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Autore: LeanhaunSidhe    18/06/2019    8 recensioni
La lama brillava ed era sporca. Imuen girò il taglio della falce verso la luna e ghignò incontrando il proprio riflesso. Si sentiva di nuovo vivo. Non distingueva il rosso dei suoi capelli da quello del sangue dei suoi nemici. La sua voce si alzò fino a divenire un urlo. Rideva, rinato e folle, verso quel morto vivente che era stato a lungo: per quanto era rimasto lo spettro di se stesso? Voleva gridare alla notte.
È una storia con tanto originale, che tratta argomenti non convenzionali, non solo battaglia. È una storia di famiglia, di chi si mette in gioco e trova nuove strade... Non solo vecchi sentieri già tracciati... PS: l'avvertimento OOC e' messo piu' che altro per sicurezza. Credo di aver lasciato IC i personaggi. Solo il fatto di averli messi a contatto con nemici niente affatto tradizionali puo' portarli ad agire, talvolta, fuori dalla loro abitudini, sicuramente lontano dalle loro zone di comfort
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aries Kiki, Aries Mu, Aries Shion, Cancer DeathMask, Nuovo Personaggio
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Ballata dei finti immortali'
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I burattini del domatore dei morti si bloccarono lentamente, lasciando andare i presenti. Sbiadirono. Disparvero del tutto. L’aria si stava placando in fretta dell’energia satura di ostilità. Il corpo di Imuen, avvolto dalla sua aura scura, tornava eretto e privo di peli: alla pelliccia si sostituiva la corazza. Il suo viso era tirato ma decisamente meno minaccioso, mentre si rivolgeva a Shion ed al resto degli ospiti.

“Vi avevo avvertiti, al vostro arrivo: questa è la corte dei miracoli.”

Osservava Zalaia che, sconcertato, si stava svegliando in fretta, ancora non del tutto cosciente di quanto fosse realmente accaduto. Come temeva, gli ateniesi non avevano gradito quella messa in scena ma Haldir era stato chiaro: voleva testare il lemuriano più giovane e, per risparmiare tempo, avrebbe sottoposto anche l’allieva all’ultima prova. La ragazza necessitava per forza di un’arma che ne esaltasse il potere ma le permettesse di controllare anche la sua natura ibrida. Seleina non era Zalaia. Per lei non andava bene un’armatura. Era necessario qualcosa che, quando fosse tornata umana, avrebbe funzionato come sigillo, altrimenti sarebbe sempre stata in balia del sangue che aveva ereditato dal gemello ed inconvenienti come quello con Kiki avrebbero potuto ripetersi. Teneva d’occhio proprio il cavaliere dell’altare. Il suo potere, in effetti, si era dimostrato quasi smisurato. In ogni attimo, Haldir aveva dovuto impiegare quasi la metà delle proprie energie per tenergli testa. Certo, il gemello non era in piena forma ma restava comunque un essere superiore. I fatti l’avevano dimostrato: quel ragazzo era tremendamente potente.
Individuò il gemello che precedeva quei tre che, ancora, si attardavano, confusi da quanto era appena successo. Lo trovò stanco, spossato. Le sue peregrinazioni e l’ultimo scontro, dopotutto, l’avevano indebolito. Glielo leggeva nel viso torvo che avrebbe voluto solo riposare, invece che perdere tempo in convenevoli, lì con loro. Raccomandò a tutti che, se ci tenevano alla vita, lo lasciassero passare senza disturbarlo. Ci scambiò un rapido cenno: era quanto di più simile il suo consanguineo avesse per esprimere un grazie. Bloccò il Gran Sacerdote, prima che lo intercettasse.

“Alle tue domande, umano, posso rispondere io.”

Sicuramente, Shion non percepiva un pericolo in loro ma il loro modo di agire, subdolo ed imprevedibile, era inammissibile. Fu l’intuito, però, più che le parole a suggerirgli di dover e poter attendere. Ordinò a Kanon e Shaka di stare tranquilli e farsi da parte. Non obiettò, quando gli fu chiesto di conferire in privato. Mentre veniva guidato in un posto più riparato, visibili ma lontani da orecchi indiscreti, il domatore delle anime dei morti aveva fatto un cenno a Zalaia, perché li raggiungesse. Poco prima che questo giungesse, gli era stato fatto giurare che, su quanto stavano per discutere, avrebbe dovuto essere mantenuto il più stretto riserbo. Quando il giovane gli fu di fronte, Shion si convinse una volta di più di aver fatto centro. C’era troppo, in lui, del cavaliere della quarta casa. Vide il Dunedain poggiargli la mano sulla spalla, in un modo che sembrava ben più paterno che da maestro, come se avesse voluto placarlo o proteggerlo da quel che, presto, ci sarebbe stato.

