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Autore: Hesper    14/07/2019    2 recensioni
Il sipario si chiuse, e l’enorme sagoma nera che teneva i miei fili discese verso di me. Sapevo già cosa mi attendeva – in fondo, era un qualcosa che accadeva a ogni fine spettacolo –, ma ciò non riuscì a fermare la profonda paura che cominciò a crescermi nel petto.
Andò tutto come previsto: con le lunghe dita, staccò braccia e gambe dal mio corpo di plastica, gettando poi nello scantinato del teatro ciò che di me rimaneva.

La nascita del sovrano del Team Plasma narrata da una persona che è stata zittita fin troppo presto.
Genere: Angst, Drammatico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Ghecis, N, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Videogioco
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Atto III – La bambola dalle ali di carta.
 
 
Mi trovavo sul palco di un grande, regale teatro ricco d’oro e di tende color porpora. Gli spettatori, delle informi masse oscure munite soltanto di grandi occhi rossi, attendevano con impazienza e con gravi sguardi lo spettacolo che di lì a poco sarebbe cominciato.
 
Lo spettacolo di cui io sarei stata la protagonista.
 
Contro la mia volontà, il mio corpo fu posizionato al centro del palco. Come al solito, non feci nulla da sola – colui che mi aveva spostata era l’orrenda creatura che da sempre mi accompagnava nelle mie esibizioni.
 
Guardai, sgomenta, verso il soffitto del grande teatro: anche stavolta era lì, pronto a comandarmi a forza con i fili che dai miei arti arrivavano fino alle sue lunghe dita annerite e ad ammirarmi con la moltitudine di occhi rossi di cui il suo corpo oscuro e informe era costernato.
 
Cominciò a farmi muovere come se stessi cantando – anche se ero solo una bambola muta, incapace di completare l’esibizione con la sua voce, la folla sembrò meravigliata di ciò che stavo facendo.
 
I loro occhi su di me… anche in quell’occasione non smisero di gettarmi in un profondo disagio.
 
A un certo punto, lo spettacolo assunse tutt’altra piega, e il mio burattinaio iniziò a farmi danzare. Una coreografia al limite dell’osceno, quella che mi stava costringendo a inscenare, e che sembrava mimare in tutto e per tutto dei solitari atti sessuali… Per qualche ragione, essa parve mandare la folla ancor più in visibilio – le masse piene di occhi applaudivano, esultanti e soddisfatte; il burattinaio sul soffitto, invece, mi guardava come se fossi la sua più grande opera d’arte.
 
Quei sentimenti rivolti a me, se possibile, mi fecero provare un’umiliazione e una vergogna ancor più grandi. Perché io lo sapevo – lo sapevo che l’ammirazione che stavano provando nei miei confronti era tanto sporca quanto falsa ed effimera.
 
Il sipario si chiuse, e l’enorme sagoma nera che teneva i miei fili discese verso di me. Sapevo già cosa mi attendeva – in fondo, era un qualcosa che accadeva a ogni fine spettacolo –, ma ciò non riuscì a fermare la profonda paura che cominciò a crescermi nel petto.
 
Andò tutto come previsto: con le lunghe dita, staccò braccia e gambe dal mio corpo di plastica, gettando poi nello scantinato del teatro ciò che di me rimaneva.
 
Come le altre volte, fui abbandonata, inerte e munita di solo tronco, alle mie vane richieste d’aiuto.
 
***
 
Compresi pienamente la situazione in cui mi trovavo solo qualche giorno dopo l’accaduto, quando le mie condizioni migliorarono.
 
Le mie condizioni fisiche, s’intende. Quelle psicologiche… be’, quelle non erano cambiate di una virgola.
 
E come potevano, quando la consapevolezza di non potermi più fidare di nessuno nemmeno a casa mia mi mangiava le interiora come una malattia terminale?
 
