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Autore: ___MoonLight    08/07/2019    5 recensioni
«Tu sei riuscito a creare qualcosa di buono, non solo per te stesso. Qualcosa in cui credi.»
Tony gli riservò solo un ostinato silenzio, al che Bruce esitò.
«Ci credi ancora, vero?»
«Che importanza ha? Ho mandato tutto in fumo,» replicò piattamente lui.
«Sei già rinato dalle ceneri, Tony. Davvero non puoi farlo ancora?»

L'Afghanistan ha segnato Tony e gli ha donato l'opportunità di cambiare in meglio la sua vita. Ma il destino ha tutte le intenzioni di mettergli nuovamente i bastoni tra le ruote, e l'immagine corazzata che si è costruito e dietro la quale tenta di riparare i torti commessi e quelli subiti non è più abbastanza per proteggerlo. Cosa succede quando l'uomo diventa davvero di ferro, anche senza armatura?
[Storia completa e revisionata]
Genere: Commedia, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Pepper Potts, Tony Stark/Iron Man
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Walk of life

 

 

 

“Someday you will find me
Caught beneath the landslide
In a champagne supernova
A champagne supernova in the sky
Wake up the dawn and ask her why
A dreamer dreams she never dies
Wipe that tear away now from your eye”

[Champagne Supernova – Oasis]

 

 

Il silenzio preme gravoso sui suoi timpani e lo induce a strizzare un poco gli occhi, ancora ciechi nel buio circostante. Il reattore gli riluce fiocamente nel petto, ma la sua luminescenza non è sufficiente a rischiarare i dintorni.
All’improvviso, emette un lieve sibilo e si spegne con uno sfarfallio, calandogli una cortina oscura davanti al volto e privandolo del tutto della vista. Sente le pulsazioni del suo cuore incepparsi per un istante con un boato di grancassa, e le schegge acuminate che fremono nella sua carne, pronte a dilaniarla. Ma l’acuto dolore che si era aspettato recede, e i battiti riprendono dopo un istante, regolari, riverberando nel cilindro metallico infisso nel suo sterno.
Ruota rigidamente sui talloni, muovendo esitante le mani attorno a sé senza incontrare alcun ostacolo, se non la fredda resistenza dell’aria che gli preme addosso in un velo gelido. Lo avverte su entrambi i palmi. Sussulta nel realizzarlo e congiunge le mani, sfregandole appena tra loro e percependone la ruvidezza e il calore, i calletti e le cicatrici che punteggiano sia la sinistra che la destra. Fa poi scorrere le dita lungo il braccio destro e ne distingue la struttura viva di carne e ossa e tendini, il gomito mobile, la spalla agile e tonica che ruota senza sforzo in un’orchestra di tensioni, leve e snodi. Riconosce con un moto di perplessità una scia di rilievi regolari, più sensibili e caldi al tatto, e conta uno ad uno dei punti di sutura, mentre le rughe sul suo volto che si fanno via via più pronunciate. Affonda leggermente le unghie nella pelle, sulla curva tra collo e clavicola, e i nervi registrano quella pressione, inviandogli una nota di fastidio quando inizia a premere con troppa forza. Lascia la presa, col respiro irregolare, e si sfiora il volto incontrando con un sussulto l’occhio sinistro, e le ciglia che gli sfiorano i polpastrelli, e la palpebra socchiusa a proteggere il bulbo. Percepisce anche il segno liscio di una cicatrice a solcargli l’orbita, intaccandogli l’arco del sopracciglio. Non avrebbe bisogno di verificare anche la gamba: già dall’assenza di dolore e dalla facilità con cui riesce a rimanere in piedi sa che la destra è viva e reale e non un surrogato meccanico. Si china comunque a cingere il punto poco sopra al ginocchio, trovando anche lì la trincea dei punti di sutura, e nessuna differenza tra le due parti che separa.
Si raddrizza e si copre la bocca, espirando piano, col calore del proprio fiato che segna l’aria fredda e rimbalza contro il palmo della mano sana – che non dovrebbe essere tale.
Una spirale di vertigini gli avvita la bocca dello stomaco, e lui pianta i piedi per terra a ripristinare l’equilibrio, mentre i propri organi continuano ad agitarsi come scossi da un sisma lieve, ma continuo.
Quale versione dell’incubo è, questa?
Sta per essere assorbito dalla sua armatura? Sta per annegare – di nuovo, ancora? Sta per venire stritolato dalla morsa di Iron Monger? O magari si trasformerà in un androide, o vedrà crescersi addosso le protesi e l’illusione di un occhio – come la prima volta?
Rimane in attesa, con quegli scenari che continuano a scorrere, dibattersi e accavallarsi tra di loro, alimentando le scosse che lo scuotono dall’interno. Il silenzio rimane intonso, se non per il suo respiro discontinuo e per il fragore del sangue che gli scorre a velocità doppia nelle vene, seguendo un percorso serpeggiante di rapide e cascate che manda in tilt il suo cuore ormai fuori tempo.
Una stilla di paura si riversa nel suo corpo, con un retrogusto acido di bile che gli strappa una smorfia. Porta entrambi i palmi al reattore spento in un moto istintivo, col corpo teso fino a tremare e gli occhi sbarrati nell’oscurità. Si aspetta di veder comparire da un momento all’altro uno specchio, o un vetro, un qualsiasi tipo di barriera che lo separi da una versione più perfetta e completa di se stesso; ma attorno a lui vi è solo buio siderale privo di stelle, un grembo freddo ma non ancora ostile che avvolge il suo corpo nudo.
Il suo timpano vibra all’improvviso, registrando un suono che la sua mente non identifica subito, ma che il suo cuore accoglie con uno spasmo di sollievo che quasi fa male. Sente la testa svuotarsi, con quel suono singolo che si raddoppia, e poi triplica, fino a diventare una successione infinita e regolare che si sincronizza ai suoi battiti, e poi ai suoi passi quando si incammina verso di esso.
Avanza a tentoni nel buio, seguendo il familiare clangore metallico di un martello sull’incudine.

***

Febbraio 2008, Afghanistan

La grotta lo accolse con le sue pareti fredde e irregolari, densa di fumo acre e pulviscolo sospeso che catturava la fioca luce delle lampade a olio, ammiccando in brillii dorati.
Batté le palpebre, mettendo a fuoco il frammento scheggiato di uno specchio davanti a sé, e l’iride scura che ricambiava il suo sguardo. Ruotò appena la testa, e anche l’occhio sinistro si rifletté illeso sulla superficie sporca. Si vide aggrottare le sopracciglia con fare critico, e abbassò lo sguardo sulla mano destra, sana e intenta a stringere un rasoio consunto, il che spiegava il suo volto insaponato per metà. Si chinò a sciacquarlo nella ciotola d’acqua di fianco a lui, e realizzò in quel momento di non avere controllo sui propri movimenti, pur avvertendo ogni input sensoriale che registrava il suo corpo. Sentì le contusioni alle costole protestare, il gelo umido della caverna che penetrava sotto i vestiti leggeri, la cappa di fumo che gli irritava la gola. Il magnete premeva contro le ossa, nella carne, rendendo ogni respiro superficiale un’agonia, e sentiva i fili collegati alla batteria per auto tendersi ad ogni piccolo spostamento, dandogli l’impressione che fosse sempre sul punto di venir strappato via dal suo corpo come il tappo di un lavandino. Sussultò a una fitta più intensa, e non seppe se fosse stato lui a reagire o il Tony del sogno, o forse del ricordo. Era come essere bloccato in una visuale in terza persona molto ravvicinata. Per amore della sua sanità mentale, si adeguò a considerarsi parte integrante del proprio corpo, e non una sorta di entità ectoplasmatica sospesa a mezz’aria sopra la propria spalla.
Si deterse il volto nella bacinella, sfregandosi via lo sporco e il sapone dalle guance, e quando tornò a fissarsi c’era la parvenza di un pizzetto ancora troppo folto a incorniciargli il mento. Sembrò considerarlo un risultato passabile e si tamponò con un panno il viso grondante e arrossato dall’acqua gelida.
«Stark, che stai combinando?»
Tony sobbalzò tra sé e sentì il cuore bloccarsi in gola, spigoloso, ma la sua controparte si girò tranquilla in direzione di Yinsen, semisdraiato sulla sua brandina, le mani intrecciate sulla nuca e l’acuto sguardo azzurro puntato su di lui. Tutte le parole che avrebbe voluto dirgli gli si incunearono sotto la lingua, si impigliarono nelle corde vocali, sfuggirono in aria silenziosa dagli angoli della bocca, impossibili da pronunciare, perché quel Tony ancora non sapeva a chi avrebbe dovuto la propria vita di lì a poco. Non poteva ancora essergli grato, ed era comunque troppo intento a mostrarsi arrogante e sicuro di sé nonostante avesse una bomba a orologeria nel petto. Forse sotto quel punto di vista non era poi cambiato molto.
«Mi sto rendendo presentabile,» replicò infatti, senza scomporsi. «È un crimine?» aggiunse poi, senza sforzarsi di scherzare davvero.
«Certo che no. Non mi dispiace vedere un po’ di civiltà, ogni tanto,» replicò l’altro, serafico come sempre e con quell’accento un po’ cantilenante che sembrava sempre celare un filo d’ironia.
Si vide alzare le spalle in modo brusco, senza degnarlo di un’occhiata, e si riconobbe in quell’atteggiamento scostante, di quando si sentiva preso in giro e non voleva concedere la soddisfazione di darlo a vedere. In effetti ci aveva messo un po’ a decifrare il proprio compagno di prigionia, e aveva comunque finito per fraintenderlo spesso, solitamente quando esprimeva opinioni o commenti sensati. All’epoca era abituato a considerarsi la persona più sagace nella stanza, e ricordava bene quante volte si fosse ritrovato senza parole di fronte a Yinsen, e quanto ciò lo avesse frustrato. Si era sentito in bilico, precariamente in equilibrio sulle poche convinzioni che gli erano rimaste e che franavano inesorabili sotto i suoi passi malfermi, mentre continuava imperterrito ad avanzare.
Un’inattesa fitta di vergogna lo investì: paradossalmente, aveva conservato più dignità in quella grotta buia che nel letto di un ospedale. Era certo che lo sguardo di Yinsen potesse vederlo, vedere lui adesso, assieme a tutti gli errori che aveva commesso prima di rialzarsi, e fu sollevato quando il suo alter ego abbassò gli occhi, intento a sistemarsi un cavo fastidioso impigliato nella stoffa lacera della canottiera.

Sentì un istintivo moto di panico nel non vedere alcuna luce azzurrina, nonostante sapesse di avere ancora il vecchio magnete, spento e precario. Quasi gli venne da sorridere amaramente della sfrontata ironia del caso, che a due anni di distanza l’aveva precipitato in una situazione terribilmente simile; ma quando si sentì parlare di nuovo, con la voce bassa amplificata dalle pareti rocciose, la sensazione di déjà-vu lo colpì alla bocca dello stomaco come un pugno a tradimento:
«Quanto tempo mi dai?»
Yinsen sollevò le sopracciglia in un moto di sorpresa, ma non si scompose, limitandosi a raddrizzarsi un poco sulla brandina.
«Se non ti sbrighi a finire il Jericho, molto poco,» fu la piatta risposta.
«Intendevo fisicamente,» replicò lui, puntandosi un dito quasi distratto sul magnete. «Ho fatto i miei calcoli, e questo coso non è abbastanza potente: prima o poi le schegge mi ostruiranno un’arteria, o mi spaccheranno il miocardio. Morire così non rientra nei piani,» sciorinò, con calma apparente.

