Anime & Manga > Saint Seiya
Segui la storia  |       
Autore: PiscesNoAphrodite    12/06/2019    2 recensioni
[...] Mi sovvennero quei piccoli sauri che sovente sorprendevo ritemprarsi al sole, immobili sulle pietre roventi, i cui battiti del cuore si scorgevano susseguirsi rapidamente attraverso l'esile strato di pelle squamosa. Creature subdole e indifese, al tempo stesso. Lucertole...
***
Ipotetico Post-Ade narrato dal pov dei personaggi di Lizard Misty e Pisces Aphrodite... I Saint sono stati riportati in vita da Athena ed emergono antichi rancori.
(I personaggi descritti in questa storia non mi appartengono ma sono proprietà di M. Kurumada.)
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hound Asterion, Lizard Misty, Perseus Algol, Pisces Aphrodite
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

 

Gli Eletti, capitolo V

 

 

VIII

 

La scelta

 

Che strano effetto indossare l'armatura dopo tutto questo tempo, ma è solo una formalità alla quale ognuno di noi è tenuto ad aderire. Mi sento strano, quasi fuori posto. La Sala delle Udienze è sempre stata un luogo freddo, asettico, nonostante la solennità promani da ogni singolo elemento strutturale e decorativo. Dovrebbe essermi familiare eppure mi sento un estraneo. L'ipocrisia che impera in quest'ambiente è intollerabile, e tuttavia debbo fingere, accondiscendere all'adulazione dei Santi, delle genti che popolano il Santuario. Sono tutti presenti e chissà cosa stanno pensando. È curioso appurare come le circostanze abbiano indotto le persone a cambiare il loro modo di rapportarsi nei miei confronti, sebbene abbia constatato che alcuni sono davvero leali.

Ho un cerchio alla testa, il diadema d'argento sembra essersi fatto troppo pesante... mi sento a disagio, stento a sorreggermi sulle gambe troppo a lungo fermo nella stessa posizione; non mi sono ancora ristabilito del tutto. Ho come la sensazione di vacillare in bilico su una corda tesa, come un funambolo maldestro. Sarà l'inquietudine: avverto tutti gli sguardi su di me, ma qualcosa mi mette in guardia dal cedere ai facili entusiasmi poiché l'essere osservati non è sempre sinonimo di buone intenzioni o approvazione da parte di chi guarda.

C'è troppo silenzio in aula, non si ode alcun mormorio. Non oso rivolgere un altro sguardo a quel Santo di Bronzo: ha insistito affinché gli stringessi la mano e mi rendo conto solo ora di come la mia si sia abbandonata, molle e appiccicaticcia, nella sua. Inetto che sono... anche in siffatte banalità riesco a distinguermi.

 ~

Il Sommo si presentò all'udienza sbucando dal solito accesso secondario occultato dai drappi cremisi. Era bardato nei paramenti, col volto coperto dalla maschera, e indossava il copricapo aureo investito dal riflesso di una flebile illuminazione. Il fruscio delle vesti e della cappa ondeggiante fu l'unico rumore a udirsi nel silenzio che pervadeva l'ambiente. Guadagnò lo scranno con la risolutezza che lo contraddistingueva, e si rivolse ai presenti con l'usuale formula prevista per gli annunci ufficiali. Richiamò poi i diretti interessati al suo cospetto, ed entrambi si allinearono ai due lati opposti della guida rossa, uno di fronte all'altro.

Dohko indugiò, prolungando quell'attimo di raccoglimento come nell'atto di organizzare i propri pensieri al fine di trovare parole adatte a ciò che voleva esprimere. Lo sguardo acuto – dietro la maschera – vagò, soffermandosi, per assicurarsi che nessuno mancasse all'appello; e dopo si posò sui due Santi: di Bronzo e d'Argento. Indossavano le rispettive armature come imponeva la regola. Uno contrapposto all'altro e contrastanti nell'aspetto.

“Ho dovuto rinviare la decisione a oggi, ed è stato un ritardo dovuto a circostanze sfavorevoli che tutti conoscete. Un periodo di cui ho approfittato per ponderare la scelta che concerne la designazione del mio successore.” Dohko rimosse la maschera, riponendola su di una mensola a lato del seggio dorato, e deglutì un sorso d'acqua dal calice che un'ancella gli aveva sporto su di un vassoio. In realtà non aveva sete, ma il suo era un gesto retorico che rientrava nelle consuetudini della formalità, funzionale alla necessità di prendere del tempo volto a trovare le parole giuste, appropriate. Non che gli importasse di come uno degli aspiranti avrebbe preso la notizia, era una sensibilità ben lungi da quel ruolo e dal proprio essere, tuttavia bisognava comunicarla nel miglior modo possibile. Maturare la scelta gli era risultato meno complicato del previsto, dopo aver valutato tutti gli elementi e le varianti a disposizione. Egli sospirò: non un muscolo contratto sul volto serafico su cui spiccavano due occhi profondi e attenti. Dohko non era solito trincerarsi dietro una maschera inespressiva e, sebbene ciò costituisse un'inadempienza al protocollo, era di sicuro un gesto apprezzabile, utile a testare la trasparenza delle sue decisioni e, forse, non del tutto lasciato al caso.

“Dalla sfida è emerso che le vostre tecniche, benché differenti, si bilanciano quasi in perfetto equilibrio. Sicché mi è parso inutile formulare un giudizio in cui si contempli la forza. Ho tenuto conto del fatto che Shiryu combattesse avvantaggiato dall'ottavo senso, mentre il suo antagonista – sebbene di rango superiore – disponesse a malapena del sesto a cagione delle mancate esperienze. Quindi, quantunque ai vostri occhi Shiryu fosse risultato vincitore, in realtà, non avrebbe avuto la meglio se l'avversario fosse stato di pari livello. E ho temuto per l'incolumità di entrambi.” I suoi occhi di giada si posarono per un istante sull'allievo, tradendo amorevole affetto, per poi indugiare sul di lui – non più – sfidante; scrutandolo come se volesse scandagliare nel profondo di quella mente insondabile. Distolse poi l'attenzione, resosi conto di averlo messo in imbarazzo.