Gli unici su cui potevo ancora fare affidamento erano i miei amici e Natural. La coorte era ormai diventata un branco di torturatori senza pietà, e Ghecis era il mio aguzzino dal gelido cuore.
 
Mi avevano imbrogliata. Per tutto questo tempo, credevo di essere circondata da umani accoglienti e benevoli, che tenevano a me e alla salute dei Pokémon… e invece mi trovavo di fronte a persone ancor più spregevoli di quelle che mi avevano trattata male quando ero bambina.
 
Gli umani sono cattivi, perché sono avidi e prepotenti… Come avevo fatto a dimenticare l’assoluta lezione che la mia vita mi aveva impartito? Come avevo fatto a scordare ciò che mi aveva sempre spinta ad allontanarmi dai miei simili?
 
Una mossa davvero stupida da parte mia, e di cui stavo pagando amaramente le conseguenze.
 
Ricominciai a sentire le pressioni, le critiche, gli sguardi severi che gli umani mi avevano sempre rivolto… così decisi di trascorrere le giornate intere chiusa nella camera di Natural con quest’ultimo e i miei amici – loro seppero immediatamente dell’accaduto di qualche giorno prima, e la loro reazione, proprio come la mia, fu caratterizzata da profondo disgusto e sconvolgimento. Limitando ai pasti e alle visite che mio figlio riceveva da suo padre le volte in cui ero forzata a vedere quelle brutte persone che invocavano in me – in noi – tali emozioni, pensavo di poter se non altro alleggerire il disagio interiore che in quei giorni stavo patendo… Eppure, neanche questo servì a togliermi dalla testa la sensazione di essere osservata minuto per minuto.
 
C’era una telecamera nascosta con cui Ghecis controllava ogni mia mossa anche mentre era assente? Oppure quelli che sentivo addosso erano altri occhi, magari di qualche suo sottoposto?
 
Ero sicura che qualcosa del genere stesse accadendo… Eppure, le poche volte in cui mi capitava di incrociare lo sguardo con Ghecis o gli altri, il mio timore veniva ricambiato con scetticismo dal primo e nonchalance dai secondi. Come se nessuno di loro vedesse realmente la gravità di quanto era successo e stava ancora succedendo.
 
E questo atteggiamento, soprattutto da parte di colui che mi aveva promesso che sarebbe sempre stato dalla mia parte, mi fece arrabbiare come non mai.
 
Non c’era tempo per esitare: dovevo andarmene, e al più presto. Stare ancora un minuto lì dentro si sarebbe potuto rivelare pericoloso sia per me e i miei amici, sia soprattutto per Natural: quella gente era capace di torturare Pokémon innocenti, e non vedevo ragioni per cui si sarebbero dovuti fermare con noi.
 
Se però da una parte io avrei abbandonato tutto subito… dall’altra il pensiero di lasciare i poveri Pokémon che avevo visto quel fatidico giorno ingabbiati al loro destino mi faceva sentire male dal profondo del cuore. Saremmo fuggiti tutti, a patto che avremmo ridato la libertà anche a quelle sfortunate creature – fu questa la proposta che feci ai miei amici e che diventò poi il nostro obiettivo primario.
 
Nascosti nella nostra stanza alterata dalle abilità illusorie di Zoroark, noi tutti ideammo quindi il nostro piano di fuga e sabotaggio.
 
La mia migliore amica avrebbe ricoperto il ruolo più difficile: dopo aver rubato le chiavi delle gabbie, avrebbe liberato i Pokémon che vi erano al loro interno, per i quali avrebbe poi creato un percorso illusorio che permettesse loro di trovare l’uscita senza imbattersi in brutti incontri. Darmanitan e Woobat, invece, sarebbero scappati con Natural non appena Zoroark avesse completato il suo compito. Quanto a me… avrei fatto da chiudifila una volta partita la fuga.
 