Tony riusciva a sentire il tremito dei suoi pensieri di allora in sincrono con quelli che gli si agitavano in testa adesso, in un ronzio acuto e disturbante. Solo che due anni fa aveva molto meno da perdere. Pepper era solo una voce lontana che gli intimava di non arrendersi, in coro dissonante con quella di suo padre che gli ripeteva brusco che gli Stark erano fatti di ferro. Iron Man era ancora un bozzolo informe sepolto nel suo inconscio, un semplice mezzo d’evasione e riscatto. La volontà di fare qualcosa di buono in vita sua non era ancora emersa, soverchiata da quella nuda e cruda di liberarsi o morire nel tentativo, perché Tony Stark era troppo orgoglioso per lasciare il palcoscenico prima di aver lasciato il segno.
Vedendosi a distanza, sembrava un uomo molto più rotto di adesso, con molte più crepe a solcargli l’anima, da sempre celate da un involucro che aveva appena incominciato a scheggiarsi e che necessitava di un’altra corazza per non cadere a pezzi.
«E che piani avresti?» lo interrogò Yinsen, ancora flemmatico ma con un’onda d’interesse a modulare la sua voce.
«Quanto tempo ho?» insistette ancora lui, accennando alla batteria per auto col mento e ignorando la domanda.
Yinsen rifletté qualche secondo e nel mentre si alzò, si lisciò le falde della giacca consunta e si piazzò a un paio di passi da lui, le spalle leggermente curvate.
«Un paio di settimane,» decretò poi, con occhio clinico. «Il magnete è una misura provvisoria. Non è stato pensato per tenere lontane le schegge per sempre.»
«Non ho mai pensato di poter vivere per sempre,» replicò asciutto lui, inutilmente caustico. «Due settimane. È più di quanto mi aspettassi,» ragionò quindi tra sé.
«Cosa hai in mente?» chiese ancora Yinsen, scrutandolo con curiosità trattenuta.
Forse anche con un pizzico di speranza, che si conficcò rovente nel cuore di Tony, carica dell’eco di parole pesanti e promesse silenziose che si propagava al contrario, scaturito da un futuro troppo prossimo.
«Prima i dettagli tecnici,» replicò lui, incrociando le braccia sotto al magnete con apparente sicurezza, anche se continuava a spostare il peso da un piede all’altro. «Puoi togliermi il magnete?»
Yinsen sbarrò appena gli occhi dietro le lenti rotonde, scoccando un’occhiata confusa prima a lui, poi al congegno che lo teneva in vita, infine alla batteria.
«Stark, non sono un medico e non ho un giuramento d’Ippocrate, ma non ti aiuterò a…»
L’altro sospirò irritato, interrompendolo con un gesto brusco della mano.
«Intendo dire: si può rimuovere senza uccidermi?»

Tony sentì un retrogusto di bile in bocca, e un vuoto familiare al centro del petto, ma si sforzò di non farci caso.
«Teoricamente no,» rispose Yinsen, ancora perplesso. «Senza magnete moriresti nel giro di qualche ora e…»
«Qualche ora,» ripeté lui, passandosi una mano dietro al collo con fare meditabondo mentre annuiva tra sé. «Sì, può bastare.»
«Stark, se non mi spieghi cosa vuoi fare non posso…»
Lui si riscosse e, inaspettatamente, trattenne un mezzo sorriso, uno di quelli che affiorava spesso sul suo volto con un pizzico di spavalderia: tirò fuori dalla tasca un foglietto spiegazzato e lo aprì di fronte agli occhi acuti di Yinsen, rivelando le linee intricate di un progetto conosciuto.
«Ho qualche idea per quell’ “ultimo atto di sfida”,» annunciò quindi, inarcando con aria di sfida un sopracciglio nell’osservare la reazione del suo compagno, intento a studiare dubbioso il progetto. «Ma prima mi serve un cuore nuovo, Dottor Ho.»
Yinsen distese il volto in quell’espressione a metà tra il saggio e il furbetto che gli rivolgeva quando riusciva a sorprenderlo in modo positivo, per poi scrutarlo da sopra il bordo dei fogli con complicità.
«Da Tony Stark, non mi sarei aspettato niente di meno,» sorrise, con un cenno di riconoscimento.
A Tony si annebbiò la vista, e sentì a sua volta lo specchio di quel sorriso che gli inclinava le labbra.

***

14 Maggio 2010, Villa Stark, 07:15

Il mormorio dell’oceano filtrava ovattato dalla vetrata, con la risacca calma e regolare che accompagnava il suo respiro in onde morbide.
Era sveglio da un po’, forse anche più di un’ora, ma quel suono rassicurante, la carezza delle lenzuola e il tepore di Pepper lo avevano convinto a non abbandonare quell’alcova cosciente tra il sonno e la veglia in cui era adagiato. Era emerso dal sogno senza scossoni, con solo un fugace fremito della palpebra e un piccolo brivido dovuto all’aria fresca del mattino sulla spalla scoperta. Tra le scapole aveva percepito il respiro lieve di Pepper, discosta dal cuscino e raggomitolata contro di lui, con un braccio a cingergli mollemente i fianchi.
Non si era ancora mosso di un millimetro per timore di svegliarla, anche se, dai suoi piccoli movimenti e dal modo in cui aumentava di tanto in tanto la stretta su di lui, sembrava anche lei nel dormiveglia. In quel momento, sentì le sue labbra premergli contro la pelle, a pochi centimetri dal bordo metallico della protesi, e si lasciò sfuggire un respiro più sonoro, per poi cercarle la mano e lasciarsi stringere più forte, con l’impronta morbida del suo corpo contro la schiena. Si mosse un poco, anche se riluttante a sfuggire al sonno non del tutto dissipato, ma non si voltò, mentre Pepper riprendeva a respirare profondamente con le dita ora intrecciate alle sue, pelle contro metallo.
Tony si riscosse del tutto, trattenendo uno sbadiglio e allungando cautamente le gambe per stiracchiarsi senza svegliarla. Avvertì delle fitte moleste ai moncherini e allo sterno, unite all
indolenzimento invece gradito che gli attraversava il resto del corpo. Aveva perso il conto di quante volte avessero fatto l’amore quella notte. Erano passati dall’assaporare con metodica lentezza quell’attimo fuggente a scontrarsi insieme quasi con rabbia contro il tempo perso, cercando di recuperarlo ad ogni bacio, carezza e affondo che aveva piacevolmente rubato loro il sonno. Si erano addormentati del tutto solo un paio d’ore prima, sfiniti e appagati, col primo chiarore bigio dell’alba a rischiarare la vetrata e le loro membra ancora strettamente annodate.
Tony non ricordava l’ultima volta in cui fosse rimasto a letto con qualcuno dopo essersi svegliato. Di solito si svegliava per primo, scivolava via dalle braccia della donna di turno e si avviava in laboratorio senza voltarsi indietro, spesso con un mal di testa da dopo sbornia a tormentarlo. La maggior parte di coloro che si lasciava alle spalle si accontentava di quella notte di eccessi e di potersi vantare di essere andata a letto con Tony Stark; qualcuna gli aveva rivolto sguardi delusi, perché forse, in fondo, ci avevano creduto; un paio di volte ci aveva forse creduto lui stesso, senza poi prendersi sul serio.
Non sapeva in cosa stesse credendo adesso, né se fosse razionale o meno, ma si sentiva avvolto da una nube soffice e voluminosa che gli alleggeriva i pensieri, offuscando qualunque sua volontà di lasciare quella nicchia tiepida. La sola idea gli sembrava assurda, anche se quella piccola parte di lui che ancora gli bisbigliava suggerimenti infondati all’orecchio lo pungolava malignamente, dicendogli di alzarsi e andare via di lì come aveva sempre fatto, e che questa volta non sarebbe stata diversa dalle altre. Si concentrò sulla stretta di Pepper attorno alla vita, una cima di sicurezza fissata all’ancora della sua mano, che gli impediva di sprofondare in quei ragionamenti. Soffocò del tutto quelle parole illogiche, le annegò in quel contatto vivo che si insinuava sottopelle irrorandolo di nuova fiducia; in se stesso, in lei, in un futuro che non era meno minaccioso, ma che non avrebbe dovuto affrontare da solo.
Trovò infine il coraggio di voltarsi verso di lei, rimanendo nell’intreccio delle sue braccia. La vide schiudere appena gli occhi, fissarlo da sotto le ciglia chiare per metterlo a fuoco, e inclinare appena le labbra in un sorriso ancora assonnato che Tony ricambiò, anche se in modo molto più esitante di quanto avrebbe voluto.
Come gli succedeva spesso con lei, la lingua gli si incollò al palato, e forse non era un fatto del tutto negativo, visto che nel suo cervello non aleggiava un solo pensiero coerente e la sua banca dati mentale non era d’aiuto in una situazione a lui del tutto estranea. Abbassò lo sguardo, vacillando ora di fronte al suo, con un’improvvisa e spiacevole consapevolezza di se stesso e del proprio corpo che lo indusse a scostarsi un poco da lei, senza però ritrarsi completamente. Era del tutto irrazionale, lo sapeva, ma alla luce del giorno si sentiva più vulnerabile e con ogni difetto impresso nero su bianco sulla pelle, come il reticolo plumbeo che spiccava attorno al reattore. Pepper non lo trattenne, ma fece risalire la mano lungo il suo fianco e gli sfiorò il volto con la punta delle dita, adesso del tutto sveglia e anche lei muta, intenta come lui ad assorbire e interpretare ciò che era e sarebbe successo. Colse un breve sprazzo d’incredulità sul suo volto, probabilmente la stessa che stava pervadendo lui.
Non era esatto dire che si sentisse a disagio, ma avvertiva chiaramente l’euforia e la complicità della notte appena trascorsa che si affievolivano, lasciando il posto a strascichi di una realtà sempre più tangibili e opprimenti, concentrati in noduli plumbei stringenti al centro del suo petto. Erano impossibili da ignorare, anche se alleviati da una tenue serenità di fondo che non percepiva ormai da più di due anni.
Gli occhi di Pepper scivolarono sul reattore, e non si curò di nasconderlo. Tony percepiva come stessero seguendo corrucciati le linee violacee e contorte che si diramavano da quel dischetto azzurro e metallico, accentuate dalla sua tenue luminescenza e dai raggi del sole che filtravano sempre più intensi nella stanza. Lui si immerse invece in un altro azzurro, più vivo e sereno, nelle nebulose cangianti attorniate da costellazioni di efelidi davanti a lui. Quando i loro sguardi si incrociarono di nuovo, si sentì in grado di risintonizzare i suoi pensieri, aggirando il segnale distorto della paura che iniziava ad agitare entrambi, trasmesso dalla medesima consapevolezza.
Per mesi avevano raccolto i pezzi e li avevano ricomposti uno ad uno, con pazienza e dedizione, a volte anche sbagliando, fino a colmare i vuoti e arrivare a un soffio dalla soluzione. E poi avevano ceduto. Adesso sperava soltanto che così non avessero rotto tutto, di nuovo, con quel momento di debolezza o coraggio che li aveva ghermiti entrambi per una notte.
Ormai si trovavano ben oltre il confine di una terra ignota, senza sapere quanto ancora vi si sarebbero potuti addentrare. Non si pentiva di averla voluta né di volerla ancora, qui ed ora e nella sua vita, ma la sua mente andava ad urtare dei cocci aguzzi finora nascosti nella sabbia: come si guarda al futuro, se non si sa neanche quanto durerà? Come si porta avanti un progetto senza conoscerne le variabili e con troppe incognite a punteggiarlo?
L’incudine nel suo petto era pesante quanto la sera prima, nonostante lui sentisse elio leggero che gli riempiva i polmoni, comunque troppo debole per permettergli di decollare.
Si sollevò sui gomiti, irrequieto, e Pepper seguì quel movimento con gli occhi, senza rompere il contatto fisico e visivo che li univa. Tony schiuse le labbra, ma di nuovo non riuscì a trarne alcun suono. Le posò quindi su quelle di Pepper e vi indugiò a lungo, fluttuando sulla superficie di quel calore quasi potesse trarne ossigeno, e lei gli cinse il collo, sostenendolo. Si scostò per prima, attirandolo poi a sé con dolcezza, e Tony adagiò la testa sul suo seno, con l’orecchio premuto all’altezza del cuore e il naso inebriato dal suo profumo. Lei prese a districargli le ciocche di capelli sulla nuca, mentre lui le accarezzava il braccio con la punta delle dita, con una naturalezza che sembrava dettata da anni, piuttosto che da una sola notte d’intimità.
Si lasciarono cullare da quei gesti per molti minuti, sprofondando le angosce nel silenzio, finché non tornarono a guardarsi quasi in sincrono. La cosa strappò loro un sorriso più spontaneo, anche se Tony notò che gli occhi di Pepper erano lucidi. Prima che potesse dar voce a qualunque domanda, per quanto scontata, lei lo anticipò:
«Devo essere alle Industries tra un’ora,» mormorò con disinvoltura, accorciando le vedute di entrambi al presente ed escludendo ancora una volta l’orizzonte del futuro.
«Io dovrei già essere in laboratorio,» replicò Tony, imitando il suo esempio, sebbene con sottintesi più cupi.
Nessuno dei due si mosse, se non per stringersi ancora un po’ in quell’abbraccio caldo, consapevoli che avrebbero solo voluto prolungarlo per il resto della giornata. Ma così sarebbe stato come darla vinta al tempo e rimanere davvero immobili, vanificando tutti i passi avanti per semplice paura.
«Quando torni?» le chiese, scostandosi infine da lei per permetterle di alzarsi.
Mascherò a stento una smorfia per i muscoli doloranti, e Pepper si girò sulla pancia, seguendo con velata circospezione i suoi movimenti. Tony notò che i suoi occhi indugiarono sul suo torso scoperto fino all’inguine, e lui si perse a sua volta a seguire la curva della sua schiena interrotta dal lenzuolo. Quel gioco di sguardi fu interrotto da lei, che riprese prontamente in mano le redini della situazione prima che potessero finire a spendere la mattinata in modi più dinamici.
«Forse più tardi del solito…» rispose, schiarendosi appena la voce. «Ho procrastinato un po’ di impegni, ultimamente,» aggiunse poi, con un sorriso sottile.
«Non è da lei, signorina Potts,» la rimproverò Tony, aggrottando giocosamente le sopracciglia.
«Ha una pessima influenza su di me, signor Stark,» ribatté lei senza scomporsi.
«Lo prendo come un complimento,» commentò lui, con uno sbuffo divertito. «Mi troverai sveglio, come sempre… ma non credo avrai più problemi a portarmi a letto,» aggiunse, aprendosi in uno dei suoi sorrisetti maliziosi.
«Per ora l’obbiettivo è farti alzare,» lo rimbeccò lei, sospingendolo scherzosa a sottolineare il suo intento e a troncare qualsiasi ulteriore deriva dei loro piani.
Tony la assecondò brontolando tra sé e si tirò su a sedere sulla sponda del letto, trascinandosi dietro un lembo del lenzuolo a coprirsi, mentre Pepper si alzò rapida per poi sparire subito nel bagno adiacente, concedendogli solo un fugace scorcio della sua figura nuda e sottile lambita dalla luce dorata del mattino.
Lui si mise in piedi con più calma, dopo aver recuperato i boxer dispersi tra le lenzuola ed essersi imposto di non intraprendere anche la ricerca della benda. Testò con una smorfia la stabilità delle proprie gambe: precaria, come previsto, e decisamente dolorosa da mantenere. Accantonò l’idea di raggiungere Pepper nella doccia, per quanto invitante, e decise di aspettare il suo turno facendo colazione: forse dopo il suo mix di antidolorifici e clorofilla sarebbe stato in grado di non collassare sotto il getto d’acqua calda. Uscì zoppicando in salotto, riuscendo persino a raccogliere il bastone abbandonato lì per terra senza rompersi l’osso del collo nel chinarsi. Raccattò poi una felpa dallo schienale del divano, e nonostante tutto si sentì meglio non appena la stoffa spessa andò a coprire il reattore e la sua cornice plumbea. Si sfregò il petto indolenzito: adesso che si era alzato, sentiva il respiro corto e un principio di nausea che gli premeva contro il diaframma contratto, nonostante avesse assunto il dilitio appena il giorno prima. Storse contrariato la bocca, ricacciandola indietro e detestando che il suo corpo gli stesse facendo scontare amaramente la decisione avventata della sera prima.
Scosse la testa, rimescolando quei pensieri senza riuscire a cacciarli via, e si concentrò nel preparare un caffè per lui e un tè per Pepper, dosando i propri movimenti doloranti e sempre più difficili da controllare, tanto che quasi ruppe la macchinetta e si lasciò cadere di mano una tazza. Adocchiò il rilevatore di tossicità sul bancone della cucina e lo lasciò dov’era, poggiandosi a braccia incrociate sul piano cottura, in attesa che la sua dose di caffeina si riversasse gorgogliando nella tazza. Inclinò il mento verso il basso per fissare la luce del reattore che trapelava dalla stoffa. Contrasse di riflesso le mani, avvertendo la stretta più salda della destra, e si umettò le labbra secche.
A tratti, gli sembrava di percepire ancora il calore delle mani di Pepper sul petto, e la morbidezza delle sue labbra sul volto ferito e sensibile; ogni volta si sentiva ondeggiare, instabile, come se quelle sensazioni potessero strabordare e inglobarlo del tutto, in un abbraccio vellutato che leniva le piaghe più dolorose. Si lasciò avvolgere da quell’illusione, e l’azzurro del suo nucleo sembrò farsi meno freddo.
Riuscì a distogliere lo sguardo dal reattore, riprendendo a respirare.

