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Autore: LeanhaunSidhe    12/07/2019    7 recensioni
La lama brillava ed era sporca. Imuen girò il taglio della falce verso la luna e ghignò incontrando il proprio riflesso. Si sentiva di nuovo vivo. Non distingueva il rosso dei suoi capelli da quello del sangue dei suoi nemici. La sua voce si alzò fino a divenire un urlo. Rideva, rinato e folle, verso quel morto vivente che era stato a lungo: per quanto era rimasto lo spettro di se stesso? Voleva gridare alla notte.
È una storia con tanto originale, che tratta argomenti non convenzionali, non solo battaglia. È una storia di famiglia, di chi si mette in gioco e trova nuove strade... Non solo vecchi sentieri già tracciati... PS: l'avvertimento OOC e' messo piu' che altro per sicurezza. Credo di aver lasciato IC i personaggi. Solo il fatto di averli messi a contatto con nemici niente affatto tradizionali puo' portarli ad agire, talvolta, fuori dalla loro abitudini, sicuramente lontano dalle loro zone di comfort
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aries Kiki, Aries Mu, Aries Shion, Cancer DeathMask, Nuovo Personaggio
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ballata dei finti immortali'
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Appena aveva appreso la notizia, non aveva potuto credere che fosse vero. Senza minimamente pensare, era corsa fuori dal campo. Se Zalaia era appena rientrato dal Grande Tempio, lei ci stava andando. Era notte. Pioveva a dirotto. Trafelata, era arrivata ai piedi della prima casa, fradicia. Aveva iniziato a salire pochi gradini, quando le si fece incontro il legittimo custode.

Era palese che Mu non si aspettasse la sua venuta. Indossava l'armatura. Temeva un nemico. Quando se la trovò dinnanzi senza fiato per la corsa, con la pioggia che le appiccicava capelli e stoffa alla pelle, trattenne per un istante il fiato. Si confondeva nella notte, tanto era pallida. La invitò ad entrare, perchè non si bagnasse di più, nel freddo pungente che saliva, dispiaciuto per averla scambiata per chi, certamente, non era.

Non aveva mai fatto caso, per davvero, a quanto potesse essere penetrante lo sguardo di quella ragazza. Per la prima volta, l'azzurro delle sue iridi lo colpì, l'urgenza della sua voce gli fece una profonda pena. Aveva sempre eretto un muro di fronte alla maggior parte delle persone. Davanti a lei che, sicuramente, era così sconvolta per paure che attanagliavano anche lui circa la sorte del fratello, semplicemente, non riusciva.

"Non voglio entrare nel tuo tempio. Voglio sapere se è vero: Kiki, il pugnale di Haldir!"

Rispose di sì. La vide spalancare appena gli occhi, assimilando il senso delle sue parole. Dargli le spalle e coprisi il volto con le mani, mentre si sedeva sui gradini a metà della scalinata, incurante dell'acqua che tracciava il contorno della sua figura. Vista l'affinità con le energie fredde, probabilmente, le gocce che la bagnavano non erano affatto il fastidio che lui temeva. Lentamente, il cavaliere la raggiunse. La convinse ad alzarsi e ripararsi sotto al colonnato. Quello di lei era un pianto silenzioso, lieve, che si confondeva del tutto nella pioggia che arrivava dall'alto e li circondava. Portò entrambe le mani ai lati del viso di quella giovane, a nascondere con le dita semicoperte dall'oro lacrime che erano pure le sue, perchè anche lui temeva per Kiki, ma non poteva, per l'uomo ed il guerriero che era, permettersi di versarle. Nuovamente l'aveva stretta a sè, offrendo la spalla per darle appoggio, come durante la prova ordita da Haldir, quando credevano tutto perduto. Non era arrossito. Non aveva provato vergogna. Non doveva essercene a condividere un dolore silenzioso, protetto nel seno della notte.