Decidemmo di attuare il piano non appena si fosse presentata una giornata in cui tutti gli altri residenti, Ghecis compreso, fossero usciti per le loro oscene mansioni – sarebbe stato problematico demolire le difese di un personale numeroso e piuttosto addestrato.
 
Quell’occasione, sorprendentemente, arrivò prima del previsto.
 
Mi diressi il prima possibile verso il luogo prestabilito dai miei piani, e così fecero anche i miei amici. Cercai di camminare in fretta: anche se il palazzo era pressoché vuoto, la nostra doveva essere una procedura veloce e indolore. Chiunque sarebbe potuto tornare da un momento all’altro, scoprendoci e facendo completamente saltare la fuga.
 
E lo sarebbe anche stato, veloce e indolore, se, d’un tratto, non mi si fosse parato davanti l’imprevisto più temibile che potesse mai capitarci.
 
Ero sicura che fosse in compagnia dei suoi sottoposti. Tutti lo eravamo… e invece eccolo lì, uscito dalla sua stanza non appena mi aveva sentita arrivare.
 
Com’era stato possibile? Era improbabile che fosse a conoscenza delle nostre intenzioni, io e i miei amici avevamo fatto il possibile per non lasciarci scoprire… Allo stesso tempo, però, quella situazione era per noi fin troppo sfavorevole per essere una coincidenza. Che fosse per sbaglio uscito qualcosa dalla nostra stanza? Qualcosa di importante che lui, in qualche modo, era riuscito a captare?
 
M’inchiodai di colpo, terrorizzata e frustrata. Le gambe cominciarono a tremare al suo solo, grave sguardo beffardo. Dovevo portare avanti il piano e allontanarmi in fretta da lì per raggiungere il luogo prestabilito, ma a quel punto lui mi avrebbe vista andare nel seminterrato e avrebbe capito che tramavo qualcosa.
 
E se avesse scoperto Zoroark che liberava i Pokémon o, ancora peggio, Darmanitan che portava via Natural, ogni nostra speranza di fuga sarebbe stata buttata al vento.
 
Per l’ennesima volta, mi aveva incatenata al suo solo volere. E questo mi fece infuriare ancor più del suo atteggiamento noncurante nei confronti di ciò che era accaduto qualche giorno prima.
 
“Non sembri molto contenta di vedermi” asserì, con irritante, subdolo sarcasmo. “Ti stai sentendo ancora male? Perché in tal caso posso darti le gocce dell’altra volta… sembra che su di te funzionino a meraviglia”.
 
Quella storia doveva finire. Ormai avevo capito che si comportava così per indurmi a pensare che fossi pazza e che la stanza che avevo visto altro non fosse che un’allucinazione delirante. Non poteva pretendere che dimenticassi, né che mi facessi abbindolare e credessi magicamente che lui non c’entrava nulla con ciò che si verificava nei sotterranei.
 
La realtà non mentiva, ma gli umani sì. E lui, di menzogne, me ne aveva dette fin troppe.
 
Ero arrabbiata, furiosa addirittura, e non per le sue parole. Ciò che più mi faceva perdere il controllo era il fatto che le sue parole riuscissero ancora a ferirmi.
 
Lui era stato il primo… il primo umano a trovare bello il mio dono e ad accettarmi per quello che ero. Sembrava sincero… ma dal modo in cui si era comportato con me negli ultimi tempi dedussi che anche quella doveva essere stata una finzione.
 
Perché? Questo era ciò che non capivo. Perché sprecare anni della sua vita a prendermi in giro con così tanta crudeltà? Che vantaggi poteva ricavare da una cosa del genere? Ma soprattutto, che vantaggi poteva portare tenere quell’orribile stanza nel seminterrato? Quei pensieri mi affliggevano così tanto che le parole che li esprimevano uscirono veloci come un Accelgor.
 
La mia rabbia, oltre a gran parte delle mie decisioni, mi indusse però in quello che forse fu il più grande errore della mia vita.
 
“Le bambole di solito non si chiedono perché vengono usate”.
 