“La prima volta che ci siamo incontrati, mi hai chiesto che segreto nascondesse il mio allievo. Non ho intenzione di confermare ciò che già sai per certo. Voglio solo
chiederti che possa allenarsi per qualche giorno con chi ha un cosmo simile al suo.”

Come c’era da aspettarsi, il giovane, che non aveva battuto ciglio per aver ricevuto un pugno ingiustificato in pieno stomaco, essere stato manipolato come gli altri durante la prova dell’allieva di Haldir, aveva iniziato subito ad alterarsi. Era scattato verso il maestro, inviperito, immediatamente combattivo. Era ovvio che non avrebbe mai accettato una situazione del genere. Aveva alzato la voce.

“Preferisco cacciarmi un ferro rovente in gola piuttosto che vedere ancora la faccia di quella carogna.”

Imuen aveva cercato in tutti i modi di fargli cenno di star calmo, che si erano allontanati proprio per non far sapere gli affari propri a tutti.

“Quella carogna è e resta tuo padre.”

Quelle parole lo colpirono come la più dura delle accuse. Purtroppo, però, erano la verità.

“Padre non è chi ti dà i natali ma chi ti cresce. Se non fosse per la differenza di rango, chiamerei voi padre senza vergognarmene. Insieme a mia madre, voi mi avete cresciuto ed educato ad essere quello che sono. Quella carogna, quando io e mia madre ne avevamo bisogno, non l’ho mai vista.”

Stava per rispondere Imuen ma fu Shion a precederlo. Gli ricordò che, fino a poco tempo prima, erano tutti intrappolati, Death Mask compreso. Zalaia si era infuriato ancora di più. Non voleva sentirne nominare neppure il nome.

“Quella carogna ammazzava bambini! Forse tra voi simili elementi sono tenuti in considerazione, visto che vi siete fatti comandare a bacchetta per tredici anni da un assassino sadico e schizofrenico. Ma da noi no.”

Si era scaldato ancora di più, battendo il piede a terra.

“Come avrete notato, non ci sono ricchezze tra i Dunedain. L’unica cosa che conta, per noi, sono i nostri cuccioli, la nostra gente. Voi esaltate demoni come Kanon, Saga e Death Mask. Combatteremo fianco a fianco in questa battaglia. Basta. Non voglio altri legami con ipocriti ed assassini come voi.”

Non era facile controbattere a tutte le accuse, perché, in parte, erano basate sulla realtà. Shion, però, non era disposto ad accettare che si facesse di ogni erba un fascio.

“Non siamo tutti come ci accusi di essere, ragazzo. Anche al Grande Tempio esistono pene per chi compie abomini come quelli che hai citato. E’ vero, nelle nostre fila si era infiltrato il male ma è stato respinto. Noi sappiamo cosa è il perdono.”

Più aveva davanti quel giovane, più aveva l’impressione che fosse solo un’anima che avesse sofferto e necessitasse di sicurezze.

“La dea Athena non offre perdono se non c’è redenzione. Mai nessuno fra noi ti assocerebbe al male che ha compiuto in passato tuo padre. Perché sul tuo agire c’è solo onore. Non hai nessuna colpa per il sangue che hai ereditato.”

Lo vide negare, sputare in terra, disprezzare le sue belle parole.

“Che ne sapete, voi, dell’eredità del sangue? Strappate anche i figli alle madri con la scusa che sono predestinati: quanti non diventano cavalieri, li lasciate morire. Non osare parlare ad un Dunedain dell’eredità del sangue, quando vi trincerate dietro agli ideali e ve ne fregate apertamente di tutto ciò che è famiglia.”

Zalaia aveva materializzato la falce e la impugnò, fiero, sbattendogliela davanti.

“Le persone non sono ideali, Gran Sacerdote, sono persone vere. Quando noi imbracciamo un’arma, lo facciamo solo per proteggerci e proteggere. Noi difendiamo persone reali, con un cuore che batte..”

Shion aveva sorriso, chinando il capo.

“Allora, il desiderio di tua madre, di volerti ad ogni costo in vita, puoi ben capirlo.”

Fu afferrato per il collo, che aveva nominato chi non avrebbe mai dovuto osare. Prima che iniziasse a stringere, Imuen lo aveva bloccato. Gli rivelò della passeggiata di Mnemosine per il Santuario di Atene, della sua richiesta a Death Mask, trattenendolo a fatica.

“Sarebbero pochi giorni, ragazzo. Sei già molto forte. Si tratta semplicemente di affinare la tecnica.”