 

 

Dopo che aveva smesso di piovere, le stelle brillavano alte, libere dalle nubi. Le ultime gocce colavano dal porticato, sparivano nella vegetazione bassa e mediterranea, circostante. Il profumo del mirto e della terra bagnata arrivò per un attimo alle narici di Seleina. Era così diverso dall'odore del ghiaccio, della neve e del gelo. L'acqua, quando congela, cambia profumo. Era lo stesso odore di Haldir, di Tabe e di Gona. Selvaggio, si mescolava a quello del sangue. Era placata da quell'abbraccio che non le apparteneva. Aveva alzato lo sguardo lentamente, specchiandosi in occhi diversi da quelli di Kiki e dai propri, che erano identici a quelli di Haldir. Le sembrava di conoscerli da sempre. Mu aveva il potere di calmarla con una naturalezza disarmante. La prima volta che l'aveva stretta, persino la morte era sembrata meno cupa e minacciosa. Arresa, si era lasciata guidare dalla pace del cosmo dell'Ariete. Quella notte, però, si disse che non era giusto. Non era un suo diritto, mentre i compagni si preparavano allo scontro. Ripensò alle parole con cui il suo maestro l'aveva informata, al suo turbamento, che tanto l'avevano sconvolta. Per la prima volta da quando aveva conosciuto il gigante bianco, aveva avuto l'impressione che non si preparasse a combattere ma a morire, tanto grande era il peccato che egli infliggeva al proprio animo. Aveva percepito chiaramente, nella vicinanza dell'uomo che aveva di fronte, la stessa preoccupazione per Kiki che adombrava anche lei. Lei, però, aveva anche altri dubbi, altre spade conficcate nel cuore. Aveva poggiato le mani su quelle di Mu, attardandosi un poco. Con estrema fatica si era privata del calore di quel contatto. Poi, l'aveva fissato, decisa. Aveva chiesto dove fosse custodita quell'arma: doveva assolutamente vederla. Dopo pochi attimi di incertezza da parte del primo custode, fu guidata fino al cuore di quel tempio dove, in uno scrigno intarsiato, era custodito il pugnale. Le fu aperto il coperchio di legno e già ai riflessi dell'argento percepì la debolezza ghermirla mano mano. Si concentrò sul metallo lavorato di quella lama. C'era così tanta dell'essenza di Haldir su quell'argento, da chiedersi come egli riuscisse ancora a camminare su quella terra senza vacillare ad ogni passo. Pose le dita saldamente sull'elsa e le fu chiaro. Rivide la scena dell'origine dei perduti, come se ne fosse protagonista lei stessa. Ogni emozione di Haldir le fu manifesta. Non si rese conto del braccio che le tremava e della mano che le mutava. Le unghie accorciavano, la carnagione prendeva colore. Lentamente, stava tornando umana. Poi, non seppe dire cosa avvenne. Non riusciva più a contenere l'arma, che pulsava e pretendeva di essere rimessa nel proprio scrigno. Lasciò la presa ed inspirò appena. D'improvviso, la preoccupazione per Kiki, per Haldir, ogni cosa, passò in secondo piano. Perchè se Haldir aveva la forza di continuare, nonostante tutto, lei doveva averla per combattere. Il tatuaggio al braccio, che serpeggiava come una spirale azzurra dalle dita alla spalla, era più leggero.

"C'è la protezione di Sire Haldir li sopra. Kiki non sarà mai lasciato solo."

Mu, però, l'aveva osservata attento. Non capiva, allora, il motivo del suo precedente turbamento. Gli fu svelato quel penoso sospetto, che per mettere fine a tutto, Haldir si preparasse non tanto a combattere quanto a sacrificarsi. Fu pregato di tacere quella supposizione, del tutto da verificare. Non era necessario che altri sapessero, perchè non significava alterare le sorti della battaglia, solo di una persona in gioco. Il cavaliere aveva esitato, conscio dalla profondità di quei sentimenti, tanto viscerali da far male. Perchè Seleina, quando amava qualcosa o qualcuno, non lo faceva mai a metà. Ammutolì, al pensiero che anche Haldir avesse potuto essere così, visto quanto quei due sembrassero condividere. Probabilmente, parte dell'attrattiva che i Dunedain esercitavano sugli esseri umani derivava anche da quello.