Questa fu la risposta che mi diede.
 
Sì… perché per lui non ero nient’altro che quello: una bambola che doveva assecondare ogni suo desiderio.
 
“…Però se ci tieni così tanto te lo dirò. D’altronde, non è che la questione sia di particolare importanza, adesso”.
 
Il sorriso con cui accompagnò quelle parole… non mi piacque affatto. Istintivamente provai a indietreggiare di qualche passo, ma Ghecis mi afferrò prontamente per un polso. Stava stringendo così tanto la morsa che dei lamenti di dolore sfuggirono dalle mie labbra.
 
“Che succede, la tua sicurezza è già svanita?”
 
Era una provocazione, ed essendo tale non gli avrei risposto. Ciò non m’impedì di cercare di strattonarmelo di dosso, anche se il mio tentativo fu inutile.
 
Avere questo tipo di affronto con me… non esagero quando dico che sembrava quasi eccitarlo.
 
“Suppongo che tu allora non voglia sentire di come le uniche ragioni per cui valga la pena di investire su di te siano il tuo dono, il tuo grembo e, per estensione, il tuo sesso”.
 
Quei tre elementi… all’inizio non capivo cosa significassero accostati così – per quanto mi riguardava potevano anche essere un semplice insulto. Ma poi mi accorsi che c’era qualcosa che accomunava almeno i primi due.
 
Natural.
 
Il solo pensiero che mio figlio potesse essere coinvolto con una persona così orribile mi fece considerare la possibilità di sputare in faccia a quest’ultima – se solo la mia bocca non fosse stata così asciutta forse lo avrei anche fatto.
 
“Non azzardarti a coinvolgere Natural in questa storia!” esclamai, e alzai la mano libera come a colpirlo.
 
La sberla non gli arrivò mai: qualcuno afferrò il mio polso a mezz’aria, spingendomi con forza all’indietro. Quando caddi a terra, mi trovai circondata da tre individui vestiti di scuro e dal volto coperto.
 
“Non permetterti di toccare il mio signore”.
 
“Ti ha dato un grande privilegio quando ha scelto te per la realizzazione del suo piano…”
 
“…E tu, ingrata, hai il coraggio di opporti a lui dopo tutto quello che ti ha dato”.
 
Quei ragazzi così giovani che chiamavano Ghecis “signore” e che possedevano un cuore tanto gelido quanto l’aria notturna del mio paese d’origine… non li avevo mai visti a palazzo. Eppure, in quel momento, la loro presenza mi sembrò inverosimilmente familiare.
 
Erano forse loro gli occhi che, negli ultimi giorni, mi ero sempre sentita addosso? Considerate quante erano le informazioni di cui il mio stesso compagno mi aveva tenuta all’oscuro, quella ipotesi poteva essere più vicina alla realtà di quanto credessi.
 
Ghecis a quel punto elogiò i tre per il loro arrivo così celere, rivolgendosi poi nuovamente a me.
 
“Non dovrei coinvolgere Natural? Allora vuoi davvero rendere inutili la tua maternità e le torture che il Trio Oscuro ha perpetrato su quei Pokémon…”
 
Fu forse quella la più scioccante tra le rivelazioni. Non tanto perché i tre ragazzi non sembrassero capaci di una cosa del genere – non mi sarei aspettata altro da quei cupi individui molto simili a delle spie senza cuore –, ma perché il nesso tra Natural e quei Pokémon era per me incomprensibile.
 
L’unica, vomitevole opzione era che volesse far interagire mio figlio con loro anziché con me e i miei amici… ma una cosa del genere non avrebbe avuto alcun senso logico! Quei Pokémon non erano più capaci di parlare con gli umani!
 
“Non ho alcun dovere di spiegartelo, così come non ho alcun dovere di continuare a parlare con te”.
 
I battiti del mio cuore, a quella frase, accelerarono al punto di rimbombarmi nelle orecchie.
 