“In verità avevo, già da molto tempo, ben chiaro in mente chi sarebbe stato il mio successore ideale, ma ho voluto concedere una possibilità anche al Santo di Lacerta... ” precisò, incontrando di nuovo quello sguardo.

Misty trasalì udendo tali parole, e i suoi occhi azzurri brillarono – vitrei – per poi eclissarsi dietro un battito di palpebre. Un nodo in gola. Un respiro profondo per infondersi una tranquillità inesistente... Sembrava un giudizio giusto, una conclusione plausibile che non lasciava spazio a diverse interpretazioni.

La sua disquisizione sancisce una verità sacrosanta, si disse Misty, abbassando lo sguardo sul pavimento di marmo levigato a specchio. Poteva quasi scorgervi la delusione impressa sul suo volto, congiunta allo sfolgorio degli elementi che componevano la corazza d'argento; la quale si accese per un istante, avvolta dall'intensità dell'aura sprigionatasi in virtù dei suoi sentimenti. Onorerò la mia... la costellazione che attualmente rappresento, si ripromise.

“Quindi, a prescindere dal diritto conseguito da entrambi di ereditare le Sacre Vestigia – in forza della prova data sull'Arena – , la mia scelta verterà sulla somma di esperienze acquisite nel corso delle relative imprese...” soggiunse Dohko.

Quali imprese? Io non ne ho compiute... il mio nome non è contemplato nella lista dei prescelti, lo so bene, si ripeté Misty, tra sé e sé, sospirando. Doveva essere forte benché avesse già pronosticato il verdetto figurandoselo più volte.

“Le Sacre Vestigia di Libra appartengono a Shiryu del Drago, di diritto, un diritto acquisito sul campo di numerose battaglie. Tra sette giorni si terrà la cerimonia d'investitura durante la quale a te, Shiryu, sarà consegnato lo scrigno, nonché potrai prendere dimora alla Settima Casa" concluse il Gran Sacerdote.

Un tacito assenso, uno sguardo sfuggente, e il Santo d'Argento si levò in piedi, indietreggiando, lasciando che gli altri si congratulassero col vincitore. Il peso dell'armatura divenne insostenibile per le sue membra stanche; avrebbe desiderato eclissarsi, liberarsi da quel fardello, svanire nel nulla, ma l'etichetta lo vincolava a rimanere in quel luogo a vivere l'incubo dei convenevoli e dei languidi sorrisi, delle false frasi di circostanza – melliflue. Non gli recavano conforto le parole di incoraggiamento che qualcuno stava spendendo per lui.

“Dovresti essere orgoglioso di te stesso, la dimostrazione di abilità che desti quel giorno ti ha riscattato dalle tue mancanze.”
Alzò la testa rivolgendo la propria attenzione verso la figura che lo sovrastava con la propria regale imponenza – quegli occhi profondi e sinceri: Saga...

“Ti ringrazio per la tua gentilezza" rispose al proprio interlocutore, diffidente, guardandosi intorno per dissimulare il proprio smarrimento, assorbito da altre preoccupazioni. Il suo maestro aveva mantenuto le distanze. Aphrodite lo aveva ignorato, lo stava ignorando – forse di proposito, e conversava imperterrito con i Santi della Quarta e Decima Casa.

“Sono sincero. Volevo congratularmi con te malgrado l'esito sfavorevole" continuò Saga.

“Grazie... e scusami, ma ero distratto.” Misty abbassò gli occhi sfilando il diadema che gli cingeva la fronte sudata, perché non riusciva a sostenere l'intensità di quello sguardo né il peso di tali parole. Si sottrasse a quell'accenno di conversazione, sfuggendovi, come avrebbero fatto granelli di sabbia tra le dita. Saga di Gemini lo osservò allontanarsi e scosse il capo, non poteva che intuire lo stato d'animo in cui versava e forse lui era la persona che meglio avrebbe potuto comprenderlo.

Si era generata confusione e i Santi avevano rotto le righe, l'atmosfera solenne aveva ceduto il passo al giubilo per il festeggiato. Era una buona occasione per sgattaiolare in sordina ma i parigrado erano riusciti ad avvicinarlo.

“Favoritismi. Sono solo favoritismi.”

“Asterion, non ho bisogno di essere consolato. Non ho bisogno che qualcuno trovi una giustificazione al mio fallimento.” Misty ammiccò con un mezzo sorriso stampato sul volto d'angelo, tranquillo, ponendo una mano sulla spalla del suo pari per rassicurarlo. E poi si voltò con disinvolta noncuranza adocchiando l'uscita secondaria.

“Non è da te accondiscendere a una decisione del genere senza reagire, ed è probabile che ciò sia dovuto al fatto che non ricordi nulla.”

L'altro sviò lo sguardo come volesse impedirgli di leggervi dentro: “E perché, Asterion? Il Sommo non mi ha sminuito con le sue parole, si è limitato a esporre l'esatto svolgimento dei fatti – testimoni tutti i presenti, e nessuno ha obiettato. A cosa mi servirebbe ricordare?”

“Non ti capisco, sei strano.”

“Non c'è niente da capire" rispose Misty, indietreggiando ancora, scambiandosi un'occhiataccia con Algol di Perseus – non si erano ancora parlati dall'ultima volta. Ancora un passo indietro ed era fatta: si fiondò dietro ai tendaggi e si dileguò all'ombra delle colonne percorrendo lo scalone di gran carriera.

 ~

Era nuovamente solo in quella stanza semibuia, ripiegò il mantello, si spogliò dell'armatura deponendo i singoli elementi nello scrigno, con deferenza, e lambì la superficie metallica con le labbra. Avrebbe incaricato un servitore di trasportarlo fino a valle poiché gli mancavano le forze. Si accostò alla parete, scivolando a sedere con le braccia avvolte attorno alle ginocchia, il capo chino. L'oscurità era così rassicurante, affine alla pace interiore che finalmente aveva ritrovato. Non bisognava più lottare per qualcosa o confidare in effimere illusioni. Gli impegni della vita quotidiana lo avrebbero assorbito, tutto sarebbe tornato alla normalità...