 

Le chiese quanto fosse importante, per lei, la sopravvivenza del suo maestro, di qualcuno che l'aveva sì portata a piena realizzazione ma anche ingannata profondamente, non lei soltanto. L'essere caduto completamente nell'inganno di Haldir, lui che era uno dei più intuitivi tra le forze della dea Athena ed era noto per usare il cervello prima delle mani, era stato uno smacco al suo orgoglio. Allora, la vide sorridere dolce, con un atteggiamento che aveva mostrato molte volte nei suoi confronti. In quel caso, gli parve come chi dovesse spiegare una lezione scomoda ad una persona che non ha voglia di ascoltare.

"Il mio maestro non è cattivo. Ha solo il modo sbagliato di comunicare. Succede, con tanti secoli sulle spalle e le sue facoltà. Nonostante ciò mi fido cecamente di lui, come di Kiki e di voi."

Non ebbe il tempo di interrogarsi sui sentimenti che quelle parole causarano in lui. Di sicuro fu felice di essere ritenuto tra le persone più importanti per quella giovane, a cui ormai era affezionato.

Presto la vide voltarsi: la sua attenzione catturata da chi stava arrivando.

 

Alle prime luci dell'alba, infatti, Kiki si apprestava alla prima casa con l'intenzione di fare colazione insieme al fratello. Tutto si aspettava, meno di trovarla li così presto, prima di lui. Il sospetto che fosse da loro per l'iniziativa di Haldir nei suoi confronti fu quasi scontato. La salutò e si avviò verso la cucina, a preparare del caffè per tutti e tre. Non aveva bisogno di aggiungere altro. L'affermazione diretta, come si aspettava, arrivò immediatamente. Solo, non era stata posta con la reazione che sospettava.

"Hai deciso di accettare in fretta."

La sua amica aveva un tono calmo, rassegnato. Traspariva la sua preoccupazione ma pure una maturità che non le ricordava. Fino a poco tempo prima, l'avrebbe probabilmente attaccato in malo modo per averla estromessa del tutto da quella questione dove lei, evidentemente, era invischiata parecchio. Il sospetto che fosse merito del fratello non l'aveva neppure sfiorato.

Kiki aveva sospirato, poggiando tre tazze di caffè sul tavolo. Dopotutto, Haldir che alternative gli aveva lasciato? Fu stupito di apprendere che, ad accompagnarlo, sarebbe stato l'esuberante allievo di Imuen. Si trattava di qualcuno di estremamente forte, ma dalla parte di Imuen. Visto chi aveva chiesto il suo aiuto, si aspettava che fossero mobilitati dei seguaci di Haldir.

"I miei compagni sono tutti purosangue. Non sopporterebbero la vicinanza di quell'arma. Zalaia, invece, è un mezzosangue, visto che suo padre è umano: corre meno rischi."

Seleina aveva soffiato, pratica, sopra la tazza di caffè che le aveva offerto.

"Alla peggio, Zalaia perde per un po' i poteri da Dunedain."

Spiegò, portando la tazza alle labbra, tesa.

"Come te."

La voce di Mu, così preziosa, graffiò come uno stridio agli orecchi della ragazza. Per un attimo, ella non aveva saputo cosa rispondere al primo custode che, innocentemente, aveva ripensato a lei, mentre aveva preso in mano il pugnale di Haldir. Provò a tergiversare, nel tentativo di non cominciare affatto quel discorso.

"In ogni caso, Zalaia è dotato di un cosmo potente anche da umano. Senza ombra di dubbio, sarà di grande aiuto. Quanto a me, non credo che sire Haldir mi permetterà di venire. Non gli piacciono le tecniche di cui mi posso servire io, quando non sono Dunedain."

Aveva abbassato il capo verso un punto imprecisato del pavimento di marmo lastricato, stranamente attenta alla levigatura perfetta della pietra, piuttosto che ai presenti.