Mi avrebbe fatta uccidere. Ne sarebbe stato capace, ed era l’unica ragione per cui poteva avermi rivelato tutti quei dettagli sul suo piano. Avrei voluto chiedergli ancora perché aveva fatto tutto questo, che cosa sperava di ottenere, a cosa stava puntando, ma tutto ciò che riuscivo a ripetere dentro di me era “non voglio morire”.
 
Qualcuno mi salvi. Non voglio morire. Portate via Natural da qui. Portatelo lontano, anche senza di me. Salvate anche lui da questi mostri.
 
Salvatelo. Salvatemi. Salvateci—
 
Tappati le orecchie!
 
Una familiare voce parlò alla mia mente confusa: non avendo altra scelta, non esitai a fare come richiese. Chiusi anche gli occhi, come ad attendere un evento spiacevole, ma non fui io il bersaglio di ciò che di lì a poco accadde.
 
I miei aguzzini… erano caduti tutti e quattro sulle loro ginocchia. Sembravano in uno stato confusionale piuttosto severo – era come se qualcuno avesse usato una mossa come Supersuono su di loro.
 
Alzai gli occhi per confermare la mia ipotesi, e vidi un Pokémon dall’aspetto a me caro.
 
Woobat… era tornato indietro solo per soccorrermi, anche se l’impresa lo aveva messo in serio pericolo.
 
Non appena incrociai lo sguardo con il suo mi venne quasi spontaneo sorridere e salutarlo, ma lui mi intimò di fuggire il più velocemente possibile dato che l’effetto di Supersuono non sarebbe durato a lungo.
 
Con tutta l’adrenalina che avevamo in corpo non fu difficile giungere all’uscita del palazzo, dove fummo accolti dalla vista di una bellissima foresta in mezzo alle montagne. In circostanze diverse avrei dato qualsiasi cosa per fermarmi e respirare a pieni polmoni l’aria pulita della mia splendida Unima, ma il rischio di essere raggiunti dal Trio Oscuro o da Ghecis era ancora spaventosamente reale.
 
Mi sarei aspettata, una volta uscita, di vedere Zoroark, Darmanitan, Natural e gli altri Pokémon, ma più correvo ed evitavo alberi e arbusti, più di loro pareva non esserci traccia.
 
“Zoroark e Darmanitan sono assieme a N, e ci stanno aspettando nella foresta. Gli altri Pokémon sono andati via per conto loro” mi disse Woobat, prima che il mio cuore potesse sprofondare nel più cupo sconforto. Aggiungendo la mia distrazione per l’aver dovuto far fronte a Ghecis e i suoi servitori al fatto che Zoroark era bravissima a creare illusioni che la rendessero totalmente introvabile, non avevo visto scappare né quest’ultima, né Darmanitan e Natural in nessun modo, e la cosa fece emergere in me il pensiero che qualcuno di loro potesse non avercela fatta. Per questo mi tranquillizzai moltissimo quando vidi le mie due care amiche accogliere me e Woobat, nelle profondità della foresta, con la stanchezza negli occhi e la felicità nei loro volti.
 
Ormai eravamo molto lontani dal palazzo e ci mancava il fiato, così decidemmo di fermarci almeno per un minuto, nascosti dalla vegetazione florida. La pausa, però, non sarebbe potuta durare molto: Zoroark, avendo gestito delle illusioni di larga scala fino a quel momento, aveva la mente stanca, e non poteva più proteggerci dagli indiscreti occhi dei nostri inseguitori. E non avere a disposizione i poteri di Zoroark significava essere esposti a un maggior rischio di essere scoperti.
 
La prima cosa che feci fu controllare lo stato di salute di Natural. Darmanitan era riuscita a tenerlo al caldo e al sicuro per tutto quel tempo, eppure non mi sorprese sentirlo piangere: aveva sicuramente percepito la paura di tutti noi, e in ogni caso una fuga del genere per una creaturina così piccola e fragile doveva essere stata una vera e propria tortura.
 