~

Aprì gli occhi, inglobato dal buio perenne, destatosi nel bel mezzo di un sogno che aveva obliato, e privo della cognizione dello spazio e del tempo. Ma si riebbe, realizzando che, sì, quella era la sua stanza, rivolta a Nord, dalla cui finestra si poteva ammirare la pineta che conduceva alla spiaggia. Era notte fonda ed era nel suo letto. Si girò sul fianco avvolgendosi nel lenzuolo.

Si risvegliò quando il sole era già alto e dischiuse gli occhi a fatica, avrebbe desiderato restare a dormire ma si era ripromesso di contrastare quella deleteria indolenza. Il tempo di rimettersi in sesto, recuperare la solita uniforme, e attardarsi a contemplare il proprio riflesso allo specchio: gli occhi blu – lapislazzuli – intrisi di malinconia e segnati da quel velo di stanchezza che accentuava il pallore del volto. Misty languiva nell'apatia come le rose appassite nel vaso dall'acqua torbida.

Lo stridere dei cardini della porta d'ingresso lo indusse a prendere coscienza della realtà, e si accinse controvoglia a dare una parvenza di benvenuto all'ospite inatteso. Rimase interdetto, non si aspettava una visita da quella persona, ma si riscosse con un battito delle ciglia per non dare a vedere la propria perplessità.

“Non hai perso l'abitudine di lasciarla aperta, vedo.”

“Sono un Santo di Athena, Aphrodite. Non vedo cosa dovrei temere" sbuffò, seccato.

“Oh ma nulla, infatti. Se non... che qualcuno violi la tua privacy quando tu non voglia, come ho fatto io adesso" esordì Aphrodite, irrompendo all'interno dell'abitazione con sfrontata disinvoltura, spargendo il consueto effluvio di rose. E fu in quel frangente che Misty vide il suo mentore recare un libro sotto il braccio. Si grattò il capo mentre l'altro si voltò, riponendo il testo, che avrebbe dovuto catturare la sua attenzione, sul tavolo.

“Ti dice nulla?”

Il principe Caspian... Misty spalancò gli occhi accorgendosi di aver lasciato trasparire il proprio stupore. Prese fiato, dopo aver vacillato e perso l'equilibrio, e si portò una mano al volto, con la sensazione di aver perso l'udito dalla parte dove era stato colpito a tradimento. “Che significa?” protestò.

“È il tuo turno di giustificarti.” Gli intimò Aphrodite con calma serafica, in quanto sembrava aver riversato tutta la tensione e la collera nella forza del proprio braccio. Provò un repentino pentimento a causa del gesto impulsivo – la violenza era un argomento che non gli apparteneva, ma sentirsi sbeffeggiato feriva il suo orgoglio, soprattutto se l'oltraggio proveniva da un Santo di rango inferiore.

“Sei davvero caduto in basso non ti riconosco, questo comportamento triviale, da osteria, non ti si confà. Non conosco quel libro e non capisco a cosa alludi.”

“Avendo già letto il primo volume sarebbe bene passare al secondo... chi credi di ingannare, per chi mi hai preso? Per un idiota, forse? I miei sospetti erano fondati, credi che non abbia notato la tua espressione alla vista del libro. Quando ti è tornata la memoria, da quanto tempo?”

“Non ti riguarda.”

“E invece, sì. Non uscirò da qui fino a quando non mi avrai dato una spiegazione, e dovrà essere convincente.”

“Se credi di estorcerla con la forza non otterrai nulla, rassegnati.” Udendo quella risposta Aphrodite impallidì e corrugò le sopracciglia; la fronte fu solcata, a un tratto, da linee orizzontali. Si chinò, sedendo a terra accanto a Misty, incapace di argomentare.

“Potrei confermare che fai bene a non fidarti perché ho sempre sfruttato gli altri per raggiungere i miei obiettivi, per esaltare me stesso. Non posso considerarmi una persona altruista. Ed è improbabile che un individuo così meschino possa cambiare, giusto? Vi compiacete tutti di voler affermare la vostra superiorità, e con ogni mezzo, a quanto pare” affermò Misty, dopo essersi inumidito le labbra con la lingua, e scoccandogli uno sguardo tagliente.

A chi si riferisce? Aphrodite sussultò dopo aver ponderato sul nesso di quell'affermazione, ma non ebbe il tempo di riflettere che altre parole lo travolsero come un fiume in piena.

“La memoria è tornata solo da qualche giorno, se questo può tranquillizzarti. Vuoi sapere perché l'ho tenuto nascosto? È semplice, sai?” continuò il discepolo, guardando nel vuoto e cogliendo il rammarico di chi non era più così tanto sicuro di voler sapere la verità. “L'ho fatto per capire chi fosse davvero sincero nei miei confronti, in un contesto che difetta di tale virtù” disse alzandosi in piedi.

Il Santo d'Oro si morse il labbro inferiore e strappò un filo di troppo che spuntava dal tessuto della tunica che indossava.

“Adesso che sei a conoscenza della verità puoi farne cosa vuoi, spiattellarla in giro se lo desideri. Io non ho più nulla da perdere. Né sogni né desideri da realizzare.” Misty si accostò allo specchio, scorgendo con orrore il vasto livido che stava fiorendo sulla guancia e deturpava la pelle bianca.

“È solo il divario gerarchico che mi trattiene dal ricambiare quest'affronto con gli interessi. Dimentica la mia esistenza" soggiunse, stringendo il pugno fino a far sbiancare le nocche, pur mantenendo il contegno misurato che lo contraddistingueva.

Aphrodite si levò in piedi a sua volta e gli girò le spalle, celando il proprio sconforto dietro un silenzio esaustivo carico di dolore e rimpianto. Richiuse la porta dietro di sé.

~

Si era ripromesso di tornare alle vecchie abitudini come se nulla fosse accaduto, avrebbe accantonato quella spiacevole parentesi della sua vita per ricominciare daccapo un'altra volta; sebbene quella non fosse la giornata ideale per attuare i buoni propositi. Non era cominciata bene.