***

Pepper accolse la solitudine della doccia con un misto di sollievo e rammarico a cui non seppe dare un nome, ma che le rimase addosso, come il profumo e il sapore di Tony sulla pelle e sulle labbra.
Si era trattenuta dal proporglielo ad alta voce, ma non avrebbe avuto nulla in contrario se lui avesse deciso di farle compagnia nella doccia. Da una parte, però, sentiva che avevano bisogno entrambi di un momento per se stessi, così da schiarire i pensieri dopo una notte passata a non pensare, o a cercare di farlo il meno possibile.
Anche adesso, un vuoto insolito le riempiva la testa, animandola unicamente di stralci fugaci della notte appena trascorsa che ancora le avvitavano piacevolmente lo stomaco, dandole però anche un senso di vertigine nel rievocare le mani di Tony sul suo corpo. Non una volta, neanche nei momenti di trasporto più intenso, aveva perso il controllo delle protesi, e l’unico marchio visibile sulla propria pelle era il soffuso segno rosso lasciato da un bacio più passionale degli altri appena sotto la clavicola. Lo sfiorò come in trance, quasi credendo di vederlo dissolversi sotto le dita, riassorbito dalla sua pelle come un desiderio espresso ma non esaudito. Quello rimase lì, muto testimone di un qualcosa che ancora non aveva nome, e che forse non l’avrebbe mai avuto, ma che era innegabilmente reale. Per quanto ancora, non avrebbe saputo dirlo. Provò l’improvviso, illogico impulso di cancellarselo di dosso, come se così potesse cancellare anche tutto il resto, incluso il ricordo di quella notte.
Quella concatenazione di pensieri la turbò, inaspettata, e la spinse a chiudere di colpo il getto d’acqua, uscendo quasi a tentoni dalla doccia. Si accorse di non avere lì i suoi vestiti, né gli accessori da bagno, e non seppe perché si sentì così irritata nel dover indossare l’accappatoio di Tony; d’altronde, non riusciva neanche a capire il perché della metà dei pensieri che le scorrevano in testa alla velocità della luce, troppo fugaci per essere messi a fuoco, ma abbastanza definiti da premerle fastidiosamente tra le tempie come frecce acuminate.
Uscì nella stanza e poi in salone in modo quasi precipitoso, legandosi strettamente l’accappatoio in vita e cogliendo la figura di Tony intento a bere una tazza di caffè oltre la penisola della cucina. Sollevò la testa con un mezzo sorriso nel vederla, ma questo si spense rapidamente; Pepper divenne improvvisamente consapevole di quanto dovesse apparire turbata rispetto ad appena venti minuti prima, e ogni tentativo di camuffare quel cambiamento le morì sul volto. Si immobilizzò un passo dopo la soglia, con le braccia a cingerle il corpo e una marea che le montava nel petto offuscandole sempre più la vista, dandole l’impressione di essere sul punto di annegare con le parole incastrate in gola come bolle d’aria pronte a sfuggirle.
«Pepper?»
La voce di Tony le arrivò ovattata, e si costrinse a riscuotersi. Si guardò brevemente intorno, come cercando le proprie parole disperse nell’atrio della villa, ma non riuscì a muovere un passo, pur vedendo con la coda dell’occhio Tony che posava la tazza e si alzava per avvicinarsi cautamente. Quando rialzò lo sguardo era davanti a lei, con pieghe preoccupate a incorniciargli il volto; un fiotto di sollievo la scosse nel vedere che il reattore era coperto, per poi tramutarsi in una tensione opprimente che sembrava volerle rubare il respiro. Tony notò il suo sguardo ed esalò un sospiro muto.
«Vieni qui,» la incitò poi, tendendole con dolcezza la mano.
Lei esitò appena, prima di accettare l’invito e stringersi a lui. Sentì le sue labbra che le sfioravano la tempia, solleticandola col pizzetto, e socchiuse gli occhi nel tentativo di mettere ordine tra le sue emozioni.
«Come ti senti?» riuscì a mormorare, senza guardarlo.
Sentì il sussulto di una risatina inaspettata scuotere il suo petto.
«Stanco, ma non lo riterrei un fatto negativo,» rispose poi, e Pepper si trovò a sorridere oltre le lacrime che le erano salite di nuovo agli occhi, per ora invisibili a lui. «Tu, invece?» continuò poi, più serio.
Anche senza guardarlo, poté immaginare le sue sopracciglia aggrottate.
«Confusa,» si risolse a rispondere sinceramente, dopo un istante di esitazione.
Tony a quel punto la scostò un poco da sé per guardarla in volto, con un’espressione a metà tra il contrariato e l’interdetto.
«Avevamo deciso che non fosse… strano, giusto?» chiese conferma con una traballante nota di dubbio, facendo scattare ripetutamente l’indice meccanico tra loro due con fare un po’ agitato.

Pepper scosse la testa, scacciando quell’interrogativo dallo sguardo di lui, e il velo umido diluiva il proprio.
«No, non è strano,» lo rassicurò, aumentando un poco la stretta su di lui a sottolineare quelle parole e, assieme ad esse, la propria scelta, ancora immutata. «Ma se possibile ho ancora più paura di prima, e non sono sicura di… di riuscire a gestirla,» si costrinse a confessare infine, tornando a posare la fronte contro il suo collo e fissando di sfuggita il brillio azzurrino e ai suoi occhi minaccioso oltre il suo colletto.
Le paure che li avevano spinti a rimandare quel momento si stavano concretizzando davanti ai loro occhi, e Pepper non seppe dire quale decisione sarebbe stata migliore: se aspettare ancora o non aspettare affatto, sin dal principio. Quell'interrogativo grattò sgradevole alla sua porta, come se l'avesse chiuso fuori troppo a lungo.
Sentì Tony che le cingeva i fianchi in silenzio. Nonostante la breve esitazione iniziale, lo fece saldamente e con entrambe le braccia, scacciando le molte paure che Pepper ancora intuiva dietro ogni gesto. Lo sentì vacillare appena, forse scosso da una fitta, e lo sorresse prontamente, offrendogli un appoggio per recuperare l’equilibrio.
«Pepper Potts,» esordì poi lui, inclinando la testa per catturare il suo sguardo. ««Tu sei la persona più forte che conosca, e conosco super-soldati, dèi asgardiani e mostri verdi rabbiosi,» specificò, strappandole una smorfia imbarazzata. «E io ti ho fatto una promessa,» aggiunse, più serio, racchiudendole una guancia nel palmo sano.
Pepper notò la mano artificiale ferma a mezz’aria, titubante a un centimetro dal suo volto, e la accompagnò contro l’altra guancia, suscitando nello sguardo di Tony quel misto di confusione e incredulità che gli tingeva l’iride di sfumature più dense. Pepper socchiuse gli occhi e si adagiò nella sua stretta, sentendo la cortina liquida che le appannava la vista dissolversi a poco a poco, mentre le parole di Tony sembravano raddrizzare i suoi pensieri uno ad uno, impedendo loro di annodarsi in grovigli cupi.
«C’è un’unica cosa che mi fa davvero paura…» riprese d’un tratto lui, interrompendosi, e Pepper si irrigidì, fissandolo con rinnovata preoccupazione. «Ovvero: cosa dovrei fare adesso? Nel senso… per ora ti ho fatto un tè, ma come ci si… Dovrei comprarti dei cioccolatini? O un mazzo di fiori? Oppure ti preparo una cena coi fiocchi, ma conoscendo la mia discutibile abilità culinaria non… insomma, non voglio risultare banale, ma neanche esagerare e… sono impreparato a…»

«Tony.»
Pepper sollevò lo sguardo e lo mise a tacere con due dita sulle labbra, che si curvarono in una linea vagamente impacciata mettendo fine al suo flusso inarrestabile, ed ebbe l’onore di vederlo arrossire per forse la terza volta in dieci anni.

«Te la stai cavando bene, finora,» stabilì poi scherzosa, facendo scivolare la mano sulla nuca e affondandola nei suoi capelli, lieta che fosse riuscito a dirottare il discorso.
«Imparo in fretta,» si vantò lui, per poi ammiccare compiaciuto. «E a te piacciono proprio i miei vestiti,» la canzonò poi, tendendo con un dito la cinta del suo accappatoio, allentandola un poco senza però scioglierla.
Pepper nascose un sorriso, senza contraddirlo, ma la strinse di nuovo, suscitando uno sbuffo di finto rammarico da parte sua.
«Sono già in ritardo,» gli disse, in tono non troppo convincente.
«In teoria lavori per me,» osservò lui, assottigliando lo sguardo con aria furba.