Ma quello era l’unico rimedio disponibile alla terribile vita che, inconsapevolmente, gli stavo per dare.
 
Darmanitan porse a me il mio bambino, pensando che stare con la propria madre potesse quantomeno tranquillizzarlo, e in effetti fu ciò che accadde. Lo cullai raccogliendo tutta la calma possibile, lasciando che si accoccolasse sul mio seno e che giocasse con la spugna di Menger che avevo al collo. Era, quella, una cosa che aveva sempre fatto quando lo tenevo in braccio: mi piaceva pensare che quel vuoto cubo frutto di calcoli matematici suscitasse in lui profonda curiosità. Mi venne quasi spontaneo cederglielo per permettergli di maneggiarlo ed esplorarlo meglio con le paffute mani.
 
Guardarlo in viso mi avrebbe ricordato ogni giorno il modo in cui Ghecis mi aveva usata… ma questo non mi doveva impedire di educarlo per farlo diventare la brava persona che suo padre faceva solo finta di essere. Io e miei amici saremmo sempre stati al suo fianco, e avremmo cominciato assieme una nuova vita cercando di farci spazio nella società umana. E se la gente avesse ancora tentato di denigrarci per i nostri poteri… li avremmo affrontati a testa alta.
 
Quando Natural sembrò definitivamente calmarsi e i miei amici parvero un pochetto più riposati, mi rivolsi a questi ultimi: “dirigiamoci verso il Bosco—”
 
Inaspettatamente, Woobat lanciò un Aerasoio nella mia direzione – esso, oltrepassando le mie spalle, impattò su qualcosa dietro di me. Il gemito di dolore che l’attacco aveva indirettamente provocato mi indusse a voltarmi di scatto. Il bersaglio di Woobat… era un membro del Trio Oscuro. Non ebbi neanche il tempo di rielaborare l’accaduto che le altre due Ombre si materializzarono intorno a noi.
 
L’obiettivo principale dei loro attacchi doveva essere senz’altro Natural o me – Zoroark, Darmanitan e Woobat dovevano averlo capito altrettanto velocemente, perciò furono celeri a respingere la loro offensiva. I miei amici non erano per nulla pratici nella lotta, le mosse che conoscevano erano volte al semplice scopo di difendersi e cacciare; i nostri avversari, invece, sapevano benissimo ciò che stavano facendo, e insieme ai Pawniard che mandarono in campo per contrastare le nostre difese ci battevano anche in numerosità.
 
Era necessario uscire da quella situazione – dovevamo dividerli e fuggire. E l’unica maniera che mi venne in mente per realizzare questo scopo fu—
 
“Zoroark!”
 
Corsi verso la mia amica, che aveva appena mandato un Pawniard al tappeto e respinto un’Ombra con Urlorabbia, e le misi in braccio Natural.
 
“Dobbiamo dividerci. Tu scappa con lui” le sussurrai, mentre Darmanitan e Woobat coprivano le nostre spalle. Zoroark sembrò molto combattuta, ma anche lei aveva compreso che non avevamo altra scelta: se non volevamo fare barriera fino allo sfinimento, dovevamo separare i nostri avversari separando i loro stessi obiettivi. Non potevo scappare io con Natural, sarebbe stato troppo facile prendermi – un Pokémon come lei, veloce e capace di alterare le altrui percezioni, era perfetto per questo compito.
 
Forse avrebbero fermato me… ma Natural sarebbe stato protetto fino alla fine.
 
Coperta dai suoi alleati, Zoroark uscì dalla rissa, perdendosi nella foresta: questo sembrò sconvolgere tutti i giovani del Trio Oscuro che, prevedibilmente, cercarono di dividersi. Uno, in particolare, si stava per dare all’inseguimento di mio figlio, ma Woobat fu abbastanza accorto da intercettarlo con Aerasoio. Gli altri due tentarono prontamente di sostituire il compagno, ma Darmanitan riuscì a bloccarli in tempo.
 
