per John Watson. Saresti felice di avere il suo nome inciso sulla pelle. Perché?

Essenzialmente perché lo ami.

Eccola, la tua intuizione.

 
*

Passi sveglio tutto il resto della notte, cercando di scendere a patti con questa nuova consapevolezza che è apparsa tanto limpida da non poter essere negata. Guardi l’alba schiarire il cielo e senti i passeri trillare mentre sorge il sole.  Ascolti Maria che si alza, esce e torna con la spesa del giorno. Questa mattina è diversa: c’è la stessa luce calda di sempre, ma pare quasi più luminosa, e la quiete di queste colline non ti soffoca più. Inspiri profondamente il profumo di limoni e lo trovi fresco e frizzante. Pensi che John lo amerebbe. Ti perdi nei mulinelli di petali che la brezza solleva dalla strada, e guardi mestamente il tuo anello d’argento.

Ti ha sconfitto, alla fine. Dopo vent’anni di fedele servizio si è ribellato e ora sembra guardarti beffardo, sfidandoti a toglierlo. Pensavi che avresti odiato questo momento e invece senti solo pace. Pace perché sai qual è il nome sulla tua pelle. Sei Sherlock Holmes e ti fidi delle tue intuizioni. Senza che tu lo abbia deciso coscientemente, la tua mente ha unito miriadi di frammenti: espressioni, pulsioni, mezze frasi e immagini fugaci. Chissà da quanto tempo il tuo inconscio aveva già capito che John Watson è la tua anima gemella. Non potresti esserne più certo nemmeno se ti sfilassi l’anello e leggessi il suo nome, perché non può non essere così. Non hai più paura, forse perché la prospettiva di una vita intera con John non riesci a temerla, o forse perché lui dista mille miglia da te. Non hai più paura delle impalpabili catene dell’amore, ma anzi ora desideri restarvi invischiato. Per un istante non ti riconosci più, ma poi ti dici che va bene così: va bene essere un nuovo Sherlock Holmes pur di avere John Watson nella propria vita. Avevi orrore del desiderio, ma ormai non conti più le volte in cui hai bramato il tocco di John sulla pelle. Tremavi al pensiero di condividere la vita con qualche insulso essere che il destino aveva voluto avesse il tuo nome sulla mano, ma questa notte rabbrividivi per il terrore di perdere John. È stata la certezza di avere il nome di quest’uomo sulla pelle a scacciar via tutti i tuoi timori e a tramutare l’orrore in desiderio. È stato l’amore a cambiarti e Dio! quanto ti senti cretino a pensare questo di te. Ti sembra di essere l’insulso protagonista di una commedia d’amore, ma è così difficile essere razionalmente cinici quando i ciliegi sono in fiore. Dovresti dirti che amare la propria anima gemella è un destino a cui nessuno può sottrarsi, perché siete tutti geneticamente progettati per farlo, ma ti piace raccontarti che ameresti John Watson anche in un altro universo.

Conti le ore che passano lente. Maria ti cambia le bende dopo pranzo, e il pomeriggio scivola via verso la sera.

Forse un po’ romantico lo sei anche tu, perché aspetti il tramonto per sfilarti l’anello, o forse ti piace solo spruzzare un po’ di dramma sulla tua vita. Chiudi gli occhi, inspiri il profumo di limoni e senti sulla pelle il calore del sole. Quando l’aria si fa più fresca sollevi le palpebre. In lontananza il sole è quasi all’orizzonte.

 
Spero che tu sia l’unico con cui condividerò la mia vita.

Non ci sono tentennamenti, ma solo un movimento fluido: le tue lunghe dita si serrano sull’anello e lo tirano via dall’anulare.

Il tramonto divampa magenta contro le nuvole all’orizzonte, la sua luce arancione bagna le tue mani e il tuo cuore ormai nudo è illuminato da un sole rosso sangue.

C’è inciso John Watson sulla tua pelle.





 
Fine


 
   
 
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