«In teoria adesso sono io il tuo capo,» lo rimbeccò lei, puntandogli un dito contro il petto, poco sopra il reattore.
Tony schiuse la bocca a metà tra il sorpreso e l’indignato, in un’espressione decisamente comica.
«Questo fatto ha delle potenziali e interessanti implicazioni che ci impegneremo ad esplorare insieme nel dettaglio stasera,» stabilì infine con fare malizioso, pur mantenendo una facciata offesa.

Pepper sbuffò trattenendo al contempo una risata, e riuscì a strapparla anche a lui con un ultimo bacio, facendola risuonare sulle labbra di entrambi.

***

18 Maggio, Villa Stark

Nonostante l’allenamento decennale a cui aveva sottoposto i propri timpani, Tony era sicuro che, al prossimo riff esplosivo degli AC/DC, avrebbe corso il serio rischio di farsi venire un cardiopalma da infarto per il nervoso. Data la natura del progetto a cui stava lavorando, la cosa sarebbe stata quantomeno ironica.
Così mise in pausa Whole Lotta Rosie e avviò una più calma, almeno per i suoi standard, Rock The Casbah, tornando poi a concentrarsi sul lavoro di saldatura che stava lentamente portando a termine a dispetto del braccio meccanico poco collaborativo e martoriato dalle fitte. Soffiò sul saldatore, disperdendo i filamenti fumosi che lo avvolgevano, e controllò che il prisma davanti a lui fosse ben fissato alla propria base girevole. Gli rimase impressa sul volto un’espressione critica e non del tutto soddisfatta, e fu tentato dallo smantellare anche quel terzo modello. Soppresse il suo lato pignolo e perfezionista e decise di rimandare a dopo il giudizio definitivo, quando avrebbe avuto almeno più di un decimo dell’acceleratore di particelle pronto. Aveva una certa fretta, a detta del 70% riportato dal rilevatore e dai sintomi spiacevoli in vertiginoso aumento… ma ormai era a un passo dalla verità, anche se doveva spronarsi costantemente per non rimandare ulteriormente il momento in cui avrebbe saputo se sarebbe stata anche una soluzione.

Un groppo amaro gli si bloccò in gola nel ripensare a tutto ciò che lui e Pepper avevano affrontato in quegli ultimi giorni, ai momenti di quotidianità che riempivano le loro giornate di una spensieratezza nuova, e dei discorsi più cupi che invece trovavano sbocco solo nel cuore della notte, sussurrati a mezze parole tra le lenzuola, con solo la luce fioca e sinistra del reattore a dissipare il buio. Discorsi costellati di “se” e di “ma”, di affermazioni certe fatte poche ore prima che diventavano ipotesi, di “non lo so” e “non ancora”, di dubbi che finivano spesso per venir soffocati nei sospiri, che per ora erano una soluzione sufficiente.
Tony deglutì a fatica e sollevò bruscamente gli occhiali protettivi, strappandosi a quei pensieri dolceamari e lanciò un’occhiata all’ologramma sospeso dello…
“Starkium,” ribadì tra sé, dopo aver passato le ultime due ore a rimuginare in sottofondo sul nome del nuovo elemento ed essersi infine deciso a scartare il decisamente discutibile “Howardium”.
«JARVIS, hai ricontrollato quei calcoli?» chiese poi, sfregandosi il mento pensieroso e prendendo a sorseggiare con poca convinzione un po' di clorofilla.
«Sì, signore. La lunghezza ottimale dell’acceleratore è 87,4 metri,» gli confermò, come temeva, anche se in effetti ne aveva già avuto la certezza la prima volta.
Seguì con lo sguardo il perimetro del laboratorio, fissandosi poi su una parete mentre tamburellava le dita sui bicipiti. Emise un sonoro sospiro, per poi rivolgersi di nuovo al computer:
«JARVIS, avvisa Pepper di non… allarmarsi quando tornerà,» elaborò, mordendosi impensierito le labbra.

Si decise finalmente a mettersi in piedi un po’ barcollante, calandosi di nuovo gli occhiali sul volto, e si avviò con decisione verso le cassette degli attrezzi pesanti.
Dopotutto, non era la prima volta che buttava giù una parete a Villa Stark.

***

23 Maggio, Villa Stark

Pepper sollevò di scatto il capo dalle pratiche che stava visionando sul tavolo del salotto, in un soffuso stato d’agitazione di cui non riuscì a identificare subito l’origine.
Capì dopo qualche secondo che era stato l’improvviso silenzio ad allertarla, visto che le sue orecchie si erano abituate da giorni al continuo fracasso proveniente dal piano inferiore, che passava dallo stridio assordante della sega circolare, al battere incessante delle martellate, a un indefinito tramestio di metallo e calcinacci. Il tutto inframezzato da qualche occasionale e colorita imprecazione da parte di Tony. L’insonorizzazione del laboratorio era stata decisamente compromessa, da quando il proprietario aveva realizzato un cratere di circa due metri di diametro nel bel mezzo dell’atrio, e Pepper scoccò un’occhiata verso il groviglio di fili, tubi e cavi che emergevano dai suoi bordi come serpenti stanchi sparsi sul marmo impolverato.
Stava giusto per affacciarsi al piano di sotto – visto che, l’ultima volta che si era creato quel silenzio sospetto, era seguita una piccola esplosione che aveva provocato qualche scottatura a Tony e un infarto del miocardio a lei – ma il suono di un qualcosa di pesante e metallico che veniva trascinato per terra, seguito dallo sfrigolare della saldatrice, la convinse a desistere.
Tornò ad occuparsi del bilancio della Expo, che la attorniava in pile di documenti pronti a collassare, ma la sua mente rimase impigliata sul sottofondo di traffici e armeggi che Tony stava portando avanti da giorni, a dispetto del fatto che a detta di Ian avrebbe dovuto osservare un riposo quasi assoluto.
Avevano vissuto una settimana di pace irreale, da quando Tony aveva svelato l’enigma lasciatogli da suo padre, e da quando avevano deciso di lasciar crollare del tutto le loro difese. Quello slancio ottimistico aveva causato a entrambi un vuoto allo stomaco, consapevoli di avanzare su una sottile lastra di vetro pronta a cedere, ma avevano continuato a guardare avanti, e non dove mettevano i piedi. Si erano trovati a seguire una routine scaturita in modo spontaneo, come se l’unico effettivo cambiamento rispetto a prima fosse la possibilità e libertà di cercarsi a vicenda senza timori, che fosse per un bacio fugace tra un impegno o l’altro o per una notte intera.
Tony, che aveva continuato ad oscillare per mesi in un limbo di tensione e rigetto verso il proprio corpo, sembrava aver finalmente ritrovato un equilibrio, seppur precario. Esitava ancora nel mostrarsi nudo, si impensieriva quando lei era a contatto con le protesi e sembrava combattere a giorni alterni con la necessità della benda sull’occhio, ma aveva smesso di fuggire. Le faceva capire tra le righe come ciò fosse merito suo, anche se Pepper era convinta che quel cambiamento non sarebbe potuto partire che da lui: era orgogliosa nel vederlo più sicuro di sé, e nel realizzare che stava disperdendo uno ad uno i demoni che l’avevano assillato per più di un anno – tranne quello più pressante ancorato al suo petto e indipendente dalla sua volontà. Si sentiva riempire di felicità nel rivedere il vecchio Tony, coi suoi sorrisi scanzonati e le sue battute impertinenti, unite a una serietà e dedizione di fondo che le erano invece nuove.
Poi, tre giorni prima, l'idillio si era incrinato. Tony si era svegliato con un’emicrania devastante che l’aveva costretto a letto per mezza giornata; si era poi messo in piedi a forza per riprendere il lavoro sull’acceleratore di particelle, cercando di minimizzare la cosa. La sera stessa aveva avuto un accesso di tosse preoccupante che l’aveva lasciato senza fiato, e prima che Pepper potesse chiedergli come stesse, lui aveva sgranato l’occhio fissandosi il palmo con cui si era coperto la bocca. L’aveva poi inclinato muto verso di lei, a rivelare le inequivocabili tracce di sangue che lo macchiavano. Erano rimasti in silenzio a lungo, come se quel marchio rosso avesse messo a tacere i loro pensieri.
Non era nulla di inaspettato, ma avevano sentito la cupola di falsa serenità che li avvolgeva disintegrarsi in un coro di cristalli infranti attorno a loro.
Ian li aveva avvertiti già da tempo che, quando la situazione avrebbe cominciato a degenerare, l’avrebbe fatto rapidamente, ma Pepper non credeva di vederla precipitare a quel modo. Tony era visibilmente più debilitato con ogni giorno che passava, e quella notte l’aveva sentito alzarsi per dare di stomaco. Aveva concentrato ogni energia nel trattenere l’impulso di seguirlo per stargli accanto, sapendo quanto ciò lo facesse sentire umiliato, pronta però a scattare in piedi al minimo accenno di vera necessità. Quando era tornato a letto un’ora dopo, spossato, si era accorto di averla svegliata, ma non era neanche riuscito a stemperare la situazione con una battuta, come faceva di solito. Si era limitato a coricarsi di peso rivolgendole la schiena, senza proferir parola, ripiegato su se stesso quasi ad occupare meno spazio possibile. Pepper aveva taciuto a sua volta, ma l’aveva stretto a sé con delicatezza, posandogli un bacio rassicurante dietro al collo. L’aveva sentito tremare, non sapeva se per il dolore, la stanchezza o la paura. Gli aveva poggiato una mano sul reattore tiepido come a infondergli forza, a scacciargli dal petto il veleno che lo infestava. Lui si era rannicchiato ancor di più contro di lei, cercando le sue mani alla cieca e rifiutando di mostrarle il volto.
Pepper si obbligò a concentrarsi di nuovo su ciò che stava leggendo – che non le interessava minimamente, e le cui lettere stampate sembravano galleggiare in una distesa acquosa – mordendosi con forza le labbra per non lasciarsi sopraffare.
Tony non era l’unico ad avere una promessa da mantenere. Si rifiutava di cedere di nuovo al dolore come si era trovata a fare più volte nell’ultimo periodo. Ma era riuscita a trovare proprio in lui la forza per non lasciarsi crollare a terra; lui che ormai faceva fatica anche a stare in piedi o a respirare, e che passava le giornate in laboratorio a combattere contro un’ingiustizia beffarda, per evitare che tutti i traguardi raggiunti venissero vanificati.
Doveva solo raggiungere l’ultimo e, qualunque fosse stato, Pepper giurò a se stessa che sarebbe rimasta al suo fianco.