Le persone coinvolte nelle attività agonistiche non avevano notato la sua presenza nella cavea. Misty aveva attraversato i settori al primo livello, guardandosi intorno, per poi incamminarsi in prossimità dell'emiciclo superiore dal quale avrebbe potuto seguire lo svolgimento delle esercitazioni senza dover interagire con gli altri. Le bende avvolte intorno alle mani e agli avambracci erano un accessorio del tutto superfluo. In questo non era cambiato, né sembrava avesse intenzione di farlo; i suoi pari conoscevano quelle abitudini ed evitavano di porgli domande a riguardo. Asterion, infine, riuscì a individuare la sua figura sottile defilata in un canto e, a distanza, gli rivolse un cenno di saluto; cosicché anche i Santi che si stavano affrontando nell'Arena notarono la sua presenza. Misty ricambiò la cortesia suo malgrado, anch'egli con un semplice cenno della mano, stirando appena le labbra in un sorriso forzato. Rivolse poi lo sguardo all'imponente sagoma dell'Anfiteatro, coronata dal loggiato che si stagliava contro il cielo terso.

“Stamane ho visto Pisces provenire da casa tua, sembrava abbastanza turbato.”

“Abbiamo avuto una discussione dalla quale sono emerse alcune divergenze, ma niente di irrisolvibile" spiegò Misty alzandosi in piedi, glissando sull'episodio. Era distratto dalla presenza di Algol che aveva scorto nell'Arena, insieme con gli altri. I suoi pensieri si rivolsero a lui pur senza darlo a intendere, aveva progettato di nascondere ancora per qualche tempo il fatto di aver recuperato la memoria. Sentiva il bisogno di starsene un po' in pace – riflettere – , non necessariamente rinnegare il recente passato. Sempre se... Aphrodite non avesse intenzione di spifferare tutto.

Solo una discussione?” esordì Asterion guardando il suo volto. Avrebbe voluto sfiorargli la guancia con la mano ma la nobile aura che, da sempre, accompagnava il suo pari lo persuase a mantenere un rispettoso distacco. Si limitò a contemplarne le fattezze sebbene la macchia bluastra, che campeggiava su quel candore di giglio, ne alterasse la perfezione.

“A volte pecca di impulsività, bisogna comprenderlo" rispose l'altro, sarcastico, aumentando il passo fino a giungere sul terrazzo per poi rallentare l'andatura, limitandosi a passeggiare entro il deambulatorio. Aveva sperato che la presenza di Asterion non attirasse qualcun altro da quelle parti, invece Algol li aveva già quasi raggiunti procedendo verso quello spazio riservato agli spettatori in piedi – vuoto in quel momento – che si poteva percorrere agevolmente in lungo e in largo. A quel punto Misty si aggrappò alla speranza che Asterion non si defilasse lasciandolo solo con l'incomoda presenza; ma il Santo di Canes Venatici aveva subodorato qualcosa, a modo suo, realizzando che forse entrambi avessero la necessità di scambiarsi due chiacchiere in privato.

Misty si rassegnò così a dover affrontare Algol da solo: impassibile, le mani sui fianchi, ma lo scrutò di sottecchi. “Cosa vuoi?” domandò anticipandolo, sapendo di averlo messo a disagio perché conscio del fascino esercitato su di lui – e su ognuno di loro.

“Congratularmi con te" ribatté l'altro, prontamente, con la solita boria che scaturiva dagli occhi grigi, arguti.

Zeus... anche tu! E per cosa!” esclamò Misty, e poi si voltò guardando in direzione delle persone che contendevano nell'Arena. Ravviò i capelli fingendo interesse per ciò che vedeva, al fine di distogliere l'attenzione del proprio interlocutore dalla sua persona.

“Per aver ingaggiato un duello dignitoso col mio antico rivale" incalzò Algol, imperterrito.

“Dignitoso?”

“Così è stato.”

Un momento di silenzio intercorse tra i due, un attimo in cui Misty si estraniò, assorto in un monologo interiore dal quale emersero alcune conclusioni che poi espresse a voce alta: “Peccato... mi dispiace di non essere riuscito a dar lustro alla nostra bistrattata Casta. Non sono riuscito a personificarmi nella tua nemesi.” Gli scoccò un'occhiata ferina e Algol, d'un tratto, smarrì la sua baldanza, in quanto tale affermazione gli ricordò stralci di un loro diverbio.

“Sei allibito, Perseus?” Il Santo di Lacerta non esitò a istigarlo. Inarcò le sopracciglia abbozzando un sorrisetto di sufficienza. “E non t'inganni" confermò, volgendo lo sguardo a terra, dopo essersi fatto serio all'improvviso.

“Tu ricordi la conversazione intrapresa in quel frangente?” Algol arricciò le labbra cambiando espressione.

“Non solo quella, e dovrei porgerti le scuse per come ti ho trattato in seguito.”

“Beh, io non sono stato da meno se è per questo.”

“È acqua passata, ormai" concluse Misty accostando la schiena a una colonna.

“Comunque insisto a volermi complimentare con te, avresti meritato il titolo.”

“La posta in gioco era troppo alta, ma ho tentato. Tutto sommato non me ne rammarico e mi accontento della mia posizione attuale, desidero ricoprirla al meglio.”

“Non lo avresti detto una volta.”

“Sono successe troppe cose, in breve tempo, che non so... mi hanno indotto ad accettare – non passivamente, intendiamoci – il mio ruolo. Per predestinazione o quant'altro, e non mi resta che onorarlo. Solo in questo modo potrò dar lustro alla nostra Casta.” Si lasciò scivolare fino a terra, accoccolandosi, per contemplare lo scorcio di cielo che faceva capolino tra le arcate a tutto sesto. “Vedi, Algol. In realtà non è necessario mostrare ciò che non siamo al fine di essere stimati. Non è l'essere ricoperto d'Oro e conseguire uno status più elevato a decretare il mio valore, o rendermi una persona migliore, ma ben altro. Forse non è stato tutto vano, forse questa storia varrà a far sì che gli altri riconoscano le mie qualità – a prescindere dall'esito della contesa. È ciò a cui maggiormente aspiro oggi.”

 

***

 

È una creatura fragile, lo è sempre stato... il suo cuore è puro, ed è sincero. È colpa mia, sono stato io ad averlo invischiato in quel pasticcio, gli dissi che possedeva il settimo senso, instillai false illusioni nella sua mente. L'ho trascinato in un confronto dal quale non sarebbe potuto uscire vincitore per una semplice questione di logica e predestinazione: Dohko lo sapeva e aveva ragione, ma io sono stato testardo e presuntuoso. Sapere che Misty ha dato del suo meglio non è servito a compensare la mia delusione. Perché sì, Aphrodite, ti sei sempre preoccupato solo delle apparenze...