Kiki conosceva quell'atteggiamento. Seleina faceva sempre così per evitare di rispondere a domande indesiderate sulla natura dei propri poteri. L'aveva imparato negli anni che non avrebbe avuto senso chiedere. Con lei, o ti fidavi oppure no. Lui aveva sempre scelto di fidarsi, cecamente. Accennò al fratello, stupito, di non insistere. Gli passò un veloce messaggio telepatico sull'argomento, trovandolo stranamente d'accordo. Evidentemente, nel poco tempo che quei due avevano passato da soli, avevano trovato il loro modo di comprendersi a vicenda. Le pose la mano sulla spalla, confermando che, con loro, poteva sentirsi tranquilla, su ogni cosa. La vide sospirare, grata e rabbuiarsi solo mentre gli raccomandava di stare attento ogni momento, in quella battaglia. Presto, però, si fece per lei il momento di andare. La seguì con lo sguardo mentre si alzava. La accompagnò fuori. Era cambiata tanto esteriormente. Lo vedeva nella chioma mossa e lunga, che faceva fatica a contenere in una treccia spettinata, così diversa dalle acconciature elaborate con cui le costringevano i capelli da principessa. Soprattutto, era più selvaggia per quel tatuaggio che correva sulla pelle scoperta, marchiandola ed armonizzandosi in quel suo mutato stato. Più ripensava a come fosse fragile prima, più si rendeva conto di quanto fosse diventata libera, in quella natura che le era sempre appartenuta ma di cui fantasticava soltanto. Non faticava più a credere che ci fosse qualcuno che palpitava per lei, che la trovasse bella, nonostante le imperfezioni fisiche e la mole di segreti che si portasse appresso. Era un sacrificio che si poteva accettare, un rischio che si doveva correre. Sperò che l'allievo di Imuen avrebbe avuto la testardaggine per riuscirci. Gli piaceva quel ragazzo. Come lei, gli sembrava qualcuno che meritasse un po' di felicità.

Mentre si allontanava dopo averla salutata, notò che Seleina si terse una guancia col dorso della mano. Forse era una lacrima o solo una goccia di pioggia. Rientrando sovrappensiero, infilò il piede in una pozzanghera su un gradino. Ormai solo sulla gradinata, alzò lo sguardo al cielo, sgombro di nubi. Aveva smesso di piovere da ore. Tutto il percorso tra le dodici case era asciutto. Un presentimento strano si impadronì di lui: era o non era quello il punto in cui l'amica aveva poggiato il piede, attardandosi nel congedarsi? Gli sembrava che le orme che aveva lasciato brillassero ai raggi del sole mattutino: acqua che li rifletteva. Un nuovo segreto di quelli di lei? Scosse il capo, che non poteva essere. Gettò un'ultima occhiata alle scale, dove la poca acqua che c'era o credeva di aver visto era ormai del tutto evaporata. Si sarebbe preparato un'altra tazza di caffè, bollente.

 

 

 

Non appena Death Mask fu in groppa a suo figlio, letteralmente, si diede dello sciocco. Aveva osato pensare che, visto l'invito che aveva ricevuto, ormai fosse quasi riuscito nel ricucire il loro rapporto. Quell'animale, poichè tale era in quella forma, era balzato in aria con un salto sconnesso, di cavallo imbizzarrito. A nulla era valso tirargli la pelliccia, per provare a calmarlo. Con ogni probabilità, una volta a terra, se si trovava con qualche ciocca in meno di capelli, poi gliela avrebbe fatta pagare salata. Cercò di reggersi meglio che poteva, con la box dorata assicurata alle spalle e la sacca che rischiava di cadergli di sotto ad ogni scossone che, senza dubbio, quel disgraziato sotto di lui gli provocava di proposito. A nulla valse richiamarlo. Del resto era un lupo, non un cane al guinzaglio. Senza dubbio, un carattere impetuoso come quello si apprezzava meglio da lontano. Gli fece sudare come secoli quella scarsa mezz'ora di volo, tanto da chiedersi come aveva potuto essere così superficiale da accettare di essere trasportato, piuttosto che usare la velocità della luce a piedi, come aveva sempre fatto. Li per li era stato persuaso dal fatto che si sarebbe trovato in un ambiente nuovo, ostile, e l'appoggio di quel debosciato di suo figlio gli sarebbe stato vitale, soprattutto per non iniziare col piede sbagliato con Mnemosine che, di certo, non si aspettava di ritrovarselo davanti in quel modo.