***

23 Maggio, Villa Stark

L’ennesimo silenzio prolungato e sospetto che avvolse il salone la fece rimanere col cuore in gola, in un riflesso condizionato. Sperò che Tony non avesse di nuovo rischiato di tagliare a metà il laboratorio per un fascio di particelle indirizzato male, e sussultò nel sentire una sonora esclamazione che riecheggiò fin lì, inquietantemente ambigua. Subito dopo, dei passi pesanti risuonarono sulle scale, convincendola ad alzarsi in piedi.
«Signorina Potts!» esordì Tony, non appena mise piede nell’atrio, e già quel preambolo la mise sul chi vive.
Si arrestò affannato sul primo gradino, evidentemente stremato per lo sforzo, ma si raddrizzò subito, avanzando con passo un po’ sbilenco, ma deciso.
«Posso chiederle un favore che le farà quasi sicuramente dare di matto?» continuò, sempre in quel finto tono formale.
Pepper batté le palpebre e prese atto di come Tony, contrariamente alle sue aspettative dopo l'ennesima notte travagliata che aveva trascorso, sembrava sprizzare energia da tutti i pori, e poco mancava che iniziasse a fare il giocoliere col bastone da passeggio, che faceva volteggiare qua e là mentre teneva l’altra mano dietro la schiena.
«Non è una… premessa incoraggiante,» si forzò a dire, sentendo una contrazione più violenta del cuore che quasi le fermò il respiro.
Guardò Tony negli occhi e vide, dopo giorni di sguardi spenti e opachi, quel brillio vivace che portava alla luce le pagliuzze dorate nella sua iride, e che la rendeva specchio di ogni singola variazione d’umore che lo sfiorava. E in quel momento era raggiante, anche se si sforzava di mascherarlo.
«Tony?» riuscì a dire soltanto, e il suo cuore si contrasse per la seconda volta in modo doloroso, quasi se volesse trattenere qualunque emozione positiva tentasse di farlo battere più forte.
Lui sorrise senza più remore, fermandosi di fronte a lei.
«Mi servirebbe una mano con questo,» proferì infine, con la voce che traballò appena, scossa da emozioni che neanche lui riusciva del tutto a contenere.
Tolse la mano da dietro la schiena e a Pepper quasi cedettero le gambe nel cogliere la sfumatura azzurrina di ciò che stringeva nel palmo. Un reattore, poco più piccolo di quello incastonato nel suo petto, con la forma di un triangolo incastonato nel nucleo ancora spento. Pepper porto le mani a coprirsi la bocca e dovette ordinare ai propri polmoni di riprendere a respirare, o sarebbe svenuta per l’asfissia. Tony continuava ad osservarla sornione, godendosi ogni singolo mutamento che attraversò il suo volto, dalla perplessità, alla meraviglia, allo sconcerto più totale, fino al sorriso di pura gioia che la illuminò quando realizzò ciò che stava guardando.
«È… insomma... vuol dire...» cercò di formulare, senza successo.
«Sì,» rispose semplicemente lui. «È la soluzione,» completò poi, con voce di nuovo malferma.
Prima che potesse aggiungere altro, Pepper lo avvolse abbraccio impetuoso, tanto stretto da togliere il fiato a entrambi, e a quel punto il cuore di Pepper volle recuperare tutti i battiti persi e ne mandò uno che sembrò assordarla completamente, lasciandola con gli occhi lucidi. Tony la invitò ad alzare il viso, sciogliendo la propria espressione un po’ accigliata solo nel vederla sorridere commossa. Lei si asciugò gli angoli degli occhi, scacciando le lacrime che vi erano salite, e tornò ad affondare il volto nella sua spalla.
«Cosa dovevi chiedermi?» realizzò poi, sollevando lo sguardo.
L’espressione di Tony si tese in una smorfia che rasentava il colpevole.
«Ecco, dovrei sostituire il reattore vecchio e… ho bisogno del suo aiuto,» disse in fretta, scrutando a fondo la sua reazione.
Pepper rimase interdetta per un istante, col pensiero che corse alle implicazioni di quella richiesta prima che potesse fermarlo, gli occhi fissi sul circoletto azzurrino in mezzo al petto di Tony.
Avrebbe dovuto togliersi il reattore. Più precisamente, avrebbe dovuto rimuoverlo lei.

L’aria che la circondava sembrò solidificarsi, diventando impossibile da respirare, e strinse di riflesso la stoffa della maglietta di Tony, che di rimando serrò la mascella, incupendosi. Non disse nulla, e Pepper percepì la rigidità dei suoi muscoli: sapeva che la mente di entrambi era corsa allo stesso giorno, quello di cui si impegnavano a ignorare l’esistenza, spesso fallendo.
«Sei sicuro che…»
«Al 95% circa,» la anticipò lui, e la mancanza di una certezza assoluta si materializzò, così imponente da schiacciarla. «È più di quanto potessi sperare. Molto di più,» sottolineò nel vedere la sua dubbiosità, stringendole le braccia a dare ancor più forza a quel concetto.
Pepper prese un respiro, che fu più un’immissione forzata di qualche particella d’aria nei polmoni. Le sembrò di aver inalato degli spilli.
«Avevi detto che non mi avresti più obbligata a compiere operazioni chirurgiche poco ortodosse,» disse, costruendo un tono disinvolto minato dalla sua gola costretta.
Tony soffiò aria dal naso fissandola combattuto, con le labbra compresse in una linea bianca e sottile. Rimase serio, senza cavalcare la flebile onda d’ironia che gli aveva offerto.
«Non te lo chiederei mai, se potessi chiederlo a qualcun altro,» disse poi, sfuggendo il suo sguardo.

«Ian è sicuramente più qualificato per…»
«Pepper, vorrei che fossi tu a farlo,» la interruppe Tony, agitandosi d’un tratto, e lei avvertì il fugace tremito delle sue mani.

Attese un continuo sapendo che sarebbe arrivato, seppur coi suoi tempi, e Tony sembrò cambiare idea tre o quattro volte circa alle parole da pronunciare, prima di dar loro voce.
«È molto probabile…» la frase scemò nel vuoto, e ricominciò: «Potrei avere un… un attacco di panico quando…» fece un gesto verso il reattore incastonato nel suo petto, per poi premersi il palmo sull’occhio come se gli fosse venuto mal di testa, nascondendosi al contempo.
Pepper gli scostò la mano, stringendola e vincendo la sua lieve resistenza, così da guardarlo di nuovo direttamente.
«Che succede se non funziona?» chiese, domando l’instabilità della propria voce.
Lui scosse appena la testa. Per un momento sembrò sul punto di non rispondere, per poi scrollare le spalle:
«Nulla,» esalò, stirando di nuovo la bocca. «Assolutamente nulla. Mi rimetti il reattore vecchio prima che io vada in fibrillazione… e siamo punto e a capo,» concluse, più piano, quasi a non voler concretizzare quella possibilità.
Pepper lo osservò, cercando di determinare se quella fosse o meno una bugia, per poi realizzare che, a quel punto, non era più importante: non c’erano altre strade da percorrere. E lo sguardo di Tony era sincero, fedele alla promessa di non mentirle.
Si portò la sua mano alle labbra, sfiorando la sua pelle segnata da piccole cicatrici e inspirandone il tenue sentore di ferro bruciato. Poi annuì, stringendo le palpebre.
«D’accordo,» esalò contro le sue nocche, prendendogli in un guizzo di coraggio il reattore di mano.
Era più leggero di quanto si aspettasse, e freddo contro il suo palmo, in contrasto con il tepore che aveva imparato ad associarvi. Tony la fissò per un lungo istante da sotto le ciglia scure, in modo indecifrabile, per poi scostarsi da lei e farle strada senza una parola verso le scale del laboratorio. Pepper scollegò il cervello, lasciandolo a galleggiare nel buio nel tentativo di estraniarsi almeno per quel breve tragitto ancora doloroso, reso meno arduo dalla guida di Tony.
Non appena furono entrati, lui si sedette cautamente sulla sua solita sedia, iniziando a trafficare con alcune schermate. Pepper tenne gli occhi appuntati sul nuovo reattore stretto tra le sue mani – il cuore di Tony, che gliel’aveva affidato di nuovo – e cercando di escludere dal proprio campo visivo il laboratorio e il vecchio reattore. Riusciva a sentire la tensione che le pizzicava la pelle, come se volesse strappargliela di dosso, e aumentò la presa sul cilindro metallico tra le sue mani.
Si accostò a Tony mentre si toglieva la maglietta, rivelando il torace invaso di viticci gonfi e violacei e ormai impossibili da contrastare, anche con la clorofilla e il dilitio; lo aiutò ad assicurare gli elettrodi sul petto, proiettando il suo battito cardiaco su uno schermo olografico. Anche ai suoi occhi inesperti sembrava irregolare, e più debole di quanto avrebbe dovuto, ma forse era solo suggestione.
«Ok, stavolta sarà più facile,» esordì Tony, guardando ovunque tranne che nei suoi occhi. «Niente allegro chirurgo, è più come… come Tetris: io lo tolgo, tu lo incastri, ed è fatta,» spiegò, sforzandosi di mantenere un atteggiamento spigliato a dispetto della pupilla dilatata nella quale si scorgeva chiaramente la sua profonda apprensione.
Pepper annuì appena, incapace di elaborare una risposta che potesse essere rassicurante. Tony si umettò le labbra, sfregandosi nervoso il pizzetto, e fece presa sul bordo del reattore nel suo petto con la punta delle dita, congelandosi nel gesto di sbloccarlo. Lasciò ricadere la mano, inspirando a fondo dal naso in un moto frustrato, e Pepper gli sfiorò la spalla, non seppe se per dare sostegno a lui o per trovarlo lei. Realizzò in quel momento, ripensando alla spiegazione di Tony, che avrebbe potuto sostituirlo anche da solo. Eppure, l’aveva voluta lì, come sempre. E anche lei voleva esserci, a dispetto di tutte le proprie paure.
«Sei… sei pronta?» le chiese in quel mentre, accennando al nuovo reattore nella sua mano e cercando di spacciare quell’esitazione come qualcosa di voluto.
Pepper si riscosse e incrociò il suo sguardo, sentendosi colma di una determinazione nuova che quasi la fece tremare.
«Sì,» rispose, con una voce chiara e salda che sembrò cogliere di sorpresa Tony.
Era pronta davvero, qualunque sarebbe stato l’esito. Non a perdere lui, quello mai – le mozzava il respiro il solo pensiero – ma era pronta a rimanere, così come lui era pronto a non arrendersi.
Un po’ di quel vigore sembrò trasmettersi a Tony, che annuì con un unico cenno del capo e afferrò di nuovo il reattore, più saldamente stavolta. Lo ruotò fino a udire un lieve click, per poi tentennare una singola frazione di secondo prima di estrarlo con delicatezza dal suo alloggio. Lo vide trattenere il fiato come se fosse in apnea. Il suo volto si fece subito cereo e la cavità vuota sembrava occhieggiare maligna, quasi volesse risucchiare entrambi, rievocandole ricordi vividi che era riuscita a seppellire quasi del tutto. Ma quello non era un ricordo, e quella non era una fine; non adesso, non stavolta.

Posò con mani molli ma ferme la base del nuovo reattore sul bordo metallico dell’alloggio, allineando le scanalature di aggancio; la mano di Tony si posò allora sulla sua, accompagnandola nel movimento e inserendo insieme il nuovo cuore al suo posto. Vi fu un ultimo click metallico che echeggiò definitivo nel laboratorio.
Tony riprese a respirare appena, stringendo ancora la sua mano poggiata sul reattore spento. Aveva funzionato? La domanda aleggiava inespressa tra loro, entrambi con gli occhi puntati sul dischetto metallico inerte che racchiudeva le loro speranze.
Un flebile guizzo azzurrino lo attraversò, per poi spegnarsi con un sibilo.
Tony quasi boccheggiò e sembrò mancare un colpo, ma i monitor non mandarono alcun segnale d’allarme, mostrando solo il suo battito innaturalmente accelerato.
Poi, un lumicino stabile si accese nel nucleo, espandendosi pian piano come un sole in miniatura, andando a riempire l’intera circonferenza del reattore e illuminandola di un azzurro vivo e limpido, pulsante di energia.
Tony, a quel punto, le stava quasi stritolando la mano. Alzò di scatto lo sguardo su di lei, con un sorriso che titubava agli angoli delle sue labbra, incerto se realizzarsi o meno, esattamente come quello che Pepper sentiva sulle sue.
Lanciarono in sincrono un’occhiata agli schermi olografici, leggendo con rapidità i dati in cerca di un’anomalia, di una discrepanza, in attesa di un annuncio negativo di JARVIS o di una reazione inaspettata del corpo di Tony. Non accadde nulla. L’unico movimento era il 100% di un verde brillante che lampeggiò infine in un angolo, a indicare la compatibilità completa del reattore e del nuovo elemento.
Tony si coprì la bocca con la mano metallica, le sopracciglia strettamentecontratte in un’espressione incredula, e cercò il suo sguardo, rivelando l’iride lucida e vinta dall’emozione.
«Funziona,» riuscì a esalare, con un filo di voce.
Pepper percepì quella parola scrosciare come acqua nel deserto, salvifica, fonte di sollievo e a lungo attesa, come le lacrime che le sgorgarono all’istante lungo le guance, frenate solo dal sorriso che si aprì sul suo volto. Tony liberò una risata leggera e commossa, soffocata dal suo palmo che trattenne forse anche un singulto, e le sfiorò la guancia bagnata.
«Queste sono di nuovo lacrime di gioia?» le fece notare, con dolce ironia.
«Direi di sì,» rispose lei, chinandosi per abbracciarlo e trovando rifugio contro il suo petto irrorato di un azzurro di nuovo accogliente. «Le tue?» lo stuzzicò poi, strappandogli uno sbuffo.
«Può darsi,» le concesse con un sorriso un po’ umido, prima di baciarla con inaspettata tenerezza.
«E adesso?» mormorò Pepper non appena si furono separati, accarezzandogli il dorso della mano col pollice.
Quella domanda riecheggiò tra loro, come molto tempo prima, e stavolta spalancò la porta sul futuro che aveva tenuto chiusa fino ad allora.
«Adesso ricominciamo,» replicò Tony, con un sorrisetto scaltro e un brillio nuovo nello sguardo.
Pepper poggiò la fronte contro la sua, annuendo tra le lacrime, con la luce azzurrina e rassicurante del reattore che danzava sui loro volti e sulle loro dita intrecciate.