Se il mio allievo avesse ottenuto le Sacre Vestigia d'Oro ne avrei beneficiato di riflesso, avrebbe dato lustro anche alla mia immagine, ed è questo ad aver scatenato la mia reazione – non c'entra il fatto che mi abbia nascosto di aver recuperato i ricordi. Questa è la verità. Sono un mostro. Il marciume che si cela dietro una facciata di brillante rettitudine.

Si fermò dinanzi alla Settima Casa, assicurando la spilla sul mantello avvolto intorno alle spalle, approfittandone per sfilarsi i calzari e rimuovere un sassolino che si era introdotto all'interno. I pensieri che irrompevano a sconvolgere la sua serenità smisero di fluire ininterrottamente. Silenzio. Non si era reso conto della velocità con cui aveva intrapreso il cammino e ora sentiva le tempie pulsare e il cuore scoppiare nel petto. Si era seduto all'ombra di una quercia, su un blocco di marmo, prendendo fiato, e aveva preso a osservare, senza volerlo, i preparativi che fervevano per rendere accogliente quella dimora; un cospicuo numero di servitori e ancelle si stava adoperando a quello scopo. L'edificio sacro aveva un aspetto singolare che differiva dalle consuetudini del luogo; sarebbe stato un Tempio come tutti gli altri, caratterizzato da elementi compatibili con l'architettura classica, se non fosse stato per quella sorta di cupola dalla copertura a spiovente che rimandava a uno stile tipico della cultura orientale...

Aphrodite si destò da quel rimuginare a occhi aperti. Aveva sondato nel proprio animo riscoprendo un altro se stesso: il mio alter ego, sentenziò prendendosi la testa tra le mani per poi riscuotersi, levandosi da quel monolite. Si avviò verso i livelli superiori, stavolta attenendosi a una lenta andatura in modo che la brezza asciugasse il sudore filtrando attraverso gli indumenti. L'aria gonfiava l'ampio mantello di cotone scompigliandogli i capelli. Si fermò volgendosi indietro, non aveva mai notato quanto fosse ripida la scalinata che si snodava alle sue spalle; la quale lambiva – serpeggiando – i Templi arroccati sulle pendici a strapiombo del monte. Fu colto dalle vertigini e si empì i polmoni d'aria incamminandosi nuovamente. Oltrepassò l'Ottava e la Nona Casa, infine giunse sulla soglia della Decima. Si scambiò un cenno formale con Capricorn, il quale gli consentì il libero accesso. Ma Aphrodite e Shura non erano solo commilitoni bensì buoni amici, e quest'ultimo si avvide che qualcosa turbava il Custode del Tempio di Pisces; tuttavia non intendeva chiedergli perché avesse deciso di avventurarsi fino a valle per ritornare così abbattuto.

“Hai fretta?”

“No, perché me lo domandi? Lo sai benissimo che – salvo diverse disposizioni o impegni quotidiani – le nostre giornate sono poco intense. È un periodo di pace e mi auguro che duri a lungo" rispose Pisces emettendo un sospiro. Scostò i capelli dal volto sudato e sganciò la spilla appuntata alla stoffa del manto facendolo scivolare lungo le spalle, sedendosi su un gradino della rampa.

Shura prese posto al suo fianco, con i gomiti sulle ginocchia e il mento appoggiato sulla mano. Non disse nulla e si limitò a contemplare lo scorcio sulla vallata verdeggiante; il cielo color cobalto velato da qualche candida nube sospinta dal vento...

“È per Misty?” esordì poco dopo, soffiando sul ciuffo di capelli neri – come ali di corvo – che gli solleticava la fronte.

“No, è a causa di me stesso" replicò lo svedese abbassando gli occhi, lasciando vagare lo sguardo lungo i gradini di pietra sottostanti.

“Non credo tu abbia sbagliato. Hai agito umanamente, le tue intenzioni erano buone...”

“Credo di non averlo fatto per lui, ma a causa della mia vanagloria.”

“Non penso. Ecco, la verità è che ti senti turbato per l'insuccesso del tuo allievo... e credi di esserne responsabile.”

“Avrei dovuto intuire che non ce l'avrebbe fatta, era scontato che Shiryu non fosse un avversario alla sua portata... eppure mi ero auto convinto del contrario. Come se fosse tutto un gioco.” Aphrodite si strinse nelle spalle.

“Ascolta... se Dohko avesse ritenuto la tua proposta una follia non avrebbe acconsentito alla sfida. Se lo ha fatto è perché si poteva fare. Lui stesso sostiene che lo scontro si sia risolto in parità. In merito alle Sacre vestigia d'Oro, non ha fatto che maturare la sua scelta decisiva semplicemente per una questione di giustizia nei confronti di Shiryu.”

Aphrodite tacque riflettendo sulla considerazione appena udita, ma si astenne dal replicare lasciando che il suo pari – quel giorno stranamente loquace – concludesse il discorso.

“Forse hai preteso l'impossibile dal tuo discepolo. Hai preteso molto da lui, come sei sempre stato troppo esigente verso te stesso.”

“Sono un idiota.”

“La perfezione non è di questo mondo. Gli avvenimenti del passato ne sono la prova più eclatante. E se hai commesso una mancanza puoi sempre riparare, se hai offeso qualcuno puoi sempre scusarti con lui" replicò Shura, avvicinandosi alla verità come se fosse stato in grado di sondare nei meandri della sua mente.

Aphrodite materializzò una rosa rigirando lo stelo tra le dita esili: “Quando un vaso si rompe puoi provare a rimettere insieme i cocci, ma la forma ottenuta non sarà mai più come quella originale. Temo che non ci sia rimedio questa volta" disse annusando il dolce profumo del fiore... gli occhi stretti a fessura.