All'altezza a cui si trovavano la temperatura si abbassava parecchio. Le nuvole erano tremendamente vicine. Fu costretto a bruciare il cosmo, seccato. Se non altro, la vista era magnifica. Si dirigevano verso una catena montuosa piuttosto impervia. I fianchi dei rilievi erano scivolosi. Si impennavano in ripidi strapiombi ed una rigogliosa vegetazione si inerpicava dai piedi fino al fianco poi alla cima dei monti. Lì, al verde accesso di arbusti dalle foglie aghiformi e bassi tronchi si sostutuiva il bianco rilucente dei ghiacciai. Scorreva un torrente impetuoso che partiva dalla neve mai del tutto sciolta e si ingorgava nei pressi un sentiero simile ad una cicatrice che tagliasse la roccia orizzontalmente per un lungo tratto. Proseguendo oltre, si vedeva rosseggiare la fiamma di una lanterna. All'ululato di suo figlio, le lanterne crebbero in numero, a disegnare un quadrato. Comparve l'unico altopiano protetto tra due cime adiacenti, gemelle. Era lì, che, celati dalla loro magia, si nascondevano provvisoriamente i Dunedain. Se non fosse in vista una guerra, sarebbero spariti al prossimo cambiare del vento, sempre in pellegrinaggio su quella strana terra.

Conscio che, senza l'intervento di suo figlio, quella malia non gli avrebbe mai permesso di trovare quel posto, Death Mask ingoiò sentimenti e bile. Vedeva muoversi parecchie teste sotto di lui. Pochi sembravano raccomandabili.

Zalaia era planato con un balzo leggero, prima di scuotere la schiena per disarcionarlo. Si era rialzato lentamente, mentre la pelliccia perdeva colore e riprendeva la sua altra forma.

"Siamo arrivati."

Spiegò, con un atteggiamento diverso da quello dimesso che aveva mostrato alla quarta casa. Aveva materializzato la corazza addosso ed aveva un portamento fiero, mentre si muoveva tra i suoi simili.

"Fossi in te, indosserei l'armatura."

Suggerì al genitore, con un ghigno simile al suo.

"Fino a qualche secolo fa, qua qualcuno li divorava anche, gli umani."

L'avvertimento fu più che sufficiente per spingerlo a seguire il consiglio. Death Mask si guardò attorno, studiando quegli strani individui più alti di lui, massicci e scuri in viso. Molti non sembravano avere poteri particolari, mole a parte. Quasi nessuno si curava di lui. Non doveva essere poi questa grande attrattiva. Nello sguardo di qualcuno chiaramente più anziano, trovò però una scintilla di sadismo tale da fargli domandare se le parole di suo figlio non fossero state veritiere. Si sentì davvero una bistecca su un piatto da portata.

"In quanti seguono ancora questa dieta, qui?"

Zalaia aveva alzato le spalle.

"In tempo di carestia va bene ogni cosa. Ma qui c'è parecchia selvaggina. Dicono sia carne più saporita in cui affondare i denti."

Poi, aveva sorriso, con la sua poco rassicurante dendatura perfetta. Voleva davvero vedere fino a quando sarebbe restato suo padre, con quelle premesse. Del resto non si trattava di bugie, solo di verità tenute nascoste.

"Ma i Dunedain non erano benigni nei confronti degli esseri umani?"

"Quelli che con gli esseri umani hanno rapporti, sì. Altrimenti non esisterebbero mezzosangue come me. Ma la nostra società è variegata. Ci sono cose che devi sapere, se vuoi restare anche solo per poche ore."

Si era girato verso suo padre, che pendeva, teso, dalle sue labbra.