 

 

 

"If I fall, get knocked out
Pick myself right off the ground
When they turn down the lights
I hear my battle symphony
All the world in front of me
If my armor breaks
I'll fuse it back together"

 [Battle Symphony – Linkin Park]

 

 

 

27 Maggio, Stark Industries, Los Angeles

«Quindi rifiuta?»
«Rifiuto?»
«Lo chiede a me?»

«E a chi, sennò?»
«Si decida.»
«Uh, ok… sì.»
«Sì, accetta, o sì, rifiuta?»
«No, io non… rifiuto! Rifiuto.»
Tony alzò le mani in un gesto perentorio, a sottolineare le sue parole definitive.
«Ok,» replicò Ian, annuendo meditabondo. «Posso… chiederle perché?»
Tony si grattò la nuca, sfuggendo il suo sguardo per puntarlo al di fuori della vetrata, concentrandosi sul viavai metodico delle macchine sulla vicina tangenziale. Quello era esattamente il tipo di discussione che avrebbe voluto evitare. Non aveva resistito alla tentazione di presentarsi senza preavviso al dipartimento di Ian alle Industries, e si era compiaciuto della sua reazione di stupefatta meraviglia del medico nel vederlo lì, in condizioni fisiche decisamente migliori del previsto – anche se il bastone era un appoggio ancora irrinunciabile. Era sicuro di aver colto un brillio lucido negli occhi di Ian, che prima ancora di chiedere lumi sul perché e il percome fosse ora in ottima forma, gli aveva stretto la mano con raro calore, del tipo che Tony avrebbe giurato di poter sentire anche con l’arto metallico.
Dopo le dovute spiegazioni, non sapeva bene come, erano finiti a parlare di occhi e congegni oculari; un argomento che, con sua stessa sorpresa, avrebbe preferito liquidare al più presto.
«Ormai non mi sembra… così necessario,» sbuffò infine, sempre senza guardarlo.

Ian incrociò le braccia, inclinando il mento per scrutarlo da oltre le lenti degli occhiali, con le iridi acquamarina che lo stavano probabilmente scannerizzando dall’interno.
«È buffo,» commentò infine, con un verso indecifrabile a coronare quell’affermazione.
Tony alzò un sopracciglio mentre sprofondava un po’ di più nella poltroncina.
«Io sarei buffo?» nel dirlo si puntò un indice sul petto, senza sapere se dovesse sentirsi offeso o meno. «Questa mi mancava.»

«La sua risposta è buffa, perché è esattamente quella che mi ha dato lui,» aggiunse quindi il medico, scrollando le spalle. «Dice che ormai non è più necessario, che ha trovato un suo equilibrio
«Il suo amico è veramente strambo,» commentò Tony, circospetto.
«Non immagina quanto,» sorrise Ian. «Ma è sicuramente più sincero di lei,» osservò pungente.
Tony incassò la stoccata, facendo schioccare nervoso la lingua.
«La verità, Doc?» esordì retorico, inclinando appena la testa di lato. «Non so se ho davvero trovato un equilibrio, anche perché mi sento ancora un funambolo in un circo, ma… non voglio rischiare,» proferì infine, sbuffando aria dal naso. «Potrei provarci, ideare qualcosa – i progetti ci sono – operarmi…» esitò, tamburellando con le dita sul reattore. «E se poi qualcosa andasse storto?»
Scosse la testa, a sottolineare la sua reticenza, e Ian annuì di rimando, accettando in silenzio quella decisione.
«Stephen ha detto che, andando lì, potrebbe sistemare anche i difetti “residui”, e non si aspetta nulla in cambio,» aggiunse, spostando gli occhi sulla sua gamba.
Tony abbassò a sua volta lo sguardo, fissandolo sulle giunture meccaniche della caviglia che facevano capolino sotto l’orlo dei pantaloni.
«Non so, Doc,» tentennò, arricciando le labbra. «Sono un uomo di scienza, non mi ci vedo a fare il guru della montagna. A ciascuno il suo,» concluse in tono deciso.
«Come vuole, ma ci pensi. E glielo dico da scettico,» specificò Ian, trattenendosi visibilmente dall’aggiungere altro.
«Kathmandu non va da nessuna parte,» commentò Tony, in cuor suo piacevolmente sorpreso dalla premura del medico, che appariva più allegro di quanto l’avesse mai visto. «Comunque, c’è un certo pirata di mia conoscenza che potrebbe darmi una mano a reperire almeno un occhio del colore giusto. Me lo deve,» continuò, scrocchiandosi con indolenza le dita e godendosi il sibilo delle giunture ben funzionanti.
«E per il resto?» continuò Ian, facendo un cenno al suo volto.
Tony alzò le spalle, sfiorando di riflesso la benda e percependo i bordi spessi e conosciuti della cicatrice sottostante.
«Gliel’ho detto, Doc: il sinistro è sempre stato il mio profilo peggiore,» concluse dopo una pausa studiata, sollevando l’angolo delle labbra in un sorrisetto.
Ian scosse la testa, ma il suo sbuffo esasperato sfumò in una risata.

 

***

 

 

29 Maggio, Villa Stark

L’oceano scintillava vivace, irrorato dalla luce di un intenso tramonto, e i riflessi parevano ammiccare dalla cresta delle onde verso la terrazza a picco sulla scogliera e addobbata a festa, con una lunga tavolata a occuparla.
Tony, da sotto il ridicolo cappellino dorato con un “40” rosso-fluo che gli era stato calcato in testa a forza da Rhodey, esibiva un cipiglio contrariato e ben poco in accordo col clima goliardico che lo circondava.
«Questo è tradimento,» sibilò per la terza volta all’orecchio di Pepper, seduta accanto a lui a capotavola.
Lei per la terza volta alzò gli occhi al cielo, che adesso iniziava a scurirsi lasciando intravedere le prime stelle, per poi fissarlo col mento poggiato sulla mano e un sorrisetto saputo a distenderle le labbra.
«Ti ha fatto piacere, adesso puoi ammetterlo,» sentenziò, battendo le ciglia con deliberata lentezza a sottintendere quella sua affermazione.
Tony non rispose, s’impegnò a non lasciar ricadere la mandibola nel vederla ammiccare in quel modo languido, e addentò la sua pizza con espressione un po’ imbronciata, minata però dal lieve assottigliarsi del suo sguardo, che gli mise in risalto le rughe del sorriso.
«È la seconda?» gli chiese vagamente minaccioso Ian, due posti più in là, con un cenno al cartone vuoto.

«La prima,» mentì bofonchiando Tony, mandando giù l’ultimo boccone della sua terza fetta di pizza con un’espressione angelica non molto convincente.
Ian assottigliò lo sguardo, rendendolo abbastanza appuntito da perforare il titanio, ma non commentò, e Tony accolse di buon grado il richiamo provvidenziale di Bruce, che, dopo essersi trattenuto fino ad allora, si sporse infine verso di lui chiedendogli con fare noncurante i dettagli tecnici dello Starkium. Tony sfoggiò un sogghigno tronfio e gli fece cenno di spostarsi vicino a lui, così da non dover gridare formule e teoremi da una parte all’altra del tavolo affollato.
Doveva ammettere che, in fondo, molto in fondo, la serata non gli stava dispiacendo. Si era quasi dato alla fuga quando, di ritorno da Los Angeles dopo aver sistemato con Kyle i suoi ultimi inconvenienti legali, si era ritrovato mezzo quartier generale dei Vendicatori in casa – oltre a una quantità esagerata di festoni rosso-oro, una mole di cibo in grado di sfamare un esercito, e una pioggia di coriandoli che l’aveva investito non appena varcata la porta della villa.
Pepper l’aveva riagguantato tempestivamente per un orecchio, Happy aveva chiuso a chiave la macchina, e Rhodey gli aveva tagliato ogni via di fuga. Tony si era lasciato trascinare docilmente a capotavola solo perché era rimasto imbambolato nel vedere il vestito verde che indossava Pepper, che aveva il potere mistico di inibirgli la facoltà decisionale.
Ma, dopotutto, non gli stava dispiacendo così tanto, nonostante l’astio malcelato per il proprio compleanno – o forse proprio perché per una volta sentiva di aver più di un valido motivo per festeggiarlo. Per esempio, la possibilità di poterlo festeggiare.

E tra un brindisi, un applauso, un finto singolar tenzone con Nat, una gara di bevuta – persa – con Thor, un letterale braccio di ferro – in pareggio – con Cap, un bacio sovrappensiero a Pepper che aveva scatenato un’ovazione collettiva, e un quasi-infarto nel ritrovarsi persino Fury e Coulson alla porta, il pomeriggio era trascorso rapido, accompagnato dalla parabola variopinta del sole calante che si tuffava nell’oceano.
Adesso, anche se teneva per principio il broncio con Pepper, avrebbe voluto prolungare quei momenti, col timore nascosto che potessero sfuggirgli, o che fossero solo un sogno un po' troppo vivido; erano dubbi che gli covavano nel cuore, ma che per quella sera tenne a bada, soffocandoli nelle loro braci.
Rischiò seriamente di perdere la sua dignità superstite quando, verso le undici, gli fu piazzata sotto il naso una torta panna e fragole di dimensioni mastodontiche – con gioia sua e disperazione completa di Pepper – sommersa di candeline e accompagnata da un pacchetto rosso-oro sospetto, consegnato da Nataša “da parte della boy-band”. Cercò di rimandare il momento di scartarlo, meditando di farlo in privato, ma lo sguardo intimidatorio della donna lo convinse a cedere per evitare gravi contusioni. Mascherare l’emozione che gli avviluppò la gola nell’aprirlo si rivelò uno dei compiti più ardui che avesse mai dovuto affrontare, ma mantenne un aplomb impeccabile nel rivelare una cornice dello stesso rosso dell’armatura, firmata con un pennarello dorato dai Vendicatori. Racchiudeva la foto che aveva mandato allo SHIELD, quella che sembrava ormai una vita fa, quando si era messo in piedi per la prima volta, sorridente e vittorioso. Era riuscito a ringraziare solo con un cenno del capo, rimanendo immobile per quasi un minuto intero, per poi decidersi a stringere la mano a Steve e Clint, dare una vigorosa pacca sulla schiena a Bruce e rifilare un abbraccio a tradimento a Nat, per poi negare strenuamente ogni suo coinvolgimento emotivo.

Fu verso mezzanotte che si decise infine a mettere in atto il piano incompleto che aveva provveduto ad architettare in quei giorni, spronato anche da quel regalo imprevisto.
Reclamò l’attenzione di tutti battendo una forchetta contro il proprio bicchiere e tutti rivolsero la testa verso di lui, in un misto di curiosità e sorpresa. L'euforia ormai quasi dimenticata di trovarsi sotto i riflettori lo investì di nuovo, piacevolmente. Si esibì in un sorriso placido, attendendo che il chiacchiericcio sfumasse, per poi schiarirsi la voce e iniziare a parlare:
«Dunque, tenendo conto del fatto che mi avete sequestrato contro la mia volontà, e che avete occupato illegalmente la mia villa…»
Un coro di proteste indignate si levò dai suoi ospiti, e si affrettò a continuare:
«… ritengo doveroso dirvi che tutto ciò è uh… dirvi che è stato… inaspettato e sorprendentemente piacevole,» disse in fretta, decidendosi a togliersi quel ridicolo cappellino sotto lo sguardo truce di Rhodey.
«Bastava un grazie, Stark!» gli gridò Steve dal fondo del tavolo.
«Non è un “grazie”!» protestò lui, sentendosi d’un tratto accaldato. «È un… un semplice riconoscimento per…»
Tony s’interruppe in un secco sospiro, rimediandosi qualche occhiata divertita, e notando quelle pungenti di Pepper che sembravano pungolarlo metaforicamente.
«È un grazie,» disse infine, con un sorriso incerto.
Fu un bene che la maggior parte dei presenti avesse un udito superiore alla norma, o quella frase pronunciata a mezza voce si sarebbe potuta perdere nello scroscio della risacca.
«Dobbiamo segnarlo sul calendario come “il giorno in cui Tony Stark disse grazie”?» ironizzò Nat, impassibile se non per l’angolo delle labbra inclinato furbescamente.
Tony alzò l’occhio al cielo, mangiandosi una decina di risposte sagaci e allargando le braccia con fare sconfitto, a dire di procedere come meglio credevano, per poi riprendere:
«Comunque… tutto ciò è stato piuttosto… inaspettato, e non mi piace molto dover rivedere i miei piani, ma in questo caso farò un’eccezione, visto che sono bravo a improvvisare,» sogghignò, attivando uno dei proiettori olografici esterni tramite JARVIS. «Chi si offre volontario?» li invitò poi, godendosi le loro espressioni perplesse, in particolare quella di Pepper, anche lei all’oscuro di tutto. «Nessuno? Bene, allora scelgo io,» dichiarò fermamente. «Partiamo da lei, Agente.»
Si alzò in piedi e indicò col bastone da passeggio Coulson, che quasi sbarrò gli occhi.
«Io?»
«Visto che ho il sospetto che Audrey ce l’abbia ancora con me per la faccenda delle uh… vacanze interrotte, ho pensato che magari potevate aver voglia di farvene una… che so, alle Bahamas?» buttò lì, suscitando un’espressione basita sul suo volto quando il file digitale di due biglietti aerei si materializzò nell’ologramma.