 

***

 

IX

 

Epilogo

 

In altri tempi avrebbe rifuggito l'avvento di quel giorno come un calice amaro. Sospirò senza rimpianti, aveva forse riscoperto se stesso? Riesumando quella piccola parte umile e razionale del proprio sé che languiva quiescente nell'animo? Si soffermò poco prima di raggiungere la rampa di scale che si inerpicava, dalla Prima Casa, su per il monte; e sistemò il mantello che ricadeva lungo le spalle, privo di pieghe antiestetiche, scivolando sull'armatura d'argento lambita dai raggi del sole. Misty sapeva che quella parvenza di serenità non sarebbe durata a lungo; si conosceva, aveva appreso – mediante le proprie disavventure – di non essere così perfetto, ma invidioso, fragile ed emotivo. Tuttavia sarebbe sopravvissuto allo smacco, le Sacre Vestigia d'Oro sarebbero state assegnate a un altro Santo ma lui ne era uscito a testa alta, se lo ripeteva all'infinito per convincersene.

Non pensava di essere in ritardo ma, fatto ingresso al Tredicesimo Tempio, vide già buona parte dei convenuti. Ravviò una ciocca di capelli, ricaduta sul volto pallido che avvampò a causa di un colpo di calore improvviso. Forse non si era reso conto di aver percorso il tragitto a passo sostenuto, sopraffatto dall'ansia inconsapevole. Gli indumenti a contatto con la pelle erano fradici di sudore e, malgrado ciò, si ricompose, allineandosi accanto ai suoi pari nella postazione loro riservata. La presenza delle persone che gli erano state più vicine nei momenti bui lo rasserenò.

Guardò verso il lato opposto della sala dove stazionavano i Santi d'Oro: figure imponenti che si stagliavano nella penombra – smorzata appena dalla debole illuminazione. Aphrodite era tra loro: la chioma fluente gli ricadeva lungo le spalle e le Sacre Vestigia di Pisces sembravano disegnate appositamente per lui, a giudicare dalla grazia con cui valorizzavano la sua figura. Come al solito si distingueva, ma Misty si voltò dall'altra parte. Non aveva nessuna intenzione di rimangiarsi la parola data e tra i due sarebbe intercorso un rapporto puramente formale, nulla di più.

Abbassò un poco lo sguardo sui piedi, calzati in stivali e schinieri d'argento; sul pavimento di marmo che rimandava il riflesso delle immagini soprastanti. Uno sguardo che, subito dopo, vagò volgendosi a contemplare il fondo della sala le cui mura erano rivestite da drappi sanguigni, davanti ai quali si stagliavano i due seggi riservati al Gran Sacerdote e ad Athena.

Al centro dell'aula si ergeva un basamento su cui era deposto un oggetto cubico celato da un drappo di velluto.

L'odore d'incenso era intenso e gli solleticava il naso, Misty trattenne a stento uno starnuto asciugandosi una lacrima.

Mancava qualcuno all'appello ed erano i cinque eroi, i Santi di Bronzo. Se ne avvide solo nel momento in cui fecero la loro comparsa dal portale principale, come meteore nella solenne semioscurità. Possibile che fosse talmente assorto da non essersi accorto della mancanza di Shiryu? Quest'ultimo comparve subito dopo e fu accolto da applausi scroscianti – congiunto alla sua apparizione – si palesò anche Dohko, seguito da Athena. Saori Kido si ripresentava dopo una lunga assenza... vestita di candida purezza, adorna d'oro: uno sguardo risoluto spiccava sull'incarnato alabastrino di fanciulla.

Misty chinò il capo senza volerlo, quella presenza lo aveva messo in imbarazzo. È bella... si disse dopo aver osservato per la prima volta la persona, anziché i gioielli che indossava. Una giovane donna, fragile all’apparenza, ma con un'enorme responsabilità sulle spalle. Come ho potuto non pensarci prima? Ero troppo preso dalla smania di protagonismo... lei mi ha perdonato senza pretendere alcuna scusa. Non posso guardarla, mi vergogno; Saori Kido è Athena, la vera Athena.

“Hai la testa tra le nuvole?”

“No, Asterion. Ero sovrappensiero.” L'orgoglio gli impedì di svelare quale fosse l'oggetto delle sue riflessioni. Si destò, elevando il capo per prestare la giusta attenzione alle persone che stavano dando inizio alla cerimonia d'investitura.

Il Sommo si approssimò al basamento dove era riposto lo scrigno e rimosse il drappo che lo ricopriva. Finalmente, chi non lo aveva mai visto poteva ammirarlo. Misty sgranò gli occhi, sbalordito, lui era tra quelli che non l'avevano mai contemplato.

“Shiryu, vieni qui.”, disse Dohko. “Le Sacre Vestigia che hai già onorato in passato non esiteranno a riconoscere il legittimo possessore.”

In risposta vi fu silenzio, il brusio si era quietato all'istante per consentire a Shiryu di entrare in sintonia col simulacro della costellazione di appartenenza. Il Santo di Bronzo annuì dirigendosi verso l'altare che era stato approntato per l'occasione, e mormorò qualche parola in segno di rispetto.

...

Le Sacre Vestigia sembravano prive della scintilla divina che albergava in esse, come se fossero costituite da una lega senza valore. Shiryu mantenne la calma proverbiale, e altrettanto fece il suo maestro il quale, perplesso, si grattò il mento. Bisogna pazientare, si disse. Potevano sussistere infinite ragioni per cui l'armatura non riconoscesse subito il possessore. Lo scrigno era freddo come il marmo, non emanava alcuno sprazzo di luminosità. Dohko ritrasse la mano dopo averlo toccato, e iniziò a passeggiare – adagio – un po' per alleviare la tensione, dopo aver riposto in un canto la clamide che gravava sulle spalle poiché stava sudando sotto i paramenti.

“È comprensibile che tu sia teso, Shiryu. Ma devi essere paziente.” Si era rivolto al discepolo. “Non innervosirti.” Lo esortò a mantenere i nervi saldi, ancora una volta.

Lo scrigno non dava segni di vita. Dohko rilevò la stessa apprensione anche sui volti, esterrefatti, dei Santi di Bronzo, e una comprensibile perplessità in tutti gli altri. Si propose di attendere prima di sciogliere l'adunanza, avendo constatato che le loro aspettative sarebbero state deluse. Si era spazientito anche lui ma non doveva darlo a vedere. Sondò in quei volti e i suoi occhi profondi si posarono sul giovane Santo d'Argento; ma sorvolò senza indugiare oltre, voltandosi per ripercorrere il perimetro dell'area con placida tranquillità. L'attesa si stava prolungando, spasmodica, e sembrava davvero preludere a un esito inconcludente.