"Ci sono quelli come mia madre e la figlia di Cristal, che si dannebbero anche l'anima, per gli umani e sono rare eccezioni. Ci sono quelli come me a cui, onestamente, frega davvero poco, anche se sono umano per metà. Pensano così la maggior parte. A lungo anche Sire Imuen è stato in questo modo, per non parlare di Sire Haldir. Poi ci sono Dunedain che detestano proprio gli umani, perchè possono danneggiarci, anche se sono esseri inferiori. Li annienterebbero tutti, volendo. Sono più di quanti si possa pensare. In quest'epoca sono a bada perchè la nostra razza vive nell'ombra ed i nostri signori hanno stretto un'alleanza con voi. Solo dei pazzi trasgredirebbero gli ordini. Senza contare il branco. Io che sono figlio di Imuen sono dentro come guerriero ma sono escluso dal vincolo che unisce menti e cuore dei figli di Haldir più puri: Gona, Tabe, ed in virtù del sangue del loro signore anche Seleina. Quelli pensano e si muovono come una sola entità, per molti versi. In qualche modo, il fatto che Seleina tenga così tanto agli umani, dispone meglio verso di loro anche gli altri due, che sono due guerrieri formidabili, della vecchia guardia di Haldir. Senza di lei, nella migliore delle ipotesi sarebbero indifferenti, come me, credo. Anzi, su uno sono certo, dell'altro non lo so. Tabe gira sempre con la faccia da ebete ma tutto è fuorchè sciocco. In ogni caso, se resti, li conoscerai tutti. Qui non si muove niente senza che loro sappiano.

Questa è la realtà dove sono nato e cresciuto, oltre la bella apparenza che ha vissuto il cavaliere d'Ariete, quando è stato curato da noi, e gli altri che erano venuti insieme al Gran Sacerdote, per allenarci insieme. E' diversa da ciò che Sire Imuen aveva paura di mostrare per timore che i tuoi simili se la dessero a gambe. E' più nera: più vera. Ora che sai, vuoi davvero restare?"

Dopo aver finito, posò lo sguardo, fermo, verso suo padre. Un secondo, senza capirne bene il motivo, vacillò. Death Mask gli somigliava davvero tanto, nell'aspetto, nelle espressioni, nei modi. Era come guardarsi allo specchio. Quando era ragazzino, spesso osservava il proprio riflesso. Lo immaginava di un uomo più grande e forte, quel padre che non aveva mai conosciuto e per cui sua madre piangeva tanto. Gli poneva la stessa domanda se, saputa la realtà, fosse voluto restare. La risposta che stava per udire in quel momento sarebbe stata del tutto diversa da quella, oscena, che rimbombava a quel tempo, nei recessi della sua mente di fanciullo.

Death Mask riflettè solo un minuto. Sorpassò suo figlio e gli chiese quale fosse l'infermeria, se fosse li sua madre. Per la prima volta, Zalaia non si vergognò di suo padre.

 

 

 

Quando Mnemosine, che stava riponendo garze arrotolate in un sacchetto, se li vide entrambi davanti, stava per lanciare un urlo. Credeva di essere impazzita, ad aver di fronte passato e presente.

Poi, comprese la realtà ed ebbe bisogno di sedersi. Era divisa tra l'insultare suo figlio per l'iniziativa e salutare quel cavaliere. Se erano tornati insieme, era sottinteso che Zalaia fosse riuscito a padroneggiare il cosmo. Suo figlio, però, sembrava aver perso la risposta pronta che lo aveva sempre caratterizzato. Privo del suo sorriso solare, aveva guardato entrambi i genitori. Poi, si era soffermato su sua madre.
"Diglielo: quante volte hai pianto per causa sua, perchè le sue azioni orribili hanno macchiato entrambi."
Mnemosine si era sentita morire. Non era mai riuscita a nascondersi dallo sguardo attento di suo figlio, pure quando era piccolo. Ci aveva provato sempre, strenuamente, negli anni. Aveva deglutito, con la gola riarsa. Faticava a reggere la tristezza di Zalaia. Era sempre stato così, con suo figlio che la supplicava di dimenticare quell'uomo e lei che non c'era mai riuscita veramente.

"Non posso negare il passato."

Esalò alla fine, tremante. Era dura ammettere certe cose, dopo tanti anni.