Prima che lui potesse replicare, e vedendo che lampi di comprensione iniziavano a balenare sui volti dei presenti, si affrettò a continuare, stavolta sorridendo apertamente:
«Miss Russia,» chiamò, indicando Nat, «per te ho qualcosa di più pratico. Non ho avuto il tempo di ultimarla fisicamente, ma…» l’ologramma cambiò, mostrando il modello di una tuta stealth su misura, completa di accessori letali, e la spia rimase a metà tra un’esternazione di stupore e una di vivo interesse per quel regalo che incontrava decisamente i suoi gusti.
«Carina, ha anche lo spray al peperoncino incorporato?» commentò infine, sorridendo maligna.
«Possiamo aggiungerlo,» le accordò Tony con un occhiolino, spostando poi il bastone in direzione di Barton. «Guglielmo Tell, ti ho rifatto il corredo, prego, non c’è di che,» annunciò, mostrando un altro progetto, stavolta di un arco hi-tech con frecce abbinate, e quasi poté vedere gli occhi di Clint che sbrilluccicavano, con un cenno d’assenso soddisfatto e grato nella sua direzione.
A quel punto, la cosa sembrava essersi trasformata in uno spettacolo di varietà, con Tony che faceva da conduttore e loro che attendevano trepidanti il proprio turno in quel gioco a premi improvvisato.
«Brucie,» continuò Tony con voce più acuta del normale, pescando il “partecipante” successivo, che quasi rimpicciolì nel sentirsi chiamare. «Devi sapere che sono rimasto traumatizzato dalla tua totale mancanza di pudore quando il tuo amichetto verde decide di arrabbiarsi, quindi…» L’ologramma sfarfallò, e mostrò quello che a prima vista sembrava un normalissimo paio di pantaloni. «Sono in fibra di titanio elastica, e dovrebbero resistere a Hulk e preservare la tua dignità in ogni circostanza,» lo punzecchiò, mentre lui assumeva un colorito fortunatamente porpora e non verdastro, poi sbottare in una risatina imbarazzata.

«Tony, sei il peggiore,» commentò infine, con un sospirò bonario, mentre lui già proseguiva con un ghigno:
«Point Break, non ho idea di cosa si regali a un dio asgardiano,» esordì, e il dio in questione lo scrutò interessato, per poi accigliarsi profondamente nello scorgere la proiezione di quella che sembrava, e indubbiamente era, una tavola da surf. «Quindi… uh, mi perdonerai la poca fantasia,» concluse, trattenendo l’ilarità nel vedere il cipiglio perplesso di Thor, che come sospettava non aveva ben colto l’utilizzo di quell’aggeggio midgardiano.
«Grazie, Stark, farò buon uso di questa nobile arma!» dichiarò poi, con voce roboante e senza esitazione, e stavolta anche gli altri soppressero una risata.
«Rhodey,» riprese Tony, voltandosi verso l’amico senza celare del tutto l’affetto che gli illuminò lo sguardo, e lui incrociò le braccia in attesa, sforzandosi di mantenersi impassibile. «Il tuo non è un vero e proprio regalo,» esordì, facendogli aggrottare le sopracciglia. «E diciamo che non c’è più bisogno di sostituire Iron Man, perché, beh...» Tentennò appena e tamburellò soddisfatto le dita sul nuovo reattore. «Perché sono un genio e ho risolto il problema. Ma, magari, non ti dispiacerà tenere War Machine e farmi da stuntman mentre mi rimetto in sesto,» concluse in fretta, lasciandolo a bocca aperta, esterrefatto.
Tony gli rivolse un sorriso raggiante, prima di rivolgersi verso il successivo "vincitore":
«Happy, non mi sono dimenticato: per te c'è quella Rolls Royce d'epoca che mi chiedi di poter guidare da circa quindici anni, fanne ciò che vuoi,» lo invitò, lanciandogli le chiavi dall'altra parte del tavolo.
Il suo autista le agguantò al volo per un pelo, con un sorriso estasiato a illuminargli il volto arrossato da un paio di bicchieri di troppo.
«E tu, Barbanera,
» Tony girò sui tacchi, piantando l'indice verso di lui con fare minaccioso. «Ce l’hai davanti, il tuo regalo!» esclamò poi, indicandosi con un sogghigno compiaciuto e suscitando l’ilarità generale.
Fury alzò l’occhio al cielo, ma soffocò un accenno di sorriso che distese il suo volto costantemente corrucciato.
«E con questo, direi che abbiamo… oh,un momento!» Tony s’interruppe, frugando nella tasca interna della giacca ed estraendo ciò che aveva recuperato di soppiatto assieme alle chiavi, in uno dei rari attimi in cui era riuscito a svicolare via.
Si avvicinò a Rogers, che lo fissò perplesso, evidentemente non aspettandosi di venire incluso nei ringraziamenti. Quando fu a portata di braccio, gli tese la foto con suo padre e Peggy che aveva trovato nello scatolone dello SHIELD. Vide i suoi occhi chiari dilatarsi per lo stupore, e poi farsi un po’ lucidi mentre prendeva con delicatezza la foto tra pollice e indice, quasi avesse potuto sgretolarsi sotto il suo tocco.
«Ce ne sono altre, circa una ventina… magari uno di questi giorni vieni a darci un’occhiata,» buttò lì Tony con un sorriso gentile, tentando di trarlo d’impaccio.
Steve annuì, deglutendo un po’ rumorosamente.
«Grazie, Stark,» gracchiò, incontrando brevemente il suo sguardo per poi fissarlo di nuovo, annebbiato, sulla foto.
Tony gli rivolse un cenno del capo, poi si discostò da lui tornando a capotavola, ma rimase in piedi, imbastendo un’aria pensosa.
«Dicevo che adesso abbiamo finito coi ringraziamenti…» Fece una pausa a effetto. «Quindi, direi di passare ai ringraziamenti speciali,» concluse, guardando in successione Ian, Kyle e infine Pepper, che prevedibilmente arrossì nel sentirsi tirare in causa.

«Dottor Ian Mitchell,» iniziò, con fare un po’ pomposo stemperato da un timbro faceto.
Questi si raddrizzò sulla sua sedia, quasi sull’attenti.
«Per la dedizione, la professionalità e l’impegno che ha avuto come mio medico, per l’umanità, la disponibilità e la pazienza dimostrati come amico, e per essersi impegnato attivamente nell’impedirmi di fare stronzate per più di un anno e mezzo…» Ian scosse la testa con fare imbarazzato, agitandosi sul posto, «… le comunico personalmente la sua promozione a consulente generale del dipartimento biomedico delle Stark Industries e a capo ricercatore del Progetto Phoenix,» concluse, avviando lui stesso l’applauso, che risuonò subito corposo sulla terrazza illuminata, riecheggiando sulle onde festose dell'oceano.
Osservò l’espressione basita del medico, che si stava sforzando inutilmente di elaborare una risposta sensata, finendo solo per boccheggiare a vuoto, vinto dall’emozione che lo costrinse a togliersi gli occhiali appannati mentre Kyle gli dava una vigorose pacche di congratulazioni sulla spalla.
«Oh, la smetta con la pantomima,» lo riprese bonario Tony, quando lo vide addirittura voltare le spalle agli altri per ricomporsi.
«Lo sanno tutti che, sotto sotto, ha un cuore d'oro,» concluse ammiccando.
«Non lo dica troppo in giro,» replicò Ian, burbero come sempre, ma con occhi luminosi e caldi.
Tony spostò il peso da un piede all’altro, picchiettando a terra col bastone e tirando un grosso respiro per prepararsi all’annuncio successivo, che gli avrebbe probabilmente fatto perdere il poco contegno che era ancora riuscito a mantenere.
«Avvocato Kyle Andrews,» lo richiamò, con voce piena, e lui lasciò perdere Ian voltandosi di scatto, con un respiro visibilmente bloccato in gola.
Tony fece un sorriso scaltro, passandosi il bastone da una mano all’altra ad aumentare la suspense, e prima ancora di iniziare a parlare, lo vide sgranare gli occhi in un moto di comprensione.
«So che ci ho messo più tempo del previsto…»
«Oddio,» esalò subito Kyle, portandosi le mani a coprire bocca e naso, e Tony sorrise, avvicinandosi di un paio di passi.
«… e che ci sono stati un paio di imprevisti strada facendo…» continuò, con fare vago.
«Oddio,» ripeté Kyle, stavolta con voce udibilmente spezzata.
«… ma una promessa è una promessa,» concluse Tony, mentre l’ologramma dietro di lui cambiava a un suo cenno.
Kyle liberò un’acuta esclamazione di pura felicità che quasi lo assordò nel vedere il progetto completo dei suoi tutori galleggiare a mezz’aria, accompagnati dalla foto del prototipo che Tony aveva testato in quella settimana, quando era finalmente riuscito a sfruttare le potenzialità dello Starkium a lavorare a mente libera su quel progetto.
«Stark,» singhiozzò Kyle, tra le lacrime di gioia che non si stava neanche curando di trattenere o nascondere. «Vieni subito qua,» gli intimò, facendogli un cenno con la mano e riuscendo a formare un sorriso sbilenco con le labbra tremanti.

Tony eseguì, mentre attorno a loro partiva un altro applauso avviato da Ian, che a questo punto aveva a sua volta due scie umide a solcargli le guance e si stava di nuovo stropicciando gli occhi da sotto le lenti, mandando all'aria ogni presunto tentativo di compostezza. Non appena si accostò a Kyle, Tony fu inglobato in un abbraccio spaccaossa, con un’energia impensabile per un corpo così gracile.
«Grazie, Stark,» disse il ragazzo, con un altro singhiozzo. «Grazie, grazie, grazie,» continuò a ripetere, aumentando ancora la stretta, e Tony ricambiò, lieto che stesse dando le spalle agli altri così da camuffare la propria emozione.
«Grazie a te, K,» replicò, dandogli una lieve pacca sulla schiena.

Si separarono con fare impacciato, Kyle paonazzo come non mai e Tony con una maschera molto poco convincente stampata in faccia. Incontrò di sfuggita lo sguardo di Pepper, anch'esso luminoso e irradiato di gioia come quello dei presenti, ma le parole che per una volta si era preparato si rifiutarono di uscire, troppo intime e sentite per essere pronunciate in pubblico come aveva programmato. Le rivolse un sorrisetto di scuse, e lei si limitò ad annuire discretamente, capendo come sempre senza bisogno di parole.
«Direi che un brindisi è d’obbligo!» esclamò invece, riempiendo il silenzio, e si allungò a recuperare il proprio bicchiere, indirizzandolo verso Kyle, Ian, e poi il resto degli ospiti, senza però staccare gli occhi da Pepper.

Prima di poter dire altro, fu Thor ad alzare il proprio bicchiere, rivolgendolo verso di lui con un gesto solenne.
«All’uomo di ferro!» tuonò, subito imitato dagli altri, e Tony sussultò sul posto, guardandosi attorno quasi spaesato, con quel calore appena sbocciato nel petto che prendeva a fiorire, più intenso, nel vedere i bicchieri di tutti che si levavano verso di lui.
Si ancorò agli occhi di Pepper, in cerca di un punto fermo che permettesse ai suoi pensieri in tumulto di ritrovare un ormeggio e un ordine logico, per poi scoprire di non volerlo fare, di volersi abbandonare a quella giostra di emozioni che lo rintronava piacevolmente, a quelle ondate di gioia ed esaltazione che gli si abbattevano nel petto mozzandogli il respiro e donandogli poi ossigeno, soffocando del tutto le voci maligne e deboli in sottofondo.
Non si riconosceva quasi più, ma allo stesso tempo non si era mai sentito così puramente se stesso da più anni di quanti riuscisse a contare. Era cambiato, o forse era solo riuscito a dare risposta alle mille domande che avevano continuato ad affollarsi nella sua testa e che aveva sempre scelto di ignorare.
Portò una mano al reattore; un’ancora salda, conosciuta, tiepida sotto le sue dita.
“Hai una famiglia?”
Con una traccia di malinconia a inclinargli le labbra, considerò uno ad uno i presenti, lasciando che i suoi occhi includessero ognuno di loro, venuti a festeggiarlo mentre sorridevano a lui, per lui.
Sorrise loro di rimando e alzò a sua volta il bicchiere, accettando il brindisi, accettando la vittoria, accettando se stesso.
Mentre beveva, spostò fugacemente lo sguardo al cielo ormai indaco, punteggiato dalle prime, timide stelle affacciate sul mare, e sorrise. 
Forse ci aveva messo un po’ più del previsto, ma aveva finalmente una risposta a quella domanda.