Shiryu fu sul punto di percuotere l'ammasso di ferraglia inerte, ma sfoggiò un contegno imperturbabile malgrado avesse i pugni serrati allo spasimo. Aleggiò ancora silenzio, fino al momento in cui la presa di posizione del Sommo non infranse l'atmosfera sospesa, alquanto bizzarra e surreale. Aveva preso una decisione sofferta: un tentativo, un'opzione alternativa in extremis, poiché l'armatura non poteva restare vacante ancora a lungo.

“Lacerta" proruppe, sbucando da dietro una colonna del peristilio a braccia conserte. “Togliti l'armatura.”

Misty esitò, spalancando gli occhi e fissandolo come se stesse farneticando.

“Non farmi perdere la pazienza anche tu, e fa' come ti ho detto.”

Shiryu aggrottò le sopracciglia scure, serrando le labbra sottili in una smorfia di disappunto; molti, in quel frangente, espressero la medesima contrarietà che si palesò dai loro volti o da un sommesso imprecare tra i denti. Il Gran Sacerdote esortò il consesso dei Santi al silenzio, era ormai irremovibile e non sarebbe tornato sui propri passi. Misty, da parte sua, avendo udito la precedente imposizione, avanzò di qualche passo - oltre la linea demarcata dalla presenza dei commilitoni - e guadagnò lo spazio necessario per effettuare l'operazione. Il volto gli si imporporò, imperlandosi di sudore. Non si sentiva affatto tranquillo ma sfilò dapprima il diadema per poi procedere, con lentezza, a rimuovere ogni singolo elemento dell'armatura: i bracciali, il pettorale, la fascia metallica che gli cingeva la vita, e via dicendo. Sapeva che quella flemma avrebbe infastidito il Gran Sacerdote, già spazientito, ma non si lasciò influenzare dalla sua malcelata insofferenza. Il colore rosa degli indumenti sottostanti sembrava risaltare senza la protezione dell'armatura, particolarità che indusse qualcuno a sorridere...

Dohko soprassedette ignorando il particolare che aveva suscitato l'ilarità degli altri, facendogli cenno di avvicinarsi in prossimità dello scrigno; al che voltò le spalle ai presenti per raggiungere il proprio seggio e occuparlo. Prese un respiro rimuovendo il copricapo aureo e deponendolo con cura sulla solita mensola. Quel ragazzo non è concentrato, chissà dove ha la testa... dedusse tamburellando con le dita sul bracciolo del trono.

Misty incontrò il suo sguardo e lo fissò come se ne avesse captato i pensieri più reconditi, ma in realtà era più preso dai propri timori, quasi il momento dell'ennesima prova avesse l'effetto di deprimerlo anziché rallegrarlo. Provò a concentrarsi, abbassò le palpebre per poi riaprire gli occhi cerulei e sondare tra le scanalature dello scrigno, contemplando le incisioni che ne riproducevano la simbologia sacra. Rapito, estasiato da tanto splendore.

Il manufatto baluginò percorso da un guizzo di vita, da una luce in grado di fendere l'oscurità più profonda. E non fu solo Misty a percepire il fulgore che si era sprigionato dall'oggetto di forma cubica: lame di luce si proiettarono a raggiera investendo di chiarore immacolato ogni anfratto occultato alla vista; lui stesso ne fu avvolto senza subirne l'abbaglio, bensì pervaso da una serenità ineffabile e da un calore tale da contrapporsi al gelo che gli induriva il cuore. Dai singoli lati dello scrigno si era aperto uno spiraglio e il suo contenuto si animò come permeato da pura energia, le varie parti si scomposero per ricomporsi dopo aver aderito singolarmente alle membra del Santo.

Un brusio sovrastò il silenzio sacrale per poi zittirsi in un istante. Il bagliore si attenuò svelando agli occhi dei Santi il loro compagno bardato d'oro...

“Sei stato scelto" sentenziò Dohko. “Le Sacre Vestigia di Libra hanno scelto il possessore. Sono certo che saprai onorarle, in quanto consapevole della responsabilità che grava su chi custodisce le dodici armi di cui l'armatura è dotata" dichiarò con voce stentorea. Gioiva, composto, poiché le Sacre Vestigia non potevano più dirsi vacanti, ma non poteva definirsi del tutto entusiasta. Allungò una mano riprendendo il copricapo, senza abbandonare il proprio soglio. Indugiò lasciando che l'impeto dei pensieri lo travolgesse per qualche istante: l'affetto per l’allievo non aveva impedito al destino di seguire il suo corso, quel fato al quale sembrava aver voluto anteporre i suoi desideri. Già, i suoi desideri... perché in cuor suo aveva anelato che Shiryu ereditasse l'armatura di Libra, scavalcando la volontà del simulacro stesso e dando per scontato il risultato. Di conseguenza aveva infranto una promessa: gli sovvenne la promessa fatta a Misty – in merito a una scelta che avrebbe dovuto essere imparziale.

Saori fu la prima persona a infrangere il silenzio che seguì all'episodio, scostò i capelli dalle spalle, depose lo scettro tempestato di diamanti e si levò dal proprio scranno. Si udì solo il fruscio degli abiti, e il tintinnio degli ornamenti bagnati dalla tenue luce che rischiarava la sala; il lento incedere dei suoi passi.

La dèa raggiunse il Santo reduce dall'inattesa investitura: lo scrutò con la consapevolezza che l'epilogo, per molti insolito e inaspettato, non fosse casuale. Misty si smarrì in quello sguardo condiscendente, avrebbe proferito frasi fatte e di circostanza ma esse gli morirono sulle labbra e indugiò con gli occhi languidi, inebetito. Furono istanti di esitazione fino al momento in cui la donna non protese le mani a cingere quelle del Santo, il quale si prostrò davanti a lei. La fanciulla gli sfilò l'elmo dorato, lasciando ricadere i boccoli biondi sulle spalle, al fine di posargli un bacio sulla fronte. Fu Saori a dissipare i dubbi dei convenuti: i Santi non avevano memoria della risolutezza che trasparì dal suo gesto.