Lentamente, tremando, Zalaia era riuscito a placare la rabbia. Aveva lasciato andare con uno scatto stizzoso l’uomo che ghermiva. Aveva accettato. Solo per sua madre.
Il discorso del suo maestro e quell’odioso sacerdote, per quanto sgradevole, era stato cristallino e lui, messo alle strette per via di sua madre, aveva accettato. Se proprio doveva lasciare il campo, pretendeva però di chiarire, una volta per tutte, le questioni in sospeso. Aveva raggiunto Seleina che ancora si attardava con quei lemuriani. Al malumore che già aveva, si aggiunse pure quel fastidio.

“Devo parlarti un attimo.”

Aveva comunicato alla ragazza, senza degnare quei due di attenzione. Aveva avuto modo di conoscere entrambi, poiché tutti e due avevano transitato nella loro infermeria. Quello vestito d’oro, appena l’aveva conosciuto, gli era andato sulle scatole per l’intimità con cui gli sembrava di averlo visto con Seleina; quello vestito d’argento, di cui all’inizio credeva di non doversi preoccupare, forse aveva un rapporto addirittura più stretto con la ragazza che gli piaceva, in quel momento. Al Gran Sacerdote aveva già messo le mani addosso. Evidentemente, lui, con i lemuriani, era destinato a non andare d’accordo. Li salutò comunque a denti stretti, giusto per non indispettire lei, che gli stava davanti. Prima che potesse continuare, tuttavia, Seleina si era inchinata, in segno di scuse, per come l’aveva trattato, sia in infermeria, sia poco prima che la sua prova iniziasse. Zalaia aveva in mente di porle una specifica domanda, invece, preso alla sprovvista da un atteggiamento così formale, balbettò che non c’era tra loro quella differenza di rango per cui doveva essere trattato con tanta deferenza, che lui non era certo ne Sire Imuen ne Sire Haldir.
Senza tanti giri di parole, chiese chi tra i due che le erano vicino fosse il suo uomo. Seguì un momento di silenzio. Il cavaliere d’argento era rimasto muto, chiaramente stupito, quello d’oro, rosso come un pomodoro maturo, sembrava preda di una subitanea forma di paralisi. Seleina virava ad una tonalità di rosso giusto un po’ meno accesa a ma, almeno, respirava. Aveva sostenuto per un istante il suo sguardo, poi, invece di usare il tono formale di poco prima, gli aveva chiesto se fosse diventato scemo.
Zalaia aveva tanti pregi ma certo, tatto e discrezione, non erano tra questi.

“Allora, se stasera ti invito a ballare, non hai scuse rifiutare.”

Aveva proseguito, poi, con la leggerezza che lo caratterizzava perché, per lui, quel nodo era definitivamente sciolto. La razza del Jamir, improvvisamente, gli risultava molto più facile da digerire. Aggiunse che, se volevano venire, due femmine da far danzare si sarebbero rimediate anche per loro.
Poi, si era diretto in infermeria: doveva assolutamente chiarire con sua madre. L’unica cosa certa era che, per quella sera, visto il programma, mai e poi mai avrebbe lasciato il campo per il santuario di Atene. Anche se, ad essere precisi, Seleina non gli aveva proprio risposto di sì. Aveva più che altro farfugliato qualcosa, cercando di contenere l’imbarazzo. Gli era bastato sapere che fosse libera. Convincerla, sarebbe stato solo un dettaglio.




“Non azzardarti a prendermi in giro.”

Kiki aveva alzato le mani in segno di resa ma si vedeva da lontano che la tratteneva a fatica. La guardò di nuovo, ancora rossa. Scoppiò in una fragorosa risata. Fu lasciato lì, a tenersi la pancia. Poi, asciugandosi gli occhi, si rivolse al fratello.

“Perché non andiamo davvero a ballare con loro? Fosse mai che quel tipo ti rimedia una carina.”

Restò solo: Mu aveva affrettato il passo verso gli altri cavalieri d’oro. Dopotutto, gli era piaciuto Zalaia: chissà che sarebbe stato la persona adatta a far svegliare persino il fratello, quanto a donne.





Era entrato lentamente in infermeria, annunciandosi. Come se ce ne fosse stato bisogno e sua madre non avesse percepito che si avvicinava, semplicemente dall’odore e dall’aura. Quelli che stava compiendo, erano passi che gli pesavano. La raggiunse che gli era di spalle, attese che si voltasse, aspettando parole di rimprovero o conforto, in un silenzio colpevole.