 

***

 

30 Maggio, Villa Stark

Era l’una e mezza passata quando anche Nataša, Steve e Bruce si congedarono dalla villa, dopo aver aiutato lui e Pepper aiutati a rimettere un po’ d’ordine e aver strappato loro la promessa di farsi rivedere presto al quartier generale.
Tony rimase ancora in terrazza, godendosi l’aria fresca della sera e il mormorio quieto delle onde. Aspettava Pepper poggiato di schiena sul parapetto, sapendo che lei non avrebbe tardato a raggiungerlo; e infatti, dopo pochi minuti uscì a sua volta, ancora col vestito verde addosso. Lui non disse nulla, lasciando che fosse il suo sguardo ammaliato a parlare, offuscato da ricordi onirici, e suscitò in lei un sorriso timido e una sfumatura rossa che le oscurò le lentiggini.
Si avvicinò a lui, cingendogli poi la vita, e gli posò un bacio sulla guancia.
«Ammetto che un po’ mi è piaciuta,» disse lui, con un piccolo sogghigno.
«Non l’avrei mai detto,» replicò Pepper, con aria saputa e chiaro compiacimento.
«Non montarti la testa,» la riprese lui, con uno sbuffo divertito.
«Da che pulpito…» lo mise a tacere lei, alzando gli occhi al cielo e poggiandosi contro di lui. «Alla fine, sei stato tu a sorprendere noi,» commentò dopo qualche secondo, con voce serena.
«Sì, di solito ci riesco bene,» replicò lui, sornione, chiedendosi se ci sarebbe riuscito anche con lei.
Si lasciò stringere ancora un poco, cercando di ripescare ancora una volta le parole che prima non erano arrivate, e ancora quelle sembrarono ritrarsi, schive come animali impauriti. Infine, la scostò appena da sé, senza però guardarla direttamente.
«Girati,» le disse, a bassa voce.
Lei corrugò le sopracciglia, con gli occhi accesi di curiosità, ma eseguì, porgendogli le spalle lasciate scoperte dal vestito e punteggiate di delicate efelidi. Tony si affrettò a frugare nella tasca interna della giacca, riuscendo ad afferrare la sottile catenina argentata sul fondo; sistemò al centro il ciondolo, le scostò con dolcezza i capelli sciolti e le fece passare il gioiello attorno al collo esile, agganciandolo con qualche difficoltà. 
Lei trasalì appena nel sentire il metallo freddo contro la pelle. Voltò appena il capo con fare sorpreso, per poi puntare lo sguardo sul ciondolo, una piccola goccia azzurrina adagiata tra le sue clavicole, e sfiorarlo con la punta delle dita.
Tony le si accostò, poggiando il mento sulla sua spalla e sollevando a sua volta il ciondolo tenendolo tra pollice e indice.
«Quello al centro,» spiegò, a un soffio dal suo orecchio, indicando la parte centrale della goccia, di un blu profondo e cangiante che ricordava un cielo stellato. «È vibranio grezzo. Era nello studio di mio padre e… beh, ho pensato che, simbolicamente parlando, sarebbe stato più elegante di… di una semplice chiave,» concluse, ringraziando il fatto che Pepper non potesse vederlo in faccia. «Quello attorno,» continuò, stringendola un poco a sé e passando il dito sulla cornice più chiara, dello stesso colore del reattore arc, «è Starkium e… sarebbe...insomma, non te lo devo spiegare,» concluse, in fretta e chiedendosi se non avesse esagerato coi simbolismi.
Pepper rimase in silenzio, accarezzando la superficie del ciondolo che aveva modellato di nascosto in quei giorni, sfruttando la sua scarsa abilità di orefice riuscendo a trarne qualcosa di almeno esteticamente gradevole. Non era comunque quella la parte più importante, e rimase col fiato sospeso ad attendere la reazione di Pepper.
Lei si girò piano, quasi con cautela, e lo guardò con occhi liquidi, messi in risalto dal colore della collana. Gli posò una mano sul petto e incontrò infine e sue labbra in una carezza lenta, coinvolgendolo in un bacio delicato ma intenso in ogni movimento congiunto delle loro labbra, tanto che quando si separarono erano entrambi senza fiato.
«È bellissimo,» sussurrò lei, con un filo di voce e un sorriso pieno che le illuminò gli occhi.
Tony sorrise, mostrandosi compiaciuto e tirando internamente un sospiro di sollievo, osservando Pepper che stringeva di nuovo il ciondolo con dita quasi tremanti.
«E non è finita qui,» mormorò lui, sollevando un sopracciglio con fare impertinente e attirando di nuovo la sua attenzione. «Il Cipriani ci aspetta,» rivelò poi, suscitando un’espressione scioccata sul volto di Pepper.
«Sul serio?» riuscì a dire, incredula. «A…»
«… a Venezia, sì. Ho pensato che, per una volta, me lo sono meritato,» scherzò poi, scostandole una ciocca dal volto senza volersi addentrare in discussioni troppo cupe.
Lei però non lasciò correre e gli prese il viso tra le mani, a sottolineare la sua assoluta serietà con quel gesto che compiva ancora di rado.
«Ti sei meritato tutto ciò che hai adesso, Tony,» dichiarò perentoria, senza distogliere gli occhi dai suoi. «E non voglio più tornare sulla questione,» concluse, a metà tra il serio e il faceto, lasciando intendere che, se mai avesse voluta, sarebbe sembra stata pronta ad ascoltarlo.

Lui annuì appena, scoprendo che quelle parole non gli causavano più un rifiuto viscerale ma, anzi, un senso di soffusa contentezza, come di un lavoro portato a termine dopo molto tempo e molti sforzi. Abbassò lo sguardo, confuso da quella sensazione e dallo sguardo che gli stava rivolgendo Pepper.
Pensò che era grazie a lei se era lì, ma che era per lei che voleva esserci, e la confusione che gli aleggiava in testa prese contorni più morbidi e piacevoli, conosciuti, legati a doppio filo a quel punto tra il reattore e il cuore che adesso lo scaldava più che mai. Forse, da qualche parte tra l’accettare di essere amato e il lasciarsi amare, aveva imparato ad amare lui stesso.
«Stai bene?» mormorò Pepper nel vederlo pensoso, accarezzandogli le spalle.
Tony posò le labbra sulla sua guancia, sfiorandole le ciglia, e inspirò a fondo contro la sua pelle inalando il suo profumo. Lasciò che gli solleticasse i polmoni: brezza marina, un sentore primaverile, una nota floreale di giglio. Sapeva di casa, già da molti anni. 
Le scostò la frangia dal volto con un dito metallico, sorridendo a fior di labbra nei suoi occhi.
«Sì.»

 

***

 

 

Tre mesi dopo, Malibu Beach

Il mare era calmo, e si trascinava pigramente sulla spiaggia dorata di Malibu, dipingendola di effimere pennellate più scure in un moto continuo di spuma. Soffiava un vento leggero, fresco e carico di salsedine che pizzicava i polmoni.
Tony si stiracchiò, allungando le mani verso il cielo terso, appena tinteggiato dalle dita rosate dell’alba, e si sollevò sulle punte dei piedi sentendo i muscoli che si contraevano piacevolmente nell’aria frizzante del primo mattino. Si rilassò di colpo, affondando coi talloni nella sabbia e prendendo a trafficare con lo smartwatch al polso, impostando una sveglia da lì a un’ora, quando sarebbe rientrato alla villa per fare colazione con Pepper. Lanciò un’occhiata all’edificio, sbirciando verso la vetrata della camera da letto, ma da quell’angolazione non riuscì a scorgere l’interno; un sorriso andò comunque a distendergli le labbra al pensiero di come stesse ancora dormendo placidamente quando era uscito.
Riportò lo sguardo alla distesa di piccole dune dorata di fronte a lui, individuando in lontananza i piccoli dolmen di rocce che aveva eretto nei giorni precedenti, a segnare il traguardo raggiunto di volta in volta in quell’esercizio mattutino. Puntò l’ultimo, con le mani piantate sui fianchi mentre prendeva un respiro profondo, molleggiò un paio di volte sulle gambe e mosse il primo passo, dandosi la spinta per spiccare in una corsa leggera.
Si sforzò di non pesare troppo sul lato destro, cercando di equilibrare il movimento più rigido della protesi con quello naturale dei muscoli veri, e dopo qualche decina di metri riuscì a renderlo più fluido, sebbene non perfetto. Ma la protesi rispondeva con prontezza, priva dei difetti che l’avevano tormentato fino a poco tempo prima, e lui riusciva a correre. All’inizio era stato solo per qualche metro, in palestra e sotto lo sguardo attento di Nataša, e via via in modo sempre più sciolto sul tapis roulant, fino al giorno in cui aveva deciso che, perché no, poteva anche correre in spiaggia, e aveva raggiunto il traguardo di un chilometro. Era allora che gli era venuta l’idea dei dolmen: una sorta di mèta fisica che lo spingeva a fare sempre meglio, con l’obiettivo finale di Iron Man che sembrava attenderlo a braccia aperte alla fine di quella gara contro se stesso.

Sentì il solito indolenzimento che lo coglieva al moncherino, spia di quanto a lungo poteva correre prima di risentirne, e lo tenne sotto controllo senza lasciarsi fermare, cadenzando il respiro e lasciando che il proprio corpo si abituasse a poco a poco allo sforzo prolungato. Superò il primo dolmen e accelerò un poco il ritmo, coi piedi che affondavano saldamente nella sabbia, lasciando una chiara scia dietro di sé.
Aumentò ancora la velocità e continuò a correre, col vento in faccia, l’oceano che gli lambiva le caviglie e lo sguardo puntato all’orizzonte. 
E anche senza armatura, sentì di poter spiccare il volo da un momento all'altro.

 

~ Fine ~




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Note Dell'Autrice:

Cari Lettori,
stento a credere che questo giorno sia davvero arrivato, e che io stia davvero pubblicando l'ultimo capitolo di questa storia, dopo sette anni dalla sua pubblicazione.
Non penso che riuscirò a elaborare dei pensieri coerenti rispetto a quest'ultimo capitolo, né credo di volerlo davvero fare. È imperfetto, è sicuramente troppo lungo, è la summa di tutto ciò che è successo nella storia e ho voluto fosse così. Forse, in realtà non lo so, è un lieto fine inatteso, visto l'angst dilagante che ci ha sempre accompagnati... ma credo sia il finale giusto, per questa storia, ma tutto ciò che ha portato fin qui verrà esplicato nell'epilogo. Ora sono troppo occupata a piangere :')

E a questo proposito, l'epilogo è una semplice appendice, uno sfizio personale e un mezzo per tirare qualche filo rimasto in sospeso... oltre che un modo traverso per inserire delle note più esaustive e molto, molto corpose.
Ma Phoenix di fatto finisce qui, con Tony che si slancia verso un futuro che può finalmente guardare e raggiungere.

Ringrazio dal profondo del cuore _Atlas_ (sperando che non venga colta da infarto nel vedere l'aggiornamento), T612, FFDisk e Calipso19 per aver commentato lo scorso capitolo, e tutti, ma proprio TUTTI coloro che hanno commentato la storia e l'hanno aggiunta tra i preferiti/ricordate/seguite, o hanno semplicemente letto in silenzio. Che seguiate da anni o da ieri, questo è il momento per farmi sapere cosa ne pensate: del capitolo in sé, della storia, del finale, se la lettura vi ha trasmesso o meno qualcosa... e in fondo l'aspetto che ritengo più importante è proprio quest'ultimo. Fatevi avanti, non importa come <3

Vi aspetto prossimamente con l'epilogo, che credo sarà più strappalacrime nelle note che nella storia in sé :')
Un abbraccio enorme a tutti voi che avete seguito fin qui. Grazie di cuore <3

-Light-

P.S. 
C'è molto, forse troppo simbolismo sparso nel testo, e numerosi richiami ai capitoli precedenti, alcuni, me ne rendo conto, non immediati. Quindi se doveste avere dubbi chiedete pure :)
 
   
 
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