Death Mask, stringendo il pugno, aveva afferrato l'altra sedia libera, l'unica. Aveva approfittato di non essere stato bloccato per porsi davanti a Mnemosine, ad incatenarla coi suoi occhi neri come l'abisso. Pregò suo figlio di lasciarli soli, con una voce bassa che non gli si era mai udita prima.

"In qualche modo, io e te forse ci siamo chiariti, ragazzo. Lascia che adesso lo faccia con tua madre. Da a me la possibilità di chiedere perdono e a lei di prendermi a schiaffi."

 

Zalaia annuì. Aveva accumulato troppa tensione. Uscì sbattendo la porta ed allontanandosi ad ampie falcate. Aveva sopportato suo padre per una settimana ed era già troppo. Nessuno lo aveva fermato mentre si dirigeva in una radura appena fuori le mura di cinta. Voleva sbollire da solo.

Presto, però, udì la vegetazione muoversi, i passi lievi di qualcuno avvicinarsi. Non seppe se essere sollevato o meno che a raggiungerlo fosse Seleina. L'unica sera che era riuscito a passarla solo con lei aveva rimediato uno schiaffo, cercando di baciarla. Lei gli aveva detto che, con la battaglia che si apprestava e la totale inesperienza in materia che aveva, non era affatto certa dei suoi sentimenti. Avrebbe avuto bisogno di tranquillità e tempo, cose che senza dubbio non avevano in quel frangente. Se non altro, era stata sincera.

"Tregua?"

Gli aveva domandato lei, esitante, cercando di capire se potesse andargli al fianco oppure no.

Visto che Zalaia aveva alzato le spalle e sbuffato molto meno di quanto lei temesse, decise di sedersi al suo fianco, impacciata.

Aveva incrociato le gambe e l'aveva guardato di sfuggita.

"Sei stato bravo. Io non sarei mai riuscita a raccontare tutte quelle cose del campo, a mio padre."

Zalaia s'era girato di scatto, sorpreso ed anche un po' stizzito. Avrebbe voluto domandare come era venuta a conoscenza di certi particolari, prima di ricordare le facoltà di chi aveva davanti.

"Non mi piace che voi tre vi impicciate così nelle mie faccende private."

Sbottò, riferito anche a Gona e Tabe. Non riuscì ad intimorirla. Al contrario, gli sorrise. Forse era già qualcosa visto che, solitamente, quell'espressione la riservava ai lemuriani e mai a lui.

"Mi sono impicciata, io sola, perchè ho percepito che ne hai bisogno."

Già era tanto che non avesse usato il vincolo mentale per aggiornare pure gli altri.

"Vuoi che ti aiuti?"

Sollevato, le rispose che gli sarebbe stata molto più utile se l'avesse aiutato in ben altro modo, rispetto ad usare le sue facoltà di figlia di Haldir. Alla minaccia di un altro schiaffo, capì che non era aria di insistere. Era convinto che, a quel punto, l'avrebbe lasciato solo. Inaspettatamente, invece, si ritrovò circondato da un abbraccio goffo ma sincero, col chiaro tentativo di consolarlo. Non avrebbe saputo dire che piega avrebbe preso quel loro singolare rapporto. In quel momento, aveva deciso per prendere le cose come sarebbero venute, senza imposizioni, almeno per un po'. Del resto, una come Seleina, se avesse forzato la mano, l'avrebbe allontanato senza dubbio a morsi o in qualche altro modo, per scappare in quella natura fuori dal campo e dalle città degli uomini dove si sentiva libera. Quando si sentì la testa bagnata, dalla parte dove era poggiata lei, le chiese dove mai si fosse tuffata, a quell'ora del primo pomeriggio. Non c'erano fiumi tanto profondi, li vicino.

"Ho preso la via dell'acqua."

Spiegò allora lei, con quelle poche parole enigmatiche che adoperavano i figli di Haldir, quando volevano informare senza svelare del tutto il loro operato. Le cinse la spalla e l'attirò a sè, il profumo di lei era alterato da tutte quelle gocce.

"La prossima volta, magari, portati un asciugamano."

   
 
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