“Così, madre, hai rivisto quell’uomo…”

Non riusciva a chiamarlo padre. Per lui era e restava una carogna. Vide sua madre annuire, semplicemente. Era da tanto che non la vedeva così stanca. L’ultima volta, era accaduto quando era cucciolo, troppo debole per proteggerla come avrebbe fatto un guerriero adulto e renderla orgogliosa di lui.

“Lo ami ancora?”

Osservò sua madre, incerta, trascinare una seggiola e accennargli di prendere posto vicino a lei.

“E’ passato tanto tempo. So solo che lui è l’unico che può aiutarti a superare l’ultimo ostacolo che ti resta per diventare quasi invincibile. Ed io voglio che tu abbia tutti i mezzi per riuscirci.”

Era tanto più alto di lei. Sapeva di essere già molto forte. Sua madre era l’unica femmina di cui, davvero, fino ad allora, avesse tenuto in conto il parere, anche su questioni che, probabilmente, non le competevano.

“Sire Imuen non è che abbia battuto molto questo chiodo, con me, in verità.”

“Se te l’avesse detto, tu l’avresti ascoltato?”

Sconfitto, il ragazzo negò. Avrebbe pagato oro per trovare qualsiasi altra persona, sulla terra, da cui poter ricevere quegli insegnamenti.

“I guerrieri hanno esistenze fuggevoli. Potrebbe anche essere l’unica opportunità che hai di conoscere tuo padre e lui di conoscere te.”

Il ragazzo negò convinto. Tra tutti i rimpianti che avrebbe potuto avere, quello sarebbe certo mancato.

“Quell’uomo non vale la milionesima parte dell’amore che gli hai sempre riservato, madre. I sigilli di Sire Imuen non sono potenti come quelli di Sire Haldir sulla mente dei viventi. Lui ha impiegato pochi istanti per dimenticarvi. Non vi merita e lo sapete.”

Sentì la mano di sua madre, scaldargli la guancia, come quando era piccolo e cercava di minimizzare qualche botta di troppo presa dagli altri cuccioli.

“Non curarti di chi egli sia per me. Concentrati solo su ciò che può essere per te. Condannalo, se lo meriterà, dopo che l’avrai davvero conosciuto e solo per il rapporto che avrai con lui.”

Su quel punto, la trovò irremovibile.

“Non ho cresciuto un figlio che non sappia distinguere giusto e sbagliato.”

Era più alto e potente di lei ma riuscì solo ad obbedire. Forse, in una remota parte di sé, sapeva che sua madre aveva ragione.


Riuscì ad ingoiare completamente la bile ed a partire verso il Santuario solo dopo un paio di giorni. Il suo maestro aveva preso accordi con il gran sacerdote, perché fosse libero di raggiungere la quarta casa e nessuno avrebbe dovuto far domande sulla sua reale identità e motivo della permanenza in quel luogo. L’aveva accompagnato Gona, silenzioso ed evasivo come sempre. In realtà, fu sollevato di averlo vicino. Perchè sapeva che era un buon amico. Nei suoi gesti, gli sembrò di ravvedere la preoccupazione del capo branco che tiene d’occhio i sottoposti, pronto ad intervenire appena ce ne fosse stato bisogno. Era comunque utile. Lui ed il guerriero più potente di Haldir avanzavano sempre fianco a fianco. Avevano raggiunto la casa di Cancer per lo stesso sentiero che gli aveva indicato sua madre. Terminata la salita infinita di gradini, arrivarono in vista dell’ingresso. Il cavaliere d’oro li attendeva esattamente all’ingresso del colonnato, col solito ghigno che lo aveva sempre caratterizzato.
Death Mask aveva trattenuto per un secondo il fiato mentre lo aveva percepito avvicinarsi. Incontrare Zalaia, era come incontrare se stessi e poteva impaurire. Aveva percepito un’altra presenza insieme al ragazzo e non aveva ben capito chi fosse. Non appena ebbe di fronte quella che era quasi la copia di lui ma coi colori di Mnemosine, la cosa più intelligente e più stupida che gli chiese per prima, fu l’identità di quell’altro e che ci facesse lì con lui. Gli fu risposto che era il guerriero più potente tra i figli di Haldir, dei più antichi, nonché capo del branco a cui, a tutti gli effetti, partecipava anche Zalaia ed era libero di andare e venire, compiere ciò che più gli aggradasse. Nelle iridi penetranti e taglienti di quel personaggio, che sembrava poco più anziano di quello che accompagnava, in effetti, sembrava esserci la saggezza di chi ha camminato sulla terra parecchi secoli. Si sentì indagato a fondo, nell’intimo della propria natura. Non era semplice da accettare.
Death Mask ricordò allora le parole con cui Mnemosine l’aveva avvertito, che suo figlio era parte del branco e non lo avrebbero lasciato mai solo, in sua balia. Realizzò allora di non avere la piena fiducia dei Dunedain e, probabilmente neppure di lei. Strinse il pugno ma sciolse presto la mano. Non volle mostrarsi debole. Non si era mai sentito così preda di futili sentimenti umani. Era destabilizzante. Nella sua memoria, riaffioravano sprazzi della sua vita passata, di quando aveva affrontato Imuen. Il domatore delle anime dei morti era balia dei sentimenti e ne ricavava forza. Gli fu impossibile batterlo anche per quello.