L’ultimo, audace tentativo di sbrogliarsi da quella situazione – lo scontro ci aveva ormai stremati ed era necessario correre ai ripari. Fuggimmo quanto più lontani possibile da loro, nella speranza che quell’offensiva li avesse sfiancati e costretti alla ritirata.
 
L’unica cosa che non avevo calcolato… era che quei ragazzi avevano una forza e una motivazione pressoché disumane.
 
D’un tratto, come se niente fosse, Woobat crollò a terra, una profonda lacerazione che gli solcava la pelosa schiena. L’istinto di fermarsi fu incontrollabile. Il mio amico era ferito, andava portato via e soccorso…! Darmanitan cercò di trascinarmi via per un braccio e—
 
 —!
 
Dolore. Solo dolore si diramava nel mio corpo.
 
Sentivo che era nel petto e nel collo, ma non avevo le forze e il coraggio di chiudermi le ferite con le mani.
 
Il respiro si faceva difficile e soffocante, la vista si offuscava. Qualcosa di rosso crollava al mio fianco, sovrastata da ombre nere.
 
La speranza di poter essere finalmente libera… era svanita.
 
“Il nostro signore, Ghecis, voleva un sovrano, e tu l’hai dato alla luce”.
 
“Darlo alla luce era il tuo compito, ma educarlo… quello spettava al signore”.
 
“La tua presenza… avrebbe ostacolato i suoi piani”.
 
Quelle gelide parole… sarebbero state le ultime… che avrei mai sentito?
 
Natural… spero che almeno tu… possa vivere una vita felice, lontano da persone perfide come tuo padre. Al contrario di tua madre… forse, tu… troverai degli umani che—
 
 
 
 
Non sono mai riuscita a instaurare un buon rapporto con gli umani.
 
E quel fresco pomeriggio di primavera… me ne aveva dato la conferma.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice:
Rieccoci qui! ^o^
 
E anche questa storia si è finalmente - e tragicamente - conclusa. Diciamo che per il finale sono stata un po' costretta dalle circostanze dettate dal mio headcanon: se la madre di N o qualcuno dei suoi Pokémon fosse rimasto vivo, probabilmente qualcuno di loro avrebbe avvertito N del pericolo in cui incorreva seguendo Ghecis quando si erano incontrati nel Bosco Smarrimento, e N, di conseguenza, non si sarebbe mai fidato di un uomo che lui sapeva aver fatto uccidere sua madre e i suoi Pokémon (che addirittura gli avevano fatto da secondi genitori). Ciò non toglie che non mi dispiaccia per la nostra cara, ingenua signorina a cui, mentre scrivevo, mi sono tanto affezionata. Se l'è vista davvero brutta negli ultimi giorni della sua vita, e tutto per colpa di quel disgraziato del suo compagno (sì, perché nel caso ve lo steste chiedendo, i due non si sono mai sposati. Che poi ci sono i matrimoni nel mondo Pokémon?).
A proposito di headcanon, non credo di dovervi spiegare la parte che completava la mia teoria "Ghecis è il padre naturale di N", no? Direi che Ghecis in questo capitolo ha spiegato benissimo le sue intenzioni quando la sua compagna glielo ha domandato... o almeno, spero sia passato il messaggio.
 
Credo che a questo punto non ci sia null'altro da aggiungere, preferirei piuttosto lasciare a voi le considerazioni. Se le volete anche condividere, sappiate che a me farebbe molto piacere! ^///^ Ma sarò comunque contentissima anche per le vostre letture silenziose, siete già stati coraggiosi ad entrare qui date le premesse...
Ringrazio tutti coloro che hanno deciso di seguirmi fin qui e leggere tutta la fanfiction, e spero di ritrovarvi nel caso decidessi di sfornare qualcos'altro!
 
A presto!
 
Hesper
  
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