“Le esperienze non abbracciano soltanto un percorso di rinunce materiali, e avversità per quanto concerne la sfera fisica, ma sono anche di natura spirituale" esordì rivolgendosi ai presenti. “Il tuo è stato un cammino di crescita interiore che ti ha reso degno dello status acquisito quest'oggi" soggiunse, porgendo nuovamente l'elmo al Santo di Libra.

Misty sbatté le palpebre, gli sfuggì una lacrima di commozione che gli rigò le guance; ma si riebbe dall'emozione volgendosi per sondare le singole espressioni degli astanti – consapevole che le parole della dèa non avrebbero dato luogo a contestazioni.

Era gratificante vedere la sconfitta sui volti di chi lo aveva sminuito, umiliato, il loro imbarazzo; scorgere il sembiante del proprio mentore trasfigurato dalla costernazione gli infondeva un insano piacere – forse era una cattiveria, ma non si doleva di ciò nel frangente in cui sembrava essersi riscattato dalle proprie vicissitudini. Avrebbe pagato per vedere la faccia di Marin, e si rallegrava nel porsi con orgoglio dinanzi agli ex parigrado. A dispetto del risvolto preso dalla vicenda, Dohko gli parve stranamente sereno, l'intervento di Athena l'aveva tolto d'impiccio.

Con la coda dell'occhio scandagliò alla ricerca della propria immagine riflessa dagli specchi sullo sfondo, ma la Sala delle Udienze era poco illuminata e non era il momento di abbandonarsi alla vanità. Si limitò a tacere, una sorta di accettazione in risposta all'incredibile epilogo della vicenda. Stette ad ascoltare le ultime parole del Sommo, il quale – laconico come non mai – sembrava non volersi sbilanciare con le lodi. Ciò lo indusse a riscuotersi dalle fantasie, dai sogni a occhi aperti, e ritornò con i piedi per terra con la triste parvenza di una vittoria a metà per la quale non riusciva a gioire di piena soddisfazione.

“Dal momento che le sorti delle Sacre Vestigia sono state decretate dichiaro sciolto il consesso; la serata potrà proseguire con i festeggiamenti...” concluse Dohko.

~

Aveva da tempo appreso come l'oscurità notturna fosse rassicurante, di come aprisse le porte alla disamina obiettiva dei singoli pensieri; sciogliesse i dubbi e lenisse l'inquietudine.

Misty avvolse una ciocca di capelli intorno al dito, aveva un dolce profumo, il profumo di fiori di cui era impregnata l'aria. In tutto il Tempio si spargeva l'essenza dei narcisi – una particolarità che avrebbe dovuto farlo sentire a casa ma, in verità, chissà quando sarebbe riuscito ad assuefarsi al cambiamento; all'idea di essere assurto a un livello superiore, anche in termini di responsabilità. Ciò lo intimoriva, facendo leva sulle sue insicurezze più profonde, ma poi osservò il Totem di Libra esposto nel naos, e sulla superficie brillò una scintilla di luce all'unisono con quegli interrogativi. Misty accennò un sorriso: questo dovrebbe rassicurarmi.

Si diresse all'esterno, sul terrazzo, nelle immediate vicinanze della rampa di accesso al Tempio, per contemplare la volta celeste punteggiata di stelle e individuò la mite luce degli astri che delineavano il simbolo della sua costellazione. Appoggiò le mani sulla balaustra di marmo e chiuse gli occhi, concentrandosi sui rumori notturni, inspirando l'aria fresca.

Un odore familiare e alcuni passi lo sottrassero alle proprie riflessioni. Affondò gli incisivi nel labbro inferiore, trattenendo il primo insulto che gli passò per la mente e, tutto sommato, soffocò il risentimento subito dopo aver scorto il volto etereo del suo mentore. Non proferì parola aspettando che fosse lui a prendere l'iniziativa.

Aphrodite si soffermò a breve distanza, con gli occhi fissi, a contemplare il fanciullo efebico la cui fronte era ancora cinta di alloro.

“Nessuno avrebbe scommesso una dracma su di me... La vita ci proietta verso scenari inaspettati, ma molto probabilmente le cose non cambieranno; forse non cambierà la percezione che molti hanno di me, ma non importa" esordì Misty, riprendendo la ciocca di capelli tra le dita, ed era un gesto infantile che riproponeva in modo compulsivo quasi senza rendersene conto. “Non so se sentirmi felice, non so se è questo che desidero realmente.” Si confidò, accostandogli le labbra all'orecchio, ma Aphrodite gli afferrò il polso con dolcezza.

“Hai avuto la conferma di esserne degno, non dovresti più nutrire dubbi. Non conta quello che pensano gli altri." Gli rispose, posando di nuovo lo sguardo sulla sua figura aggraziata, rivestita dal velo della tunica bianca, cinta da una fascia intrecciata di fili d'oro. Aveva intuito che il discepolo avesse messo da parte ogni rancore nei suoi confronti evitando di menzionare il diverbio avvenuto tra loro, quel malinteso che li aveva indotti ad allontanarsi.

“Sai Søren, ho come la sensazione che quando si ottiene ciò che si è desiderato a lungo ci si sente svuotati. Privi di ogni altra ambizione, forse insoddisfatti, è così?”

“E tu cosa vorresti realmente?”

“Non lo so... mi sono sempre e solo preoccupato di ergermi su un piedistallo.”

“Dunque, vuoi solo apparire?”

“L'apparenza è solo mera gratificazione personale, ma in realtà mi sento vuoto.”

“Non sei vuoto sei solo confuso, intimorito dalle alte aspettative che gli altri hanno su di te, ma non temere perché imparerai a soddisfarle per te stesso e a essere felice.” Gli prese poi il volto tra le mani, sfiorandogli le labbra con un bacio: una sorta di omaggio feudale che non recava in sé alcuna malizia. Misty seppe cogliere la cortesia insita nel gesto e non si ritrasse... tacque e lo lasciò parlare.

“Hai meritato ogni cosa, devi solo convincertene." Lo rassicurò Aphrodite.

 

 

 

 

 

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Saint Seiya / Vai alla pagina dell'autore: PiscesNoAphrodite