“E’ venuto a supervisionare, insomma. Il biondo ha paura che io ti colpisca troppo forte?”

Del tutto impermeabile a quel commento, Gona non aveva smesso per un secondo di avere impresso in viso il suo sorriso gentile. Al cavaliere del cancro sembrò una maschera, come l’apparente tranquillità del cavaliere della prima casa o di quello della sesta. Questo, però, lo trattava col massimo dell’indifferenza possibile.

“Forse.O forse è venuto a controllare che io non colpisca troppo forte te.”

Dopo quella risposta diversa dall’insulto che si aspettava da parte di Zalaia, suo figlio aveva rivolto uno sguardo di intesa a Gona, che aveva dato loro le spalle ed iniziato a percorrere la strada al contrario, lasciandoli ai loro affari. In realtà, li teneva davvero d’occhio entrambi.
Zalaia s’era portato appresso un borsone con pochi oggetti: qualche straccio da addestramento e pochi libri per l’università. Se non avesse avuto tempo per studiare, potevano sempre essere impiegati come armi da lancio. Avrebbe avuto bisogno di poco altro. Era quasi sera e lui si era già cibato. Non aveva voglia di perdere tempo a spiegare ad un uomo quale che fosse la sua dieta. Seguì quell’individuo che non sapeva ancora se avesse dovuto chiamare maestro o padre, per il poco tempo che avrebbero condiviso. Non fosse stato per la promessa a sua madre, l’avrebbe appellato semplicemente carogna.
Evidentemente non lo aspettava, del resto lui non aveva avvertito. Gli fu fatta strada, in religioso silenzio, negli appartamenti privati. Si aspettava di trovare parecchia sporcizia in più, visti gli indizi che sua madre gli aveva fornito su quell’ambiente.
Gli fu assegnata una stanza spartana ma pulita e con tutto il necessario. Gettò il borsone sul letto. Si aspettava che l’avrebbe lasciato li a perdere tempo da solo. Invece, gli fu chiesto se volesse cenare con lui. Non era solo. C’era un suo compagno d’armi, che se ne stava andando.
La tensione, tra loro, era palpabile. Erano praticamente incapaci di intavolare un discorso.
Semplicemente, raggiunsero soggiorno e cucina. Zalaia aveva arricciato immediatamente il naso e ringhiato sommessamente, appena gli arrivò quel profumo così penetrante di rose.
Death Mask, sorpreso, si era già messo sulla difensiva, certo che stesse per attaccarlo. Quando lo vide, invece, estrarre un fazzoletto per coprirsi bocca e naso, restò perplesso.

“Ma sei scemo a tenere un veleno così pestilenziale come deodorante per ambienti? Io la dentro non entro manco morto. Dà il voltastomaco.”

Lui stesso aveva appellato Aphrodite in molti modi, spesso poco lusinghieri, per via del suo aspetto ambiguo. Quello però, gli mancava proprio. Poi, realizzò che suo figlio, per forza di cose, dovesse avere un fiuto piuttosto sviluppato. Certo, però, Mnemosine non aveva mai avuto quei problemi col cavaliere dei pesci.

“Sei già stato alla presenza del cavaliere dei pesci, eppure tante scene non le hai fatte.”

Stizzito, gli fu chiarito che al banchetto avevano usato una pozione per inibire udito ed olfatto, proprio per evitare problemi. Quando, invece, aveva affrontato lui, era concentrato solo sulla battaglia e quell’odore nauseabondo era passato in secondo piano. Ci metteva un attimo ad arrabbiarsi di nuovo.
Litigando, erano infine arrivati al soggiorno. Il motivo della disputa era seduto con la gamba accavallata sul divano, intento a guardarli curioso. Gli era sembrato di avere davanti una copia del suo amico a tinte diverse. Quando, però, il ragazzo gli aveva ringhiato addosso di smetterla di fissarlo e farsi gli affari propri, assottigliò lo sguardo. Già era difficile sopportarne uno con quei modi da buzzurro. Due era troppo perfino per lui, che ci era abituato.
 

 
   
 
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